Ordinanza n. 220 del 2009

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ORDINANZA N. 220

ANNO 2009

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco               AMIRANTE                  Presidente

- Ugo                                DE SIERVO                              Giudice

- Paolo                      MADDALENA                      "

- Alfio                       FINOCCHIARO                   "

- Alfonso                   QUARANTA                        "

- Franco                    GALLO                                "

- Luigi                       MAZZELLA                          "

- Gaetano                  SILVESTRI                                    "

- Sabino                    CASSESE                             "

- Maria Rita               SAULLE                               "

- Giuseppe                 TESAURO                            "

- Paolo Maria             NAPOLITANO                     "

- Giuseppe                 FRIGO                                 "

- Alessandro              CRISCUOLO                        "

- Paolo                      GROSSI                               "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 126 e 127 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), promosso dal Tribunale di Ascoli Piceno nel procedimento vertente tra B.Z. e G.P. con ordinanza del 9 ottobre 2008, iscritta al n. 7 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 giugno 2009 il Giudice relatore Maria Rita Saulle.

Ritenuto che il Tribunale di Ascoli Piceno, nel corso di un procedimento volto ad ottenere la revisione delle disposizioni contenute in una sentenza di divorzio, con ordinanza del 9 ottobre 2008, ha sollevato, in relazione agli artt. 24, terzo comma, e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 126 e 127 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia);

che il rimettente riferisce di aver dichiarato inammissibile il ricorso presentato da B. Z., ammessa al patrocinio a spese dello Stato e che, a seguito di tale giudizio, il difensore della ricorrente ha formulato istanza di liquidazione dei propri onorari;

che, a parere del rimettente, l’art. 126, nella parte in cui non prevede l’obbligo per il Consiglio dell’ordine degli avvocati, in sede di ammissione al beneficio in esame, di motivare sulla non manifesta infondatezza della pretesa che l’istante intende far valere in giudizio, impedisce al giudice ogni accertamento sulla sussistenza di tale requisito anche nei casi, come quello in esame, in cui sin dall’inizio la domanda fatta valere dalla persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato risulta palesemente infondata;

che, sempre a parere del Tribunale, l’art. 127, ultimo comma, del d.P.R. n. 115 del 2002 impedisce al giudice, in sede di liquidazione degli onorari spettanti al difensore della persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato, di accertare se, in relazione alla pretesa fatta valere in giudizio da questa ultima, sussistessero, sin dall’inizio e, quindi, con un giudizio ex ante, le condizioni previste dall’art. 126, primo comma, del d.P.R. n. 115 del 2002;

che le suddette disposizioni, a parere del giudice a quo, violano l’art. 24, terzo comma, della Costituzione il quale, nell’assicurare il patrocinio a spese dello Stato al non abbiente che intende agire in giudizio, non vale anche a garantirgli la difesa nei casi in cui egli, «in base a mere convinzioni personali, ritiene di poter far valere un diritto che in realtà non appare sussistente o, addirittura, si proponga di porre in essere iniziative giudiziarie palesemente infondate anche al solo scopo di arrecare disturbo ai soggetti che intende convenire in giudizio»;

che il Tribunale rimettente osserva, poi, che «l’elevato numero di cause intentate dai soggetti ammessi al gratuito patrocinio ha, quale ulteriore effetto, un pregiudizio alla funzionalità dell’intero sistema giudiziario, essendo gli organi giurisdizionali spesso chiamati a provvedere su pretese del tutto infondate», così distraendo risorse finanziarie diversamente utilizzabili, con conseguente lesione dell’art. 97 della Costituzione;

che, in punto rilevanza, il giudice, pur ritenendo che la ricorrente non doveva essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato, in quanto già al momento della proposizione del ricorso era prevedibile l’esito del giudizio, rileva che il rigetto dell’istanza di liquidazione di cui si tratta può avvenire solo all’esito dell’eventuale accoglimento della sollevata questione;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata;

che, in via preliminare, la difesa erariale osserva che il rimettente non ha tenuto conto dell’intero quadro normativo di riferimento e, in particolare, degli artt. 122 e 136 del d.P.R. n. 115 del 2002;

che, in particolare, l’art. 122 prevede, per i giudizi civili, che l’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato deve contenere, a pena di inammissibilità, le enunciazioni in fatto e in diritto utili a valutare la non manifesta infondatezza della pretesa che si intende fare valere;

che, il successivo art. 136 consente al magistrato di revocare l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato disposta dal Consiglio dell’ordine degli avvocati anche quando accerti che l’interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, risultando a tali fini ininfluente la motivazione adottata dal citato Consiglio in sede di concessione del suddetto beneficio;

che, pertanto, l’Avvocatura ritiene che il rimettente in applicazione di tali disposizioni può revocare il decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in quanto egli non può ritenersi condizionato in alcun modo dalla motivazione che ha condotto il Consiglio dell’ordine degli avvocati a concedere in via provvisoria il cennato beneficio.

Considerato che il Tribunale di Ascoli Piceno dubita, in riferimento agli artt. 24, terzo comma, e 97 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 126 e 127 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia);

che il rimettente è investito della istanza di liquidazione degli onorari proposta dal difensore di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato;

che il Tribunale ritiene che le disposizioni impugnate violino i parametri costituzionali indicati, in quanto, da un lato, consentono l’ammissione al beneficio anche nei casi in cui la pretesa che si intende far valere in giudizio è, sin dall’inizio, manifestamente infondata, e dall’altro, non permettono al giudice, competente a liquidare gli onorari del difensore, di revocare la suddetta ammissione;

che, in particolare, ad avviso del rimettente, il diritto del non abbiente ad agire e a difendersi in giudizio non vale a garantire a quest’ultimo ogni azione, ma solo quelle che si fondano su pretese non palesemente infondate, comportando la generica ammissione al patrocinio a spese dello Stato anche un aggravio per gli uffici giudiziari che si devono occupare delle relative istanze;

che la questione è manifestamente inammissibile perché il rimettente non ha esattamente ricostruito il quadro normativo di riferimento;

che, infatti, l’art. 122 del d.P.R. n. 115 del 2002, prevede che l’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato deve contenere a pena di inammissibilità «le enunciazioni in fatto ed in diritto utili a valutare la non manifesta infondatezza della pretesa che si intende far valere»; mentre il successivo art. 136, al comma 2, dispone che «con decreto il magistrato revoca l’ammissione al patrocinio provvisoriamente disposta dal consiglio dell’ordine degli avvocati, se risulta l’insussistenza dei presupposti per l’ammissione ovvero se l’interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave»;

che, pertanto, contrariamente a quanto affermato dal rimettente, il legislatore ha previsto sia una valutazione ex ante del requisito della non manifesta infondatezza (da compiersi al momento della presentazione della domanda, con rigetto della stessa nei casi in cui, sin dall’origine, l’istante voglia far valere una pretesa palesemente infondata); sia la revoca, ex post, della ammissione al beneficio quando, a seguito del giudizio, risulta provato che la persona ammessa ha agito o resistito con mala fede o colpa grave.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 126 e 127 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), sollevata, in riferimento agli artt. 24, terzo comma, e 97 della Costituzione, dal Tribunale di Ascoli Piceno con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Maria Rita SAULLE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2009.