Sentenza n. 257 del 2010

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[ELG:SOMMARIO]

[ELG:SOMMARIO]

SENTENZA N. 257

ANNO 2010

 

[ELG:COLLEGIO]

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-   Francesco               AMIRANTE                                         Presidente

-   Ugo                        DE SIERVO                                           Giudice

-   Paolo                      MADDALENA                                           ”

-   Alfio                        FINOCCHIARO                                         ”

-   Alfonso                   QUARANTA                                              ”

-   Franco                    GALLO                                                       ”

-   Gaetano                  SILVESTRI                                                 ”

-   Sabino                    CASSESE                                                   ”

-   Maria Rita               SAULLE                                                     ”

-   Giuseppe                 TESAURO                                                  ”

-   Paolo Maria            NAPOLITANO                                          ”

-   Giuseppe                 FRIGO                                                        ”

-   Alessandro              CRISCUOLO                                             ”

-   Paolo                      GROSSI                                                      ”

[ELG:PREMESSA]

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 30 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Liguriacon ordinanza del 1° ottobre 2009, iscritta al n. 306 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visti l’atto di costituzione di G.B. ed altro, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’8 giugno 2010 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

uditi l’avvocato Federico Sorrentino per G.B. ed altro, e l’avvocato dello Stato Maurizio Borgo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

[ELG:FATTO]

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, con ordinanza del 1° ottobre 2009, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 30 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali) «nella parte in cui non prevedono che la Commissione elettorale circondariale, entro il giorno successivo a quello − rispettivamente − della presentazione delle candidature e della presentazione delle liste, elimina i nomi dei candidati alla carica di sindaco a carico dei quali viene accertata la sussistenza della condizione di ineleggibilità di cui all’art. 60, comma 1, numero 12, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e ricusa le liste collegate agli stessi», per contrasto con gli articoli 3, 48, secondo comma, 51, primo comma, e 97 della Costituzione.

L’art. 60, comma 1, numero 12, sopra richiamato, prevede che non sono eleggibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale: i sindaci, presidenti di provincia, consiglieri comunali, provinciali o circoscrizionali in carica, rispettivamente in altro comune, provincia o circoscrizione.

2. Il giudizio a quo, proposto da cittadini elettori residenti nel comune di Cengio, ha ad oggetto l’impugnazione del verbale di proclamazione degli eletti alla carica di sindaco e di consigliere comunale del suddetto comune, adottato dall’Adunanza dei presidenti delle sezioni elettorali a seguito delle elezioni amministrative del 6 e 7 giugno 2009.

3. Il remittente ha premesso in fatto quanto di seguito, in sintesi, riportato.

La sottocommissione elettorale circondariale di Cairo Montenotte ammetteva alla consultazione elettorale del 6 e 7 giugno 2009 tre liste: “Lista civica Cengio c’è”; “Noi per Cengio”; “Cengio cambia – Bagnasco Sindaco – Lista civica”. Quest’ultima lista indicava quale candidato sindaco Arnaldo Bagnasco, consigliere comunale del comune di Cairo Montenotte.

L’incarico consiliare presso quest’ultimo comune rendeva ineleggibile il Bagnasco alla carica di sindaco del comune di Cengio ai sensi dell’art. 60, comma 1, numero 12, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali). Ciò nonostante, la sottocommissione elettorale circondariale di Cairo Montenotte, non rilevando tale condizione di ineleggibilità, ammetteva la lista “Cengio cambia – Bagnasco Sindaco – Lista civica”, alla consultazione elettorale.

A seguito di un esposto, la Prefettura di Savona, sul punto, precisava che «la commissione elettorale circondariale deve rilevare solo le cause di incandidabilità, mentre non ha il potere di impedire la presentazione della lista per ragioni di ineleggibilità». In tal senso si esprimeva anche la suddetta sottocommissione elettorale.

In data 8 giugno 2009 l’Adunanza dei presidenti delle sezioni elettorali proclamava i risultati elettorali ed assegnava alla suddetta lista un solo seggio, attribuito al candidato sindaco Arnaldo Bagnasco. Quest’ultimo, in data 16 giugno 2009, rassegnava le dimissioni dalla carica di consigliere comunale di Cengio, con ciò determinando il subentro del proprio figlio Emil Bagnasco, primo dei non eletti della lista a lui collegata.

4. Tanto premesso, il TAR remittente, in ordine alla rilevanza della questione, afferma di condividere l’orientamento della Corte di cassazione, secondo il quale l’art. 60, comma 1, numero 12, del d.lgs. n. 267 del 2000, con l’uso dell’avverbio «rispettivamente» intende prefigurare non già una pedissequa simmetria, quanto alle limitazioni alla eleggibilità, tra cariche identiche (sindaco con sindaco di altro comune, consigliere comunale con consigliere di altro comune), bensì limitare, a chi rivesta una carica all’interno dell’organo elettivo, l’accesso ad altro organo omologo, sia come consigliere che come sindaco, posta la indiscutibile appartenenza di quest’ultimo al consiglio comunale e la sua partecipazione alle relative funzioni.

Disciplina analoga, ricorda il giudice a quo, era già contenuta nel combinato disposto di cui all’art. 2, numero 13 (recte: numero 12), della legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale) e dell’art. 6 del d.P.R. n. 570 del 1960.

Né, d’altronde, il d.lgs. n. 267 del 2000, per sua natura, in ragione della delega conferita dell’art. 31 della legge 3 agosto 1999, n. 265 (Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali, nonché modifiche alla legge 8 giugno 1990, n. 142), sarebbe stato idoneo ad innovare detta disciplina senza incorrere in un eccesso di delega.

5. Ciò premesso, il TAR ligure dubita della legittimità costituzionale dei citati artt. 30 e 33 del d.P.R. n. 570 del 1960, nei termini sopra esposti.

Tali articoli contengono una elencazione analitica dei casi di esclusione dei candidati e di ricusazione delle liste da parte dell’Ufficio elettorale in questione, che ha carattere tassativo. In base alle suddette disposizioni, la Commissione elettorale non ha il potere di escludere una lista per ragioni di ineleggibilità del candidato sindaco al quale la stessa è collegata.

Ogni verifica è infatti rinviata alla prima seduta consiliare (art. 41 del d.lgs. n. 267 del 2000), con la conseguenza, ad avviso del giudice remittente, che «se il candidato ineleggibile viene eletto sindaco, la decadenza che lo riguarda rende necessaria la celebrazione di nuove elezioni; se, invece, rimane soccombente, le elezioni resteranno valide e si verifica solo la decadenza del candidato sindaco dalla carica di consigliere comunale» (è richiamata la decisione del Consiglio di Stato, sezione V, 15 giugno 2000, n. 3338).

6. Il TAR precisa che le cause di ineleggibilità, tra le quali figura quella di cui all’art. 60, comma 1, numero 12, del d.lgs. n. 267 del 2000, riguardano coloro che, ricoprendo un incarico o una funzione pubblica di notevole rilievo sociale, politico o istituzionale, possono trarne immediato giovamento, in termini di prestigio personale e di potenziale aumento del consenso elettorale, esercitando la captatio benevolentiae.

Esse divergono dalle cause di incompatibilità, che offrono invece al candidato eletto la facoltà di scegliere tra la carica elettiva e l’ufficio o l’incarico da cui discende l’impedimento.

Coloro che non abbiano rimosso la causa di ineleggibilità prima del termine di legge incorrono in una causa di decadenza.

L’ineleggibilità, pertanto, opera come temporanea sospensione del diritto di elettorato passivo.

7. Orbene, ad avviso del TAR remittente, occorre considerare che tale assetto normativo è sorto nel vigore del precedente sistema elettorale, il quale prevedeva l’elezione del sindaco ad opera del consiglio comunale, nel suo ambito, alla prima adunanza, subito dopo la convalida degli eletti (art. 34 della legge 8 giugno 1990, n. 142, che reca «Ordinamento delle autonomie locali», nel testo in vigore anteriormente alla sostituzione operata dall’art. 16 della legge 25 marzo 1993, n. 81, che reca «Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale»).

In tale contesto, appariva dunque del tutto ragionevole che la causa di ineleggibilità del candidato determinasse soltanto la sua decadenza, senza travolgere l’intero procedimento elettorale.

Il giudice a quo deduce, quindi, che tale situazione sia radicalmente mutata a seguito dell’entrata in vigore della citata legge n. 81 del 1993, con specifico riguardo alla situazione dei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti, com’è il caso del comune di Cengio.

Con l’entrata in vigore dell’art. 5 della legge n. 81 del 1993 (successivamente abrogato dal d.lgs. n. 267 del 2000, ma sostanzialmente riprodotto nell’art. 71 del medesimo d.lgs.), infatti, è sorto un rapporto di stretta integrazione tra il candidato alla carica di sindaco e la lista a quest’ultimo collegata, rapporto che costituisce il tratto più significativo della riforma del sistema elettorale amministrativo attuata con tale legge.

A sostegno delle proprie argomentazioni il remittente pone in evidenza:

a) che con la lista di candidati al consiglio comunale deve essere anche presentato il nome e cognome del candidato alla carica di sindaco e il programma amministrativo da affiggere all’albo pretorio;

b) che ciascuna candidatura alla carica di sindaco è collegata ad una lista di candidati alla carica di consigliere comunale;

c) che nella scheda elettorale è indicato, a fianco del contrassegno, il candidato alla carica di sindaco;

d) che a ciascuna lista di candidati alla carica di consigliere si intendono attribuiti tanti voti quanti sono i voti conseguiti dal candidato alla carica di sindaco ad essa collegato, di modo che nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, «l’indicazione di voto apposta sul nominativo del candidato alla carica di sindaco o sul rettangolo che contiene il nominativo stesso» vale anche come voto alla lista collegata.

Ne consegue che la presentazione della lista integra, oggi, una fattispecie di cui sono elementi essenziali sia l’indicazione del candidato alla carica di sindaco, sia l’elenco dei candidati al consiglio comunale.

Tanto ciò è vero che, nel caso del candidato sindaco che versi nella situazione di incandidabilità ai sensi della disciplina antimafia, le norme contenute negli artt. 30, comma 1, lettera c), e 33, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 570 del 1960 prevedono espressamente l’esclusione del nominativo del candidato. A ciò consegue che la lista a lui collegata, venendo a mancare dell’indefettibile requisito di ammissibilità costituito dall’indicazione del candidato sindaco (art. 71, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000), diviene a sua volta inammissibile e, come tale, immediatamente esclusa dalla competizione elettorale.

8. Un primo profilo di illegittimità della normativa in questione, è ravvisato dal TAR per la Liguria nella violazione del principio di eguaglianza, di cui all’art. 3 Cost.

Benché in entrambe le ipotesi (incandidabilità ed ineleggibilità del candidato sindaco) sussista un inscindibile collegamento tra la presentazione della candidatura alla carica di sindaco e quella della lista dei candidati al consiglio comunale ad essa collegata – tale per cui simul stabunt, simul cadent – non sarebbe dato comprendere perché in un caso (incandidabilità) l’inammissibilità della candidatura alla carica di sindaco debba essere rilevata prima della celebrazione delle elezioni ex artt. 30, comma 1, lettera c), e 33, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 570 del 1960 e determini l’inammissibilità anche della lista collegata, mentre nell’altro (ineleggibilità) debba essere dichiarata soltanto dopo, ex art. 41, comma 1, del d.lgs. n. 267 del 2000, con il rischio concreto di invalidare (nel caso di elezione del candidato sindaco ineleggibile) l’intero procedimento elettorale.

9. Sussisterebbe, altresì, la violazione dei parametri costituzionali di cui agli artt. 48, secondo comma, e 51, primo comma, Cost.

Da un lato, infatti, le cause di ineleggibilità, di cui agli artt. 60 e 61 del d.lgs. n. 274 del 2000, sono stabilite allo scopo di garantire la eguale e libera espressione del voto, tutelata dall’art. 48, secondo comma, primo periodo, Cost., «rispetto a qualsiasi possibilità di captatio benevolentiae o di metus potestatis».

Dall’altro, esse sono intese a garantire pari opportunità tra coloro che concorrono alle cariche pubbliche (è richiamata la sentenza n. 84 del 2006).

Invece, in ragione della disciplina censurata, i candidati alla carica di consigliere comunale eletti in una lista collegata ad un candidato sindaco ineleggibile, si trovano nella condizione di avvantaggiarsi degli effetti positivi della candidatura di quest’ultimo.

10. Le disposizioni de quibus sarebbero, inoltre, in contrasto con il principio di buon andamento dell’attività amministrativa, di cui all’art. 97 Cost., che vale anche per il procedimento amministrativo elettorale.

Diversamente dal passato, deduce il TAR, la posizione nella quale il legislatore ha individuato una causa di ineleggibilità è in grado di alterare non solo il risultato personale del candidato, ma anche il risultato della lista cui egli è collegato.

In tale mutato contesto, dunque, non sarebbe più ragionevole e conforme al principio di buon andamento che la causa di ineleggibilità del candidato determini soltanto la sua decadenza a posteriori, senza travolgere l’intero procedimento elettorale.

Sul punto, ricorda il remittente, la Corte costituzionale, seppure nell’ambito di una decisione di inammissibilità della questione sottopostale, per carenza di incidentalità, ha già affermato di essere «consapevole che la vigente normativa consente di rilevare l’esistenza di cause di ineleggibilità – nonostante che queste siano intese a garantire la pari opportunità fra i concorrenti – soltanto dopo lo svolgimento delle elezioni (…). Si tratta di una normativa evidentemente incongrua: non assicura la genuinità della competizione elettorale, nel caso in cui l’ineleggibilità sia successivamente accertata; induce il cittadino a candidarsi violando la norma che, in asserito contrasto con la Costituzione, ne preveda l’ineleggibilità; non consente che le cause di ineleggibilità emergano, come quelle di incandidabilità, in sede di presentazione delle liste agli uffici elettorali» (già citata sentenza n. 84 del 2006).

11. Si è costituita la parte ricorrente del giudizio a quo che ha concluso per la fondatezza della questione di costituzionalità.

12. È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi non fondata la questione sollevata dal TAR Liguria richiamando le motivazioni della decisione del Consiglio di Stato n. 3338 del 2000.

13. In data 18 maggio 2010, hanno depositato memoria i ricorrenti in prime cure.

La difesa privata, pone in evidenza, in particolare, come, in ragione della disciplina vigente, l’unica finalità che può perseguire un soggetto ineleggibile, che si candidi a sindaco in un comune con popolazione inferiore a quindicimila abitanti, è quella di attirare voti per favorire candidati inseriti nella lista a lui collegata. Tale finalità incide in modo distorsivo sulla par condicio elettorale ed è pregiudizievole in ordine alla genuinità del voto (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 84 del 2006).

È contrastata, altresì, la difesa dell’Avvocatura dello Stato.                                                                                        

14. Anche la difesa dello Stato ha depositato memoria con la quale ha ribadito le argomentazioni svolte e le conclusioni già rassegnate.

Ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, la diversa ratio che sottende le ipotesi di incandidabilità rispetto a quelle di ineleggibilità giustificherebbe la rilevabilità di quest’ultima, nella fattispecie in esame, dopo lo svolgimento delle elezioni.

La corretta composizione degli organi elettivi è affidata, infatti, a controlli successivi, in occasione dell’insediamento degli organi stessi.

La pronuncia additiva richiesta, infine, inciderebbe sulla discrezionalità che l’ordinamento affida al legislatore.

[ELG:DIRITTO]

Considerato in diritto.

1. Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, con ordinanza in data 1° ottobre 2009, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 30 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali) «nella parte in cui non prevedono che la Commissione elettorale circondariale, entro il giorno successivo a quello − rispettivamente − della presentazione delle candidature e della presentazione delle liste, elimina i nomi dei candidati alla carica di sindaco a carico dei quali viene accertata la sussistenza della condizione di ineleggibilità di cui all’art. 60, comma 1, numero 12, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e ricusa le liste collegate agli stessi», per contrasto con gli articoli 3, 48, secondo comma, 51, primo comma, e 97 della Costituzione.

2. Il giudice a quo, con riguardo alla dedotta violazione del principio di eguaglianza, invoca, quale tertium comparationis, l’art. 15, comma 1, della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), il quale, occorre ricordare, «risulta formalmente abrogato», dall’art. 274, comma 1, lettera p), del citato d.lgs. n. 267 del 2000, «ma il suo contenuto precettivo è stato integralmente riprodotto dal combinato disposto degli artt. 58, comma 1, lettera a), e 59, comma 1, lettera a), e comma 4», del medesimo decreto (sentenza n. 25 del 2002).

3. In particolare, il remittente lamenta la mancata previsione, nelle disposizioni censurate, della competenza della predetta Commissione elettorale ad eliminare dalle liste i nomi dei candidati alla carica di sindaco e a disporre la conseguente ricusazione delle liste stesse, in presenza della causa di ineleggibilità di cui al citato art. 60, comma 1, numero 12, del d.lgs. n. 267 del 2000, in analogia a quanto espressamente previsto dall’art. 15, comma 1, della legge n. 55 del 1990, in una fattispecie – a suo dire – per alcuni aspetti analoga.

Il suddetto art. 60, comma 1, numero 12, prevede che «non sono eleggibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale» (…) «i sindaci, presidenti di provincia, consiglieri comunali, provinciali o circoscrizionali in carica, rispettivamente in altro comune, provincia o circoscrizione».

A sua volta, l’art. 58, come nel tempo modificato, del citato d.lgs. n. 267 del 2000, prevede, al comma 1, con disciplina analoga a quella del richiamato art. 15 della legge n. 55 del 1990, che «non possono essere candidati alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali e non possono comunque ricoprire le cariche di presidente della provincia, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale, presidente e componente del consiglio circoscrizionale, presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, presidente e componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione e presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all’articolo 114, presidente e componente degli organi delle comunità montane» coloro che hanno riportato condanna penale definitiva per determinati reati, o coloro nei cui confronti è stata applicata, con provvedimento definitivo, una misura di prevenzione in quanto indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, o comunque criminale, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.

3.1. In riferimento alla prospettata violazione dei suindicati parametri costituzionali, il TAR remittente ha dedotto che i candidati alla carica di consigliere comunale, eletti in una lista collegata ad un candidato sindaco ineleggibile, sarebbero avvantaggiati dagli effetti positivi della candidatura di quest’ultimo, con lesione sia del diritto degli elettori comunali alla libera espressione del voto, sia di quello degli aspiranti alla carica di consigliere comunale, appartenenti ad altre liste, di concorrere in condizioni di sostanziale eguaglianza.

3.2. Infine, con specifico riferimento alla prospettata violazione dell’art. 97 Cost., il remittente afferma come non sia ragionevole e conforme al principio costituzionale di buon andamento che la causa di ineleggibilità del candidato determini soltanto la sua decadenza a posteriori, senza travolgere l’intero procedimento elettorale. Ciò ancor più, laddove si consideri che l’art. 76 del d.lgs. n. 267 del 2000 disciplina l’anagrafe degli amministratori locali e regionali, che contiene i dati relativi agli eletti a cariche locali e regionali ed è agevolmente consultabile da chiunque, sicché la situazione di ineleggibilità del candidato, che versi in tale condizione, è accertabile in modo semplice e rapido.

4. In via preliminare, occorre precisare che il thema decidendum del presente giudizio verte sulle limitazioni al diritto di elettorato passivo alla carica di sindaco, che rientra fra quelli «inviolabili» riconosciuti dall’art. 2 Cost., per cui la sua restrizione è ammissibile soltanto nei limiti strettamente necessari alla tutela di altri interessi costituzionalmente protetti e secondo le regole della necessità e della ragionevole proporzionalità (sentenze n. 240 del 2008 e n. 141 del 1996). Da ciò deriva che le norme che derogano al principio della generalità di tale diritto elettorale passivo sono di stretta interpretazione e devono essere applicate nei limiti di quanto sia necessario a soddisfare le esigenze di pubblico interesse cui sono preordinate (sentenze n. 306 del 2003 e n. 364 del 1996).

E deve anche essere precisato che, come questa Corte ha più volte affermato, la previsione della ineleggibilità tende a prevenire che il candidato ponga in essere, in ragione della carica ricoperta o delle funzioni svolte, indebite pressioni sugli elettori (sentenza n. 217 del 2006), esercitando una captatio benevolentiae o inducendo un metus publicae potestatis, idonei ad alterare la par condicio tra i candidati. Tale funzione distingue l’istituto in questione da quello dell’incompatibilità, che è volta, invece, ad evitare il conflitto di interessi nel quale venga a trovarsi il soggetto che sia stato eletto (citata sentenza n. 217 del 2006).

Orbene, nella specie, la doglianza del remittente si appunta sulle modalità con le quali l’ineleggibilità, sancita dall’art. 60, comma 1, numero 12, del d.lgs. n. 267 del 2000, deve essere rilevata, nonché sulle ricadute di essa sul complessivo sistema elettorale per l’elezione del sindaco e dei consiglieri comunali.

5. Così precisato l’oggetto del contendere, deve essere esaminata, innanzi tutto, l’eccezione di inammissibilità della questione sotto il profilo secondo cui essa sarebbe diretta ad ottenere una pronunzia additiva a contenuto non costituzionalmente obbligato.

6. L’eccezione è fondata.

Il remittente, nel prospettare la necessità della integrazione, ad opera di questa Corte, delle norme censurate nel senso suindicato, invoca una parificazione tra l’ipotesi della ineleggibilità disciplinata dall’art. 60, comma 1, numero 12, del T.U. n. 267 del 2000 e quella della incandidabilità già prevista dall’art. 15 della legge n. 55 del 1990, la quale sarebbe funzionale a salvaguardare la libertà del voto e la partecipazione alla competizione elettorale in posizione di uguaglianza tra i concorrenti.

Tuttavia, l’uguaglianza delle situazioni poste a confronto, che dovrebbe giustificare la invocata identità di trattamento normativo, non appare rispondente né alla ratio degli istituti in esame, né al quadro normativo di riferimento.

Occorre considerare, innanzitutto, la ratio sottesa alle disposizioni contenute nella citata normativa antimafia.

Come questa Corte ha già affermato, le previsioni contenute in tale normativa speciale sono dirette «ad assicurare la salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica, la tutela della libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche allo scopo di fronteggiare una situazione di grave emergenza nazionale coinvolgente gli interessi dell’intera collettività» (sentenza n. 352 del 2008, che richiama l’affermazione della sentenza n. 288 del 1993).

Il legislatore, in tal modo, «ha inteso essenzialmente contrastare il fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto istituzionale locale e, in generale, perseguire l’esclusione dalle amministrazioni locali di coloro che per gravi motivi non possono ritenersi degni della fiducia popolare» (citata sentenza n. 352 del 2008 che richiama l’affermazione della sentenza n. 407 del 1992).

Ciò comporta che è speculare al potere della Commissione elettorale circondariale di escludere i candidati che versino nelle condizioni di cui al citato art. 15 della legge n. 55 del 1990, la sanzione della nullità dell’elezione, sancita prima dal medesimo art. 15 e ora dall’art. 58 del d.lgs. n. 267 del 2000.

Si è, dunque, in presenza di una specifica causa ostativa alla candidatura, dalla quale l’ordinamento fa scaturire le suddette conseguenze.

Diversa è, invece, l’ipotesi di ineleggibilità prevista dall’art. 60, comma 1, numero  12, del T.U. n. 267 del 2000, che rientra tra quelle per le quali le limitazioni del diritto di elettorato passivo sono fondate sul timore di distorsione della volontà degli elettori a causa dell’influenza che su di essi può essere esercitata da chi ricopre determinati uffici, o sono comunque fondate su elementi di carattere personale (sentenza n. 450 del 2000).

A ciò è da aggiungere che la ratio di limitazioni analoghe a quelle in esame è stata ravvisata nella diversa circostanza che «chi di una di tali amministrazioni fa parte si consideri così strettamente legato da doveri e da responsabilità verso la comunità prescelta da non potere partecipare agli organi rappresentativi degli interessi omologhi di altra comunità dello stesso tipo, con l’assunzione di altrettanti doveri e responsabilità verso di essa» (sentenza n. 97 del 1991).

Anzi, il potere attribuito alla Commissione elettorale circondariale dalle norme censurate rispetto alla incandidabilità ex art. 15 della legge n. 55 del 1990, ha fondamento proprio nella sanzione della nullità, in quanto tende ad evitare, in un’ottica di buon andamento dell’amministrazione, relativa anche al procedimento elettorale, che si dia luogo ad una consultazione elettorale destinata ad essere travolta.

D’altronde, come ha avuto modo di rilevare la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sezione V, decisione 15 giugno 2000, n. 3338), le citate disposizioni, oltre a sancire il divieto di candidatura, regolano anche un potere di controllo su questa causa di impedimento, che può risolversi nella radicale esclusione del candidato consigliere ineleggibile, come anche nell’esclusione della lista collegata al candidato sindaco ineleggibile.

È, dunque, evidente che, nel bilanciamento fra i principi previsti dagli artt. 51 e 97 Cost., spetta esclusivamente al Parlamento valutare, sulla base della ragionevolezza e con scelte di carattere certamente politico, le diverse ipotesi e, in relazione alla gravità di ciascuna di esse, graduare il trattamento normativo più appropriato e proporzionato (sentenza n. 240 del 2008).

7. Quanto sopra, da un lato, fa emergere l’incompletezza della ricostruzione normativa posta dal giudice remittente a fondamento della lesione del principio di eguaglianza; dall’altro, mette in luce come il remittente stesso prospetti la necessità di un intervento manipolativo che esorbita dai poteri di questa Corte, risolvendosi in un ampliamento dei compiti della Commissione elettorale circondariale che solo il legislatore può prevedere. Il remittente chiede, in definitiva, una pronuncia a contenuto non costituzionalmente obbligato, proponendo un petitum additivo a carattere creativo rientrante soltanto nella discrezionalità del legislatore (ex plurimis: sentenza n. 138 del 2010; ordinanze n. 243 del 2009, n. 316 del 2008, n. 185 del 2007).

8. Il giudice a quo, nella sua ordinanza, nel prospettare le ragioni poste a base della valutazione di non manifesta infondatezza della questione, ha fatto, tra l’altro, riferimento a quanto osservato nella sentenza n. 84 del 2006 da questa Corte, la quale, pronunciandosi su una fattispecie connotata dalla mancanza del carattere di incidentalità della questione di costituzionalità allora proposta, ha affermato di essere «consapevole che la vigente normativa consente di rilevare l’esistenza di cause di ineleggibilità – nonostante che queste siano intese a garantire la pari opportunità fra i concorrenti – soltanto dopo lo svolgimento delle elezioni». E la Corte ha aggiunto che «si tratta di una normativa evidentemente incongrua: non assicura la genuinità della competizione elettorale, nel caso in cui l’ineleggibilità sia successivamente accertata; induce il cittadino a candidarsi violando la norma che, in asserito contrasto con la Costituzione, ne preveda l’ineleggibilità; non consente che le cause di ineleggibilità emergano, come quelle di incandidabilità, in sede di presentazione delle liste agli uffici elettorali».

Pur ribadendo quanto osservato nella citata sentenza, questa Corte, tuttavia, non può che dichiarare inammissibile la questione in esame, in quanto essa, comunque, si risolve nella richiesta di un intervento manipolativo che, esulando dai suoi poteri, spetta soltanto al legislatore nella sua discrezionale valutazione con specifico riferimento agli aspetti anche di natura politica che connotano la materia elettorale.

[ELG:DISPOSITIVO]

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli 30 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 48, secondo comma, 51, primo comma, e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 7 luglio 2010.

[ELG:FIRME]

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Alfonso QUARANTA , Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2010.

 

[ELG:ALLEGATO]

 

[ELG:ALLEGATO]