Sentenza n. 188 del 2010

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SENTENZA N. 188

ANNO 2010

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-          Francesco                    AMIRANTE                                       Presidente

-          Ugo                             DE SIERVO                                         Giudice

-          Paolo                           MADDALENA                                          ”

-          Alfio                            FINOCCHIARO                                        ”

-          Alfonso                        QUARANTA                                             ”

-          Franco                         GALLO                                                      ”

-          Luigi                            MAZZELLA                                               ”

-          Gaetano                       SILVESTRI                                                ”

-          Sabino                         CASSESE                                                  ”

-          Maria Rita                   SAULLE                                                    ”

-          Giuseppe                     TESAURO                                                 ”

-          Paolo Maria                 NAPOLITANO                                         ”

-          Giuseppe                     FRIGO                                                       ”

-          Alessandro                  CRISCUOLO                                            ”

-          Paolo                           GROSSI                                                     ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorti a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 21 dicembre 2007, con la quale, ai sensi dell’art. 68, terzo comma, Cost., sono state negate l’autorizzazione all’utilizzazione di tabulati telefonici nei confronti del sen. Giuseppe Valentino e l’autorizzazione all’acquisizione dei tabulati telefonici riferibili al medesimo sen. Giuseppe Valentino, giudizi promossi dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma e dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, con ricorsi notificati il 17 luglio 2008, depositati in cancelleria il 7 agosto e il 23 luglio 2008 ed iscritti ai nn. 4 e 5 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2008, fase di merito.

Visti gli atti di costituzione del Senato della Repubblica;

udito nell’udienza pubblica del 23 marzo 2010 il Giudice relatore Gaetano Silvestri, sostituito per la redazione della sentenza dal Giudice Giuseppe Frigo;

udito l’avvocato Giuseppe De Vergottini per il Senato della Repubblica.

     Ritenuto in fatto

            1. – Con ricorso in data 19 febbraio 2008, depositato il 21 successivo, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica, in relazione alla deliberazione del 21 dicembre 2007 (doc. IV, n. 1), con la quale, in conformità alla proposta adottata all’unanimità dalla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, è stata negata l’autorizzazione ad utilizzare tabulati telefonici relativi ad una utenza in uso a Michele Sinibaldi, nella parte relativa ai contatti, avvenuti nel luglio del 2005, con altra utenza in uso al senatore Giuseppe Valentino e intestata al Ministero della giustizia, rivestendo egli in quel tempo la carica di sottosegretario in detto dicastero.

Riferisce il ricorrente che si tratta di tabulati acquisiti dal Procuratore della Repubblica di Roma nell’ambito di un procedimento (iscritto al n. 32200/06 del registro delle notizie di reato) nel quale il Sinibaldi e il Valentino sono sottoposti a indagini per il delitto previsto dall’art. 378 del codice penale, «per avere aiutato Giampiero Fiorani ad eludere le indagini sul medesimo condotte [in un procedimento avanti l’autorità giudiziaria di Milano], riferendogli l’esistenza di operazioni di intercettazione telefonica a suo carico, per il tramite di Ricucci Stefano». Aggiunge che l’invio al Senato della suddetta richiesta di autorizzazione era stato disposto, da parte di esso ricorrente, il 13 novembre 2007, di seguito all’accoglimento dell’istanza del pubblico ministero del 27 luglio precedente, di dare corso, con riguardo ai tabulati in questione e previa verifica della loro «rilevanza», alla procedura prevista dall’art. 6, comma 2, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato). Nello stesso contesto, «con separata ordinanza» (peraltro, allegata alla richiesta) il ricorrente aveva ritenuto «necessaria» l’utilizzazione dei tabulati.

            Nel ricorso, si censura l’argomento in base al quale la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari ha motivato la proposta (poi accolta dall’Assemblea) di negare l’autorizzazione, vale a dire che – in asserito contrasto con il disposto del citato art. 6 della legge n. 140 del 2003 – il richiedente non avrebbe dato adeguatamente conto della «necessità di utilizzazione» dei tabulati, essendosi limitato a rilevare la loro «mera pertinenza» rispetto al fatto oggetto di indagine: profilo, questo, che non consentirebbe all’organo parlamentare «di individuare un collegamento inequivoco» con tale fatto. Secondo la Giunta, d’altro canto, la necessità dell’utilizzazione potrebbe essere agevolmente esclusa alla luce del rapporto di assidua frequentazione esistente tra il Sinibaldi ed il senatore Valentino – rapporto riconosciuto dallo stesso parlamentare in una memoria depositata presso la Giunta – il quale priverebbe di ogni valenza, ai fini della ricostruzione dell’ipotesi accusatoria, gli eventuali contatti telefonici risultanti dai tabulati.

In questo modo, peraltro – ad avviso del ricorrente – il Senato si sarebbe arrogato compiti che trascendono l’ambito del sindacato previsto dall’art. 68, terzo comma, Cost., il quale sarebbe finalizzato unicamente a stabilire se la richiesta di autorizzazione denoti un atteggiamento persecutorio nei confronti del parlamentare interessato, o miri a realizzare una indebita – in quanto immotivata – ingerenza nella sua sfera privata; ovvero, ancora, se l’intero procedimento penale costituisca un mero «pretesto» per esercitare un indiretto condizionamento sull’esercizio del mandato parlamentare.

Nella delibera impugnata, di contro, il Senato avrebbe espresso valutazioni sulla necessità di acquisire a fini probatori i tabulati già presenti in atti, in rapporto «allo sviluppo attuale del procedimento ed alle sue prospettive future»: valutazioni che l’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003 rimette in via esclusiva al giudice. L’organo parlamentare avrebbe finito così, in pratica, per decidere sulla «gestione processuale di una prova già formata», interferendo «sull’andamento del procedimento» in corso, con conseguente illegittima invasione della sfera di attribuzioni riservata all’autorità giudiziaria dagli artt. 101 e 104 Cost.

La portata invasiva della delibera parlamentare non sarebbe, d’altro canto, «attenuata» dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale, ad opera della sentenza n. 390 del 2007, dell’art. 6, commi 2, 5 e 6, della legge n. 140 del 2003, nella parte in cui stabilisce che la disciplina ivi prevista si applichi anche nei casi in cui le intercettazioni debbano essere utilizzate nei confronti di soggetti diversi dal membro del Parlamento, le cui conversazioni o comunicazioni sono state intercettate. Pure a ritenere, infatti – come il ricorrente in effetti ritiene – che tale decisione sia riferibile anche ai tabulati, nel caso in esame la richiesta di autorizzazione rigettata dal Senato concerne non soltanto il «terzo» che ha interloquito telefonicamente con il parlamentare, ma anche il parlamentare stesso.

            Il Giudice ricorrente chiede, quindi, che questa Corte dichiari che non spettava al Senato negare l’autorizzazione all’utilizzazione dei tabulati in questione e annulli, di conseguenza, la deliberazione impugnata.

            2. – Il conflitto è stato dichiarato ammissibile da questa Corte, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, con ordinanza n. 275 del 2008.

            A seguito di essa, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma ha notificato il ricorso e l’ordinanza al Senato della Repubblica in data 17 luglio 2008 e depositato tali atti, con la prova dell’avvenuta notificazione, il 7 agosto successivo.

            3. – Il Senato della Repubblica, in persona del suo Presidente, si è costituito con atto depositato il 6 agosto 2008, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto inammissibile, improcedibile e comunque infondato.

In vista dell’udienza pubblica il Senato ha poi depositato una memoria con argomenti a sostegno di tali richieste. Ivi, in particolare, si esclude che il provvedimento parlamentare abbia compiuto una valutazione di merito sulla «necessità» dell’utilizzazione, anche nei confronti del senatore Valentino, dei tabulati in esame, e si afferma che, invece, sono stati espressi legittimi rilievi sulla carenza, nella richiesta di autorizzazione, dei requisiti di legge, onde l’assunto che non vi sia stata alcuna invasione nella sfera di attribuzioni dei poteri del ricorrente.

            4. – Con ricorso in data 28 febbraio 2008, depositato il successivo 4 marzo, la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma, in persona del Procuratore e di due Sostituti, ha sollevato conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica, che, con la stessa delibera del 21 dicembre 2007, indicata al precedente punto 1, e pure in conformità alla proposta adottata all’unanimità dalla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, ha negato «l’autorizzazione ad acquisire i tabulati delle comunicazioni intercorse sulle utenze in uso al senatore Giuseppe Valentino nel periodo tra il 10 e il 20 luglio 2005».

La relativa richiesta – formulata dall’Ufficio ricorrente ai sensi dell’art. 4 della legge n. 140 del 2003 nell’ambito del medesimo procedimento parimenti indicato al precedente punto 1 (n. 32200/06 del registro delle notizie di reato) – è integralmente trascritta nel ricorso, dove risulta datata 15 novembre 2006 e poi trasmessa al Senato il successivo giorno 20, insieme a quella del Giudice per le indagini preliminari (sempre considerata al punto 1), a cura dello stesso Procuratore della Repubblica, come si dà atto nella relazione (pure integralmente trascritta nel ricorso) della suddetta Giunta, che ha dato corso ad un esame congiunto delle due richieste, in quanto attinenti ad atti probatori ritenuti da compiere in uno stesso procedimento, con identità di prospettive di indagine e concernenti uno stesso parlamentare.

            In detta richiesta si precisava che la notizia di reato, posta a base delle indagini, era stata attinta da dichiarazioni, rese da Giampiero Fiorani il 17 e 18 dicembre 2005 nel corso di interrogatori svoltisi davanti al Giudice per le indagini preliminari e al Pubblico ministero presso il Tribunale di Milano, secondo le quali egli sarebbe stato informato da Michele Sinibaldi e Stefano Ricucci circa intercettazioni telefoniche disposte a suo carico dall’autorità giudiziaria milanese; e ciò, nel corso di un colloquio intrattenuto con i due la mattina del 13 luglio di quello stesso anno presso l’hotel Baglioni di Roma. Nell’occasione, essi gli avrebbero anche riferito di avere ricevuto l’informazione dal senatore Giuseppe Valentino, al tempo sottosegretario al Ministero della giustizia. La circostanza di questo incontro (benché con riferimento alla diversa data del 20 luglio 2005) avrebbe trovato, poi, conferma nei risultati di intercettazioni telefoniche, disposte dalla magistratura milanese nei confronti del Ricucci, delle quali erano stati acquisiti in copia i cosiddetti “brogliacci”.

            Su tale notizia di reato, la ricorrente aveva svolto indagini e, in particolare, aveva acquisito i tabulati delle conversazioni telefoniche relative all’utenza mobile del Sinibaldi per il periodo individuato dal Fiorani, dalle quali erano emersi quattordici contatti (nove in entrata e cinque in uscita) con quella in uso al senatore Valentino.

Alla stregua di queste emergenze investigative e al fine di acquisire ulteriori elementi di riscontro all’ipotesi di indagine, nonché di individuare la fonte originaria della notizia, la Procura ricorrente aveva ritenuto «assolutamente necessario acquisire i tabulati di tutte le utenze fisse e mobili in uso al senatore Giuseppe Valentino nel periodo compreso tra il 10 e il 20 luglio 2005»; di qui, la relativa, conforme richiesta di autorizzazione rivolta al Senato.

            Nel motivare la proposta di diniego dell’autorizzazione, poi recepita dall’Assemblea, la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari aveva osservato come la Procura della Repubblica richiedente – a differenza del Giudice per le indagini preliminari nella richiesta parallela – avesse correttamente individuato nella «necessità» di acquisire i tabulati telefonici il presupposto su cui deve fondarsi la richiesta di cui alla disposizione combinata degli artt. 4 e 5 della legge n. 140 del 2003. Tale «necessità» sarebbe stata, tuttavia, enunciata senza spiegarne adeguatamente le ragioni, essendosi la richiedente limitata ad affermare l’utilità dell’acquisizione dei tabulati al fine di individuare «non meglio specificati elementi di riscontro» e, più in particolare, «di identificare l’eventuale fonte originaria della notizia». Negli atti trasmessi a corredo della richiesta, peraltro, non vi sarebbe stato «nulla che consent[isse] di comprendere sulla base di quali elementi il Pubblico ministero abbia formulato la supposizione che il senatore Valentino sia stato informato telefonicamente dell’esistenza di un’attività di intercettazione a carico del Fiorani, o abbia informato telefonicamente il Sinibaldi, e che in ogni caso dimostr[asse] la sua decisività ai fini della eventuale res iudicanda».

            La Giunta aveva rimarcato, per altro verso, come l’acquisizione di tabulati telefonici, incidendo in modo penetrante sulla sfera di riservatezza del parlamentare, implichi rilevanti rischi «di interferenza con aspetti e circostanze inerenti all’esercizio della funzione parlamentare». A fronte di ciò, la relativa richiesta di autorizzazione – «per evidenti ragioni di tutela della libertà di svolgimento del mandato parlamentare» – potrebbe essere accolta «solo se la necessità della stessa ai fini della ricostruzione dell’ipotesi accusatoria non solo corrisponde ad un’esigenza attuale e non meramente potenziale […] ma emerge in modo palese e stringente dalle prospettazioni dell’Autorità giudiziaria che, coerentemente con quanto imposto dalle esigenze di leale collaborazione fra i poteri dello Stato, deve dar conto di aver esperito le soluzioni alternative ragionevolmente ipotizzabili rispetto alla formulazione di tale richiesta ovvero della presumibile impraticabilità delle medesime».

L’Ufficio ricorrente assume che, con la deliberazione impugnata, il Senato avrebbe esorbitato dai limiti delle proprie attribuzioni, delineate dall’art. 68 Cost. e dalla relativa legge di attuazione n. 140 del 2003, invadendo la sfera di attribuzioni riservata dall’art. 112 Cost. all’autorità giudiziaria e introducendo, in pari tempo, «per la salvaguardia della riservatezza dei parlamentari, una tutela speciale e ulteriore a quella assicurata dalla legge agli altri consociati, in violazione del principio di eguaglianza dei cittadini sancito dall’art. 3 della Costituzione» ed in contrasto con quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 390 del 2007.

Alla luce della sentenza ora citata, difatti, l’ambito del sindacato della Camera di appartenenza del parlamentare interessato alla richiesta sarebbe limitato alla finalità di proteggere la funzione parlamentare da iniziative persecutorie, o comunque estranee alle effettive esigenze della giurisdizione; mentre sarebbero riservate all’autorità giudiziaria le valutazioni in merito all’utilità, rilevanza e necessità della prova oggetto della richiesta, così come l’interpretazione delle norme processuali, ivi comprese quelle contenute nella legge n. 140 del 2003.

La richiesta dovrebbe dimostrare che «occorre» compiere l’atto investigativo, offrendo al Parlamento «i dati per il controllo della sua corrispondenza ad una obbiettiva esigenza investigativa, della sua interna coerenza e della sua congruenza rispetto agli atti del procedimento penale in corso». Viceversa, nella specie, il Senato avrebbe «fatto riferimento a parametri e requisiti diversi»: da un lato, non già «la necessità dell’atto investigativo, oggetto della richiesta, nel quadro dell’ipotesi accusatoria, ma la sua “decisività” ai fini della conferma o meno della ricostruzione accusatoria»; dall’altro, «una sorta di assoluta indispensabilità», apprezzabile nella «assenza di ogni altra alternativa investigativa», riservandosi, poi – e per giunta – «il potere di effettuare di volta in volta un bilanciamento in concreto degli interessi in gioco, sostituendo le proprie particolari valutazioni alla valutazione tipizzata ed astratta compiuta dal legislatore» con gli artt. 4 e 5 della legge n. 140 del 2003.

            In definitiva, alla Camera di appartenenza del parlamentare sarebbe riconosciuto solo «il potere di vagliare la necessità dell’atto investigativo, nonché la congruità e la pertinenza della richiesta», vale a dire, secondo la ricorrente, soltanto «i dati che attestano l’assenza di ogni intento strumentale e persecutorio della richiesta», nella specie resa evidente dalla doverosità delle indagini a carico del parlamentare, scaturite da dichiarazioni accusatorie rese ad altra autorità giudiziaria da un soggetto indagato. Per altro verso, l’acquisizione dei tabulati risulterebbe comunque l’unico strumento investigativo concretamente esperibile al fine di individuare l’eventuale fonte «interna alle indagini» della notizia illecitamente comunicata, dovendosi altresì considerare che «un atto di indagine può rivelarsi necessario in una determinata fase delle investigazioni anche perché altri percorsi investigativi in astratto possibili richiedono tempi lunghi, incompatibili con i termini delle indagini preliminari o con il termine di prescrizione del reato o appaiono comunque di esito assai più incerto dell’atto richiesto».

Sarebbe, dunque, palese nel caso in esame l’esercizio da parte del Senato di un potere non a esso spettante, ma all’Autorità giudiziaria, onde si chiede, di seguito al riconoscimento di ciò, l’annullamento della deliberazione impugnata.

            5. – Il conflitto, così sollevato, è stato dichiarato ammissibile da questa Corte, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, con ordinanza n. 276 del 2008.

            A seguito di essa la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ha notificato il ricorso e l’ordinanza al Senato della Repubblica il 17 luglio 2008 e depositato tali atti, con la prova dell’avvenuta notificazione, il 23 luglio successivo.

            6. – Il Senato della Repubblica, in persona del suo Presidente, si è costituito con atto depositato il 6 agosto 2008, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto inammissibile, improcedibile e comunque infondato.

In vista dell’udienza pubblica il Senato ha poi depositato una memoria con argomenti a sostegno di tali richieste.

In particolare, si rileva come, ad escludere che il potere di autorizzazione parlamentare sia riducibile ad un mero adempimento automatico e formalistico, ovvero relegato ad ostacolare situazioni del tutto residuali di conclamata finalità persecutoria o “strumentale”, esso debba, piuttosto, essere configurato come un controllo sulla motivazione della richiesta dell’autorità giudiziaria, supportata dagli «elementi» idonei a giustificarla e renderla accoglibile alla stregua dei requisiti di legittimità dell’atto stesso e delle esigenze di tutela della libertà e dell’indipendenza della funzione parlamentare. Alla stregua di ciò, si sottolinea che nella specie il diniego opposto dal Senato, lungi dall’esorbitare dalle attribuzioni sue proprie, ha avuto riguardo essenzialmente ad una carenza di motivazione circa la necessità delle acquisizioni documentali richieste, tanto se considerata in sé, quanto in rapporto a possibili attività alternative aventi minore tasso di invasività e, dunque, di incidenza sui connotati di quella funzione.

                                                 Considerato in diritto

1. – Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma svolge indagini preliminari nei confronti di Michele Sinibaldi e del senatore Giuseppe Valentino per una ipotesi di favoreggiamento personale di Giampiero Fiorani, che essi avrebbero aiutato a eludere le investigazioni condotte nei suoi confronti dall’Autorità giudiziaria di Milano, informandolo, attraverso Stefano Ricucci, nei giorni tra il 10 e il 20 luglio 2005, che era sottoposto a intercettazioni telefoniche.

Nel corso di tali indagini, essendo stati acquisiti tabulati di conversazioni telefoniche compiute tramite una utenza mobile del Sinibaldi ed essendo emersi da essi alcuni contatti con altra utenza mobile in uso al senatore Valentino, il Pubblico ministero ha promosso la procedura prevista dall’art. 6 della legge 20 giugno 2003, n. 140 per ottenere l’autorizzazione ad utilizzare i tabulati stessi anche nei confronti del parlamentare. A tale fine, ha proposto istanza al Giudice per le indagini preliminari, che, dichiarata la necessità dell’utilizzazione, ha richiesto al Senato la relativa autorizzazione.

Contemporaneamente il Procuratore della Repubblica ha ritenuto che occorresse anche acquisire, relativamente a quello stesso periodo (10-20 luglio 2005), i tabulati di tutte le utenze telefoniche in uso al senatore Valentino e, ai sensi degli artt. 4 e 5 della citata legge n. 140 del 2003, ha chiesto, a sua volta e direttamente, la relativa autorizzazione parlamentare.

Le due richieste – del Giudice per le indagini preliminari e del Procuratore della Repubblica – sono state esaminate congiuntamente dal Senato, che, con deliberazione del 21 dicembre 2007, ha negato entrambe le autorizzazioni, in conformità alla proposta, adottata all’unanimità, dalla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari.

Contro questa deliberazione hanno sollevato distinti conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, per le parti di rispettiva competenza, le Autorità giudiziarie richiedenti, deducendo che il Senato avrebbe esorbitato dai limiti delle proprie attribuzioni, delineate dall’art. 68 della Costituzione e dagli artt. 4, 5 e 6 della legge di attuazione n. 140 del 2003, mediante valutazioni sul merito degli atti di indagine indicati e alla stregua di criteri difformi da quelli risultanti da dette norme. In tal modo, il Senato avrebbe invaso la sfera di attribuzioni riservata dalla Costituzione all’autorità giudiziaria (rispettivamente, artt. 101, 104 e 112 Cost.), introducendo, altresì – secondo la Procura della Repubblica di Roma – una tutela della riservatezza dei parlamentari ulteriore rispetto a quella assicurata dalla legge agli altri consociati, in violazione dell’art. 3 Cost.

I ricorrenti hanno quindi richiesto, previo riconoscimento di ciò, l’annullamento della deliberazione stessa.

Si oppone a queste richieste il Senato, costituitosi in giudizio, rilevando che la propria deliberazione non presenta i vizi denunciati ed è conforme ai propri poteri.

2. – In ragione della loro evidente connessione, i giudizi relativi ai due conflitti vanno riuniti per essere definiti con unica decisione.

3. – In via preliminare, va ribadita l’ammissibilità dei conflitti, sussistendone i presupposti oggettivi e soggettivi, secondo quanto già ritenuto da questa Corte con le ordinanze n. 275 e n. 276 del 2008.

4. – Nel merito, i ricorsi non sono fondati.

È opportuno, innanzi tutto, considerare che l’avere il legislatore costituzionale (art. 68, secondo e terzo comma, Cost., come sostituito dalla legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3) – in luogo dell’originaria autorizzazione a procedere nei confronti dei membri del Parlamento – individuato soltanto alcune specie di atti del procedimento penale per compiere i quali verso un parlamentare è prevista l’autorizzazione della Camera di appartenenza (cosiddetta autorizzazione ad acta), rende palese che non già e non più l’intero procedimento, ma solo tali atti sono considerati idonei a incidere sulla libertà e l’indipendenza della funzione parlamentare, e che queste sono suscettibili di sacrificio nei limiti in cui il compimento in concreto di taluno di essi – in relazione alla sua attitudine tipica – corrisponda alle specifiche esigenze procedimentali e, in particolare, investigative.

Al riguardo, la legge n. 140 del 2003 significativamente prescrive che tanto il compimento – nei confronti diretti del parlamentare – dell’atto da autorizzare preventivamente (artt. 4 e 5), quanto l’autorizzazione all’utilizzazione nei confronti del parlamentare stesso di un atto già compiuto nei confronti di altro soggetto (art. 6), devono essere assistiti da un criterio di «necessità» (in tale senso dovendosi intendere anche l’espressione «quando occorre», recata dal comma 1 dell’art. 4).

La valutazione circa la sussistenza, in concreto, di tale «necessità» spetta indubbiamente all’autorità giudiziaria richiedente, la quale peraltro deve, essa per prima, commisurare le proprie scelte anche all’esigenza del sacrificio minimo indispensabile dei valori di libertà e indipendenza della funzione parlamentare. Detta autorità è tenuta, quindi, a determinare in modo specifico i connotati del provvedimento e a dare adeguato conto delle relative ragioni, con motivazione non implausibile, nella richiesta di autorizzazione ad eseguirlo, così da porre la Camera competente in condizione di apprezzarne compiutamente i requisiti di legalità costituzionale.

Ai fini ora detti, un riguardo particolare è da riservare alla natura dell’atto da compiere e alla sua attitudine a compromettere quei valori. Nel caso in esame si tratta, da un lato, dell’utilizzazione, nei confronti di un parlamentare, di tabulati già acquisiti e relativi ad una utenza di un diverso indagato, e, dall’altro, dell’acquisizione di tabulati di conversazioni telefoniche relativi ad apparecchiature in uso all’indagato parlamentare: attività investigativa la cui notevole capacità intrusiva è ormai generalmente riconosciuta, e che deve soggiacere alle garanzie richieste dall’art. 15 Cost. in rapporto alle limitazioni della libertà e segretezza di ogni forma di comunicazione (sulla riferibilità di tali garanzie anche ai dati esteriori relativi alle comunicazioni telefoniche, offerti dai tabulati, sentenze n. 372 del 2006, n. 281 del 1998 e n. 81 del 1993).

È notorio, infatti, che i tabulati consentono di apprendere e individuare non solo tutti i contatti con altre utenze e la loro collocazione temporale, ma – se si tratta di apparecchi mobili – anche il cosiddetto “tracciamento”, vale a dire le localizzazioni e gli spostamenti dei soggetti detentori dell’apparecchio. Il che, in caso di utenze nella disponibilità di un parlamentare, può aprire squarci di conoscenza sui suoi rapporti, specialmente istituzionali, di ampiezza ben maggiore rispetto alle esigenze di una specifica indagine e riguardanti altri soggetti (in specie, altri parlamentari) per i quali opera e deve operare la medesima tutela dell’indipendenza e della libertà della funzione.

La delimitazione dei poteri, spettanti nella procedura di autorizzazione, all’autorità giudiziaria procedente e all’organo parlamentare, si coglie nelle disposizioni dell’art. 5 e dell’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003. Esse stabiliscono il dovere della prima di indicare nella richiesta gli «elementi» su cui essa «si fonda», con ciò evocando, da un lato, le specifiche emergenze probatorie fino a quel momento disponibili e, dall’altro, la loro attitudine a fare sorgere la «necessità» di quanto si chiede di autorizzare. A fronte di ciò – e per converso – la Camera deve poter rilevare, dall’esame della richiesta (e degli eventuali allegati), che sussistono sia il requisito, per così dire, “negativo” dell’assenza di ogni intento persecutorio o strumentale della richiesta, sia quello, per così dire, “positivo” della affermata «necessità» dell’atto, motivata in termini di non implausibilità.

5. – Ai principi e alle regole sin qui enunciati non corrisponde la richiesta del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma.

Benché tale richiesta non sia agli atti, il suo contenuto è stato riportato nella proposta di diniego formulata dalla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, in parte trascritta nello stesso ricorso e comunque sul punto non contestata dal ricorrente. Si rileva che in detta richiesta neppure è affermata la «necessità» di utilizzare anche nei confronti del parlamentare i tabulati già acquisiti nei confronti di altro indagato e relativi ad una utenza di costui, ma semplicemente la «pertinenza» al procedimento di tale ulteriore utilizzazione. Anzi, il giudice richiedente assume che proprio in tale senso, avuto riguardo alla natura dei tabulati,  si sarebbe dovuto intendere il giudizio da esprimere a sostegno della richiesta stessa.

Il Senato con la deliberazione di diniego, recependo i rilievi della Giunta, ha ritenuto inconferente tale diverso parametro, aggiungendo che comunque, alla stregua degli elementi acquisiti, anche la «necessità» si sarebbe dovuta escludere.

Nel ricorso per conflitto si assume che, in questo modo, l’organo parlamentare avrebbe invaso le attribuzioni del giudice penale, formulando un giudizio su quella «necessità» riservato al giudice.

Già in linea di fatto l’assunto non corrisponde alla realtà. Il Senato ha messo in evidenza che il giudice, a fondamento della richiesta, non aveva posto un giudizio di «necessità» della utilizzazione, così disattendendo il precetto normativo e, perciò, ha negato l’autorizzazione. Il che non esorbita dalle attribuzioni, ma corrisponde ai poteri del Senato stesso di vagliare i presupposti di legittimità di quanto richiesto. Superfluo, quindi, resta l’ulteriore assunto, secondo cui in ogni caso gli elementi di prova disponibili avrebbero logicamente condotto ad un giudizio negativo sulla «necessità». Ciò che conta è che questo giudizio è mancato. E spettava, quindi, al Senato rilevarlo.

Né appare corretto ritenere (come assume il ricorrente, in parte contraddittoriamente, quando addebita al Senato di avere formulato esso un giudizio di necessità) che, con riguardo alla natura dei tabulati – i quali documentano dati, per così dire, estrinseci alle conversazioni e non anche il loro contenuto – sarebbe impossibile una valutazione aprioristica in termini di necessità dell’acquisizione o dell’utilizzazione. La valutazione di necessità, in genere, è sempre aprioristica, rispetto ad un mezzo di prova (salva, poi, la conferma attraverso il concreto risultato probatorio), ma è pur sempre formulabile, ovviamente in relazione alla specifica attitudine probatoria dell’atto: in particolare, in tema di tabulati, alle utenze venute a contatto, alla qualità in entrata o uscita della chiamata, ai dati temporali (compresa la durata) e, se si tratta di utenze mobili, alla localizzazione e agli spostamenti degli interlocutori. Neppure, dunque, per questa via sarebbe stato possibile sottrarsi al giudizio di «necessità».

6. – Viceversa, quanto al ricorso per conflitto proposto dalla Procura della Repubblica di Roma, in esso si riconosce che fosse doveroso esprimere un giudizio di necessità degli atti per il cui compimento era stata presentata la richiesta di autorizzazione e, a considerare questa, si nota che, in effetti, il richiedente si era espresso in termini neppure di semplice necessità, ma addirittura di «necessità assoluta».

La Procura ricorrente si duole che, nonostante ciò, il Senato abbia negato l’autorizzazione e censura la relativa delibera per averlo fatto superando i limiti delle attribuzioni proprie dell’Assemblea parlamentare ed entrando nel merito delle scelte riservate al titolare delle indagini: da un lato, pretendendo connotati dell’atto investigativo difformi da quelli legali (non la necessità di esso, ma la sua decisività, nonché una sorta di indispensabilità in rapporto ad altri strumenti investigativi sperimentabili in alternativa e non sperimentati); dall’altro, riservandosi una sorta di potere di effettuare un bilanciamento degli interessi in gioco.

In realtà, dalla lettura della richiesta di autorizzazione nel confronto con quella della delibera, si apprezza che la ragione essenziale e determinante del diniego è l’assenza, nella prima, di una motivazione adeguata, in rapporto ai contenuti dell’atto che si intendeva compiere e agli elementi probatori acquisiti e rappresentati a sostegno, circa la «necessità» dell’atto stesso, nei sensi indicati più sopra (punto 3). E non vi è dubbio che la mancanza o anche solo la carenza di motivazione sul punto può costituire legittimo fondamento per il diniego dell’autorizzazione da parte della Camera competente, senza alcuna esorbitanza dai propri poteri.

Certamente impropria sarebbe una pretesa di limitare l’autorizzazione solo alle prove cui sia attribuibile il carattere della «decisività», al cui concetto non può essere ridotto e circoscritto quello di «necessità». Ma nella delibera parlamentare proprio a questa si fa, in definitiva, riferimento quando si sottolinea il vizio di motivazione.

Vi si afferma, infatti, come «la necessità di acquisire i predetti tabulati venga enunciata senza dar conto adeguatamente delle ragioni della stessa, limitandosi ad affermare l’utilità al fine di individuare non meglio specificati elementi di riscontro e, in particolare, al fine di identificare l’eventuale fonte originaria della notizia». E si aggiunge che: «negli atti trasmessi non vi è nulla che consenta di comprendere sulla base di quali elementi il Pubblico ministero abbia formulato la supposizione che il senatore Valentino sia stato informato telefonicamente dell’esistenza di un’attività di intercettazione a carico del Fiorani o abbia informato telefonicamente il Sinibaldi».

In linea di fatto questi assunti non trovano censura nel ricorso, mentre, dal punto di vista logico, è ovvio che l’adeguatezza della motivazione e delle allegazioni degli elementi probatori, anche e soprattutto in termini di specificità, si misura necessariamente sulla qualità e sull’estensione degli atti potenzialmente lesivi dei valori costituzionali da sacrificare e sulla congruità del sacrificio (in rapporto agli obbiettivi prefigurati e alle congetture di successo), da rendere palesi e, perciò, apprezzabili dall’organo parlamentare.

In questa prospettiva, non può sfuggire che la richiesta della Procura aveva formulato l’assunto in termini, appunto, di «necessità assoluta» con riguardo ad una estensione assai ampia degli atti da compiere, limitati sì, ma solo con riguardo al periodo “interessato”, mentre erano diretti genericamente e onnicomprensivamente «ai tabulati delle comunicazioni telefoniche intercorse su tutte le utenze fisse e mobili in uso al senatore Valentino», senza alcuna previa indicazione specificativa – ad esempio – tra quelle private e quelle professionali o di appartenenza istituzionale, tra quelle in uso esclusivo o in uso promiscuo; il tutto, con una evidente idoneità intrusiva e senza alcuna particolare spiegazione.

La richiesta, poi, non propone all’organo parlamentare alcun elemento e argomento per apprezzare la “continenza” dell’atto nel rapporto tra esigenze di investigazione e esigenze – appunto – di “contenere” nei limiti della «necessità (assoluta)» l’incidenza sui valori costituzionali tutelati. Si preoccupa, invece, di censurare una esorbitanza nel momento in cui il Senato si sarebbe – esso – «appropriato di un potere di bilanciamento degli interessi in gioco».

È chiaro, al riguardo, che il bilanciamento deve essere operato – nella prospettiva della predicata «necessità» – dall’autorità procedente e richiedente, la quale, tuttavia, è tenuta a darne conto nella motivazione. Il che nella specie non è avvenuto. Di questo, al di là delle espressioni formali, ha fatto sostanziale e corretta censura l’organo parlamentare, allorché, rilevata la forte idoneità intrusiva dei tabulati, ha sottolineato che occorre «un adeguato e specifico corredo motivazionale che possa consentire al destinatario della richiesta di valutare e contemperare gli interessi in gioco»; laddove più correttamente deve intendersi «di valutare l’avvenuto contemperamento [da parte dell’autorità giudiziaria procedente] degli interessi in gioco». Ciò che conta è, dunque, che questo contemperamento avvenga e che le ragioni siano palesate.

Analogo rilievo va fatto con riguardo al mancato ricorso o – meglio – alla mancata rappresentazione delle ragioni dell’omesso ricorso ad atti di investigazione alternativi, essendo di tutta evidenza che la concreta indisponibilità o impraticabilità o anche solo difficoltà di indagini alternative tanto più giovano a giustificare l’atto nei confronti del parlamentare in termini di «necessità».

Come correttamente osserva la Procura ricorrente, rivendicando a sé le valutazioni al riguardo, «un atto di indagine può rivelarsi necessario in una determinata fase delle investigazioni anche perché altri percorsi investigativi in astratto possibili richiedono tempi lunghi, incompatibili con i termini delle indagini preliminari o con il termine di prescrizione del reato o appaiono comunque di esito assai più incerto dell’atto richiesto», così da rendere l’acquisizione dei tabulati del parlamentare l’unico strumento investigativo esperibile. Dal punto di vista logico e metodologico il rilievo, così proposto nel ricorso, appare ineccepibile, ma di esso non è stata fatta alcuna applicazione nel caso concreto, quantomeno nel senso che nulla è stato palesato al riguardo nella motivazione della richiesta per “contestualizzare” – in questa prospettiva – la «assoluta necessità» dell’atto da autorizzare. Ed è proprio in questo senso che va letto, trovando fondamento e legittimazione, il rilievo del Senato, secondo cui la richiesta può essere accolta «solo se la [sua] necessità emerge in modo palese e stringente dalle prospettazioni dell’Autorità giudiziaria che, coerentemente con quanto imposto dalle esigenze di leale collaborazione tra i poteri dello Stato, deve dare conto di avere esperito le soluzioni alternative ragionevolmente ipotizzabili … ovvero della presumibile impraticabilità delle medesime».

Di conseguenza risulta infondato anche il ricorso della Procura della Repubblica di Roma.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara:

a) che spettava al Senato della Repubblica negare, con deliberazione del 21 dicembre 2007, l’autorizzazione, richiesta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, ad utilizzare nei confronti del senatore Giuseppe Valentino i tabulati di conversazioni telefoniche relativi ad una utenza mobile in uso a Michele Sinibaldi, acquisiti nell’ambito del procedimento penale n. 32200/06 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma;

b) che spettava al Senato della Repubblica negare, con la medesima deliberazione del 21 dicembre 2007, l’autorizzazione, richiesta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma nell’ambito del medesimo procedimento penale n. 32200/06, ad acquisire i tabulati di tutte le utenze telefoniche fisse e mobili in uso al senatore Giuseppe Valentino per il periodo tra il 10 e il 20 luglio 2005.

Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 maggio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Giuseppe FRIGO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 28 maggio 2010.