SENTENZA N. 247
ANNO 2009
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO
"
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE
"
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli
articoli da
Visti gli atti di costituzione del Presidente del
Consiglio dei ministri; nonchè gli atti di intervento
dell’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus e della Biomasse Italia
s.p.a. ed altre;
udito nell’udienza pubblica del 19 maggio 2009 il Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano;
uditi gli avvocati Maria Grazia Bottari
Gentile per
Ritenuto in fatto
1. – Le Regioni
Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche, ciascuna con
distinto ricorso, rispettivamente contrassegnato con i numeri 68, 69, 70, 73,
74 e 79 del registro ricorsi dell’anno 2006, hanno sollevato, in via
principale, questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni
contenute nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia
ambientale), in riferimento agli articoli 3, 11, 76, 117, 118 e 119 della
Costituzione, nonché in relazione al principio di leale collaborazione.
In particolare,
2. –
In via subordinata
L’art. 223
presenterebbe, per la ricorrente Regione, altri profili di incostituzionalità,
riferibili alla lesione dell’art. 118, primo comma, della Costituzione.
In particolare, la
previsione che i consorzi fra produttori e recuperatori debbano essere
strutturati su base nazionale e regolati da uno statuto tipo redatto dal
Ministero dell’ambiente, di concerto con quello delle attività produttive,
oltre a escludere le istanze regionali, violerebbe l’art. 76 della
Costituzione, stante il mancato rispetto dell’art. 1, comma 8, della legge di
delega 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il
coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e
misure di diretta applicazione), il quale impone al legislatore delegato di
conformarsi alle previsioni di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112
(Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e
agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59).
Pertanto, a parere della ricorrente, in virtù del disposto dell’art. 85 del
decreto legislativo n. 112 del 1998, il quale a sua volta rimanda all’art. 40
del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva
91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e
della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio),
sarebbe ingiustificata la previsione della dimensione necessariamente nazionale
dei consorzi fra produttori e utilizzatori.
2.1. – Come si è detto
2.2. –
Subordinatamente la disposizione
violerebbe anche il principio di leale collaborazione prevedendo che il
regolamento di cui al comma 6 sia emanato dal Ministro dell’ambiente, di
concerto con quello delle attività produttive, sentita
2.3. –
Ricorda la ricorrente che la delega
legislativa, contenuta nell’art. 1, comma 1, della legge n. 308 del 2004,
consentiva al Governo la emanazione di uno o più decreti per il «riordino,
coordinamento ed integrazione delle disposizioni legislative» in vigore.
Secondo
In via subordinata
Per tali motivi
Le predette disposizioni di cui agli
articoli 242, 244, 245, 248 e 249, peraltro, stante il loro carattere
dettagliato, sarebbero, altresì, viziate anche qualora si ritenesse che
l’oggetto delle medesime non sia ascrivibile all’ambito materiale prevalente
del «governo del territorio» ma ad una concorrenza di competenze; è, infatti,
da escludersi che esse siano riconducibili alla individuazione di uno standard di tutela uniforme.
2.4. – Con specifico riferimento
all’art. 241, la ricorrente ritiene che la norma, nell’attribuire al Ministro
dell’ambiente, di concerto con quello delle attività produttive, quello della
salute e quello delle politiche agricole, un potere regolamentare in una
materia articolata che vede la presenza anche della competenza residuale
regionale in tema di agricoltura, violerebbe il sesto comma dell’art. 117 della
Costituzione e si porrebbe, altresì, in contrasto col principio di leale
cooperazione attesa la mancata previsione, persino, della consultazione delle
Regioni.
2.5. –
2.6. – Da ultimo
2.7. – In prossimità della data fissata
per la discussione del ricorso
Con riferimento, in particolare, alla
normativa in tema di gestione degli imballaggi la ricorrente, precisato che la
normativa in discorso ha comunque spiegato effetti già nella sua versione
originaria, ribadisce che, al di là delle modifiche ad essa apportate, spesso
solo formali, permangono le censure a suo tempo formulate quanto alla
violazione dell’art. 117 della Costituzione, dato il carattere estremamente
dettagliato e puntuale della detta normativa, e quanto alla violazione
dell’art. 118 della Costituzione, stante il permanere dell’impianto normativo
basato sul carattere nazionale dei consorzi.
Anche con riferimento alla impugnazione
degli articoli 233, 234 e 236 del d.lgs. n. 152 del 2006 le novelle apportate
non incidono sul contenuto della medesima; diversamente la ricorrente prende atto della avvenuta abrogazione
dell’art. 235.
Infine riguardo alla disciplina dei siti
contaminati il carattere solo formale delle modificazioni intervenute ne
esclude, ad avviso della Regione ricorrente, ricadute sul merito del ricorso.
3. – Con ricorso notificato il 12-21
giugno 2006 e depositato il 14 giugno 2006,
3.1. – La ricorrente censura anzitutto
l’art. 238, commi 3, 6, 7, 8, 9 e
La disposizione citata, ricorda la
ricorrente, regola la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani: il comma 3
stabilisce che «la tariffa è determinata, entro tre mesi dalla data di entrata
in vigore del decreto di cui al comma 6, dalle Autorità d’ambito ed è applicata
e riscossa dai soggetti affidatari del servizio di gestione integrata sulla
base dei criteri fissati dal regolamento di cui al comma 6»; mentre i commi da
Secondo
In subordine, rileva sempre
3.2. – Per quanto concerne, poi, gli
articoli 240, 242 e 252,
L’art. 240, prosegue
L’art. 242, invece, premette la
ricorrente, riguarda le procedure operative ed amministrative per procedere
alla bonifica dei siti inquinati e stabilisce: «al verificarsi di un evento che
sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile
dell’inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di
prevenzione e ne dà immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui
all’art. 304, comma 2» [recte:
comma 1]; mentre al successivo comma 2: «il responsabile dell’inquinamento,
attuate le necessarie misure di prevenzione, svolge, nelle zone interessate
dalla contaminazione, un’indagine preliminare sui parametri oggetto
dell’inquinamento e, ove accerti che il livello delle concentrazioni soglia di
contaminazione (CSC) non sia stato superato, provvede al ripristino della zona
contaminata, dandone notizia, con apposita autocertificazione, al comune ed
alla provincia competenti per territorio entro quarantotto ore dalla
comunicazione. L’autocertificazione conclude il procedimento di notifica di cui
al presente articolo, ferme restando le attività di verifica e di controllo da
parte dell’autorità competente da effettuarsi nei successivi quindici giorni».
Quindi, relativamente ai successivi
commi 3 e 4, la ricorrente rileva che il primo trasferisce la competenza autorizzatoria delle bonifiche dalla Regione al Comune (in
difformità da quanto previsto dall’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997); ed il
secondo, dispone che «sulla base delle risultanze della caratterizzazione, al
sito è applicata la procedura di analisi del rischio sito specifica per la
determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR)». Il comma 4 prevede,
inoltre, che i criteri da utilizzare per l’applicazione della procedura di
analisi di rischio sono quelli riportati nell’allegato 1 alla Parte quarta
dello stesso decreto; e stabilisce, altresì, che, entro sei mesi
dall’approvazione del piano di caratterizzazione, il soggetto responsabile
presenti alla Regione i risultati dell’analisi di rischio che saranno approvati
da apposita Conferenza di servizi convocata dalla Regione.
Qualora gli esiti della procedura
dell’analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti
presenti nel sito è inferiore alle concentrazioni soglia di rischio, prosegue
la ricorrente,
Quanto stabilito, si porrebbe, a detta
della ricorrente, in contrasto sia con la normativa comunitaria in materia di
rifiuti, sia con la legge delega (con violazione, quindi, degli articoli 11,
76, 117 e 118 Cost.).
Infatti, secondo
Riguardo, in particolare, all’art. 242,
relativamente alla parte in cui collega l’obbligo di bonifica per il soggetto
che inquina agli esiti della procedura di analisi del rischio – svolta peraltro
dallo stesso soggetto che ha inquinato (si veda l’allegato 2 alla Parte quarta
del decreto) – la stessa è, per la ricorrente, ancorata a parametri del tutto
incerti e non oggettivi, con conseguente possibilità, per l’inquinatore, di
poter effettuare un’analisi del rischio più favorevole ai propri interessi,
evitando la successiva fase di bonifica.
In altri termini, a detta della difesa
regionale, la norma censurata demanda al responsabile dell’inquinamento –
previo svolgimento, nelle zone interessate dalla contaminazione, di un’indagine
preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento – la valutazione del
superamento o meno delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) e,
quindi, conseguentemente, la valutazione se provvedere al ripristino della zona
contaminata (comunicandolo, con apposita autocertificazione, sia al Comune, sia
alla Provincia competenti per territorio) ovvero, se darne immediata notizia
agli stessi Enti, descrivendo, altresì, le misure di prevenzione e di messa in
sicurezza di emergenza da esso adottate.
Una tale disposizione si porrebbe,
pertanto, in aperto contrasto con la normativa comunitaria relativamente alla
tutela dei suoli dall’inquinamento, poiché si demanderebbe alla discrezionalità
dell’inquinatore – a fronte dell’inquinamento di un sito – la scelta della
procedura ritenuta più adatta al caso di specie. All’Ente pubblico competente –
nel caso lo stesso dissenta dall’analisi prodotta dal soggetto – non resterà
(dopo aver espresso il proprio parere negativo) che procedere d’ufficio alla
bonifica del sito, con gravi ripercussioni sull’erario per le ben poche
probabilità di recuperare le spese sostenute, anche in via giudiziaria; ovvero,
non procedere alla bonifica, con inevitabili e gravi ripercussioni sul
territorio e sulla tutela della salute dei cittadini.
Da qui la dedotta violazione degli
articoli 117 e 118 Cost., a cui si aggiungerebbe – sempre secondo
Relativamente alle prime due, le stesse
– prosegue
Per
Analoghe considerazioni, secondo la
ricorrente, valgono per l’art. 240, comma 1, lettera b), nella parte in cui lo stesso prevede che, nelle ipotesi in cui
«un sito potenzialmente contaminato sia ubicato in un’area interessata da
fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato il superamento di una o
più concentrazioni soglia di contaminazione, per tale specifico sito tali
"valori soglia” coincidono con il valore di fondo esistente nel sito, con
riferimento a tutti i parametri superati». Difatti, stante il dettato di questa
disposizione, verrebbero a determinarsi gravi incertezze sulle modalità di
rilevamento dei valori di fondo e, conseguentemente, sui valori di riferimento,
con evidenti gravi ripercussioni sulla tutela della salute e sul governo del
territorio.
3.3. – Quindi,
Tale previsione di un tetto massimo per
le garanzie finanziarie, poi, si porrebbe in contrasto anche con i principi
direttivi di cui alle lettere c), f) ed i) dell’art. 1, comma 8, secondo i quali il testo unico avrebbe
dovuto conformarsi a: «c) invarianza
degli oneri a carico della finanza pubblica; [...] f) affermazione dei principi comunitari di prevenzione, di
precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni
ambientali e del principio "chi inquina paga”;
[...] i) garanzia di una più
efficace tutela in materia ambientale anche mediante il coordinamento e
l’integrazione della disciplina del sistema sanzionatorio, amministrativo e
penale, fermi restando i limiti di pena e l’entità delle sanzioni
amministrative già stabiliti dalla legge».
3.4. –
3.5. – Nel giudizio si è costituito il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità e deducendo comunque
l’infondatezza delle censure.
Riguardo alla dedotta violazione
dell’art. 238, commi 3, 6, 7, 8, 9 e
Ugualmente infondate sarebbero, per
l’Avvocatura dello Stato, le censure relative agli articoli 240, comma 1,
lettera b), e 242, commi 2, 3, 4,
Anche la censura mossa dalla Regione
ricorrente al comma 7 del citato articolo 242 per violazione degli articoli 11,
76, 117 e 118 Cost., sarebbe infondata.
Il
legislatore delegato, infatti, con la disposizione impugnata, non è venuto a
fissare un limite massimo alle garanzie
finanziarie che devono essere prestate a favore della Regione per la
realizzazione e l’esercizio degli impianti previsti dal progetto di bonifica,
così violando principi comunitari (specificamente, il principio "chi inquina
paga”), né a determinare un aggravio degli oneri a carico della finanza
pubblica ed una riduzione della tutela in materia ambientale in via indiretta.
Questi, utilizzando una misura
percentuale, avrebbe solamente stabilito quali rapporti devono sussistere «tra
amministrazione e privato in sede di richiesta di garanzie, ancorando il potere
pubblico ad un parametro significativo e quindi ragionevole».
Infine, con
riguardo all’art. 252, commi 3 e 4,
impugnato dalla ricorrente, in riferimento agli articoli 117 e 118 Cost.,
poiché non prevederebbe un’adeguata partecipazione
regionale ai fini della perimetrazione e
dell’approvazione della bonifica dei progetti dei siti di interesse nazionale,
la difesa erariale ritiene che anche le censure riferite a dette norme
sarebbero non fondate.
Infatti, ferma restando – a parere
dell’Avvocatura – la considerazione che un’intesa forte sarebbe difficile da
attuare concretamente e «foriera di
soluzioni spesso non trasparenti», si dovrebbe anche tener presente che
«se i siti da bonificare sono qualificati d’interesse nazionale, se le risorse
sono esclusivamente statali, l’audizione attenta nell’ambito del procedimento
amministrativo di tutti i soggetti interessati consente il raccordo con la
realtà regionale e locale, lasciando tuttavia la responsabilità unitaria
dell’intervento alla sola autorità chiamata a provvedere».
3.6. – Nel giudizio è intervenuta
l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus, chiedendo, relativamente
agli articoli 240, comma 1, lettera b),
e 242 del d.lgs. n. 152 del 2006, l’accoglimento delle questioni, con
motivazioni sostanzialmente analoghe a quelle svolte dalla ricorrente e
riservandosi di ulteriormente illustrare le ragioni e i contenuti
dell’intervento.
3.7. – In prossimità dell’udienza,
La difesa regionale insiste, altresì,
per l’accoglimento del ricorso proposto, richiamandosi ai motivi di censura
svolti nel medesimo.
3.8. – In prossimità dell’udienza, ha
depositato memoria l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) -
Onlus, relativamente agli articoli 240, comma 1, lettera b), e 242, commi 2, 3, 4,
5 e 7 del d.lgs. n. 152 del 2006, insistendo per l’accoglimento delle
questioni.
4. –
Quanto
all’art. 238 che, come si è detto, disciplina la tariffa per la gestione dei
rifiuti urbani,
Per
4.1. – Anche con riferimento alla
disciplina della bonifica dei siti contaminati
In particolare, a parere della
ricorrente, l’art. 240 introduce una definizione della «messa in sicurezza
operativa» che, anziché consentire un’appropriata organizzazione che contemperi
l’attuazione degli interventi con la prosecuzione dell’attività produttiva
secondo un piano operativo eventualmente concordato, finisce per procrastinare
a tempo indeterminato gli interventi fino a quando l’attività verrà dismessa.
La definizione delle procedure si
presenterebbe estremamente dettagliata con difetti di coordinamento e con una
complessità procedimentale senza alcuna giustificazione finendo in definitiva
per ostacolare un intervento dell’autorità pubblica tempestivo e specifico. Vi
sarebbero inoltre non poche incongruenze in relazione alle disposizioni degli
articoli 244 e 245 ed a quelle della Parte sesta riguardanti le azioni di
prevenzione e di riparazione del danno ambientale.
L’art. 246 è censurato dalla Regione
Piemonte in quanto «prevede incongruamente il ricorso
obbligatorio ad accordi di programma che i soggetti tenuti ad eseguire gli
interventi di bonifica hanno "diritto di stipulare” con l’amministrazione
competente».
Infine
L’esclusione della codeterminazione con
4.2. – Nel giudizio è intervenuta
l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus, concludendo nel senso
dell’accoglimento del ricorso.
4.3. – Sono, altresì, intervenuti nel
giudizio
5. –
5.1. – La ricorrente premette che, contrariamente a
quanto previsto dall’art. 1, comma 9, lettera a), della legge delega n. 308 del 2004, l’art. 238 è venuto a ridisciplinare integralmente la tariffa per la gestione dei
rifiuti urbani, trasformandola anche "concettualmente”.
Infatti, prosegue
Inoltre, «i
criteri generali sulla base dei quali vengono definite le componenti dei costi
e viene determinata la tariffa» sarebbero determinati, al comma 6, da un
regolamento ministeriale da emanarsi «sentita»
Pertanto, la normativa statale e, in primis, la espressa attribuzione di poteri normativi ministeriali, sovraordinati a quelli delle Regioni (già esercitati dalla
Regione ricorrente in base a quanto disposto dalla legge regionale 6 settembre
1999, n. 25, recante «Delimitazione degli ambiti territoriali ottimali e
disciplina delle forme di cooperazione tra gli Enti locali per l’organizzazione
del Servizio idrico integrato e del Servizio di gestione dei rifiuti urbani»),
viola, altresì, la competenza legislativa spettante alle Regioni, ai sensi
dell’art. 117, quarto comma, Cost., «in quanto strettamente correlata alla
disciplina e alla politica dei servizi pubblici locali, nonché il riparto della
potestà regolamentare fissato dall’art. 117, sesto comma».
Il metodo tariffario – prosegue
A riprova del fatto che non si riscontrerebbe alcuna
base costituzionale che consenta allo Stato di avocare a sè
tali determinazioni, la ricorrente ricorda come
Inoltre, sempre secondo la difesa regionale, la
norma denunciata non terrebbe conto del riparto della potestà legislativa fra
Stato e Regioni fissato dall’art. 117, comma quarto, Cost., in materia di
disciplina dei servizi pubblici locali, rientrante nella competenza legislativa
regionale (con conseguente violazione dell’autonomia finanziaria e tributaria
delle regioni, garantita dall’art. 119, commi primo e secondo, Cost.), nonché –
si ribadisce – oltrepasserebbe anche
l’oggetto e i limiti della delega. La disciplina tariffaria del servizio, così ridisciplinata, difatti, non trova fondamento nell’art.
117, secondo comma, lettera s),
Cost., che si occupa della «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni
culturali», non già del regime tariffario di un servizio pubblico.
Infine, il comma 5 del citato articolo, non
garantirebbe l’integrale copertura dei costi del servizio nei primi quattro
anni successivi all’emanazione del regolamento ministeriale; ciò si
rifletterebbe sull’equilibrio finanziario, sul buon andamento e sulla qualità
di servizi essenziali per la collettività.
5.2. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione
Italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia) - Onlus, chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate
dalla ricorrente, ma non svolgendo alcuna deduzione sulla norma qui censurata.
5.3. – In prossimità dell’udienza,
6. –
Con successivo atto depositato in data 28 aprile
2009,
7. –
7.1. – Per quanto riguarda l’art. 238 la
ricorrente censura l’attribuzione al Ministero
dell’Ambiente di competenze attuative, anche mediante poteri regolamentari, in
una materia quale «i servizi pubblici locali»
di competenza propria delle regioni. A tale proposito la ricorrente
richiama le sentenze della Corte costituzionale n. 272 del 2004
e n. 29 del 2006.
Secondo
7.2. –
7.3. – Le
censure della Regione Marche si estendono anche agli articoli 240 e 242 che introdurrebbero
disposizioni in materia di bonifica dei siti inquinati in contrasto con la
normativa comunitaria in materia di rifiuti nonché con i criteri dettati dalla
legge delega.
La nuova normativa, secondo la
ricorrente, comporterebbe, oltre a un minor rigore nella tutela ambientale,
anche una compressione delle attribuzioni regionali in materia di tutela della
salute e di governo del territorio.
In particolare,
In altri termini, l’art. 242 demanderebbe al responsabile dell’inquinamento, previo svolgimento, nelle zone interessate dalla contaminazione, di un’indagine preliminare «sui parametri oggetto dell’inquinamento», la valutazione del superamento o meno delle concentrazioni soglia di contaminazione e, conseguentemente, la valutazione se provvedere al ripristino della zona contaminata, oppure dare immediata notizia al comune ed alle province competenti per territorio con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate.
Secondo
Infine risulterebbero violati anche gli
articoli 117 e 118 della Costituzione, in quanto l’amministrazione competente,
in caso di disaccordo con l’analisi prodotta dal soggetto, sarebbe posta di
fronte alla scelta di procedere d’ufficio alla bonifica del sito, con ben poche
probabilità di recuperare le spese sostenute, anche in via giudiziaria, ovvero
di non procedere alla bonifica, con gravi ripercussioni sul territorio e sulla
tutela della salute dei cittadini.
Considerazioni analoghe varrebbero,
secondo la ricorrente, anche con riferimento all’art. 240, comma 1, lettera b), nella parte in cui prevede che nelle
ipotesi in cui un sito potenzialmente contaminato sia ubicato in un’area
interessata da fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato il
superamento di una o più concentrazioni soglia di contaminazione «queste ultime si assumono pari al valore di fondo esistente
per tutti i parametri superati». Questa specificazione
determinerebbe gravi incertezze sulle modalità di rilevamento dei valori di
fondo e, conseguentemente, sui valori di riferimento, con evidenti gravi
ripercussioni sulla tutela dell’ambiente e della salute e sul governo del
territorio.
7.4. – Il comma 7 dell’art. 242 è oggetto di autonoma censura da parte della Regione Marche in quanto, nel disciplinare le procedure operative ed amministrative per la bonifica dei siti inquinati, prevede un limite massimo, in misura non superiore al cinquanta per cento del costo stimato per l’intervento, per l’entità della garanzia che le Regioni devono chiedere con il provvedimento di autorizzazione alla bonifica ambientale.
Secondo la ricorrente, la previsione di un tale limite costituirebbe una norma di dettaglio incompatibile con le competenze regionali in materia di tutela della salute, governo del territorio e servizi pubblici in violazione degli articoli 11, 76, 117 e 118 Cost., oltre che del principio comunitario «chi inquina paga», dal momento che consentirebbe a chi ha procurato un inquinamento di non garantire in pieno per la bonifica del sito.
In
particolare, risulterebbero violati i principi e criteri direttivi individuati
dall’art. 1, comma 8, lettere e) ed f), della legge delega n. 308 del 2004,
secondo i quali il nuovo testo unico doveva, da un lato dare «piena e coerente attuazione delle direttive
comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela dell’ambiente e di
contribuire in tale modo alla competitività dei sistemi territoriali e delle
imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza»; e,
dall’altro, affermare i «principi
comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e riduzione degli
inquinamenti e dei danni ambientali» e il principio «chi inquina paga».
Il comma 7 dell’art. 242 sarebbe in
contrasto anche con i principi e criteri direttivi di cui alle lettere c)
ed i) del comma 8 dell’art. 1 della
legge delega n. 308 del 2004, secondo i quali la nuova disciplina non avrebbe
dovuto comportare maggiori oneri per la finanza pubblica ed inoltre avrebbe
dovuto assicurare una più efficace tutela in materia ambientale «anche mediante il coordinamento e
l’integrazione della disciplina del sistema sanzionatorio, amministrativo e
penale, fermi restando i limiti di pena e l’entità delle sanzioni
amministrative già stabilite dalla legge».
7.5. – La ricorrente ritiene, infine, che l’art. 252, che disciplina i
siti di interesse nazionale ai fini della bonifica, nei commi 3 e 4, si ponga
in contrasto con gli articoli 117 e 118 Cost. in quanto non prevede l’intesa ai
fini della perimetrazione e dell’approvazione delle
procedure di bonifica, attività che comunque si ripercuotono sulle competenze
costituzionali della Regione in materia di tutela della salute e governo del
territorio. In tal senso
La norma citata per la sua interconnessione con profili e tematiche di competenza regionale contrasterebbe con il principio di leale collaborazione prevedendo un intervento del Ministero dell’ambiente, senza un contestuale coinvolgimento delle Regioni o della conferenza Stato-Regioni, in materie quali «tutela della salute» e «governo del territorio».
7.6. – In prossimità dell’udienza
Considerato in diritto
1. – Le Regioni
Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche, con distinti
ricorsi, rispettivamente contrassegnati con i numeri 68, 69, 70, 73, 74 e 79
del registro ricorsi dell’anno 2006, hanno sollevato, in via principale,
questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni contenute nel
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in
riferimento agli articoli 3, 11, 76, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché
in relazione al principio di leale collaborazione.
In particolare,
Le questioni
concernenti le norme impugnate possono essere suddivise in quattro gruppi: il
primo, relativo agli articoli da
Con riferimento al
ricorso proposto dalla Regione Toscana, si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura
generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità e, comunque, per
l’infondatezza delle censure.
Con riferimento al
medesimo ricorso, nonchè a quello proposto dalle
Regioni Piemonte ed Emilia-Romagna, è, altresì, intervenuta in giudizio
Infine, riguardo al
solo ricorso della Regione Piemonte sono intervenute, chiedendone il rigetto,
2. – Stante la
connessione esistente tra i predetti ricorsi, i relativi giudizi possono essere
riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia, la quale avrà ad oggetto
esclusivamente le questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni
legislative sopra indicate, essendo riservata ad altre decisioni la valutazione
delle restanti questioni sollevate coi medesimi ricorsi dalle sopraindicate
Regioni.
2.1. – Deve,
preliminarmente, darsi atto che questa Corte con la sentenza n. 225 del
2009 ha ritenuto in parte inammissibili ed in parte non fondate le questioni
di legittimità costituzionale sollevate dalle ricordate Regioni con i ricorsi
ora in esame nei riguardi dell’intero testo del d.lgs
n. 152 del 2006.
Deve, inoltre, in
questa sede ribadirsi l’inammissibilità degli interventi spiegati, già
dichiarata da questa Corte con la citata sentenza n. 225 del
2009, poiché, come da sua costante giurisprudenza, nei giudizi di
legittimità costituzionale in via principale, non è ammissibile l’intervento di
soggetti non titolari di potestà legislativa, «fermi restando per i soggetti
privi di tale potestà i mezzi di tutela delle loro posizioni soggettive, anche
costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente
anche di fronte a questa Corte in via incidentale» (da ultimo sentenza n. 405 del
2008).
2.2. – Sempre
preliminarmente, deve, altresì, darsi atto che
La mancata
costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri rende non necessaria
l’accettazione della rinuncia, sicché, limitatamente a quanto dedotto dalla
Regione Liguria, può immediatamente dichiararsi la estinzione del
processo.
2.3. – Infine,
riguardo ai profili di carattere preliminare, deve darsi atto che, salvo quanto
successivamente si preciserà relativamente alla impugnazione dell’art. 235 del
d.lgs. n. 152 del 2006, le modifiche normative apportate, successivamente alla
proposizione dei singoli ricorsi, al testo delle disposizioni impugnate a
seguito della entrata in vigore dei relativi decreti legislativi correttivi,
non hanno comportato alcun effetto sui presenti giudizi, stante la loro
assoluta marginalità ed avendo le Regioni, ad esclusione della Liguria,
dichiarato di insistere nelle rispettive conclusioni.
3. – Passando ad
esaminare le censure formulate riguardo al primo gruppo di norme, avente ad
oggetto la disciplina della gestione degli imballaggi e dei rifiuti di
imballaggio, questa Corte osserva che
3.1. – In particolare,
La censura non è
fondata.
La giurisprudenza di
questa Corte, infatti, già ha più volte chiarito che le tematiche afferenti al
rispetto delle procedure di leale collaborazione esulano dalla materia relativa
al procedimento di produzione normativa di rango primario (fra le ultime,
sentenze n. 371
e n. 222 del
2008 e n.
401 del 2007).
3.2. – Quanto alle
censure riferite a norme specifiche,
La censura, data la
sua genericità, è inammissibile.
3.3. – Parimenti
inammissibili sono le censure mosse dalla Regione all’art. 222 del d.lgs. n.
152 del 2006, il quale prevede quali siano gli obblighi delle pubbliche
amministrazioni in tema di raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio.
Secondo
Anche in questo caso
la genericità delle due censure – dato che non è stata indicata la materia cui
specificamente assegnare la disciplina impugnata né è stato chiarito in che
modo sarebbe violata la competenza regionale – impedisce che possa avere
ingresso lo scrutinio di merito dovendo essere esclusa la loro ammissibilità.
3.4. – Analoga
conclusione vale per ciò che concerne il successivo art. 223 del d.lgs. n. 152;
infatti, anche in questo caso, la censura formulata dalla Regione Calabria –
secondo la quale la disposizione, che disciplina i consorzi nazionali per il
recupero e il riciclo degli imballaggi cui partecipano anche i produttori degli
imballaggi stessi, sarebbe caratterizzata dall’essere eccessivamente minuziosa
e tale da non essere riconducibile all’ipotesi della fissazione di un livello
uniforme – è eccessivamente generica, non essendo né indicata la materia alla
quale attribuire la normativa impugnata né chiarito in che cosa consisterebbe
la dedotta violazione della competenza regionale.
3.5. –
In base alla prima,
esso, in quanto prevede che i consorzi per il recupero ed il riciclo degli
imballaggi siano strutturati su base nazionale, sarebbe in contrasto col
principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, primo comma, Cost., poiché,
data la struttura nazionale dei detti consorzi e il fatto che il loro statuto
debba essere approvato dal Ministro dell’ambiente sulla base di uno schema
predisposto di concerto con quello delle attività produttive, rimarrebbero
prive di considerazione e del tutto ignorate le «istanze regionali». In base
alla seconda censura, la previsione della struttura nazionale dei ricordati
consorzi violerebbe l’art. 76 Cost., dato il mancato rispetto di quanto
previsto in sede di conferimento di delega legislativa, poichè
l’art. 1 della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il
riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia
ambientale e misure di diretta applicazione), impone al legislatore delegato di
conformarsi al contenuto del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di
funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali,
in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59). Quest’ultimo, a sua
volta, prevede il rispetto di quanto contenuto nel decreto legislativo 5
febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della
direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli
imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), che, nel disciplinare i consorzi in
materia di imballaggi, non ne imporrebbe la dimensione nazionale.
Tali censure non sono
fondate.
Quanto alla prima,
deve osservarsi che è ragionevole e non in contrasto con l’art. 118, primo
comma, Cost. – il quale prevede, tra l’altro, che, al fine di assicurarne
l’esercizio unitario, le funzioni amministrative possano essere conferite allo
Stato – che quest’ultimo, in una materia che è specificamente assegnata alla
sua competenza legislativa esclusiva in tema di «tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema», abbia riservato ad organi centrali sia la predisposizione di
uno schema di statuto tipo sia il controllo sul rispetto di tale schema, ed
abbia, altresì, previsto, onde evitare una parcellizzazione di competenze sul
territorio, che ritiene inutile e potenzialmente controproducente, che i
ricordati consorzi operino su tutto il territorio nazionale.
Nel caso in esame,
quindi, la scelta di attribuire a consorzi nazionali «le funzioni
amministrative trova una non implausibile
giustificazione nell’esigenza di assicurare che l’esercizio dei compiti […]
risponda a criteri di uniformità e unitarietà, atteso che il livello di tutela
ambientale non può variare da zona a zona e considerato anche il carattere
diffusivo e transfrontaliero dei problemi ecologici, in ragione del quale gli
effetti del danno ambientale sono difficilmente circoscrivibili entro un preciso
e limitato ambito territoriale» (sentenza n. 235 del
2009).
Quanto alla seconda
censura, a prescindere da quanto ritenuto da questa Corte con la citata sentenza n. 225 del
2009, in ordine alla stessa applicabilità dei contenuti di tale decreto
legislativo come criteri direttivi della delega prevista dalla legge n. 308 del
2004, si osserva che l’art. 40 del d.lgs. n. 22 del 1997 – disposizione il cui
contenuto, secondo
3.6. – Non fondate
sono anche le due censure mosse dalla Regione Calabria all’art. 224 del d.lgs.
n. 152 del 2006, il quale reca la disciplina del Consorzio nazionale
imballaggi.
Secondo la ricorrente
Regione, infatti, la concentrazione in tale Consorzio di tutte le funzioni
elencate nelle lettere da a) ad m) del comma 3 del predetto art. 224 si
porrebbe in contrasto con il principio di sussidiarietà, dovendosi riconoscere
che, essendo il livello di governo regionale quello «maggiormente rispondente»
al proficuo esercizio della attività di gestione delle ricordate funzioni, il
Consorzio nazionale dovrebbe essere affiancato da Consorzi regionali. In via
subordinata, la disposizione sarebbe, comunque, illegittima nella parte in cui,
nuovamente in violazione del principio di sussidiarietà, non consente alle
Regioni di creare propri Consorzi, i quali esercitino le funzioni che possono
essere svolte a livello regionale.
Anche in questo caso
deve osservarsi che la disciplina ora in esame, per la quale nell’ambito
legislativo deve riconoscersi la competenza esclusiva statale in materia di
«tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», consente di rinvenire, per le ragioni
già precedentemente esposte, quelle esigenze che, in puntuale attuazione delle
regole della sussidiarietà, giustificano il conferimento anche delle funzioni
amministrative al livello statale, per assicurarne l’esercizio coordinato e
unitario.
4. – Per ciò che
concerne il secondo gruppo di norme, deve evidenziarsi che le censure
riguardanti gli articoli 233, 234 e 236 del d.lgs. n. 152 del 2006 – aventi ad
oggetto la costituzione, già parzialmente disciplinata dallo stesso d.lgs. n.
22 del 1997 agli articoli 47 e 48, di Consorzi nazionali per la raccolta ed il
trattamento di alcune categorie particolari di rifiuti – stante la loro
sostanziale omogeneità, possono essere congiuntamente trattate.
4.1. –
Analogamente a quanto
osservato in merito alla previsione normativa avente ad oggetto il Consorzio
nazionale imballaggi, questa Corte rileva che la disciplina in esame, per la
quale nell’ambito legislativo deve riconoscersi la competenza esclusiva
statale, consente di rinvenire ancora una volta quelle esigenze che, in
puntuale attuazione delle regole della sussidiarietà, giustificano il
conferimento anche delle funzioni amministrative al livello statale, per
assicurarne l’esercizio coordinato e unitario.
A tale proposito è il
caso di osservare che, mentre il legislatore del d.lgs. n. 152 del 2006, pur
affermando la necessaria dimensione nazionale dei Consorzi in discorso, aveva
previsto che gli operatori della rispettiva filiera produttiva potessero
costituire «uno o più consorzi» per ciascuna delle diverse tipologie di rifiuti
indicati dalle predette disposizioni legislative, in sede di adozione del
decreto legislativo "correttivo” n. 4 del 2008 – proprio al fine di meglio
tutelare le esigenze di coordinamento che stanno alla base della scelta della
dimensione nazionale dei detti Consorzi – ha espunto la facoltà di costituzione
di una pluralità di Consorzi, prevedendo, invece, che, per ciascuna delle
categorie di rifiuti, così come accorpate dagli articoli 233, 234 e 236 del
d.lgs. n. 152 del 2006, sia costituito un solo Consorzio nazionale.
4.2. – Discorso
diverso, invece, va fatto per ciò che concerne la impugnazione dell’art. 235
del d.lgs. n. 152 del 2006: tale norma che, con contenuti sostanzialmente
identici a quelli degli articoli 233, 234 e 236, dettava la disciplina dei
Consorzi nazionali per la raccolta ed il trattamento delle batterie al piombo e
dei rifiuti piombosi, è stata espressamente abrogata dall’art. 29, comma 1,
lettera f), del decreto legislativo
20 novembre 2008, n. 188 (Attuazione della direttiva 2006/66/CE concernente
pile, accumulatori e relativi rifiuti e che abroga la direttiva 91/157/CEE). Di
ciò dà formalmente atto la ricorrente Regione Calabria, la quale, ponendo in
luce i diversi effetti di questa sopravvenienza normativa rispetto a quelli
che, in maniera decisamente più marginale, hanno interessato gli articoli 233,
234 e
Limitatamente, perciò,
alla questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 235 del d.lgs.
n. 152 del 2006, poiché tale norma è stata espressamente abrogata
successivamente alla proposizione del ricorso della Regione Calabria e poiché
non risulta che la stessa abbia avuto applicazione, deve essere dichiarata
cessata la materia del contendere.
5. – Il terzo gruppo
di questioni è sollevato, come detto, da tutte le ricorrenti, le quali hanno
impugnato l’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006 che disciplina la tariffa per
la gestione dei rifiuti solidi urbani.
5.1. –
5.2. –
5.3. – L’art. 238 è
impugnato anche dalla Regione Piemonte, che lamenta la violazione dell’art. 76
Cost. in quanto la norma sarebbe in contrasto con il principio e il criterio
direttivo fissato dall’art. 1, comma 9, lettera a), della legge delega n.
308 del 2004, secondo il quale si deve «assicurare una maggiore certezza della
riscossione della tariffa sui rifiuti urbani anche mediante una più razionale
definizione dell’istituto».
Secondo
Inoltre, risulterebbe
violato anche il principio comunitario «chi inquina paga», contenuto nel
trattato istitutivo della Comunità europea e nella direttiva 75/442/CEE, perché
alcuni indici, quali l’attribuzione della giurisdizione al giudice tributario
(art. 3-bis della legge n. 248 del
2005), l’introduzione di indicatori sganciati dalla mera produzione dei rifiuti
e l’inserimento di un richiamo ad indici reddituali, evidenzierebbero la natura
tributaria della tariffa, con una sensibile divaricazione tra il quantum pagato e il grado di fruizione
del servizio pubblico, con l’ulteriore conseguenza di accentuare la difficoltà
degli enti regionali e locali nella programmazione e gestione dei servizi in
relazione al finanziamento degli stessi.
5.4. – Analoghe
censure vengono svolte dalla Regione Emilia Romagna secondo la quale l’art. 238
violerebbe l’art. 76 Cost., in
quanto – abrogando la precedente
disciplina contenuta nel cosiddetto «decreto Ronchi» e stabilendo che la «tassa»
sui rifiuti sia ora «commisurata su indici quali l’estensione dei locali
detenuti e indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali»
(comma 2), anziché sul parametro della effettiva produzione dei rifiuti,
secondo il principio comunitario «chi inquina paga» – eccederebbe i limiti della delega (ex art. 1, comma 9, lettera a, della legge delega n. 308 del 2004).
A parere della Regione
Emilia-Romagna, la norma in esame violerebbe anche gli articoli 117, quarto e
sesto comma, e 119, primo e secondo comma, Cost., nella parte in cui stabilisce
che «i criteri generali sulla base dei quali vengono definite le componenti dei
costi e viene determinata la tariffa» (comma 5) siano determinati da un
regolamento ministeriale da emanarsi «sentita»
5.5. – L’art. 238,
infine, è censurato anche dalla Regione Marche perché, nel disciplinare la
tariffa per la gestione dei rifiuti urbani e le competenze attuative mediante
poteri regolamentari attribuiti al Ministro dell’ambiente, violerebbe l’art.
117, quarto comma, Cost., che riserva alle Regioni la disciplina dei servizi
pubblici locali, e l’art. 119, primo e secondo comma, Cost., che garantisce
l’autonomia finanziaria e tributaria delle Regioni incidendo «su un’entrata la
cui disciplina ricade nella competenza regionale».
6. – La questione
sollevata dalla Regione Emilia-Romagna relativamente ai commi 5 e 6 dell’art.
238 del d.lgs. 152 del 2006 è inammissibile.
Nella delibera della
Giunta, infatti, viene censurato l’art. 238 limitatamente ai commi 1 e 2.
Per giurisprudenza
costante di questa Corte, la mancata corrispondenza tra le norme impugnate con
il ricorso e quelle oggetto della delibera di autorizzazione all’impugnazione
ne determina l’inammissibilità (sentenza n. 387 del
2008; sentenze nn. 64 e 275 del 2007).
7. – Le restanti
censure – sollevate dalle Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna e
Marche – relative all’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006 che disciplina, come
si è detto, la nuova tariffa per la gestione dei rifiuti solidi urbani, in sostituzione
della tariffa di igiene ambientale di cui all’art. 49 del d.lgs. n. 22 del
1997, non sono fondate.
7.1. – La prima delle
censure innanzi riportate, relativa alla asserita violazione dell’art. 76
Cost., per avere il Governo adottato in sede di decretazione legislativa
delegata una disciplina innovativa e non meramente ricognitiva, come avrebbe
imposto la legge delega, non è fondata.
Con altra pronuncia di
questa Corte (n. 225 del 2009) si è già precisato che il comma 1 dell’art. 1
della legge n. 308 del 2004 attribuiva al legislatore delegato, tramite gli emanandi decreti legislativi, non solo il compito di
procedere al «coordinamento» delle previgenti disposizioni, ma anche quello di
provvedere al «riordino» e all’«integrazione» della normativa relativa ai
settori elencati nello stesso comma 1. L’uso dei termini «riordino» e
«integrazione» è sufficiente a consentire l’attuazione di interventi innovativi
e non di sola ricognizione (vedi sentenza n. 225 del
2009).
La volontà del
legislatore delegante di innovare la disciplina preesistente è, peraltro,
confermata anche dalla lettura dei princìpi e criteri
direttivi indicati nei successivi commi 8 e 9 dello stesso art. 1 della legge
n. 308 del 2004, molti dei quali, implicitamente o esplicitamente,
presuppongono o impongono la modifica sostanziale della normativa ambientale
all’epoca vigente.
Con riferimento alla
disciplina della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, deve aggiungersi
che essa, oltretutto, costituisce attuazione diretta dell’art. 1, comma 9,
lettera a), della legge delega n. 308
del 2004 che prevede, tra i princìpi e criteri
specifici della delega stessa, quello di «assicurare una maggiore certezza
della riscossione della tariffa sui rifiuti urbani, anche mediante una più
razionale definizione dell’istituto». Essa è anche in linea con gli altri
principi e criteri specifici quali «assicurare un’efficace azione per
l’ottimizzazione quantitativa e qualitativa della produzione dei rifiuti,
finalizzata, comunque, a ridurne la quantità e la pericolosità; […]
razionalizzare il sistema di raccolta e di smaltimento dei rifiuti solidi
urbani, mediante la definizione di ambiti territoriali di adeguate dimensioni
all’interno dei quali siano garantiti la costituzione del soggetto
amministrativo competente, il graduale passaggio allo smaltimento secondo forme
diverse dalla discarica e la gestione affidata tramite procedure di evidenza
pubblica».
7.2. – La questione
relativa alla rivendicazione della competenza legislativa delle Regioni a
regolamentare la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani non è fondata.
Deve, innanzitutto,
tenersi presente che l’art. 238 del Codice dell’ambiente detta una disciplina
che, pur mantenendo in parte il contenuto della normativa relativa alla tariffa
di cui all’art. 49 del "decreto Ronchi”, presenta caratteristiche parzialmente
diverse.
A fronte
dell’affermazione esplicita del legislatore delegato che, all’art.
È opportuno, al
riguardo, evidenziare che solo con la recente sentenza n. 238 del
2009 si è posto fine alla
incertezza interpretativa sulla natura della "tariffa” di cui all’art. 49 del
"decreto Ronchi”, chiarendone, alla luce delle risultanze cui
In questa sede, deve
sottolinearsi che, a prescindere dalla qualificazione da riconoscersi alla
nuova tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, la relativa disciplina è
comunque ascrivibile alla competenza esclusiva dello Stato. Infatti, tanto se
la si qualifichi come corrispettivo per il servizio reso, quanto se la si
ritenga un’imposizione di tipo tributario, non è possibile ricondurla ad alcun
titolo competenziale regionale.
Invero, qualora si
volesse attribuire alla tariffa natura di corrispettivo del servizio di
gestione dei rifiuti solidi urbani, l’art. 238 sarebbe inquadrabile nelle
materie ordinamento civile, tutela della concorrenza e tutela dell’ambiente,
tutte rientranti nella competenza legislativa esclusiva dello Stato.
A tale proposito,
questa Corte ha già affermato che la determinazione delle tariffe dei servizi
pubblici affidati in concessione, «allorchè si renda
necessario intervenire sui meccanismi contrattuali tra concessionario, da un
lato, e imprese e utenti, dall’altro, ponendo limiti all’autonomia
contrattuale», rientra nella materia dell’ordinamento civile (sentenza n. 51 del
2008). A ciò si aggiunga che la disciplina della tariffa presenta anche,
come si è avuto modo di sottolineare nella citata sentenza, aspetti relativi
alla tutela della concorrenza, perché alla sua determinazione provvede
l’Autorità d’ambito, con la finalità di ottenere un equilibrio
economico-finanziario della gestione del servizio e di assicurare all’utenza
efficienza ed affidabilità. Tale affermazione è ulteriormente confermata
dall’art. 1, comma 9, lettera a), della legge n. 308 del 2004 che, come
già dianzi osservato, pone tra i
principi e criteri specifici della delega quelli di attuare «il graduale
passaggio allo smaltimento secondo forme diverse dalla discarica e la gestione
affidata tramite procedure di evidenza pubblica; […nonché quelli di…]
assicurare tempi certi per il ricorso a procedure concorrenziali come previste
dalle normative comunitarie e nazionali e definire termini certi per la durata
dei contratti di affidamento delle attività di gestione dei rifiuti urbani».
Qualora, invece, si
volesse qualificare la tariffa in esame come tributo, anche in questo caso si
dovrebbe riconoscere la competenza esclusiva dello Stato, e, conseguentemente,
l’impossibilità delle regioni di interferire con la legge statale che tale
tariffa ha istituito.
Il sistema finanziario
e tributario degli enti locali è oggetto delle disposizioni dell’art. 119 della
Costituzione, come novellato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). Peraltro, questa Corte ha già affermato che, fino
all’attuazione da parte del legislatore statale del nuovo disegno
costituzionale, si deve ritenere preclusa alle Regioni «la potestà di legiferare sui tributi
esistenti istituiti e regolati da leggi statali e per converso si deve ritenere
tuttora spettante al legislatore statale la potestà di dettare norme
modificative anche nel dettaglio della disciplina dei tributi locali esistenti»
(sentenza n. 37
del 2004).
È opportuno precisare
che le sopraindicate conclusioni non vengono ad essere modificate dalla recente
approvazione della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di
federalismo fiscale in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), posto
che la citata normativa fissa principi e criteri direttivi che per mutare
l’attuale impalcatura del sistema tributario hanno necessità di essere attuati
attraverso un articolato percorso normativo che nella legge delega trova il suo
fondamento.
Va osservato, infine,
che la disciplina in esame rientra anche nella materia tutela dell’ambiente di
cui all’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost., in quanto la determinazione della tariffa si inserisce in un complesso
assetto normativo diretto, come si evince dalla stessa legge delega, ad
«assicurare un’efficace azione per l’ottimizzazione quantitativa e qualitativa
della produzione dei rifiuti, finalizzata, comunque, a ridurne la quantità e la
pericolosità», ed a «promuovere il riciclo e il riuso dei rifiuti, anche
utilizzando le migliori tecniche di differenziazione e di selezione degli
stessi», «promuovere la specializzazione tecnologica delle operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti
speciali, al fine di assicurare la complessiva autosufficienza a livello
nazionale»; «assicurare tempi certi per il ricorso a procedure concorrenziali
come previste dalle normative comunitarie e nazionali e definire termini certi
per la durata dei contratti di affidamento delle attività di gestione dei
rifiuti urbani» (art. 1, comma 9, lettera a,
della legge delega n. 308 del 2004).
7.3. – Le questioni
relative alla violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., sollevate perché
l’art. 238, pur in presenza dei molteplici titoli competenziali
concernenti la gestione dei rifiuti, assegna alla Stato una potestà
regolamentare, nonché per la violazione del principio di leale collaborazione,
in quanto per l’emanazione del regolamento non è prevista l’intesa con
Stante
l’individuazione delle sopraindicate materie di competenza esclusiva statale
tanto se si attribuisca alla tariffa la natura di corrispettivo quanto se le si
riconosca la natura di tributo, spetta comunque allo Stato anche il potere
regolamentare. Pertanto la forma di collaborazione individuata dal comma 6
dell’art. 238, che prevede che sia sentita
7.4. – Infine, in
riferimento alla violazione del principio comunitario «chi inquina paga», deve
escludersi che da tale principio possa desumersi il divieto per gli Stati
membri di istituire un tributo per la gestione dei rifiuti urbani o la
preclusione di predisporre dei criteri di determinazione della tariffa che
tengano conto anche dei parametri relativi all’estensione dei locali detenuti o
agli indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali.
8. – Il quarto gruppo
di norme censurate riguarda il titolo V della Parte quarta del d.lgs. n. 152
del 2006 che disciplina la bonifica dei siti contaminati.
8.1. – In particolare,
In via subordinata,
Le citate
disposizioni, a parere della Regione, violerebbero l’art. 117 Cost. in quanto,
nella diversità dei titoli competenziali interessati,
sarebbe prevalente la materia "governo del territorio” dal momento che il
ripristino delle condizioni di salubrità dei siti si configura come attività
qualificante del governo del suolo, del sottosuolo e delle acque.
In via ulteriormente
subordinata, gli articoli 242, 244, 245, 248, e 249 del d.lgs. n. 152 del 2006,
dato il loro carattere di norme di dettaglio, sarebbero in contrasto con l’art.
117 Cost., sussistendo una concorrenza di materie in senso stretto e non essendo
possibile individuare una materia prevalente di competenza esclusiva dello
Stato.
Infine,
8.2. –
Secondo quest’ultima
ricorrente, le norme citate, che disciplinano le procedure amministrative ed
operative per la bonifica dei siti inquinati, demanderebbero, in caso di
contaminazione di un sito, alla discrezionalità dell’inquinatore l’obbligo di
bonifica, rimettendo alla sua volontà la scelta della procedura più adatta al
caso di specie, in violazione dei principi e criteri direttivi fissati dall’art.
1, comma 8, lettere b), e), f),
ed h), della legge delega n. 308 del
2004, nonché del principio comunitario «chi inquina paga».
Infine, è impugnato l’art. 252, commi 3 e 4, del
citato d.lgs. n. 152 del 2006, il quale disciplina i cosiddetti «siti di
interesse nazionale» ai fini della bonifica, in quanto esso non prevede
un’adeguata partecipazione regionale nella fase della perimetrazione
e dell’approvazione dei progetti per la bonifica di tali siti.
8.3. –
Inoltre, a parere
della ricorrente e con riferimento all’art. 246, sarebbe del tutto incongruo
prevedere il ricorso obbligatorio ad accordi di programma che i soggetti tenuti
ad eseguire gli interventi di bonifica hanno «diritto di stipulare» con
l’amministrazione competente.
8.4. –
Secondo
L’art. 242, commi 2, 3, 4 e 5, è, poi, impugnato dalla Regione Marche nella
parte in cui subordina l’obbligo di bonifica, per il soggetto inquinatore, alla
procedura di analisi del rischio che sarebbe ancorata a parametri del tutto
incerti e non oggettivi, per violazione degli articoli 11, 76, 117 e 118 Cost.
Secondo
In particolare, la
disposizione impugnata costituirebbe una «norma di dettaglio incompatibile con
le competenze regionali» in materia di tutela della salute, di governo del
territorio e di disciplina dei servizi pubblici e si porrebbe in contrasto con
i principi e criteri direttivi individuati dall’art. 1, comma 8, lettere e) ed f), della legge delega n. 308 del 2004, dal momento che
consentirebbe a chi ha procurato un inquinamento di non garantire in pieno la
bonifica del sito, nonché contrasterebbe con i principi e criteri direttivi di cui alle lettere c) ed i)
del comma 8 dell’art. 1 della legge delega n. 308 del 2004, secondo i quali la nuova disciplina non avrebbe
dovuto comportare maggiori oneri per la finanza pubblica ed, inoltre, avrebbe
dovuto assicurare una più efficace tutela in materia ambientale.
La
ricorrente impugna anche l’art. 252, commi 3 e 4, del d.lgs. n.
152 del
9. – Preliminarmente
devono dichiararsi inammissibili, per genericità, le censure svolte dalla
Regione Calabria, in via subordinata, in riferimento all’art. 117 Cost.,
relativamente agli articoli da
Le ricorrenti avrebbero dovuto indicare con precisione quali delle
disposizioni contenute negli articoli censurati ritenessero lesive delle
proprie prerogative, stante anche il loro contenuto non omogeneo, e avrebbero dovuto esporre in modo più analitico
le ragioni dell’impugnazione non limitandosi a invocare genericamente la
lesione dei parametri evocati.
9.1. – Le questioni
sollevate dalla Regione Marche in relazione agli articoli 240, comma 1, lettera
b), e all’art. 241 sono inammissibili.
La prima delle censure
è del tutto generica, limitandosi
La seconda censura
relativa all’art. 241, che disciplina la bonifica delle aree destinate alla
produzione agricola e all’allevamento, è inammissibile perché il petitum è oscuro
e incerto. Dal tenore della censura sembrerebbe ricavarsi la volontà della
Regione di ottenere l’immediata applicabilità della disciplina della bonifica
anche ai siti contaminati a destinazione agricola senza attendere l’emanazione
del regolamento. Tuttavia la ricorrente non chiarisce perché il rinvio,
effettuato dalla disposizione, alla potestà regolamentare del Governo (in
materia di competenza legislativa esclusiva statale) violerebbe le proprie
competenze costituzionalmente garantite.
9.2. – Sempre in via
preliminare, si deve evidenziare che le norme oggetto della presente
impugnazione, ad eccezione dell’art. 242, comma 4, non hanno subito
modificazioni a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 4 del 2008. La
modifica dell’art. 242, comma 4, intervenuta ad opera dell’art. 2, comma 43-bis, del d.lgs. n. 4 del 2008, è del
tutto ininfluente ai fini del presente ricorso.
9.3. – La censura
formulata dalla Regione Calabria, relativamente all’art. 241 del d.lgs. n. 152
del 2006 è fondata, limitatamente al profilo relativo alla dedotta violazione
del principio di leale collaborazione.
Osserva, infatti, questa
Corte che, sebbene – come meglio si dirà in seguito – la materia della bonifica
dei siti contaminati è da collocarsi, come si è anche di recente deciso, nella
tematica relativa alla «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», materia questa
di esclusiva competenza statale, non può disconoscersi che, con riferimento
alla bonifica delle aree adibite alla produzione agricola o all’allevamento del
bestiame, lo stesso legislatore nazionale abbia riconosciuto la peculiarità dei
siti in questione, dando rilevanza, proprio con la previsione di una normativa
differenziata, alla specifica destinazione delle suddette aree. In tal senso si
giustifica anche il coinvolgimento, nella emanazione del regolamento relativo
agli interventi nelle indicate aree, sia del Ministro delle attività produttive
che di quello delle politiche agricole e forestali, chiamati ad esprimere il
"concerto”.
Dato che, nel
delineare il procedimento volto alla adozione del regolamento de quo, si è ritenuto opportuno
valorizzare le implicazioni che la bonifica di tali siti ha con la materia
dell’agricoltura, appare certamente in contrasto col principio di leale
collaborazione avere escluso nelle fasi del citato procedimento l’apporto
partecipativo delle Regioni, cioè di quei soggetti che, rientrando la relativa
materia nella loro competenza legislativa residuale, sono dotati di specifiche
attribuzioni, costituzionalmente tutelate, in tema di agricoltura e zootecnia.
Ritiene questa Corte
che adeguato strumento di coinvolgimento di tali istituzioni sia quello di
prevedere che il regolamento in questione sia emanato dal Ministro
dell’ambiente non soltanto di concerto con quelli delle attività produttive e
delle politiche agricole e forestali, ma anche sentita
9.4. – Le restanti
censure non sono fondate.
Quanto alla violazione
dell’art. 76 Cost. da parte degli articoli da
Questa Corte ha già
inquadrato la disciplina della bonifica dei siti contaminati nell’ambito della
materia tutela dell’ambiente di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (sentenza n. 214 del
2008). Ne consegue che le norme in esame rientrano nella competenza
legislativa esclusiva dello Stato al quale spetta, anche con disposizioni di dettaglio e anche in sede
regolamentare, disciplinare le procedure amministrative dirette alla
prevenzione, riparazione e bonifica dei siti contaminati.
Devono pertanto ritenersi infondate le rivendicazioni delle Regioni di
propri ambiti di competenza in relazione al governo del territorio e alla
tutela della salute, così come la rivendicazione del potere regolamentare in
materia.
9.5. – Le censure
relative all’art. 242, commi 2, 3, 4, e 5, svolte dalle Regioni Marche e
Toscana non sono fondate.
Le ricorrenti compiono
una errata ricostruzione della
disciplina introdotta dalle norme in oggetto dalla quale fanno discendere un
potere discrezionale del soggetto inquinatore. In realtà l’art. 242, che
modifica il precedente art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997, introduce un complesso iter diretto a porre in capo al soggetto inquinatore l’obbligo di
procedere alla bonifica del sito contaminato.
Tale procedimento è scandito da una prima fase che ha inizio al
verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare un
sito, allorchè il responsabile dell’inquinamento deve
mettere in opera, entro ventiquattro ore, le misure necessarie di prevenzione e
deve darne immediata comunicazione, ai sensi e con le modalità di cui all’art.
304, comma 2, alle amministrazioni competenti.
Questo primo momento è necessariamente rimesso alla volontà del
responsabile dell’inquinamento perché nell’immediatezza del verificarsi
dell’evento potenzialmente lesivo egli è l’unico soggetto che certamente ne è a
conoscenza. A questo proposito è bene ricordare che il legislatore ha
sanzionato penalmente l’omessa comunicazione del verificarsi dell’evento
potenzialmente lesivo da parte del soggetto responsabile (art. 257). In ogni
caso, in mancanza della comunicazione, la contaminazione dovrà emergere
mediante l’attività di vigilanza e controllo delle amministrazioni competenti.
Il pieno coinvolgimento delle amministrazioni competenti risulta in modo
ancora più significativo nella fase successiva, in cui è previsto che esse
controllino e verifichino l’attività del soggetto responsabile. Infatti, nella
seconda fase, l’art. 242 prevede che il responsabile dell’inquinamento, attuate
le necessarie misure di prevenzione, svolga, nelle zone interessate dalla
contaminazione, un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento
e, ove accerti che il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione
(CSC) non sia stato superato, provveda al ripristino della zona contaminata,
dandone notizia, con apposita autocertificazione, al Comune ed alla Provincia
competenti per territorio entro quarantotto ore. Tale attività di autocertificazione è sottoposta alla
verifica e al controllo degli enti
locali competenti entro il ristretto termine di quindici giorni.
Qualora il livello
delle concentrazioni soglia di
contaminazione risulti invece superato, il responsabile dell’inquinamento deve
immediatamente informare il Comune e
Tutte le successive fasi della procedura di bonifica devono essere
approvate dalla Regione. Il piano di caratterizzazione deve essere presentato,
nei successivi trenta giorni, alle amministrazioni, nonchè
alla Regione territorialmente competente e, nei trenta giorni successivi,
Entro sei mesi
dall’approvazione del piano di caratterizzazione, il soggetto responsabile
presenta alla Regione i risultati dell’analisi di rischio. La conferenza di
servizi, convocata dalla Regione a seguito dell’istruttoria svolta in
contraddittorio con il soggetto responsabile – cui è dato un preavviso di
almeno venti giorni – «approva il documento di analisi di rischio entro i
sessanta giorni dalla ricezione dello stesso».
Se gli esiti
dell’analisi di rischio sono positivi, in quanto dimostrano che la
concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è inferiore alle
concentrazioni soglia di rischio, la conferenza dei servizi, con l’approvazione
del documento dell’analisi del rischio, dichiara concluso positivamente il
procedimento. In tal caso, la conferenza di servizi può prescrivere lo svolgimento
di un programma di monitoraggio sul sito circa la stabilizzazione della
situazione in relazione agli esiti dell’analisi di rischio e all’attuale
destinazione d’uso del sito. A tal fine, il soggetto responsabile, entro
sessanta giorni dall’approvazione di cui sopra, invia alla Provincia e alla
Regione competenti per territorio un piano di monitoraggio nel quale sono
individuati i parametri da sottoporre a controllo, nonchè
la frequenza e la durata del monitoraggio.
Se invece sono
superate le soglie di concentrazione di rischio, il soggetto responsabile
sottopone alla Regione, nei successivi sei mesi dall’approvazione del documento
di analisi di rischio, il progetto degli interventi di bonifica o di messa in
sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, le ulteriori misure di
riparazione e di ripristino ambientale.
La procedura ora
descritta rende palese l’erroneità del presupposto interpretativo delle
ricorrenti, secondo il quale il responsabile dell’inquinamento può influire
sull’esito dell’analisi di rischio e impedire l’avvio della procedura di
bonifica. È, anche in questo caso, opportuno sottolineare che l’art. 257
sanziona penalmente il soggetto che cagiona l’inquinamento «se non provvede
alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente
nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti».
Inoltre, è altrettanto
evidente che non vi è alcuna violazione dei principi e criteri direttivi
contenuti alle lettere b) e h) del comma 8 dell’art. 1 della legge
delega n. 308 del 2004 relativi al perseguimento «di maggiore efficienza e
tempestività dei controlli ambientali», nonché alla «previsione di misure che
assicurino l’efficacia dei controlli e dei monitoraggi ambientali».
9.6. – Parimenti
infondate sono le censure dalle Regioni Toscana e Marche rivolte all’art. 242,
comma 7, nella parte in cui prevede un limite massimo, pari al cinquanta per
cento del costo dell’intervento, per ciò che riguarda le garanzie finanziarie
che devono essere prestate in favore della Regione per la corretta esecuzione
ed il completamento degli interventi di bonifica al momento dell’approvazione
del relativo progetto.
Dovendosi inquadrare
la disciplina in esame nell’ambito della competenza legislativa esclusiva dello
Stato in materia di tutela dell’ambiente di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost. (sentenza n. 214 del
2008), ben può il legislatore statale prevedere un limite massimo della
garanzia finanziaria che le Regioni possono chiedere al responsabile
dell’inquinamento, trattandosi di un livello uniforme di tutela che, nel limite
massimo previsto, lascia, tra l’altro, alle amministrazioni competenti il
potere di imporre la percentuale più opportuna.
Quanto alla presunta
violazione della legge delega, la disposizione in esame è pienamente conforme
ai principi e criteri direttivi di cui all’art. 1, comma 9, lettera a), della legge n. 308 del
La garanzia
finanziaria, infatti, si colloca in un momento procedimentale che si potrebbe
definire "virtuoso”, perché prevede un responsabile dell’inquinamento che si è
già attivato e, svolte tutte le fasi preliminari di riduzione e contenimento
del danno, ha presentato all’amministrazione un progetto esecutivo che quest’ultima
deve approvare. Diversamente, nell’ipotesi del responsabile dell’inquinamento
che si sottrae agli obblighi previsti dall’art. 242, trova applicazione la
procedura di cui all’art. 250 che prevede l’obbligo per l’amministrazione di
provvedere alle operazioni di bonifica. In tale ipotesi gli strumenti di
garanzia predisposti dal legislatore in favore dell’ente locale sono quelli di cui all’art. 253, primo fra tutti il
privilegio speciale ex art. 2748 del
codice civile sul terreno da bonificare.
10. – Riguardo, poi,
all’art. 252 del d.lgs. n. 152 del 2006 – che regola le procedura di bonifica
di una particolare categoria di siti inquinati, i cosiddetti siti «d’interesse
nazionale», ai quali il legislatore ha ritenuto opportuno dedicare una disciplina,
diversa da quella ordinaria, proprio in considerazione della loro peculiare
caratteristica di essere portatori di quello che è stato qualificato un
«interesse nazionale», il quale, in quanto tale, travalica l’ambito locale e
regionale – esso è stato impugnato dalle Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, e Marche in
riferimento agli articoli 117 e 118 Cost., e anche in riferimento al principio
di leale collaborazione.
10.1. – In
particolare,
Della generica
impugnazione della norma in relazione alla dedotta violazione dell’art. 76
Cost. si è già trattato nel precedente punto 9.
L’esclusione della
codeterminazione con
10.2. – Le Regioni
Calabria, Toscana e Marche impugnano, invece, i commi 3 e 4 del citato
articolo. L’uno, disciplina i criteri in base ai quali attuare la perimetrazione del sito di interesse nazionale (fase
ulteriore rispetto a quella prevista dai precedenti commi 1 e 2 [non impugnati]
consistente nell’individuazione del sito, la cui competenza spetta al Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio, che provvede con decreto, d’intesa
con le Regioni interessate), alla quale si provvede «sentiti i Comuni, le
Province, le Regioni e gli altri Enti locali, assicurando la partecipazione dei
responsabili nonché dei proprietari delle aree da bonificare, se diversi dai
soggetti responsabili».
Il comma successivo,
poi, introduce disposizioni in tema di bonifica di questi siti, prevedendo che
la procedura sia la stessa che è prevista dall’art. 242 d.lgs. 152 del 2006,
attribuendone, altresì, la competenza al Ministero dell’ambiente e della tutela
del territorio – sentito il Ministero per le attività produttive – il quale può
avvalersi, eventualmente, «dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente per i
servizi tecnici (APAT), dell’Istituto superiore di sanità e dell’E.N.E.A, nonché di altri soggetti qualificati pubblici o
privati».
Le ricorrenti lamentano che le disposizioni in
oggetto non coinvolgono adeguatamente le Regioni, in quanto, non prevedendo
l’intesa con esse ai fini della perimetrazione del
sito e/o dell’approvazione della bonifica dei siti di interesse nazionale, si
porrebbero in contrasto con gli articoli 117 e 118 Cost., anche in riferimento
al principio di leale collaborazione.
Tale mancata previsione di adeguate forme di
coinvolgimento delle Regioni, dunque, secondo le ricorrenti, lederebbe le
competenze costituzionali riconosciute alle stesse in materia di governo del
territorio e tutela della salute, nonchè, per
10.3. –
Esso,
rinviando all’art. 85 del d.lgs. n. 112 del 1998, imporrebbe al legislatore
delegato il rispetto della attribuzioni regionali fissate dal comma 14
dell’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997, e, conseguentemente, per gli interventi
di bonifica di interesse nazionale, l’intesa con
Data la loro stretta connessione, le suindicate
questioni di legittimità costituzionale, con riferimento ai citati parametri,
possono essere esaminate in modo congiunto.
10.4. – Le questioni non sono fondate.
10.5. – In relazione
alla dedotta violazione degli articoli 117 e 118 Cost., in quanto sarebbero
state lese le prerogative regionali in
materia di governo del territorio e tutela della salute, nonché del principio
di leale collaborazione, occorre sottolineare che la materia nella quale deve
essere inquadrata la disciplina oggetto delle disposizioni censurate è quella
della tutela dell’ambiente, di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi
dell’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost., come del resto già affermato,
riguardo allo specifico tema di cui trattasi, da questa Corte con la sentenza n. 214 del
2008.
In tale sentenza, infatti, questa Corte, affrontando
il tema della bonifica dei siti contaminati, dopo le modifiche introdotte dal
d.lgs. n. 152 del
Pertanto, anche
qualora possano rilevarsi ambiti di competenza spettanti alle Regioni, deve
ritenersi prevalente il citato titolo di legittimazione statale, anche in
ragione della sussistenza di un interesse unitario alla disciplina omogenea di
siti che travalicano l’interesse locale e regionale.
Inoltre, ad ulteriore
conferma dell’infondatezza delle censure mosse dalle Regioni ricorrenti alle
disposizioni in esame, occorre osservare che dalla lettura delle stesse emerge
chiaramente il coinvolgimento delle Regioni nelle varie fasi della procedura.
Infatti, il comma 2
dell’art. 252 (non impugnato dalle ricorrenti) prevede l’intesa con le Regioni
interessate da parte del Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio per l’emanazione del decreto
ai fini dell’individuazione dei siti di interesse nazionale che devono essere
bonificati; il comma 3 stabilisce, a sua volta, ai fini della perimetrazione del sito, una partecipazione procedimentale estesa a più soggetti – anche
se limitata all’espressione di un parere – rispetto a quella prevista per
l’individuazione del sito (alla quale, come detto, partecipano solo il Ministro
dell’ambiente e le Regioni interessate), con il coinvolgimento anche dei Comuni,
delle Province, delle Regioni e la partecipazione dei responsabili nonché dei
proprietari delle aree da bonificare, se diversi dai soggetti
responsabili.
Al comma 4, poi, la
nuova normativa ha introdotto la possibilità che il Ministero dell’ambiente e
della tutela del territorio possa avvalersi dell’APAT, delle ARPA regionali,
dell’Istituto superiore di sanità, nonché di altri soggetti pubblici (anche
regionali) e privati, facendo sì che
È ulteriormente da
porre in evidenza che la più recente giurisprudenza costituzionale in tema
(sentenze n. 12
e n. 61 del 2009)
sottolinea come, qualora non vi sia dubbio che lo Stato stia utilizzando la sua
competenza legislativa in materia di ambiente ed ecosistema, a quest’ultimo
spetti la valutazione della idoneità
del livello di coinvolgimento della Regione. Nel caso di specie la forma di
collaborazione individuata dalle disposizioni censurate non appare inadeguata,
così da non giustificare la pretesa della Regione del ricorso all’intesa
in tutte le fasi della procedura.
10.6. – Parimenti
infondata è la censura formulata dalla Regione Calabria sulla base
dell’asserita violazione dell’art. 76 Cost., in quanto l’art. 252, comma 4, del
d.lgs. n. 152 non contempla il ricorso all’intesa con
A
tale riguardo, deve osservarsi che questa Corte, con la sentenza n. 225 del
2009, nell’affrontare in via generale e preliminare identica questione, ha già
ritenuto che «la contestuale menzione, accanto alla legge n. 59 del 1997 ed al
d.lgs. n. 112 del 1998, dell’art. 117 Cost. (che, al secondo comma, attribuisce
allo Stato la competenza esclusiva in tema di «tutela dell’ambiente») e del
flessibile principio di sussidiarietà (che, ai sensi dell’art. 118 Cost.,
consente allo Stato – competente per la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema
– di riservare a sé le funzioni amministrative in siffatta materia tutte le
volte in cui sussista l’esigenza di un loro esercizio unitario) esclude che
possa riconoscersi, come invece assunto dalla Regione [ricorrente], carattere
di intangibilità alle predette norme ordinarie. Se così non fosse, la pretesa immodificabilità della distribuzione delle funzioni
amministrative in materia ambientale nel d.lgs. n. 112 del 1998 impedirebbe
l’attuazione di gran parte dei principi indicati subito dopo nello stesso comma
8 e nel successivo comma 9. Pertanto i criteri indicati nell’incipit dell’art. 1, comma 8, della
legge n. 308 del 2004 debbono essere valutati e coordinati alla luce degli
ulteriori criteri espressi dalla legge di delega, nel senso che il legislatore
delegato era abilitato a modificare le attribuzioni già conferite alle Regioni
quando la modifica fosse coerente con uno dei principi direttivi indicati nelle
lettere progressive che compongono i commi 8 e 9 dell’art. 1. Ad esempio, se
l’attuazione di una direttiva comunitaria rendeva necessario, in coerenza con
il principio di sussidiarietà, uno spostamento, nel settore interessato, delle
funzioni amministrative, la riallocazione poteva legittimamente essere disposta
dal legislatore delegato anche presso il livello statale».
Nel caso in esame,
dalla lettura della attuale disciplina emerge, come già evidenziato, il coinvolgimento
delle Regioni in significative fasi della procedura (coinvolgimento che prevede
anche il ricorso alla procedura sfociante nell’intesa ai fini
dell’individuazione dei siti di interesse nazionale che devono essere
bonificati).
Pertanto, anche sulla
base di tali argomenti, non deve ritenersi sussistente la violazione dei
principi e criteri direttivi della delega, in quanto – trattandosi, nel caso di
specie, della bonifica di siti (materia di competenza esclusiva statale) di
interesse nazionale (siti la cui caratteristica è, come già evidenziato, quella
di essere portatori di un interesse che travalica quello solo regionale e
locale) – la procedura prevista dalla norma censurata appare rispettosa del
quadro di attribuzioni amministrative derivante dal principio di sussidiarietà
(anch’esso richiamato nella delega) che costituisce un filtro necessario per il
trasferimento nella nuova disciplina di quanto previsto nella precedente.
Infatti, dato che requisito essenziale per la caratterizzazione di un sito come
«di interesse nazionale» è che esso presenti un «particolare pregio ambientale»
(lettera a), un «particolarmente
elevato […] rischio sanitario e ambientale» (lettera c), un «rilevante […] impatto socio economico» (lettera d), un «rischio per i beni di interesse
storico e culturale di rilevanza nazionale» (lettera e), che l’opera sia tutelata «ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42»
(lettera b), che gli interventi si
estendano al «territorio di più regioni» (lettera f), appare evidente il motivo che legittima, proprio in base al
principio di sussidiarietà richiamato dalla legge delega, il conferimento a
livello statale delle attività amministrative di bonifica.
11. – Infine, la sola
Regione Calabria ha impugnato, ritenendolo in contrasto sia con l’art. 117,
sesto comma, Cost., sia con l’art. 119 Cost., sia, ancora, col principio di
leale collaborazione, l’art. 265, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006.
Tale disposizione, ad
avviso della Regione ricorrente, nel prevedere che il Ministro dell’ambiente,
di concerto con quelli dell’istruzione, università e ricerca e delle attività
produttive, individui con proprio decreto le forme di promozione e di
incentivazione per la ricerca e per lo sviluppo di nuove tecnologie di bonifica
presso le università e presso le imprese e i loro consorzi, lederebbe l’art.
117, sesto comma, Cost., in quanto attribuirebbe ad organi dello Stato centrale
competenze regolamentari nella materia della ricerca scientifica, attribuita
alla competenza concorrente di Stato e Regioni, e l’art. 119 Cost. in quanto,
senza che ne sussistano le condizioni, prevederebbe
forme di incentivazioni in un ambito materiale non di esclusiva competenza
dello Stato.
Essa lederebbe, da
ultimo, anche il principio di leale collaborazione, non essendo contemplato,
nel procedimento di individuazione delle predette forme di promozione e
incentivazione, alcun coinvolgimento delle Regioni.
Mentre le prime due
censure non sono fondate, la terza, è, invece, fondata.
Già si è detto che le
tematiche connesse alle forme di bonifica ambientale rientrano a pieno titolo
nella competenza esclusiva dello Stato, essendo esse afferenti alla materia
«tutela dell’ambiente e dell’ecosistema». Risulta, pertanto, evidente come sia
fallace il ragionamento posto a base della impugnazione, dato che si fonda
sull’erroneo presupposto che la materia implicata dalla disposizione
legislativa ora in questione non sia di esclusiva competenza dello Stato ma,
essendo quella della ricerca scientifica e tecnologica, appartenga alla
competenza concorrente delle Regioni.
Alla erroneità del
presupposto consegue l’infondatezza delle due questioni di legittimità
costituzionale che su di esso si basano.
Riguardo, invece, alla
dedotta violazione del principio di leale collaborazione vale, in sostanza,
quanto già osservato con riferimento all’art. 241, anch’esso impugnato con
riferimento al medesimo parametro.
Anche in questo caso,
infatti, è lo stesso legislatore nazionale che, attraverso il coinvolgimento
del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, ha inteso
valorizzare il profilo normativo connesso con la tematica della ricerca
scientifica e tecnologica, materia questa effettivamente assegnata, ai sensi
del terzo comma dell’art. 117 Cost., alla competenza concorrente delle Regioni.
In tale ottica,
peraltro conformemente alla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 133 del
2006), onde ricondurre a legittimità costituzionale la norma, diversamente
in contrasto col principio di leale collaborazione attesa la obiettiva e –
dallo stesso legislatore statale – riconosciuta implicazione della materia di
legislazione concorrente, è necessario prevedere che nella fase di attuazione
della disposizione e, quindi, sia per ciò che riguarda l’individuazione delle
forme di promozione ed incentivazione
sia per ciò che riguarda la loro concreta realizzazione, debba essere previsto
il coinvolgimento delle Regioni e degli Enti locali.
A tal fine, questa
Corte ritiene che lo strumento idoneo sia, anche in questo caso, quello
dell’acquisizione, in sede procedimentale,
anteriormente alla espressione del concerto dei Ministri dell’istruzione e
delle attività produttive, del parere della Conferenza unificata di cui all’art.
8 del d.lgs. n. 281 del 1997.
per
questi motivi
riuniti i giudizi,
riservata a separate
pronunce la decisione sull’impugnazione delle altre disposizioni contenute nel
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale);
dichiara
inammissibili gli interventi spiegati dall’Associazione italiana per il World
Wide Fund for Nature (WWF
Italia) - Onlus, dalla Società italiana Centrali Termoelettriche SICET s.r.l.,
dalla Biomasse Italia s.p.a., dall’Ital Green Energy
s.r.l. e dall’Energia Tecnologia Ambiente s.p.a.;
dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 241 del decreto legislativo 3 aprile
2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nella parte in cui non prevede che,
prima dell’adozione del regolamento da esso disciplinato, sia sentita
dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 265, comma 3, del decreto legislativo
n. 152 del 2006, nella parte in cui non prevede che, prima dell’adozione del
decreto ministeriale da esso disciplinato, sia sentita
dichiara non fondata
la questione di legittimità costituzionale degli articoli da
dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 221, commi
da
dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 222 del
decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento all’art. 117
della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;
dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 223 del
decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento all’art. 117
della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;
dichiara non fondate
le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 223 del decreto
legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli articoli 76 e 118,
primo comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in
epigrafe;
dichiara non fondate
le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 224 del decreto
legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento all’art. 118 della
Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;
dichiara non fondate
le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 233, 234 e 236 del
decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento all’art. 118
della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;
dichiara cessata la
materia del contendere relativamente al giudizio sulla questione di legittimità
costituzionale dell’art. 235 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata
dalla Regione Calabria, in riferimento all’art. 118 della Costituzione, con il
ricorso in epigrafe;
dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 238, commi 5
e 6, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli
articoli 117, commi quarto e sesto, e 119, commi primo e secondo, della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il
ricorso in epigrafe;
dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 238 del
decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli articoli
11, 76, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché al principio di leale
collaborazione, dalle Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Marche e,
limitatamente ai commi 1 e 2, anche dalla Regione Emilia-Romagna con i ricorsi
in epigrafe;
dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli da
dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli da
dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 240 del
decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento all’art. 3 della
Costituzione, dalla Regione Piemonte con il ricorso in epigrafe;
dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 240, comma
1, lettera b), del decreto
legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 11, 76,
117 e 118, della Costituzione, dalla Regione Marche con il ricorso in epigrafe;
dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli 240,
242, 246 e 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in
riferimento all’art. 76 della Costituzione, dalla Regione Piemonte con il
ricorso in epigrafe;
dichiara
estinto il giudizio relativo alle questioni di legittimità costituzionale degli
articoli 240, 242, 243, 244, 246, 252 e 257 del decreto legislativo n. 152 del
2006, sollevate, in riferimento agli articoli 3, 76, 117 e 118 della
Costituzione, dalla Regione Liguria con il ricorso in epigrafe;
dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 241 del
decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento agli articoli
117 e 118, della Costituzione, dalla Regione Marche con il ricorso in epigrafe;
dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 241 del
decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento all’art. 117,
sesto comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in
epigrafe;
dichiara
inammissibile le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 242 del
decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli articoli 3
e 118 della Costituzione, dalla Regione Piemonte con il ricorso in epigrafe;
dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 242 del decreto
legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento all’art. 117 della
Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;
dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 242, commi 2,
3, 4 e 5, del decreto legislativo n. 152 del
dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 242, commi 2,
3, 4 e 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento
agli articoli 11, 76, 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Marche con il
ricorso in epigrafe;
dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 242, comma 7,
del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli
articoli 11, 76, 117 e 118 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche,
con i ricorsi in epigrafe;
dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 242, 244,
245, 248, 249, 250 e dell’allegato 4 alla Parte quarta del decreto legislativo
n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento all’art. 117 della Costituzione,
dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;
dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 246 del
decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento a non
determinate attribuzioni costituzionali, dalla Regione Piemonte con il ricorso
in epigrafe;
dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 252 del
decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli
articoli 76, 117 e 118 della
Costituzione e al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Calabria,
Toscana, Piemonte e Marche con i ricorsi in epigrafe;
dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 265, comma 3,
del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli articoli
117, sesto comma, e 119 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il
ricorso in epigrafe
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 luglio
2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2009.