Sentenza n. 321 del 2009

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SENTENZA N. 321

ANNO 2009

[ELG:COLLEGIO]

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Ugo                                  DE SIERVO                   Presidente

-  Paolo                                MADDALENA               Giudice

-  Alfio                                FINOCCHIARO             “

-  Alfonso                            QUARANTA                  “

-  Franco                              GALLO                         “

-  Luigi                                MAZZELLA                  “

-  Gaetano                            SILVESTRI                   “

-  Sabino                              CASSESE                      “

-  Maria Rita                        SAULLE                      “

-  Giuseppe                          TESAURO                    “

-  Paolo Maria                      NAPOLITANO             “

-  Giuseppe                          FRIGO                           “

-  Alessandro                        CRISCUOLO                 “

-  Paolo                                GROSSI                         “

[ELG:PREMESSA]

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), periodo introdotto dal comma 7 dell’art. 3-bis del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dal comma 1 dell’art. 1 della legge 2 dicembre 2005, n. 248, promosso con ordinanza depositata il 9 febbraio 2009 dalla Commissione tributaria regionale della Puglia, nel giudizio vertente tra l’Associazione Green Park Club e l’Agenzia delle entrate, ufficio di Bari, iscritta al n. 148 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2009.

       Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

       udito nella camera di consiglio del 4 novembre 2009 il Giudice relatore Franco Gallo.

[ELG:FATTO]

Ritenuto in fatto

1. – Nel corso di un giudizio d’appello promosso dall’Associazione Green Park Club con atto notificato mediante consegna diretta all’Agenzia delle entrate, ufficio di Bari, in data 6 luglio 2007, la Commissione tributaria regionale della Puglia, con ordinanza depositata il 9 febbraio 2009, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità dell’art. 53, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), come modificato dall’art. 3-bis, comma 7, del decreto legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, nella parte in cui stabilisce che «Ove il ricorso non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, l’appellante deve, a pena d’inammissibilità, depositare copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata».

2. – Il giudice rimettente premette, in punto di fatto, che: a) la predetta Associazione aveva impugnato davanti alla Commissione tributaria provinciale di Bari, con distinti ricorsi, alcuni avvisi di irrogazione di sanzioni emessi nei suoi confronti dall’Agenzia delle entrate per l’asserita violazione della normativa dell’IRPEF, con riferimento agli anni dal 1992 al 1994; b) l’adíta Commissione tributaria provinciale, con sentenza n. 176/08/2006, aveva riunito i ricorsi e li aveva dichiarati inammissibili per la mancata indicazione di motivi specifici; c) l’Associazione aveva appellato detta sentenza, ma, pur avendo notificato l’atto di gravame mediante consegna diretta, non aveva adempiuto il prescritto obbligo di depositare nella segreteria della Commissione tributaria provinciale una copia dell’appello proposto; c) la Commissione tributaria regionale della Puglia, investita dell’appello, aveva rinviato la trattazione della controversia in attesa della decisione della Corte costituzionale su identiche questioni sollevate dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Caltanissetta, con ordinanza r.o. n. 793 del 2007; d) in relazione a dette questioni, la Corte costituzionale, con ordinanza n. 199 del 2008, aveva restituito gli atti al rimettente giudice tributario di Caltanissetta per una nuova valutazione della rilevanza, alla luce della sopravvenuta sentenza della stessa Corte n. 130 del 2008 in tema di giurisdizione tributaria ed in considerazione del fatto che la controversia trattata nel giudizio principale non aveva natura tributaria.

3. – Il giudice rimettente premette altresí, in punto di diritto, che: a) poiché le suddette questioni di costituzionalità sollevate dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia non sono state decise dalla Corte costituzionale, è necessario sottoporle nuovamente all’esame di tale Corte, con riferimento al caso di specie; b) in particolare, la decisione sul merito dell’appello proposto dalla Associazione postula una valutazione preliminare in ordine all’ammissibilità di detto appello; c) a tal fine, deve essere applicata la disposizione censurata, la quale, a pena di inammissibilità, impone all’appellante, qualora il ricorso non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, di depositare copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata; d) tale disposizione, entrata in vigore in data 3 dicembre 2005, costituisce una «norma di natura processuale la cui efficacia nel tempo è regolata dal principio tempus regit actum con la conseguenza che la stessa è immediatamente efficace per tutti gli appelli proposti a partire dalla data indicata» e, quindi, anche per il giudizio principale, nel quale l’appello è stato notificato per consegna diretta il 6 luglio 2007.

4. – Poste tali premesse, il giudice a quo identifica la ratio della disposizione censurata nel soddisfacimento dell’esigenza di informare la segreteria del giudice di prime cure dell’esistenza di una «circostanza ostativa al passaggio in giudicato della sentenza di primo grado»; e ciò «al pari di quanto previsto nel caso di notificazione a mezzo ufficiale giudiziario» dall’art. 123 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, in forza del quale l’ufficiale giudiziario deve dare immediato avviso scritto della notificazione dell’impugnazione al cancelliere del giudice che ha emesso la sentenza impugnata. Con specifico riferimento a tale ratio, il medesimo giudice passa, poi, ad esporre le sue censure alla normativa denunciata.

4.1. – In primo luogo, secondo la Commissione rimettente, «merita censura […] la previsione di un radicale ed insanabile effetto preclusivo dell’impugnazione collegato ad un’attività avente funzione di notizia», perché tale attività è «estranea alla struttura del giudizio di gravame nonché superflua rispetto alla ratio ispiratrice» della disposizione medesima. Infatti, ad avviso del giudice a quo, l’art. 53, terzo comma, del d.lgs. n. 546 del 1992 – nel prevedere che «Subito dopo il deposito del ricorso in appello, la segreteria della commissione tributaria regionale chiede alla segreteria della commissione provinciale la trasmissione del fascicolo del processo» – già soddisfa detta esigenza di notizia e quindi rende priva di giustificazione la sanzione di inammissibilità prevista dalla disposizione censurata, nel caso di mancato deposito di copia dell’appello presso la segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata.

4.2. –In secondo luogo, sempre per il giudice a quo, «l’inammissibilità è sanzione processuale concettualmente correlata ad un effetto decadenziale collegato al mancato rispetto di un termine essenziale mentre, la norma de qua non indica alcun termine perentorio entro il quale deve essere curato l’adempimento», con conseguente ulteriore motivo di irragionevolezza della disposizione denunciata.

4.3. – In terzo luogo, lo stesso giudice a quo afferma che, nel caso di notificazione effettuata con il mezzo della posta, l’onere del deposito della copia dell’appello presso la segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata è a carico dell’agente postale. Da tale affermazione il giudice rimettente fa derivare altri due profili di censura della norma denunciata. Questa, da un lato, sarebbe irragionevole, perché prevede un effetto decadenziale che incombe sull’appellante «in dipendenza di un’attività posta in essere da un terzo» (cioè dall’agente postale); dall’altro comporterebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra coloro che notificano l’appello tramite ufficiale giudiziario (i quali non hanno l’onere di depositare copia dell’appello nella segreteria del giudice di primo grado) e coloro che si avvalgono del servizio postale (i quali – secondo la lettura della disposizione impugnata data dal rimettente – incorrono, invece, nella sanzione dell’inammissibilità dell’appello, nel caso in cui l’agente postale non abbia adempiuto l’onere di tale deposito).

5. – Quanto alla rilevanza, la Commissione tributaria regionale afferma che, per effetto della disposizione censurata, l’appello di cui al giudizio principale – non notificato per il tramite dell’ufficiale giudiziario e non seguíto dal deposito di una sua copia nella segreteria del giudice di primo grado – dovrebbe essere dichiarato inammissibile, lasciando l’appellante «privo di tutela».

6. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale ed ha chiesto dichiararsi inammissibili o comunque infondate le sollevate questioni.

6.1. – Secondo la difesa erariale, le questioni poste con riferimento agli artt. 2 e 24 Cost. sono inammissibili per difetto di motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza delle questioni medesime, «in quanto non viene in alcun modo precisato per quale motivo la norma si porrebbe in contrasto» con le evocate disposizioni costituzionali. Sempre secondo l’Avvocatura, la questione posta in riferimento al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. è inammissibile per la mancata previa ricerca di un’interpretazione conforme a Costituzione della disposizione censurata; interpretazione che sarebbe possibile, perché il censurato secondo comma dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, non prevedendo un termine per il deposito di copia dell’appello, potrebbe essere inteso come introduttivo di una causa di mera improcedibilità, nel senso che l’appellante avrebbe la facoltà di effettuare il deposito richiesto da detta disposizione fino al momento in cui la causa venga chiamata in decisione.

6.2. – Nel merito, la difesa erariale afferma che la questione posta in riferimento all’art. 24 Cost. è comunque manifestamente infondata, perché «non si comprende come la previsione di un adempimento di semplice esecuzione (quale il deposito di un atto presso la segreteria del giudice di primo grado) possa costituire un ostacolo all’esercizio del diritto di azione e difesa».

[ELG:DIRITTO]

Considerato in diritto

1. – La Commissione tributaria regionale della Puglia dubita, in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione, della legittimità del secondo periodo del comma 2 dell’art. 53 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) − periodo introdotto dal comma 7 dell’art. 3-bis del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dal comma 1 dell’art. 1 della legge 2 dicembre 2005, n. 248 −, il quale, nel disciplinare la proposizione dell’appello innanzi agli organi della giurisdizione tributaria, prevede che «Ove il ricorso non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, l’appellante deve, a pena di inammissibilità, depositare copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata».

2. – La difesa erariale ha eccepito la manifesta inammissibilità, per difetto di motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza, delle questioni poste con riferimento agli artt. 2 e 24 Cost.

L’eccezione è fondata.

L’ordinanza di rimessione, infatti, non indica le ragioni della ritenuta violazione di tali parametri. In particolare, quanto all’art. 2 Cost., manca nell’ordinanza qualsiasi argomentazione; quanto all’art. 24 Cost., il rimettente si limita al generico ed immotivato rilievo che la disposizione censurata lascia l’appellante «privo di tutela».

3. – Il rimettente denuncia la violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., sotto il profilo che la disposizione denunciata creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra coloro che notificano l’appello tramite ufficiale giudiziario (i quali non hanno l’onere di depositare copia dell’appello nella segreteria del giudice di primo grado) e coloro che si avvalgono del servizio postale (i quali – secondo l’interpretazione dello stesso rimettente – incorrono, invece, nella sanzione dell’inammissibilità dell’appello, nel caso in cui l’agente postale non abbia adempiuto l’onere di tale deposito).

La questione è manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza.

Al riguardo, va osservato in punto di fatto che, nella specie – secondo quanto riferito dal rimettente –, l’appellante ha notificato l’appello mediante consegna diretta all’appellato. Tuttavia, nel prospettare l’indicata ingiustificata disparità di trattamento, il giudice a quo pone a raffronto il caso della notificazione dell’appello mediante ufficiale giudiziario, non con il caso della notificazione mediante consegna diretta, che costituisce l’oggetto del giudizio principale, ma con quello, del tutto diverso, della notificazione mediante il servizio postale. Né il rimettente fornisce alcuna motivazione sulle ragioni per le quali la denunciata disparità di trattamento avrebbe rilevanza nel giudizio a quo.

L’accertamento dell’inammissibilità della questione assorbe ogni altra considerazione di merito.

4. – Con riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza, il rimettente solleva quattro distinte questioni.

4.1. – Con la prima, il giudice a quo deduce che la norma denunciata è irragionevole, perché lo scopo di informare la segreteria del giudice di primo grado dell’intervenuto appello (e, quindi, del mancato passaggio in giudicato della sentenza pronunciata da tale giudice) è già soddisfatto dall’obbligo, posto a carico della segreteria del giudice di appello dal comma 3 dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, di richiedere alla segreteria del giudice di primo grado, subito dopo il deposito del ricorso in appello, la trasmissione del fascicolo processuale con la copia autentica della sentenza impugnata.

4.2. – Con la seconda questione, il giudice rimettente denuncia l’irragionevolezza della norma censurata, perché questa collega un radicale ed insanabile effetto preclusivo dell’impugnazione (cioè l’inammissibilità dell’appello) ad un’attività avente «funzione di notizia […] estranea alla struttura del giudizio di gravame».

4.3. – Con la terza questione, la rimettente Commissione tributaria regionale deduce che la disposizione denunciata è irragionevole, perché, nel caso di notificazione a mezzo posta, fa gravare sull’agente postale (secondo l’interpretazione che la stessa Commissione dà alla disposizione) l’obbligo di depositare la copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della Commissione tributaria provinciale e, pertanto, prevede l’inammissibilità dell’appello quale conseguenza dell’inadempimento di tale obbligo da parte dell’agente postale, cioè di un soggetto diverso dall’appellante.

4.4. – Con la quarta questione viene dedotto che la norma denunciata è irragionevole, perché, pur prevedendo l’inammissibilità dell’impugnazione per il mancato deposito della copia dell’appello nella segreteria della Commissione tributaria provinciale, non indica, però, alcun termine perentorio per detto deposito.

5. – La difesa erariale ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità di tutte e quattro le suddette questioni, affermando che il giudice a quo ha omesso di ricercare un’interpretazione conforme a Costituzione della disposizione impugnata, la quale, invece – sempre secondo la stessa difesa – può essere interpretata nel senso che il mancato deposito della copia dell’appello presso la segreteria del giudice di primo grado costituisce una mera causa di improcedibilità, potendo l’appellante effettuare il deposito stesso fino al momento in cui la causa viene «chiamata in decisione».

L’eccezione non può essere accolta.

Al riguardo, va innanzitutto rilevato che essa, nonostante sia stata espressamente sollevata per tutte e quattro le questioni, si riferisce in realtà esclusivamente all’ultima di queste, con la quale viene denunciata la mancata fissazione di un termine per il deposito della copia dell’atto di appello nella segreteria del giudice di primo grado. Rispetto alle altre questioni, infatti, è del tutto irrilevante individuare il termine preciso oltre il quale scatta la sanzione di “inammissibilità” o di “definitiva improcedibilità” dell’appello.

Con riferimento, poi, all’unica questione alla quale è pertinente, appare evidente che l’eccezione attiene non al preliminare profilo dell’ammissibilità, ma a quello, successivo, del merito della questione stessa. L’interpretazione prospettata dalla difesa erariale si risolve, infatti, nell’individuazione, mediante argomentazioni sistematiche, del termine entro il quale deve essere compiuto il deposito («fino al momento in cui la causa viene chiamata in decisione») e, quindi, attiene al merito della censura, cioè alla fondatezza della questione.

6. – Nel merito, nessuna delle questioni poste in riferimento al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. è fondata. Al riguardo, è opportuno esaminare distintamente tali questioni.

6.1. – Quanto alla prima, il rimettente afferma - in conformità, del resto, alle osservazioni contenute nella circolare dell’Agenzia delle entrate n. 10/E del 13 marzo 2006 - che la norma denunciata ha lo scopo di informare la segreteria del giudice di primo grado dell’intervenuto appello e, quindi, di impedire l’erronea attestazione del passaggio in giudicato di detta sentenza. Per il giudice a quo, in particolare, la ratio della norma è identica a quella sottesa all’art. 123 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, secondo cui: a) «l’ufficiale giudiziario che ha notificato un atto di impugnazione deve darne immediato avviso scritto al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata» (primo comma); b) «il cancelliere deve fare annotazione dell’impugnazione sull’originale della sentenza» (secondo comma). Tuttavia, ad avviso del giudice rimettente, tale ratio è già soddisfatta dal comma 3 dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, che fa obbligo alla segreteria del giudice di appello di richiedere alla segreteria del giudice di primo grado, «subito dopo il deposito del ricorso in appello», la trasmissione del fascicolo processuale con la copia autentica della sentenza impugnata. Di qui la dedotta irragionevolezza della norma denunciata.

La questione non è fondata.

Il rimettente individua correttamente la ratio della disposizione censurata, ma erra nel ritenere che tale ratio possa essere soddisfatta dall’evocato comma 3 dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992. La richiesta di trasmissione del fascicolo prevista da quest’ultimo comma, infatti, viene avanzata dalla segreteria del giudice di appello solo «dopo» la costituzione in giudizio dell’appellante e, pertanto - contrariamente a quanto dedotto dal rimettente - non consente alla segreteria del giudice di primo grado di avere tempestiva notizia della proposizione dell’appello. E ciò risulta ancora piú evidente se si tiene conto anche del tempo necessario a che la richiesta pervenga alla segreteria della Commissione tributaria provinciale. Detta richiesta non è, perciò, idonea ad evitare il rischio di una erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, limitandosi essa a consentire al giudice di secondo grado di ottenere la disponibilità del fascicolo in tempo utile per la trattazione della causa in appello.

La tempestiva conoscenza dell’impugnazione, da parte della segreteria del giudice di primo grado, è invece assicurata: a) nel caso di appello notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, dall’«immediato avviso scritto» della notificazione dell’impugnazione, che lo stesso ufficiale giudiziario deve dare alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (art. 123 disp. att. cod. proc. civ.); b) nel caso - che qui interessa - di appello non notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, dal deposito della copia notificata dell’appello, presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale, entro il termine previsto per la costituzione in giudizio dell’appellante (artt. 53, comma 2, e 22, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 546 del 1992); termine che è sicuramente anteriore alla richiesta di trasmissione del fascicolo (art. 53, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992). È, dunque, erroneo sostenere che la suddetta ratio sia soddisfatta dalla sola richiesta di trasmissione del fascicolo di primo grado, perché questa non può sostituire né l’avviso scritto inviato dall’ufficiale giudiziario né il deposito previsto dalla disposizione censurata.

6.2. – Quanto alla seconda questione, il giudice a quo afferma che la norma denunciata è irragionevole, perché prevede la grave sanzione dell’inammissibilità dell’appello quale conseguenza del mancato compimento, da parte dell’appellante, di un atto estraneo «alla struttura del giudizio di gravame», quale sarebbe il deposito di copia dell’atto di impugnazione nel caso di appello proposto senza il tramite di ufficiale giudiziario.

Anche tale questione non è fondata.

Come si è visto al punto precedente, nel caso in cui l’appello sia notificato mediante ufficiale giudiziario, quest’ultimo è obbligato, ai sensi dell’art. 123 disp. att. cod. proc. civ., a fornire «immediato avviso scritto» di tale notificazione alla segreteria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. In tale ipotesi, l’ufficiale giudiziario è tenuto a detto avviso in forza dei suoi doveri di ufficio e della responsabilità disciplinare, civile o penale che sorgerebbe a suo carico in caso di inadempimento. Nell’ipotesi, invece, in cui la parte abbia scelto di proporre appello senza avvalersi dell’ufficiale giudiziario, l’unico deterrente per indurre l’appellante a fornire tempestivamente alla segreteria del giudice di primo grado la documentata notizia della proposizione dell’appello stesso è rappresentato dalla sanzione di inammissibilità prevista dalla norma denunciata. Al fine di ottenere un ordinato e spedito svolgimento del processo, appare, perciò, non irragionevole che il legislatore – con la norma censurata − abbia posto a carico dell’appellante l’onere di depositare copia dell’atto di impugnazione a pena di inammissibilità. In particolare, con tale previsione, il legislatore ha perseguito il duplice obiettivo, da un lato, di non gravare la segreteria del giudice di appello di compiti informativi necessariamente intempestivi (perché successivi alla costituzione in giudizio dell’appellante) ed organizzativamente onerosi e, dall’altro, di assicurare la tempestività e la completezza della comunicazione dell’interposta impugnazione, imponendo allo stesso appellante, che abbia proposto appello senza avvalersi dell’ufficiale giudiziario, di effettuare tale comunicazione.

6.3. – Quanto alla terza questione, il rimettente afferma che la norma denunciata, nel caso di notificazione a mezzo posta, fa irragionevolmente gravare sull’agente postale, cioè su un terzo rispetto alle parti di causa, l’obbligo del deposito della copia dell’appello presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale e, pertanto, rende arbitro tale terzo dell’inammissibilità dell’appello.

La questione non è fondata.

Al riguardo, è qui sufficiente osservare che il presupposto interpretativo da cui muove il rimettente è errato. Infatti, nell’ipotesi di notificazione dell’appello a mezzo posta, nessuna disposizione pone a carico dell’agente postale né l’obbligo di depositare presso la segreteria del giudice di primo grado la copia dell’appello notificato, né l’obbligo di effettuare un avviso analogo a quello previsto per l’ufficiale giudiziario dall’art. 123 disp. att. cod. proc. civ. Al contrario, la norma denunciata pone a carico del solo appellante l’onere di depositare la copia dell’appello notificato a mezzo posta.

6.4. – Quanto alla quarta questione, nell’ordinanza di rimessione viene dedotta l’irragionevolezza di una disposizione che, pur prevedendo l’inammissibilità dell’impugnazione per il mancato deposito della copia dell’appello nella segreteria del giudice di primo grado, non indica, però, alcun termine perentorio per detto deposito.

Anche tale ultima questione non è fondata.

Alla luce della sopra ricordata esigenza - sottesa alla disposizione denunciata - di fornire alla segreteria del giudice di primo grado una tempestiva e documentata notizia della proposizione dell’appello, un termine perentorio per il deposito della copia dell’appello nella segreteria della Commissione tributaria provinciale è sicuramente ricavabile, in via interpretativa, dal complesso delle norme in materia di impugnazione davanti alle Commissioni tributarie. Tale termine - come si è visto ai punti 6.1. e 6.2. - non può che identificarsi con quello stabilito per la costituzione in giudizio dell’appellante; costituzione che avviene mediante il deposito del ricorso in appello presso la segreteria della Commissione tributaria regionale entro trenta giorni dalla proposizione dell’appello (artt. 53, comma 2, e 22, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 546 del 1992).[ELG:DISPOSITIVO]

per questi motivi

La Corte costituzionale

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) − periodo introdotto dal comma 7 dell’art. 3-bis del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dal comma 1 dell’art. 1 della legge 2 dicembre 2005, n. 248 −, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza, e 24 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale della Puglia con l’ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale del citato secondo periodo del comma 2 dell’art. 53 del decreto legislativo n. 546 del 1992, periodo introdotto dal comma 7 dell’art. 3-bis del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dal comma 1 dell’art. 1 della legge n. 248 del 2005, sollevate, in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza, dalla Commissione tributaria regionale della Puglia con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 novembre 2009.

[ELG:FIRME]

F.to:

Ugo DE SIERVO, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 dicembre 2009.