Sentenza n. 228 del 2010

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SENTENZA N. 228

ANNO 2010

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-          Francesco                    AMIRANTE                                       Presidente

-          Ugo                             DE SIERVO                                          Giudice

-          Paolo                           MADDALENA                                            "

-          Alfio                            FINOCCHIARO                                         "

-          Alfonso                        QUARANTA                                               "

-          Franco                         GALLO                                                        "

-          Luigi                            MAZZELLA                                                "

-          Gaetano                       SILVESTRI                                                  "

-          Sabino                         CASSESE                                                    "

-          Maria Rita                    SAULLE                                                      "

-          Giuseppe                     TESAURO                                                   "

-          Paolo Maria                 NAPOLITANO                                           "

-          Giuseppe                     FRIGO                                                         "

-          Alessandro                   CRISCUOLO                                              "

-          Paolo                           GROSSI                                                       "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 774 e 775, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), promossi dalla Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio con quattro ordinanze del 18 ottobre 2007 e dalla Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna con una ordinanza del 15 luglio 2009, rispettivamente iscritte ai nn. 117,118, 119, 120 e 304 del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17 e n. 52, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visti gli atti di costituzione dell’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP), nonché gli atti di intervento del  Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’11 e nella camera di consiglio del 12 maggio 2010 il Giudice relatore Paolo Maddalena;

uditi gli avvocati Edoardo Urso e Dario Marinuzzi per l’INPDAP nonché l’avvocato dello Stato Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. ¾ Con quattro distinte ordinanze, tutte depositate in data 18 ottobre 2007, il Giudice unico per le pensioni della Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio della Corte dei conti ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 774 e 775, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007).

1.1. ¾ Il giudice a quo premette di dover giudicare sui ricorsi proposti da talune pensionate avverso i provvedimenti con i quali l’INPDAP e – nel giudizio iscritto al r.o. n. 120 del 2009 – l’INPS – Fondo speciale Ferrovie, hanno loro liquidato il trattamento pensionistico di reversibilità non già per intero, bensì nella misura del sessanta per cento della pensione che era in godimento al coniuge deceduto, comprensiva della indennità integrativa speciale (di seguito anche I.I.S.).

In tutti i giudizi si evidenzia che le ricorrenti, invocando a sostegno delle proprie ragioni l’orientamento seguito dalle sezioni riunite della Corte dei conti n. 8 del 17 aprile 2002 «e dalla conforme preponderante giurisprudenza delle Sezioni regionali e centrali della Corte medesima», avevano chiesto il ripristino dell’indennità integrativa speciale nella misura intera precedentemente erogata al coniuge, da liquidarsi separatamente dalla voce «pensione», in conformità a quanto disposto dall’art. 15, comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), siccome applicabile nella specie, giacché concernente le «pensioni dirette liquidate fino al 31 dicembre 1994» e «le pensioni di reversibilità ad esse riferite».

Le istanze erano state, invece, respinte in ragione del fatto che si trattava di pensioni di reversibilità decorrenti in epoca successiva al 31 dicembre 1994 e, dunque, liquidate in forza dell’art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in vigore del 17 agosto 1995, per effetto del quale «La disciplina del trattamento pensionistico a favore dei superstiti di assicurato e pensionato, vigente nell’ambito dell’assicurazione generale obbligatoria, è estesa a tutte le forme esclusive o sostitutive di detto regime. [...]». Con la conseguenza, secondo l’ente previdenziale, che, in base al comma 3 dell’art. 15 della citata legge n. 724 del 1994, «l’indennità integrativa speciale non costituisce più una voce distinta, liquidabile per intero, bensì è conglobata nell’unica voce “pensione” e, pertanto, soggetta alle percentuali di legge proprie delle pensioni ai superstiti».

1.2. ¾ Ciò premesso, in punto di non manifesta infondatezza la Corte dei conti rimettente – con motivazione identica in tutte le ordinanze di rimessione – osserva che le controversie oggetto di cognizione andrebbero risolte alla luce della normativa costituita dai commi 774, 775 e 776 dell’articolo unico della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), che imporrebbe una pronuncia opposta al predetto orientamento giurisprudenziale. Tuttavia, il medesimo giudice a quo sostiene che le disposizioni anzidette si presterebbero a dubbi di illegittimità costituzionale.

1.3. ¾ Nelle ordinanze si evidenzia, anzitutto, che il comma 774 citato, nel recare l’interpretazione autentica dell’art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995, determinerebbe in modo retroattivo il venir meno dell’intento «di salvaguardia dei trattamenti di reversibilità liquidati secondo il più favorevole calcolo ex art. 2 della legge n 324/1959, così come era stato invece previsto dall’art. 15, comma 5, della legge n. 724/1994», abrogato dal comma 776 dello stesso art. 1 della legge n. 296 del 2006, «con salvezza dei soli trattamenti più favorevoli “già definiti in sede di contenzioso” di cui al comma 775».

Ad avviso della Corte rimettente, la disposizione di cui all’anzidetto comma 774 confliggerebbe, però, «con l’art. 3 Costituzione, sia per quanto attiene al profilo di uguaglianza che a quello di ragionevolezza», giacché non riguarderebbe «i trattamenti di reversibilità connessi a decessi avvenuti prima del 17 agosto 1995», senza che sussista, però, «un valido motivo nel differenziare il trattamento di situazioni sostanzialmente uguali (come le pensioni di reversibilità decorrenti dal 1° gennaio 1995 e quelle decorrenti dal 17 agosto 1995), posto che il nuovo sistema di liquidazione dell’indennità integrativa speciale (conglobata alla voce pensione), disposto dal vigente comma 3 dell’art. 15 della legge n. 724/1994 (sistema che ha dato luogo alla definitiva disciplina di cui all’art. 1, comma 41, della citata legge n. 335/1995), ha effetto appunto dal 1° gennaio 1995».

Inoltre, soggiunge il rimettente, l’interpretazione dello stesso comma 774 parrebbe contrastare anche con il vigente comma 4 del medesimo art. 15 della legge n. 724 del 1994, con cui è stato disposto che «La pensione di cui al comma 3 (vale a dire quella decorrente dal 1° gennaio 1995, con l’i.i.s. inglobata nella voce pensione) è reversibile, [...] in base all’aliquota in vigore nel regime dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti». Si tratterebbe, difatti, della «medesima aliquota di reversibilità del 60% che il comma 774 prevede invece a decorrere dal 17 agosto 1995», venendo così in rilievo un «contrasto in ordine alla effettiva decorrenza delle nuove disposizioni per le pensioni di reversibilità», donde l’emersione di un «difetto di ragionevolezza».

1.4. ¾ Ad avviso del giudice a quo, ulteriore violazione del principio di uguaglianza e di ragionevolezza andrebbe ravvisata «nella salvezza dei migliori trattamenti in atto», stabilita dal comma 775, anch’esso denunciato. Esso, infatti, «prevede la salvezza dei soli trattamenti più favorevoli in atto alla data della sua entrata in vigore (1° gennaio 2007) “già definiti in sede di contenzioso”», così da escludere la «tutela dei diritti quesiti di coloro che hanno avuto la corresponsione del migliore trattamento di riversibilità in via amministrativa».

1.5. ¾ La Corte rimettente sostiene, poi, che il profilo maggiormente in contrasto con i principi di cui all’art. 3 Costituzione andrebbe, comunque, individuato nella «immotivata differenza di trattamento tra i beneficiari di trattamenti di reversibilità in ogni caso riferibili a pensioni dirette decorrenti da periodo precedente il 1° gennaio 1995, con l’unico discrimine rappresentato dal momento di decorrenza del trattamento ai superstiti, a nulla rilevando la data di effettiva decorrenza della pensione diretta cui detti trattamenti sono afferenti». A tal fine, richiamandosi anche la giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 34 del 1981, n. 169 del 1986, n. 926 del 1988 e n. 495 del 1993), nell’ordinanza di rimessione si osserva che l’acquisto iure proprio della pensione di reversibilità non elide il fatto che essa «resta naturalmente avvinta, proseguendolo, al pregresso istituto della pensione diretta fruita dal lavoratore». Sicché, il pregiudizio di siffatta tutela comporterebbe un vulnus «della garanzia di cui all’art. 38 della Costituzione, strettamente collegata con lo stato di bisogno ricollegabile alle pensioni vedovili che trovano la loro causa nell’esigenza di tutelare economicamente la parte superstite nel momento in cui viene meno l’apporto economico del coniuge deceduto, tramite la reversibilità di una pensione che, a sua volta, trova titolo nella cessazione dell’attività lavorativa o nel risarcimento di un danno fisico ricollegabile al servizio svolto».

1.6. ¾ Il giudice a quo assume, inoltre, che il denunciato comma 774 farebbe un «uso improprio della qualificazione interpretativa», posto che, nella materia di cui trattasi, non risultava alcun dubbio ermeneutico dopo l’orientamento giurisprudenziale che si era pacificamente affermato, specie dopo il ricordato intervento delle sezioni riunite della Corte dei conti del 2002, e che non risulta mai disatteso.

Peraltro, si soggiunge nell’ordinanza di rimessione, la irragionevolezza del carattere retroattivo del comma 774, in quanto norma di interpretazione autentica, «si riverbera anche sul comma 775 che, nel prevedere la salvezza delle sole situazioni giuridiche già definite favorevolmente in sede contenziosa, finisce per limitare (né potrebbe essere altrimenti) l’applicabilità della nuova disciplina, con effetto retroattivo, soltanto all’avvenuto verificarsi di un evento processuale assolutamente casuale e circostanziale (come la avvenuta definizione dei ricorsi in materia)».

Il giudice a quo ritiene, infine, che sarebbe «arduo, nella specie, individuare il rispetto di tale parametro di ragionevolezza», anche tenuto conto di altre norme contenute nella stessa legge n. 296 del 2006 (commi 578 e 765) che presentano «indubbi riflessi sulla futura spesa pensionistica».

2. ¾ Nei giudizi iscritti al r.o. nn. 117, 118 e 119 del 2009, si è costituito l’INPDAP, parte resistente nei rispettivi procedimenti principali, concludendo – sulla scorta di argomentazioni identiche in tutte le memorie depositate – per l’inammissibilità o la manifesta infondatezza delle sollevate questioni.

2.1. ¾ Quanto all’inammissibilità, si sostiene che essa conseguirebbe dalla sentenza n. 74 del 2008 di questa Corte, sopravvenuta alle ordinanze di rimessione, che ha scrutinato questioni di costituzionalità del comma 774 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006 analoghe a quelle attualmente proposte, dichiarandole non fondate.

Ulteriore profilo di inammissibilità si sostanzierebbe nella «natura politico-legislativa» delle censure di irragionevolezza mosse dal rimettente all’intero testo della legge n. 296 citata, «in particolare con riguardo alle modalità concretamente seguite nella erogazione della spesa pubblica previdenziale, di cui ai commi 765 e 578 del medesimo art. 1».

2.2. ¾ Nel merito, la difesa dell’INPDAP argomenta diffusamente sulla non fondatezza delle questioni, richiamando la trama normativa implicata e la giurisprudenza pensionistica che su di essa si era pronunciata, assumendo che il legislatore avrebbe fatto corretto uso della propria discrezionalità nell’emanare le censurate disposizioni con carattere di interpretazione autentica.

2.3. ¾ Inoltre, quanto alla prospettata lesione del principio dell’affidamento «in danno dei percettori del trattamento pensionistico di reversibilità», essa non sussisterebbe, giacché, non potendosi invocare nella materia diritti quesiti, l’intervento legislativo retroattivo denunciato risulterebbe contenuto nei limiti della ragionevolezza, anche in considerazione delle esigenze di salvaguardia degli equilibri di bilancio.

            2.4. ¾ Infine, l’INPDAP, quanto alle censure rivolte al comma 775, osserva che la norma non distingue «tra contenzioso amministrativo e giurisdizionale» e, del resto, la prassi amministrativa dello stesso Istituto sarebbe nel senso di fare salvo «quanto definito, non solo in sede giurisdizionale con sentenza passata in autorità di cosa giudicata, anche in sede amministrativa all’esito dei ricorsi proposti dinanzi ai vari Comitati di Vigilanza».

Peraltro, la parte costituita sostiene comunque la infondatezza del profilo di censura in esame, in ragione della «differenza sostanziale tra la attività giurisdizionale ed i cd. rimedi giustiziali in sede amministrativa», come evidenziato dalla stessa giurisprudenza costituzionale in riferimento al «ricorso straordinario al Presidente della Repubblica», rilevando che «i pareri e le decisioni resi dai comitati di vigilanza dell’Istituto in sede di ricorsi di natura amministrativa […] ben possono essere modificati dal Consiglio di Amministrazione dell’Istituto dietro richiesta del direttore Generale dell’Istituto».

In ogni caso, conclude l’INPDAP, proprio dalla stessa sentenza n. 74 del 2008 si evincerebbe che la salvezza delle situazioni definite in sede di contenzioso costituisce ragione essenziale «a far ritenere del tutto razionale la scelta del legislatore».

3. ¾ In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, con memorie di identico tenore, che le questioni vengano dichiarate inammissibili o, comunque, non fondate. 

La difesa erariale sostiene che le disposizioni denunciate sarebbero «dirette a ribadire il processo di omogeneizzazione del calcolo dei trattamenti pensionistici, ai superstiti tra dipendenti pubblici e privati, contenuto nella legge n. 335 del 1995», al fine di poter superare un consistente contenzioso presso il giudice delle pensioni.

L’Avvocatura rileva, dunque, che, successivamente all’introduzione dei commi 774 e 775 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, alcune Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti hanno respinto i ricorsi dinanzi ad esse proposti «affermando che la pensione di reversibilità è stata liquidata dall’ente previdenziale ai sensi di legge» e che, segnatamente, non sarebbero ipotizzabili profili di illegittimità costituzionale in ragione del «precedente specifico» costituito dalla sentenza n. 74 del 2008 di questa Corte, che ha dichiarato non fondata le questioni di costituzionalità del comma 774 citato.

4. ¾ Con ordinanza del 15 luglio 2009, il Giudice unico per le pensioni della Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna della Corte dei conti ha sollevato, anch’esso, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 774, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, denunciandone il contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione.

Il rimettente è chiamato a decidere sui ricorsi proposti da taluni pensionati che lamentano di aver ricevuto un trattamento di reversibilità liquidato nella misura del 60% della pensione di cui erano in godimento i coniugi deceduti, comprensiva dell’indennità integrativa speciale nella misura effettivamente fruita, la quale, pertanto, è stata computata nella medesima percentuale. I ricorrenti – si evidenzia ancora nell’ordinanza di rimessione – chiedono, pertanto, «l’accertamento del proprio diritto a vedersi liquidata la pensione di reversibilità ai sensi dell’art. 15, comma 5, della legge n. 724 citata che aveva previsto, in deroga al disposto di cui al precedente comma 3, l’applicabilità della più favorevole pregressa disciplina ai trattamenti diretti decorrenti anteriormente alla data del 1° gennaio 1995 ed ai trattamenti di reversibilità ad essi riferiti».

4.1. ¾ Ciò premesso, nell’ordinanza si sostiene che, in forza delle disposizioni recate dai commi 774, 775 e 776 dell’art. 1 della n. 296 del 2006, i ricorsi dovrebbero essere respinti, contrariamente a quanto avrebbe imposto l’orientamento giurisprudenziale pregresso e conseguente alla sentenza n. 8/QM/2002 del 17 aprile 2002 delle sezioni riunite della Corte dei conti.

Si rammenta, altresì, che sul denunciato comma 774 del citato art. 1 si è già pronunciata la Corte costituzionale, la quale, con sentenza n. 74 del 2008, ha dichiarato non fondate le questioni di costituzionalità allora sollevate in riferimento all’art. 3 Cost.. Il giudice a quo deduce, quindi, che ciò «impone a questo Giudice unico di riguardare la questione sotto un diverso profilo, non indagato dalle ordinanze di rimessione che hanno dato origine alla pronuncia sopra riportata».

A tal riguardo, si sostiene che – pur dovendosi dare atto che gli artt. 36 e 38 Cost. «non escludono affatto la possibilità di un intervento legislativo che, per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, riduca in maniera definitiva un trattamento pensionistico in precedenza previsto» – la disciplina introdotta, con effetto retroattivo, con il comma 774 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006 «comporta, per taluni ma non per tutti i destinatari della norma (coniugi superstiti di pensionati titolari di pensione ordinaria diretta avente decorrenza da data antecedente al 1° gennaio 1995 e deceduti dopo detta data, nelle fattispecie qui in argomento senza figli a carico e senza redditi propri superiori a tre volte il cosiddetto minimo INPS), un trattamento pensionistico notevolmente inferiore a quello che sarebbe spettato in applicazione del previgente ordinamento».

Ad avviso del giudice a quo, per una pensione di riferimento nella quale la componente “pensione base” sia di importo uguale a quello dell’indennità integrativa speciale «si determina, applicando le nuove norme, una pensione di reversibilità inferiore del 30% a quella che sarebbe spettata in applicazione della previgente normativa (e la percentuale di decremento cresce quanto più aumenta la differenza – in negativo – tra l’importo mensile della “pensione base” e l’importo mensile dell’indennità integrativa speciale)». L’anzidetta percentuale diminuirebbe – argomenta ancora il rimettente – con l’aumentare dell’importo della “pensione base” rispetto all’importo dell’indennità integrativa speciale, «fino a diventare uguale a zero nell’ipotesi in cui la “pensione base” è pari a quattro volte l’indennità integrativa speciale, punto nel quale si registra l’indifferenza tra l’applicazione della vecchia normativa e l’applicazione della novella del 2006»; anzi, oltre tale soglia le nuove disposizioni determinerebbero, per il coniuge superstite di pensionato la cui pensione base fosse superiore a quattro volte l’importo dell’indennità integrativa speciale, «una situazione più favorevole di quella recata con la previgente normativa che è tanto più favorevole quanto più elevata è la “pensione base” rispetto all’indennità integrativa speciale».

4.2. ¾ Tanto dedotto, il rimettente Giudice unico per le pensioni osserva che «secondo il sindacato dei pensionati SPAI CGIL, che ha elaborato i dati INPS, nel 2007 la soglia di povertà relativa stimata riguarda una cifra pari ad euro 591,6 mensili che corrisponde ad una reddito annuo, espresso con il vecchio conio, pari a lire 13.745.968», sostenendo, pertanto, che «le pensioni lorde liquidate alle odierne ricorrenti sono di ben poco superiori alla predetta soglia di povertà relativa stimata».

4.3. ¾ Il giudice a quo afferma, quindi, che il denunciato comma 774 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, volto alla salvaguardia dell’equilibrio del bilancio dello Stato ed al contenimento  della spesa pubblica in considerazione della limitatezza delle risorse disponibili, «di fatto individua a tal fine una categoria (coniugi superstiti di pensionati deceduti dopo il 1° gennaio 1995, ma titolari di pensione diretta con decorrenza da data antecedente al 1° gennaio 1995), i cui appartenenti non sono tutti chiamati a concorrere alla spesa pubblica né a concorrere in misura uguale ovvero progressiva, in quanto il sistema generato dalla nuova disposizione opera in maniera oltremodo regressiva giungendo a risultati di indubbio favore proprio per le pensioni più elevate e che sono espressione di maggiore capacità contributiva, ravvisandosi altresì in siffatto risultato una palese violazione dei principi contenuti nell’art. 3 della Costituzione, atteso che la decurtazione giustificata dalle esigenze di bilancio (id est il prelievo coattivo a fini di contribuzione alle pubbliche spese) incide specificamente su una categoria di cittadini senza che sussistano evidenti motivi per tale differenziazione».

Ad avviso del rimettente, la norma denunciata contrasterebbe anche con l’art. 53 della Costituzione, violandone sia il primo comma, in considerazione «della circostanza che viene imposto a taluni appartenenti ad una specifica categoria di concorrere in misura maggiore degli altri cittadini alle spese pubbliche senza che sia stata verificata l’effettiva capacità contributiva»; sia il secondo comma, «nella indubbia regressività del sistema di prelievo che vede maggiormente incisi i cittadini aventi minore capacità contributiva (od altri, addirittura, pur appartenendo alla medesima categoria ma di maggiore capacità contributiva ottengono un risultato migliorativo rispetto a quello assicurato dal previgente ordinamento)» .

5. ¾ Si è costituito l’INPDAP, parte resistente nei rispettivi procedimenti principali, concludendo per l’inammissibilità o la manifesta infondatezza della sollevata questione, in forza di considerazioni analoghe a quelle già sviluppate nelle memorie depositate nei giudizi di cui alle ordinanze iscritte al r.o. n. 117, n. 118 e n. 119 del 2009.

L’Istituto soggiunge, infine, che sarebbe inammissibile o comunque manifestamente infondata la censura che fa leva sull’art. 53 Cost., posto che l’art. 1, comma 774, della legge n. 296 del 2006 non ha riguardo a disposizioni tributarie, non avendo per nulla innovato il sistema di prelievo fiscale dei trattamenti pensionistici.

6. ¾ E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata manifestamente infondata. 

La difesa erariale argomenta sulla non irragionevolezza della norma denunciata siccome finalizzata «all’unico obiettivo di dare compiuta attuazione ad un principio recato da una legge di riforma»; sostiene, inoltre, la non pertinenza dell’evocazione del parametro di cui all’art. 53 Cost., concernente l’ordinamento tributario ed il presupposto di legittimità della relativa imposizione, cui sarebbe estranea la disposizione censurata.

6.1. ¾ Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato, altresì, memoria illustrativa con la quale, nel ribadire le conclusioni già rassegnate, sostiene ulteriormente che la questione sollevata, quanto al denunciato contrasto con l’art. 3 Cost., sarebbe stata, nella sostanza, già scrutinata, nel senso della non fondatezza, dalla questa Corte con la sentenza n. 74 del 2008.

Considerato in diritto

1. ¾ Il Giudice unico per le pensioni della Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio della Corte dei conti ha sollevato, con quattro distinte ordinanze, tutte dello stesso tenore, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 774 e 775, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007).

Le denunciate disposizioni rispettivamente stabiliscono:

«L’estensione della disciplina del trattamento pensionistico a favore dei superstiti di assicurato e pensionato vigente nell'ambito del regime dell'assicurazione generale obbligatoria a tutte le forme esclusive e sostitutive di detto regime prevista dall’articolo 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335 si interpreta nel senso che per le pensioni di reversibilità sorte a decorrere dall’entrata in vigore della legge 8 agosto 1995, n. 335 indipendentemente dalla data di decorrenza della pensione diretta, l’indennità integrativa speciale già in godimento da parte del dante causa, parte integrante del complessivo trattamento pensionistico percepito, è attribuita nella misura percentuale prevista per il trattamento di reversibilità.» (comma 774);

– «Sono fatti salvi i trattamenti pensionistici più favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore della presente legge, già definiti in sede di contenzioso, con riassorbimento sui futuri miglioramenti pensionistici.» (comma 775).

In riferimento al censurato comma 774 il rimettente ha prospettato la violazione dell’art. 3 della Cost. sotto molteplici profili.

In primo luogo, perché la norma non riguarderebbe «i trattamenti di reversibilità connessi a decessi avvenuti prima del 17 agosto 1995», così da differenziare, senza valido motivo, «il trattamento di situazioni sostanzialmente uguali (come le pensioni di reversibilità decorrenti dal 1° gennaio 1995 e quelle decorrenti dal 17 agosto 1995), posto che il nuovo sistema di liquidazione dell’indennità integrativa speciale (conglobata alla voce pensione)», disposto dal vigente comma 3 dell’art. 15 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), e che ha dato luogo alla definitiva disciplina di cui all’art. 1, comma 41, della citata legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), «ha effetto appunto dal 1° gennaio 1995».

Inoltre, il denunciato comma 774 contrasterebbe, con conseguente difetto di ragionevolezza, «anche con il vigente comma 4 del medesimo art. 15 della legge n. 724/1994, con cui è stato disposto che “La pensione di cui al comma 3 (vale a dire quella decorrente dal 1° gennaio 1995, con l’i.i.s. inglobata nella voce pensione) è reversibile, [...] in base all’aliquota in vigore nel regime dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti”», posto che si tratterebbe della «medesima aliquota di reversibilità del 60% che il comma 774 prevede invece a decorrere dal 17 agosto 1995».

Ed ancora, sussisterebbe una «immotivata differenza di trattamento tra i beneficiari di trattamenti di reversibilità in ogni caso riferibili a pensioni dirette decorrenti da periodo precedente il 1° gennaio 1995, con l’unico discrimine rappresentato dal momento di decorrenza del trattamento ai superstiti, a nulla rilevando la data di effettiva decorrenza della pensione diretta cui detti trattamenti sono afferenti».

Infine, vi sarebbe la violazione dell’art. 3 Cost. per l’«uso improprio della qualificazione interpretativa», posto che «nella materia di cui trattasi, non risultava alcun dubbio ermeneutico dopo l’orientamento giurisprudenziale che si era pacificamente affermato, specie dopo l’intervento delle sezioni riunite di questa Corte del 2002, e che non risulta mai disatteso».

Ad avviso del giudice a quo, il censurato comma 774 contrasterebbe anche con l’art. 38 della Costituzione e, dunque, con una garanzia «strettamente collegata con lo stato di bisogno ricollegabile alle pensioni vedovili che trovano la loro causa nell’esigenza di tutelare economicamente la parte superstite nel momento in cui viene meno l’apporto economico del coniuge deceduto, tramite la reversibilità di una pensione che, a sua volta, trova titolo nella cessazione dell’attività lavorativa o nel risarcimento di un danno fisico ricollegabile al servizio svolto».

A sua volta, il comma 775 dello stesso art. 1 della legge n. 296 del 2006 violerebbe, secondo il rimettente, l’art. 3 della Cost., giacché, nel prevedere «la salvezza dei soli trattamenti più favorevoli in atto alla data della sua entrata in vigore (1° gennaio 2007) “già definiti in sede di contenzioso”», esclude la «tutela dei diritti quesiti di coloro che hanno avuto la corresponsione del migliore trattamento di riversibilità in via amministrativa».

Ulteriore contrasto con lo stesso anzidetto parametro deriverebbe, infine, dal fatto che la irragionevolezza del carattere retroattivo del comma 774, siccome norma di interpretazione autentica, «si riverbera anche sul comma 775 che, nel prevedere la salvezza delle sole situazioni giuridiche già definite favorevolmente in sede contenziosa, finisce per limitare (né potrebbe essere altrimenti) l’applicabilità della nuova disciplina, con effetto retroattivo, soltanto all’avvenuto verificarsi di un evento processuale assolutamente casuale e circostanziale (come la avvenuta definizione dei ricorsi in materia)».

1.2. ¾  Con ordinanza del 15 luglio 2009, la Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, in funzione di Giudice unico per le pensioni, ha sollevato anch’essa questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 774, della legge n. 296 del 2006.

A tal fine, il rimettente deduce che, sebbene volta alla salvaguardia dell’equilibrio del bilancio dello Stato ed al contenimento  della spesa pubblica in considerazione della limitatezza delle risorse disponibili, la norma denunciata «di fatto individua a tal fine una categoria (coniugi superstiti di pensionati deceduti dopo il 1° gennaio 1995, ma titolari di pensione diretta decorrenza da data antecedente al 1°gennaio 1995) i cui appartenenti non sono tutti chiamati a concorrere alla spesa pubblica né a concorrere in misura uguale ovvero progressiva, in quanto il sistema generato dalla nuova disposizione opera in maniera oltremodo regressiva giungendo a risultati di indubbio favore proprio per le pensioni più elevate e che sono espressione di maggiore capacità contributiva», con conseguente «violazione dei principi contenuti nell’art. 3 della Costituzione, atteso che la decurtazione giustificata dalle esigenze di bilancio (id est il prelievo coattivo a fini di contribuzione alle pubbliche spese) incide specificamente su una categoria di cittadini senza che sussistano evidenti motivi per tale differenziazione».

Ad avviso del giudice a quo, sarebbe leso anche l’art. 53, primo comma, Cost., in considerazione «della circostanza che viene imposto a taluni appartenenti ad una specifica categoria di concorrere in misura maggiore degli altri cittadini alle spese pubbliche senza che sia stata verificata l’effettiva capacità contributiva».

Infine, sussisterebbe la violazione dell’art. 53, secondo comma, Cost., per la «indubbia regressività del sistema di prelievo che vede maggiormente incisi i cittadini aventi minore capacità contributiva (od altri, addirittura, pur appartenendo alla medesima categoria ma di maggiore capacità contributiva ottengono un risultato migliorativo rispetto a quello assicurato dal previgente ordinamento)».

2. ¾ I giudizi investono le medesime norme, che sono denunciate in base a profili di censura in buona parte coincidenti, e vanno, quindi, riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.

3. ¾ Le questioni non sono fondate.

4. ¾ Occorre anzitutto rammentare che questa Corte, con la sentenza n. 74 del 2008, ha già scrutinato, nel senso della non fondatezza, talune questioni di costituzionalità del comma 774 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, le quali muovevano, anch’esse, dalla premessa dell’esistenza di un diritto vivente alla pensione di reversibilità nel caso di decesso di titolare di pensione diretta liquidata entro il 31 dicembre 1994, da calcolare in base alle norme di cui all’art. 15, comma 5, della legge n. 724 del 1994, indipendentemente dalla data della morte del dante causa, non avendo l’art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995 abrogato il comma 5 dell’art. 15 appena citato.

Il denunciato comma 774 veniva, tuttavia, a smentire un siffatto diritto vivente, ma esso – ad avviso degli allora rimettenti – si sarebbe posto in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, non potendo essere qualificato come norma di interpretazione autentica e ledendo, comunque, il principio dell’affidamento nella sicurezza giuridica.

La Corte, con la citata sentenza del 2008, nel ricostruire il quadro normativo di riferimento, ha posto in luce, anzitutto, che nel settore privato operava, «da epoca risalente, il principio di onnicomprensività della retribuzione pensionabile, essendo essa individuata in base ad un coacervo di elementi che, salvo specifiche eccezioni, entrano, tutti, a comporla, secondo le disposizioni che recano la disciplina di riferimento». Diversamente nel settore pubblico, in base al sistema originariamente delineato dal decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), si prevedeva che la pensione del pubblico dipendente fosse calcolata su una determinata base pensionabile «e, una volta determinata la prestazione, a questa si aggiungeva l’indennità integrativa speciale, la quale – come reso palese dall’art. 2 della legge n. 324 del 1959 e poi dall’art. 99 del t.u. del 1973 – era elemento accessorio del trattamento pensionistico». La diversità di detti sistemi si ripercuoteva, pertanto, sul calcolo della pensione di reversibilità, spettante al superstite in misura percentuale rispetto alla pensione diretta del dante causa: nel «settore privato il 60 per cento in favore del coniuge (aliquota fissata dall’art. 13 del r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636, modificato anche dall’art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903) era calcolato sulla pensione del dante causa determinata in base al principio di onnicomprensività (includente quindi tutti gli elementi retributivi sui quali operava l’aliquota del 60 per cento); nel settore pubblico, una volta determinata la pensione diretta e calcolata su questa la misura spettante al pensionato di reversibilità (al coniuge, in forza dell’art. 88 del t.u., di regola il 50 per cento della pensione del dante causa), si aggiungeva, in misura piena, l’indennità integrativa speciale».

Su un tale assetto è intervenuto – ha osservato questa Corte nella citata sentenza – l’art. 15 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, stabilendo «che la corresponsione dell’indennità integrativa speciale nella misura piena si sarebbe dovuta fermare (per dar luogo, poi, al suo conglobamento nel trattamento pensionistico, con liquidazione complessiva di esso nella misura percentuale del 60 per cento secondo quanto previsto dall'assicurazione speciale obbligatoria), per quanto riguarda le pensioni dirette, al 31 dicembre 1994, ed avrebbe potuto continuare ad essere corrisposta alle pensioni di reversibilità, purché “riferite” alle pensioni dirette liquidate entro detta data». Con il successivo art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995 si è previsto «che la disciplina del trattamento di reversibilità in essere nell’àmbito dell’assicurazione obbligatoria fosse esteso anche al settore pubblico – determinando così la liquidazione della pensione con il conglobamento della indennità integrativa speciale – dalla data di entrata in vigore della legge stessa (e cioè dal 17 agosto 1995)».

Il problema della implicita abrogazione, per effetto della successione delle leggi nel tempo, del comma 5 della legge n. 724 del 1994, venne risolto in termini negativi dalla giurisprudenza prevalente della Corte dei conti.

Nello scrutinare, quindi, le questioni allora prospettate, la sentenza n. 74 del 2008 ha messo in evidenza:

– che l’art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995 «pone in rilievo due dati essenziali: a) l’indipendenza del trattamento pensionistico di reversibilità rispetto alla data di liquidazione della pensione diretta del dante causa; b) la decorrenza della estensione della disciplina della pensione di reversibilità prevista dall'assicurazione generale obbligatoria a tutte le forme esclusive o sostitutive di detto regime dalla data di entrata in vigore della legge n. 335 del 1995»;

– che deve essere ribadito, dunque, il principio – già evidenziato dalla sentenza n. 446 del 2002 (di infondatezza di questione investente l’art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995) – «dell’autonomia del diritto alla pensione di reversibilità come diritto originario»;

– che, in riferimento alla decorrenza della estensione della disciplina a regime della assicurazione generale obbligatoria, la norma censurata è effettivamente interpretativa dell’art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995;

– che non può ritenersi irragionevole per contraddittorietà l’abrogazione – ad opera del comma 776 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006 – del comma 5 dell’art. 15 della legge n. 724 del 1994, «giacché essa risulta rispondente ad una esigenza di ordine sistematico imposta proprio dalle vicende che hanno segnato la sua applicazione»;

– che, inoltre, potendo il legislatore, in sede di interpretazione autentica, «modificare in modo sfavorevole, in vista del raggiungimento di finalità perequative, la disciplina di determinati trattamenti economici con esiti privilegiati senza per questo violare l’affidamento nella sicurezza giuridica (sentenze n. 6 del 1994 e n. 282 del 2005), là dove, ovviamente, l’intervento possa dirsi non irragionevole», nella specie è da escludersi una siffatta irragionevolezza anche in vista della circostanza che «l’assetto recato dalla norma denunciata riguarda anche il complessivo riequilibrio delle risorse e non può, pertanto, non essere attenta alle esigenze di bilancio»;

– che ulteriore elemento a supporto della non irragionevolezza dell’intervento legislativo si radica nel fatto che «il legislatore, con il comma 775 dell’art. 1 della stessa legge n. 296 del 2006, ha salvaguardato i trattamenti di miglior favore già definiti in sede di contenzioso, con ciò garantendo non solo la sfera del giudicato, ma anche il legittimo affidamento che su tali trattamenti soltanto poteva dirsi ingenerato».

5. ¾ Alla luce delle richiamate argomentazioni, si deve, quindi, pervenire ad una declaratoria di non fondatezza delle attuali censure del comma 774, le quali evocano anch’esse, come nei giudizi già oggetto di scrutinio da parte della citata sentenza n. 74 del 2008, la violazione dell’art. 3 Cost. per l’uso erroneo della qualificazione interpretativa; nonché denunciano il comma 775 per la lesione dello stesso art. 3 Cost. in ragione della pretesa limitazione della salvezza dei trattamenti più favorevoli a quelli «già definiti in sede di contenzioso».

5.1. ¾ Quanto alle restanti censure poste dalle ordinanze iscritte al r.o. nn. 117, 118, 119 e 120 del 2009 – con le quali si deduce la irragionevolezza e la irrazionalità della disciplina denunciata, nonché la disparità di trattamento che essa determinerebbe tra pensionati in quiescenza in un momento, rispettivamente, antecedente e successivo al 1° gennaio 1995, ed infine la violazione della garanzia previdenziale posta dall’art. 38 Cost. – è da osservare che esse muovono da un presupposto interpretativo che contrasta con il principio, innanzi richiamato, di autonomia della pensione di reversibilità come diritto originario, dal quale discende come corollario che è rilevante, al fine di individuare il regime applicabile alla predetta pensione, la data della sua insorgenza, non potendo ritenersi, allo stesso fine, indefettibile, e tale da impedire ogni diverso intervento legislativo, il collegamento con la pensione diretta.

In effetti, non può reputarsi irragionevole la disposizione di cui all’art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995, la quale ha portato a regime il conglobamento della indennità integrativa speciale nella pensione di reversibilità dalla data di entrata in vigore della stessa legge. Si deve, infatti, tener presente che, per un verso è pienamente ammissibile un intervento legislativo che operi su rapporti di durata, come quelli in esame, per soddisfare esigenze, non solo di contenimento della spesa pubblica, ma anche di armonizzazione dei trattamenti pensionistici tra settore pubblico e privato, mentre d’altro canto (per costante giurisprudenza di questa Corte: di recente, vedasi ordinanza n. 170 del 2009) il fluire del tempo è valido discrimine di situazioni giuridiche analoghe e la effettività della garanzia di cui all’art. 38 Cost. non può reputarsi elisa da una regolamentazione che parifica (anche nella misura) la pensione di reversibilità del settore pubblico a quella del settore privato.

6. ¾ In riferimento, poi, alla questione sollevata dall’ordinanza iscritta al r.o. n. 304 del 2009, è evidente l’inconferenza dei parametri di cui agli artt 3 e 53 Cost., unitariamente considerati per censurare l’art. 1, comma 774, poiché, come più volte affermato da questa Corte (tra le altre, sentenza n. 47 del 2008, nonché ordinanza n. 22 del 2003), il principio di capacità contributiva riguarda soltanto la materia tributaria, e non può essere invocato in materia previdenziale.

La questione deve, quindi, essere dichiarata non fondata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 774 e 775, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dal Giudice unico delle pensioni della Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio della Corte dei conti, con le ordinanze in epigrafe indicate;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 774, della medesima legge n. 296 del 2006, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dal Giudice unico delle pensioni della Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna della Corte dei conti, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 giugno 2010.