Sentenza n. 69 del 2010

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SENTENZA N. 69

ANNO 2010

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Francesco                                           AMIRANTE                                        Presidente

-           Ugo                                                    DE SIERVO                                     Giudice

-           Paolo                                                  MADDALENA                                            ”

-           Alfio                                                  FINOCCHIARO                                          ”

-           Alfonso                                              QUARANTA                                                ”

-           Franco                                                GALLO                                                         ”

-           Luigi                                                  MAZZELLA                                                 ”

-           Gaetano                                             SILVESTRI                                                  ”

-           Sabino                                                CASSESE                                                     ”

-           Maria Rita                                          SAULLE                                                       ”

-           Giuseppe                                            TESAURO                                                    ”

-           Paolo Maria                                        NAPOLITANO                                            ”

-           Giuseppe                                            FRIGO                                                          ”

-           Alessandro                                         CRISCUOLO                                               ”

-           Paolo                                                  GROSSI                                                        ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 12 e dell’articolo 12, comma 4, in combinato disposto con l’art. 2, comma 2, lettera e), della legge della Regione Veneto 30 novembre 2007, n. 32 (Regolamentazione dell’attività dei centri di telefonia in sede fissa – phone center), promossi dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto con due ordinanze del 23 febbraio 2009 iscritte ai nn. 106 e 132 del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 15 e 19, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visti gli atti di costituzione della Regione Veneto; 

udito nell’udienza pubblica del 9 febbraio 2010 e nella camera di consiglio del 10 febbraio 2010 il Giudice relatore Ugo De Siervo; 

uditi gli avvocati Ezio Zanon e Andrea Manzi per la Regione Veneto.

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza iscritta al r.o. n. 106 del 2009, il Tribunale amministrativo regionale del Veneto ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41, 97 e 117 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, nonché del combinato disposto di cui agli articoli 12, comma 4, e 2, comma 2, lettera e), della legge della Regione Veneto 30 novembre 2007, n. 32 (Regolamentazione dell’attività dei centri di telefonia in sede fissa – phone center).

1.1. – Premette il rimettente che, ai sensi del censurato art. 12, recante la disciplina transitoria, «i titolari dei centri di telefonia in sede fissa che già esercitano attività di cessione al pubblico di servizi telefonici alla data di entrata in vigore della presente legge sono tenuti a: a) richiedere l’autorizzazione di cui all’articolo 4 al comune competente per territorio entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge; b) porsi in regola con le prescrizioni previste dall’articolo 4, comma 3 e dall’articolo 9 entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, salvo proroga concessa dal comune, fino ad un massimo di dodici mesi, in caso di comprovata necessità e su istanza motivata» (comma 1).

Ai sensi del successivo comma 2, il Comune dispone «la chiusura immediata dei centri di telefonia in sede fissa di cui al comma 1 quando il titolare o il gestore o gli altri soggetti indicati dall’articolo 3, comma 3, non risultano in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 3, comma 1».

Il comma 3, poi, prescrive al competente Comune di effettuare la ricognizione dei centri di telefonia in sede fissa di cui al comma 1 e di disporne la chiusura «in caso di decorrenza del termine di cui al comma 1, lettera b), senza che il titolare abbia provveduto a porsi in regola con le prescrizioni previste dall’articolo 4, comma 3 e dall’articolo 9».

Infine, il comma 4 stabilisce che «nei centri di telefonia in sede fissa di cui al comma 1 cessa, dalla data di entrata in vigore della presente legge, ogni attività diversa da quella di cui all’articolo 2, comma 2, lettere b) ed e)», cioè ogni attività non accessoria a quella di telefonia.

Precisa al riguardo il rimettente che l’art. 4 della legge regionale in oggetto prevede e disciplina l’autorizzazione comunale allo svolgimento dell’attività qui considerata, mentre il successivo art. 9 contempla i requisiti igienico-sanitari dei locali.

Inoltre, l’art. 2, comma 2, lettera e), qualifica come «attività commerciale accessoria» «ogni attività riferita a servizi e prodotti strettamente connessi alla cessione al pubblico di servizi di telefonia».

2. – Riferisce il Tribunale di essere chiamato a giudicare dell’impugnazione, da parte della titolare di un centro di telefonia in sede fissa (phone center), del provvedimento del Comune di Padova del 25 luglio 2008, di rigetto della domanda di autorizzazione presentata dalla stessa ricorrente. Con l’impugnato provvedimento, l’amministrazione comunale ha disposto la contestuale chiusura dell’attività, «in quanto all’interno dei locali destinati alla attività di telefonia viene esercitata l’attività di trasferimento internazionale di denaro (transfer money) – agenzia finanziaria, non considerata attività commerciale accessoria alla attività di telefonia e pertanto in contrasto con quanto previsto dall’art. 2, comma 3, e 12, comma 4 della legge regionale n. 32/2007».

Riferisce il TAR rimettente di aver accolto l’istanza cautelare presentata dalla ricorrente sospendendo il provvedimento impugnato.

Espone il giudice a quo che la ricorrente esercita l’attività di telefonia in sede fissa in seguito alla presentazione, in data 27 marzo 2006, della dichiarazione di inizio attività al Ministero delle comunicazioni, nonché sulla base della licenza della Questura di Padova, come da domanda presentata in data 31 marzo 2006.

La ricorrente ha dichiarato di avere presentato al Comune di Padova, in data 15 febbraio 2008, la domanda di autorizzazione prescritta dall’art. 12 in oggetto. Nella domanda la ricorrente ha precisato che «il money transfer è stato chiuso».

L’adìto Comune, con nota del 16 aprile 2008, ha comunicato l’avvio del procedimento di diniego e di chiusura dell’attività, all’esito di un sopralluogo nel corso del quale sarebbe stato accertato il perdurante svolgimento, congiuntamente al servizio di telefonia, dell’attività di trasferimento internazionale di denaro.

3. – In punto di rilevanza, sostiene il rimettente che l’accoglimento della presente questione di legittimità costituzionale «sarebbe in grado di per sé di soddisfare in modo pieno l’interesse perseguito dalla ricorrente giacché, per effetto della dichiarata incostituzionalità del citato art. 12, verrebbe meno la necessità di uno specifico e autonomo provvedimento autorizzatorio comunale per consentire l’esercizio della attività di phone center».

Il TAR è, infine, dell’avviso che l’accoglimento della domanda cautelare non tolga rilevanza alla questione di legittimità costituzionale, dato che la sospensiva è stata accordata in via temporanea fino alla ripresa del giudizio cautelare successivamente alla pronuncia della Corte costituzionale (al riguardo sono citate le sentenze n. 183 del 1997, n. 30 del 1995, n. 451 del 1993 e n. 444 del 1990).

4. – In punto di non manifesta infondatezza, per il rimettente l’attività svolta dai centri di telefonia in sede fissa è qualificabile, alla luce di quanto dispone il decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), come fornitura al pubblico di servizi di comunicazione elettronica: ciò alla luce della sentenza n. 350 del 2008, con la quale questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6 (Norme per l’insediamento e la gestione di centri di telefonia in sede fissa), e della sentenza n. 25 del 2009, con la quale questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge della Regione Veneto n. 32 del 2007.

Inoltre, l’attività di trasferimento di denaro all’estero (money transfer) non può essere fatta rientrare nell’ambito della «attività commerciale accessoria (...) riferita a servizi e prodotti strettamente connessi alla cessione al pubblico di servizi di telefonia». Il servizio di trasferimento internazionale di denaro, infatti, appare analogo al servizio offerto dal sistema interbancario. Esso, inoltre, non implica necessariamente l’utilizzo dei servizi telefonici o telematici del centro di telefonia in sede fissa.

4.1. – Tutto ciò premesso, il rimettente censura la disciplina transitoria di cui all’art. 12 della legge regionale n. 32 del 2007 per contrasto con l’art. 117 Cost., «in relazione al sistema di riparto delle competenze legislative Stato-Regione», nella parte in cui prescrive l’obbligo dell’autorizzazione comunale, nel rispetto dei requisiti di cui agli articoli 3, 4 e 9, anche per i titolari di centri di telefonia in sede fissa già attivi alla data di entrata in vigore della stessa legge regionale.

A questo proposito, il giudice a quo richiama la sentenza n. 350 del 2008, con la quale questa Corte ha statuito che confligge con le scelte operate dal legislatore statale in tema di liberalizzazione dei servizi di comunicazione elettronica e di semplificazione procedimentale l’introduzione, ad opera del legislatore regionale, di un vero e proprio autonomo procedimento autorizzatorio per lo svolgimento dell’attività dei centri di telefonia.

Quanto al caso di specie, al giudice a quo appare evidente che le statuizioni rese da questa Corte con la sentenza n. 350 del 2008 «si riflettono sulla disciplina – transitoria, ma non solo – introdotta dalla Regione Veneto con l’art. 12 della legge n. 32 del 2007». La previsione dell’obbligo di munirsi di autorizzazione comunale appare confliggere con l’art. 117 della Costituzione per le medesime ragioni che hanno indotto questa Corte a dichiarare l’incostituzionalità della disciplina legislativa posta dalla Regione Lombardia.

4.2. – Il rimettente censura, altresì, il combinato disposto di cui agli artt. 12, comma 4, e 2, comma 2, lettera e), della legge regionale qui scrutinata, in forza del quale è vietato, a decorrere dalla data di entrata in vigore della stessa legge regionale, lo svolgimento di attività commerciali non accessorie a quella di telefonia, tra le quali rientrerebbe quella di trasferimento di denaro all’estero.

La denunciata disciplina produrrebbe una discriminazione idonea a tradursi in una restrizione ingiustificata al principio costituzionale di libera iniziativa economica, in contrasto, quindi, con gli artt. 3 e 41 Cost. Per il giudice a quo, il legislatore veneto avrebbe introdotto un elemento di rigidità del sistema che si tradurrebbe in una «limitazione quantitativa dell’offerta economica di servizi, in danno dei gestori di phone center nei riguardi dei quali, diversamente da quanto avviene per altri operatori economici, è ingiustificatamente preclusa la possibilità di cumulare l’esercizio dell’attività di cessione al pubblico di servizi telefonici con lo svolgimento di un’altra attività economica – il trasferimento all’estero di denaro, appunto – pienamente compatibile e liberamente esercitatile dai titolari di attività non disomogenee (come rivendite di tabacchi, ricevitorie e internet point)».

Al riguardo, il rimettente richiama la segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato 24 gennaio 2008, n. AS 443 con la quale si rileva che «il divieto di svolgimento, nei centri di telefonia fissa, di servizi diversi dalla cessione al pubblico di servizi telefonici e dell’attività commerciale accessoria (...) rappresenta una ingiustificata limitazione quantitativa e qualitativa della offerta, in contrasto con le esigenze di salvaguardia della concorrenza e, peraltro, con l’art. 3, lettera c), del decreto legge n. 223 del 2006 che, in una prospettiva di liberalizzazione degli accessi al mercato, esclude l’applicazione di limitazioni quantitative all’assortimento merceologico offerto negli esercizi commerciali, fatta salva la distinzione tra settore alimentare e non alimentare».

Per l’autorità rimettente, il combinato disposto degli artt. 12, comma 4, e 2, comma 2, lettera e), della legge regionale n. 32 del 2007 violerebbe altresì gli articoli 3 e 97 Cost., sotto l’aspetto della irragionevolezza, connessa al carattere sostanzialmente retroattivo del divieto di cumulo tra le diverse attività economiche.

Rievocata la giurisprudenza costituzionale sulla retroattività delle leggi, il giudice a quo rileva che le aspettative dei titolari e dei gestori dei centri di telefonia in sede fissa già attivi di poter svolgere – e continuare a svolgere – anche altre attività, e non solo le attività accessorie alla telefonia, appaiono essere state irragionevolmente frustrate.

5. – La Regione Veneto, intervenuta nel presente giudizio di legittimità costituzionale con atto depositato il 4 maggio 2009, ritiene le prospettate questioni inammissibili e, comunque, infondate.

5.1. – Irrilevante si rivelerebbe, secondo la difesa regionale, la censura dei commi 1, 2 e 3 dell’art. 12, atteso che la chiusura del centro di telefonia in sede fissa risulta essere stata disposta per la violazione del divieto di esercitare attività di trasferimento internazionale di denaro.

Al riguardo, proprio in relazione ai suddetti commi 1, 2 e 3 risulterebbe carente la descrizione della fattispecie concreta.

5.2. – Nel merito, per la Regione interveniente l’asserita violazione del riparto delle attribuzioni legislative non sussisterebbe, avendo la legge regionale in parola disciplinato, nell’esercizio di una potestà legislativa residuale, gli aspetti commerciali dei centri di telefonia in sede fissa.

La prescritta autorizzazione, in aggiunta alla dichiarazione di inizio attività prevista dal Codice delle comunicazioni elettroniche, mira – secondo la difesa regionale – a verificare che i locali nei quali si svolge l’attività di telefonia siano idonei e rispettino le norme in materia edilizia, igienico-sanitaria e di sicurezza.

Quanto, poi, al divieto di esercitare, all’interno dei centri di telefonia in sede fissa, attività diverse da quelle accessorie, esso riposa sulla volontà di precludere lo svolgimento di attività commerciali diverse da quelle per le quali il gestore ha conseguito la prescritta autorizzazione. Per l’esplicazione di tali attività i gestori devono uniformarsi alla specifica disciplina di settore e devono conseguire l’apposito titolo abilitativo.

Peraltro – precisa la difesa regionale – lo svolgimento di attività non consentite non è punito con la chiusura del centro di telefonia, essendo al contrario comminata una sanzione pecuniaria. Nel caso di specie, dunque, il Comune di Padova, disponendo la cessazione dell’attività, avrebbe interpretato in maniera scorretta la disciplina legislativa in oggetto.

Infondata sarebbe, infine, la censura basata sulla pretesa violazione dell’art. 41 della Costituzione. Nel bilanciamento degli interessi contemplati da questa previsione costituzionale, risulterebbero preminenti la sicurezza, la libertà e la dignità umana «il cui rispetto può essere garantito unicamente mediante la verifica del rispetto dei requisiti necessari per svolgere ciascuna attività economica».

6. – Con ordinanza iscritta al r.o. n. 132 del 2009, il Tribunale amministrativo regionale del Veneto ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41, 97 e 117 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, nonché del combinato disposto di cui agli articoli 12, comma 4, e 2, comma 2, lettera e), della legge della Regione Veneto n. 32 del 2007.

6.1. – Espone il giudice a quo di essere stato chiamato a sindacare la legittimità di atti amministrativi del Comune di Conegliano e della Regione Veneto, impugnati da alcuni titolari di centri di telefonia in sede fissa.

Riferisce il rimettente che i ricorrenti nel giudizio principale sono titolari, da alcuni anni, di centri di telefonia in sede fissa. Essi svolgono, altresì, attività di trasferimento all’estero di denaro (money transfer), quali sub-mandatari di una importante società di servizi finanziari.

I ricorrenti, con il ricorso introduttivo, hanno chiesto l’annullamento dell’ordinanza del Sindaco di Conegliano 25 settembre 2007, n. 270, recante i «requisiti igienici, di pubblica sicurezza degli orari per l’attivazione di centri di telefonia in sede fissa (phone center)», nella parte in cui detta prescrizioni generali in materia, estese altresì alle attività già insediate, pena la sospensione dell’attività «per il periodo necessario al realizzo o al ripristino delle condizioni previste dai punti citati». È, altresì, impugnata la delibera della Giunta regionale 27 luglio 2006, n. 2346, recante le «linee guida regionali in materia di requisiti igienici per l’attivazione di centri di telefonia in sede fissa (phone center)». I ricorrenti chiedono, infine, la condanna del Comune di Conegliano al risarcimento del danno.

Con ricorso per motivi aggiunti, i ricorrenti hanno chiesto l’annullamento della successiva ordinanza del Sindaco di Conegliano 13 dicembre 2007, n. 357, con la quale – revocata l’ordinanza n. 270 – è stato ingiunto agli esercenti le attività di centri di telefonia in sede fissa presenti sul territorio comunale di uniformarsi alle sopravvenute disposizioni della legge regionale n. 32 del 2007.

7. – In punto di rilevanza, ritiene il rimettente che l’ordinanza n. 357 del 2007, nel disporre che i gestori di centri di telefonia in sede fissa si adeguino alle disposizioni contenute nella legge regionale n. 32 del 2007, e nello stabilire che nei suddetti centri di telefonia non sono ammesse attività commerciali non accessorie rispetto alla cessione al pubblico di servizi telefonici tra cui, in particolare, il servizio di trasferimento di denaro internazionale, appare idonea a produrre effetti gravemente lesivi degli interessi vantati dai ricorrenti.

Più precisamente, l’immediata lesività dell’atto impugnato è ascrivibile, innanzitutto, alla parte in cui esso prescrive l’obbligo di adeguamento a quanto previsto dagli articoli 4 e 9 della legge regionale in parola. L’effetto pregiudizievole è, poi, imputabile alla parte in cui, sia pure implicitamente, vieta di svolgere il servizio di trasferimento internazionale di denaro «poiché tutti i ricorrenti dichiarano di ricavare, dal servizio stesso, introiti significativi». Per il giudice a quo, la circostanza che il Comune non abbia, finora, obbligato i gestori alla dismissione del servizio di, trasferimento internazionale di denaro e che gli stessi non siano stati, fino a questo momento, sanzionati dal medesimo Comune per la violazione del divieto anzidetto, «non elide il carattere immediatamente e direttamente lesivo della prescrizione dell’ordinanza secondo la quale nei centri di telefonia un sede fissa non è ammessa l’attività di trasferimento internazionale di denaro, a fronte di un divieto ex lege che decorre dal 19 dicembre 2007, atteso che risulta evidente come i ricorrenti continuino a svolgere il servizio di trasferimento di denaro all’estero a titolo assolutamente precario».

Similmente – prosegue il rimettente – il fatto che l’adeguamento ai requisiti debba avvenire, ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera b), della legge regionale in questione, entro un anno dalla data della entrata in vigore della legge medesima, salvo proroga concessa dal Comune, non toglie all’ordinanza il suo carattere precettivo e vincolante per i destinatari dell’atto, e, quindi, la sua idoneità a pregiudicare gli interessati, tenuto conto della dichiarata impossibilità di rispettare i requisiti richiesti, giacché «le dimensioni dei locali a disposizione dei ricorrenti sono tali da non potersi pretendere la benché minima modifica rispetto alle dotazioni esistenti».

In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente espone le medesime argomentazioni sviluppate nell’ordinanza iscritta al r.o. n. 106 del 2009.

8. – La Regione Veneto, costituitasi nel presente giudizio di legittimità costituzionale con atto depositato il 1° giugno 2009, ritiene le prospettate questioni inammissibili e, comunque, infondate.

8.1. – La difesa regionale, in via preliminare, ritiene irrilevante la questione di costituzionalità relativa all’art. 12 della legge regionale n. 32 del 2007 nella parte in cui prescrive il conseguimento di un’apposita autorizzazione e nella parte in cui impone la conformazione ai nuovi requisiti.

Il Comune di Conegliano non avrebbe disposto la chiusura dei centri di telefonia non in regola, e non avrebbe imposto la dismissione del servizio di trasferimento internazionale di denaro. Come riconosciuto nella stessa ordinanza di rimessione, i ricorrenti nel giudizio principale continuano a svolgere regolarmente la loro attività, ivi compresa quella di trasferimento di denaro, senza alcun pregiudizio economico.

La censura sarebbe, poi, inammissibile anche per carente descrizione della fattispecie concreta.

8.2. – Nel merito, la difesa regionale espone le medesime argomentazioni sviluppate nell’atto di intervento nel giudizio di costituzionalità instaurato con l’ordinanza iscritta al r.o. n. 106 del 2009.

9. – In data 20 gennaio 2010, la Regione Veneto ha depositato fuori termine una memoria nel giudizio di legittimità costituzionale instaurato con l’ordinanza di cui al r.o. n. 132 del 2009, fissato per l’udienza pubblica del 9 febbraio 2010.

10. – Nella medesima data, la difesa regionale ha depositato una memoria di identico contenuto nel giudizio di costituzionalità instaurato con l’ordinanza di cui al r.o. 106 del 2009, fissato per la camera di consiglio del 10 febbraio 2010.

In tale atto, la interveniente, oltre a ribadire le eccezioni di inammissibilità già formulate, rileva come medio tempore sarebbe intervenuta la cessazione dell’attività imprenditoriale da parte della ricorrente e la cancellazione dal registro delle imprese della stessa a far data dal 12 maggio 2009. Ciò determinerebbe l’irrilevanza sopravvenuta delle questioni in oggetto.

10.1. – Nel merito la Regione, rilevato che le motivazioni poste dal rimettente a base delle censure di costituzionalità sono mutuate dalla sentenza n. 350 del 2008, critica in modo analitico le argomentazioni addotte nella citata pronuncia.

Per la difesa regionale, i centri di telefonia in sede di fissa non costituirebbero modalità di esplicazione del diritto di accesso ai mezzi di comunicazione elettronica. Sicché, il Codice delle comunicazioni, di attuazione della normativa comunitaria, non sarebbe ad essi applicabile.

In particolare, la direttiva 7 marzo 2002, n. 2002/21/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica – Direttiva quadro) individuerebbe i servizi consistenti esclusivamente o prevalentemente nella trasmissione di segnali su reti di comunicazioni elettroniche, e non ai servizi per accedere alla reti di comunicazione.

Nel Codice delle comunicazioni, l’accesso al terminale telefonico fornito dai centri di telefonia in sede fissa non rientrerebbe nella definizione di «servizio di comunicazione elettronica» data dall’art. 1 dello stesso Codice.

Tuttavia, «eccezionalmente», l’art. 25 del Codice richiede al gestore di un servizio di telefonia pubblica a pagamento lo stesso tipo di autorizzazione prevista per l’“operatore”, cioè per l’impresa autorizzata a fornire una rete o lo strumento di supporto ad essa. Ma questo sarebbe l’unico elemento che accomunerebbe le due figure.

Inoltre, la Regione contesta che dal citato art. 25 e dall’allegato 9 al Codice risultino elementi per ritenere che nell’autorizzazione unica ivi prevista siano assorbite anche le autorizzazioni necessarie per l’impiego dei locali in cui è svolta l’attività.

Più in generale, il suddetto Codice non abbraccerebbe, nell’ambito delle competenze legislative statali, ogni aspetto delle attività collegate alla disciplina delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica e rientrante nelle funzioni istituzionali delle Regioni e degli enti locali. Lo stesso art. 5 del Codice farebbe salve le competenze legislative e regolamentari delle Regioni e Province autonome.

In definitiva, per la interveniente sarebbe del tutto inappropriata l’affermazione, contenuta nella sentenza n. 350 del 2008, secondo cui la disciplina del Codice delle comunicazioni si estenderebbe ai trasferimento internazionale di denaro, con ciò venendo meno il presupposto normativo sul quale riposa la competenza legislativa esclusiva dello Stato.

10.2. – Quanto alle ragioni sottese alla disciplina sottoposta al vaglio di questa Corte, la difesa regionale osserva come con la denominazione di centri di telefonia in sede fissa si identifichino attività commerciali ove, accanto all’attività di telefonia pubblica, sono svolte ulteriori e molteplici attività. Con la citata locuzione s’intenderebbe, perciò, fare riferimento ad una «sorta atipica di pubblico esercizio coinvolgente vari tipi di attività», tra i quali quella di «connessione telefonica internazionale da posto fisso».

L’adozione della legge regionale n. 32 del 2007 sarebbe stata determinata dalla volontà di imporre l’adeguamento dei locali agli standard previsti per le attività commerciali. È stata, perciò, introdotta la necessità di un’autorizzazione subordinata al ricorrere di specifici presupposti, analogamente a quanto avviene per ogni altra tipologia di attività di commercio, al fine di «governare in sede amministrativa locale le forme di vita sociale occasionate dalla presenza di un servizio di interesse collettivo (…) in assenza di principi generali o criteri provenienti dal legislatore nazionale».

Quanto al divieto di esercitare, all’interno dei centri di telefonia in sede fissa, attività non accessoria a quella di telefonia, il legislatore regionale avrebbe inteso «evitare lo svolgimento di attività diverse da quella per il quale il gestore è stato autorizzato». Ciò in quanto l’autorizzazione all’apertura e all’esercizio di centri in questione non comprenderebbe l’autorizzazione all’esercizio di altre attività. Altrettanto varrebbe per l’attività di trasferimento internazionale di denaro per lo svolgimento della quale dovrebbe essere conseguita apposita autorizzazione.

Insussistente sarebbe, altresì, l’asserito contrasto delle disposizioni censurate con l’art 41 Cost. dal momento che, nel bilanciamento di interessi imposto da tale previsione, risulterebbero prevalenti la sicurezza, la libertà e dignità umana il cui rispetto potrebbe essere garantito solo mediante il controllo dei requisiti previsti per lo svolgimento di ciascuna attività economica.

Neppure vi sarebbe, inoltre, l’asserita violazione dell’art. 117 Cost. giacché il legislatore veneto avrebbe inteso disciplinare solo gli aspetti commerciali dei centri di telefonia in sede fissa.

In definitiva, la Regione Veneto rivendica non solo la propria competenza nella suddetta materia, ma anche «il ruolo istituzionale dell’ente Regione di concorrere, quale soggetto costituzionale, a perseguire nelle proprie materie gli obiettivi fondamentali di convivenza civile come delineati nei principi fondamentali della nostra Costituzione». I problemi sottesi all’introduzione della legge censurata non potrebbero essere risolti in base ad una logica di mero riparto delle competenze, assegnandone la esclusiva disciplina allo Stato. In tal modo si allontanerebbe la responsabilità del governo del territorio dai problemi locali con conseguente «accentuazione delle risposte in chiave di interventi di ordine e sicurezza pubblica anziché di preventiva organizzazione dei rapporti civili e amministrativi» attraverso l’esercizio dei compiti istituzionali degli enti locali.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale del Veneto, con le ordinanze iscritte al r.o. nn. 106 e 132 del 2009, adottate nel corso di altrettanti giudizi, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, nonché del combinato disposto di cui agli articoli 12, comma 4, e 2, comma 2, lettera e), della legge della Regione Veneto 30 novembre 2007, n. 32 (Regolamentazione dell’attività dei centri di telefonia in sede fissa – phone center), in riferimento agli artt. 3, 41, 97 e 117 della Costituzione.

2. – I giudizi a quibus sono stati instaurati su iniziativa di alcuni gestori di centri di telefonia in sede fissa, già attivi alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 32 del 2007, i quali hanno impugnato atti amministrativi fondati sulla censurata disciplina e destinati ad incidere, in senso ostativo, sullo svolgimento delle rispettive attività.

3. – Il rimettente censura, innanzitutto, l’art. 12 della legge regionale in oggetto, nella parte in cui prescrive l’obbligo di conseguire l’autorizzazione comunale, nel rispetto dei requisiti di cui agli articoli 3, 4 e 9 della stessa legge, anche per i titolari di centri di telefonia in sede fissa che già esercitano attività di cessione al pubblico di servizi telefonici alla data di entrata in vigore della stessa legge regionale. La censurata disposizione violerebbe l’art. 117 Cost., in relazione al riparto delle competenze di Stato e Regioni, essendo incompatibile con le scelte operate dal legislatore statale in tema di liberalizzazione dei servizi di comunicazione elettronica e di semplificazione procedimentale l’introduzione, ad opera del legislatore regionale, di un vero e proprio autonomo procedimento autorizzatorio per lo svolgimento dell’attività di telefonia in sede fissa (come statuito da questa Corte nella sentenza n. 350 del 2008).

Il rimettente censura, altresì, il combinato disposto di cui agli artt. 12, comma 4, e 2, comma 2, lettera e), della legge regionale in parola, in forza del quale è vietato, a decorrere dalla data di entrata in vigore della stessa legge regionale, lo svolgimento di attività commerciali non accessorie a quella di telefonia, tra le quali quella di trasferimento di denaro all’estero (c.d. money transfer). Il censurato combinato disposto violerebbe gli artt. 3 e 41 Cost., avendo introdotto una discriminazione idonea a tradursi in una restrizione ingiustificata al principio costituzionale di libera iniziativa economica, nonché gli artt. 3 e 97 Cost., trattandosi di disciplina irragionevolmente retroattiva idonea a frustrare le aspettative dei titolari e dei gestori dei centri di telefonia in sede fissa già attivi, di poter svolgere, e continuare a svolgere, anche altre attività e non solo le attività accessorie alla telefonia.

4. – Le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione.

5. – In via preliminare, sono da rigettare le eccezioni di inammissibilità prospettate dalla difesa regionale in entrambi i giudizi.

5.1. – Nel giudizio instaurato con l’ordinanza iscritta al r.o. n. 106 del 2009, la Regione ha eccepito, innanzitutto, l’inammissibilità per difetto di rilevanza della questione di costituzionalità relativa ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 12, atteso che la chiusura del centro di telefonia in sede fissa risulta essere stata disposta per la violazione del divieto di esercitare attività di trasferimento internazionale di denaro, mentre nessuna contestazione sarebbe stata mossa in ordine al mancato rispetto delle prescrizioni di cui agli altri commi dell’art. 12.

I primi tre commi del censurato art. 12 contemplano, rispettivamente, l’obbligo di richiedere la prescritta autorizzazione comunale e l’obbligo di conformarsi alle prescrizioni previste dagli artt. 4 e 9; la chiusura immediata dei centri di telefonia in sede fissa privi dei requisiti di cui all’art. 3; la ricognizione dei centri di telefonia in sede fissa con conseguente chiusura dei medesimi in caso di mancato adeguamento alle suddette prescrizioni.

Dalla narrazione dei fatti sviluppata nell’ordinanza di rinvio, si evince chiaramente che il rimettente è stato chiamato a giudicare dell’impugnazione, da parte della titolare di un centro di telefonia in sede fissa, del provvedimento con cui il Comune ha rigettato la domanda di autorizzazione presentata dalla ricorrente. Con lo stesso provvedimento, l’amministrazione comunale ha disposto la contestuale chiusura dell’attività, «in quanto all’interno dei locali destinati alla attività di telefonia viene esercitata l’attività di transfer-money – agenzia finanziaria, non considerata attività commerciale accessoria alla attività di telefonia e pertanto in contrasto con quanto previsto dall’art. 2, comma 3, e 12, comma 4, della l.r. n. 32/2007».

La circostanza, messa in evidenza dalla Regione interveniente, che il Comune di Padova abbia disposto la chiusura del centro di telefonia in sede fissa anziché irrogare la sanzione pecuniaria ivi prevista, così interpretando scorrettamente la disciplina in parola, non incide sulla rilevanza della questione, trattandosi di profilo rimesso all’apprezzamento esclusivo del giudice a quo.

5.2. – Nel medesimo giudizio instaurato con l’ordinanza r.o. n. 106 del 2009, la difesa regionale ha, inoltre, eccepito l’inammissibilità della questione per carente la descrizione della fattispecie concreta in relazione alle previsioni di cui ai primi tre commi del censurato art. 12.

Anche questa eccezione è priva di fondamento.

Dall’ordinanza di rimessione emerge chiaramente che la ricorrente esercita l’attività di telefonia in sede fissa in seguito alla presentazione della dichiarazione di inizio attività al Ministero delle comunicazioni, nonché sulla base della licenza del Questore di Padova; che la stessa ricorrente ha presentato al Comune di Padova la domanda di autorizzazione prescritta dall’art. 12 in esame e che l’adìto Comune ha comunicato l’avvio del procedimento di diniego e di chiusura dell’attività in relazione all’esito di un sopralluogo, eseguito dalla Polizia municipale, nel corso del quale sarebbe stato accertato lo svolgimento, congiuntamente al servizio di telefonia, dell’attività di trasferimento internazionale di denaro; che, infine, l’istanza di autorizzazione è stata rigettata.

Poiché, dunque, il rimettente ha operato una esauriente e circostanziata descrizione della fattispecie concreta l’eccezione deve essere rigettata.

5.3. – Altrettanto non fondata è l’eccezione di inammissibilità per irrilevanza sopravvenuta della questione formulata dalla Regione Veneto nella memoria presentata in prossimità della camera di consiglio.

Tale eccezione è motivata dalla circostanza che, medio tempore, sarebbero intervenute la cessazione dell’attività imprenditoriale da parte della ricorrente e la cancellazione dal registro delle imprese della stessa.

Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza costituzionale il requisito della rilevanza riguarda solo il momento genetico in cui il dubbio di costituzionalità viene sollevato, e non anche il lasso temporale successivo alla proposizione dell’incidente di costituzionalità. Di conseguenza, i fatti sopravvenuti non sono in grado di influire sul giudizio costituzionale (cfr., tra le molte, le sentenze n. 442 del 2008 e n. 288 del 2007, nonché l’ordinanza n. 110 del 2000).

5.4. – Nel giudizio instaurato con l’ordinanza r.o. n. 132 del 2009, la difesa regionale ha eccepito l’inammissibilità per difetto di rilevanza della questione di costituzionalità relativa all’art. 12, nella parte in cui prescrive ai centri di telefonia in sede fissa già esistenti il conseguimento di un’apposita autorizzazione e nella parte in cui impone ai medesimi la conformazione ai nuovi requisiti: il Comune di Conegliano non avrebbe disposto la chiusura dei centri di telefonia non in regola, e non avrebbe imposto la dismissione del servizio di trasferimento internazionale di denaro. Di conseguenza, non vi sarebbe alcuna lesione grave ed attuale per i ricorrenti nel giudizio principale.

L’eccezione non è fondata.

Il giudice a quo svolge un ampio ragionamento in relazione a tale profilo preliminare, allegando motivazioni non implausibili sul punto circa la concreta ed attuale incidenza degli atti impugnati sulle situazioni giuridiche soggettive vantate dai privati ricorrenti. Ciò è sufficiente a ritenere infondata l’eccezione dal momento che spetta al rimettente valutare «la sussistenza dei requisiti e delle condizioni dell’azione giurisdizionale a patto che gli stessi non siano ictu oculi carenti» (sentenza n. 303 del 2007. Si vedano, inoltre, tra le più recenti, le sentenze n. 94 e n. 75 del 2009; n. 370, n. 223 e n. 39 del 2008; nonché l’ordinanza n. 170 del 2009).

5.5. – Non è, infine, fondata l’eccezione di inammissibilità prospettata per carente descrizione della fattispecie concreta, atteso che il giudice a quo ha analiticamente riferito i fatti di causa.      

6. – Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge regionale n. 32 del 2007 è fondata.

6.1. – L’impugnata disposizione pone a carico dei titolari dei centri di telefonia in sede fissa, i quali già esercitano attività di cessione al pubblico di servizi telefonici alla data di entrata in vigore della legge regionale in oggetto, l’obbligo di munirsi dell’autorizzazione di cui all’art. 4 della stessa legge. Questo obbligo è corredato dall’accessoria prescrizione relativa all’adeguamento ai requisiti di cui agli artt. 4, comma 3, e 9 della medesima legge regionale.

Inoltre il quarto comma del medesimo art. 12 inibisce ai centri di telefonia già attivi «dalla data di entrata in vigore della presente legge, ogni attività diversa» da quella inerente ai servizi telefonici o riferita «a servizi e prodotti strettamente connessi alla cessione al pubblico di servizi di telefonia». Nei casi oggetto dei processi a quibus rileva, in particolare, lo svolgimento di attività di intermediazione finanziaria, peraltro soggetta ad una stringente serie di apposite autorizzazioni e controlli, secondo quanto prevede la legislazione statale in materia.

In caso di svolgimento dell’attività relativa ai centri di telefonia in sede fissa «senza la prescritta autorizzazione», il successivo art. 11, comma 2, della legge n. 32 del 2007 dispone la chiusura del centro di telefonia, oltre a comminare una sanzione amministrativa pecuniaria.

La previsione da parte del legislatore veneto di una specifica autorizzazione, ulteriore rispetto alla denuncia di inizio attività di cui all’art. 25 del Codice delle comunicazioni elettroniche, accomuna la disciplina in oggetto alla normativa dettata dalla Regione Lombardia con la legge 3 marzo 2006, n. 6 (Norme per l'insediamento e la gestione di centri di telefonia in sede fissa), dichiarata incostituzionale da questa Corte con la sentenza n. 350 del 2008.

In tale pronuncia, alla luce del principio di libertà nell’attività di fornitura dei servizi qui considerati e del principio della massima semplificazione dei procedimenti, consacrati a livello comunitario e ribaditi nella legislazione nazionale con il Codice delle comunicazioni elettroniche, questa Corte ha giudicato costituzionalmente illegittimi gli artt. 1, 4, 9, comma 1, lettera c), e 12 della legge della Regione Lombardia n. 6 del 2006 «in quanto la introduzione, ad opera del legislatore regionale, di un vero e proprio autonomo procedimento autorizzatorio per lo svolgimento dell’attività dei centri di telefonia» risulta in contrasto «con le scelte operate dal legislatore statale in tema di liberalizzazione dei servizi di comunicazione elettronica e di semplificazione procedimentale».

In quella occasione si era – tra l’altro – notato che l’eventuale esistenza di ulteriori esigenze relative a queste attività e definite dallo Stato, dalle Regioni o dagli enti locali sulla base delle loro rispettive competenze «possono solo integrare la procedura autorizzativa prevista dall’art. 25 del Codice […] o temporaneamente ad essa sommarsi in casi di emergenza» (ci si riferiva alla speciale normativa, di cui all’art. 7 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, che tuttora – ai sensi del primo comma dell’art. 3 del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 144 – prevede la necessità di una apposita licenza del Questore per il gestore di un centro telefonico).

La disposizione qui scrutinata sostanzialmente ricalca la disciplina dettata dal legislatore lombardo e dichiarata costituzionalmente illegittima con la evocata pronuncia.

In entrambe le leggi regionali, infatti, l’obbligo di autorizzazione grava anche sui titolari di centri di telefonia in sede fissa già attivi. Tra le due discipline vi è, inoltre, piena corrispondenza quanto ai profili soggettivi, ai requisiti formali e sostanziali, alla validità temporale dell’autorizzazione.

La motivazione, già addotta da questa Corte a fondamento della declaratoria di illegittimità costituzionale della omologa disposizione legislativa lombarda, vale anche nell’odierno giudizio di legittimità costituzionale.

Deve pertanto essere dichiarata l’illegittimità costituzionale, per violazione dei criteri di riparto delle competenze di cui all’art. 117 della Costituzione, dell’art. 12 della legge regionale n. 32 del 2007.

7. – Con la sentenza n. 350 del 2008, questa Corte non si è limitata a dichiarare l’illegittimità costituzionale delle sole previsioni relative all’autorizzazione comunale.

Ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’intera legge regionale n. 6 del 2006: «invero, l’assetto normativo concepito dal legislatore lombardo s’irradia dalle suddette disposizioni che configurano l’autorizzazione ivi prevista quale nucleo essenziale del prescelto regime amministrativo. Tutti gli altri articoli della legge regionale censurata risultano avvinti da un inscindibile rapporto strumentale alle disposizioni dichiarate incostituzionali».

Anche la disciplina adottata dal legislatore veneto in tema di centri di telefonia in sede fissa si sviluppa a partire dalla previsione dell’autorizzazione comunale quale nucleo essenziale dell’intero impianto normativo.

La fissazione di requisiti morali e igienico-sanitari, l’introduzione di un registro dei centri di telefonia in sede fissa, la disciplina degli orari e delle modalità di esercizio, le prescrizioni urbanistiche (già dichiarate costituzionalmente illegittime da questa Corte con la sentenza n. 25 del 2009), la configurazione di misure interdittive, i meccanismi di vigilanza, la previsione di sanzioni e, da ultimo, la definizione di un apposito regime transitorio, sono tutti elementi rinvenibili (con solo marginali differenze) in entrambe le leggi regionali in parola, che operano in via accessoria e strumentale rispetto al fulcro dell’intera disciplina, vale a dire il regime autorizzatorio cui è subordinato lo svolgimento dell’attività di telefonia in sede fissa.

Per questo motivo, le ragioni che a suo tempo indussero questa Corte a caducare l’intero testo della legge della Regione Lombardia n. 6 del 2006, debbono essere confermate e ribadite nel presente giudizio, con conseguente declaratoria di illegittimità costituzionale delle restanti disposizioni vigenti della legge della Regione Veneto n. 32 del 2007, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

a) dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 12 della legge della Regione Veneto 30 novembre 2007, n. 32 (Regolamentazione dell’attività dei centri di telefonia in sede fissa – phone center);

b) dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale delle restanti disposizioni della legge della Regione Veneto n. 32 del 2007.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 26 febbraio 2010.