Sentenza n. 165 del 2009

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SENTENZA N. 165

ANNO 2009

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco             AMIRANTE          Presidente

- Ugo                      DE SIERVO          Giudice

- Paolo                    MADDALENA                "

- Alfio                     FINOCCHIARO              "

- Alfonso                 QUARANTA                   "

- Franco                  GALLO                          "

- Luigi                     MAZZELLA          "

- Gaetano                SILVESTRI                     "

- Sabino                  CASSESE                       "

- Maria Rita             SAULLE                         "

- Giuseppe               TESAURO                      "

- Paolo Maria          NAPOLITANO               "

- Giuseppe               FRIGO                           "

- Alessandro            CRISCUOLO                  "

- Paolo                    GROSSI                         "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 2, commi 1 e 3, 14, 17, 19, 23, commi 7, 8 e 9, e 44 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 marzo 2008, n. 6 (Disposizioni per la programmazione faunistica e per l'esercizio dell'attività venatoria), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 16-26 maggio 2008, depositato in cancelleria il 21 maggio 2008 ed iscritto al n. 25 del registro ricorsi 2008.

    Visto l'atto di costituzione della Regione Friuli-Venezia Giulia;

    udito nell'udienza pubblica del 31 marzo 2009 il Giudice relatore Maria Rita Saulle;

    uditi l'avvocato dello Stato Francesca Quadri per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Giandomenico Falcon per la Regione Friuli-Venezia Giulia.

Ritenuto in fatto

    1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 16-26 maggio 2008 e depositato il 21 maggio 2008, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi 1 e 3, 14, 17, 19, 23, commi 7, 8 e 9, e 44 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 marzo 2008, n. 6 (Disposizioni per la programmazione faunistica e per l'esercizio dell'attività venatoria), in riferimento agli artt. 3, 18, 117, primo e secondo comma, lettere l) e s), della Costituzione e all'art. 4, primo comma, della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli- Venezia Giulia).

    Il ricorrente premette che, sebbene la Regione Friuli-Venezia Giulia, ai sensi dell'art. 4, primo comma, punto 3, e dell'art. 6, primo comma, punto 3, dello statuto speciale, abbia potestà legislativa primaria in materia di caccia e tutela del paesaggio, flora e fauna, queste materie sono sottoposte «al rispetto degli standard minimi ed uniformi di tutela indicati dalla legislazione nazionale, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione», nonché «della normativa comunitaria di riferimento (direttive 79/409/CEE, 85/411/CEE e 91/244/CEE)».

    Fatta questa premessa, il ricorrente solleva le questioni di legittimità costituzionale che si riportano di seguito:

    1.1. – La prima ha ad oggetto l'art. 2, commi 1 e 3, nella parte in cui  prevede che tutto il territorio della Regione Friuli-Venezia Giulia sia sottoposto al regime giuridico della zona faunistica delle Alpi, includendovi «anche la fascia di mare fino ad un miglio dalla costa, le lagune e la pianura friulana». Tale previsione, a parere del ricorrente, contrasta con l'art. 10, comma 3, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), che stabilisce che «il territorio agro-silvo-pastorale di ogni Regione è destinato per una quota dal 20 al 30 per cento a protezione della fauna selvatica, fatta eccezione per il territorio delle Alpi di ciascuna Regione, che costituisce una zona faunistica a sé stante ed è destinato a protezione nella percentuale dal 10 a 20 per cento». Il ricorrente ritiene che la disposizione regionale irragionevolmente sottoponga, nei sensi sopra indicati, il territorio regionale alla disciplina prevista per le zone faunistiche delle Alpi, in tal modo riducendo la percentuale di esso destinata alla protezione della fauna, con conseguente lesione degli standard minimi ed uniformi di tutela posti dalla legge n. 157 del 1992, vincolanti anche per le Regioni a statuto speciale, e quindi della competenza esclusiva statale di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

    1.2. – Quanto alla seconda censura, il ricorrente ritiene che le disposizioni contenute negli articoli 14, 17 e 19 della medesima legge, nella parte in cui «disciplinano l'organizzazione della gestione venatoria prevedendo, in particolare, la suddivisione del territorio in unità denominate “riserve di caccia” (art. 14) che sono accorpate nei cosiddetti “distretti venatori” (art. 17); che a loro volta hanno l'obbligo di aderire ad un'associazione denominata “associazione dei cacciatori” (art. 19)», violerebbero l'art. 18 Cost. In particolare, le suddette disposizioni configurerebbero «un quadro normativo che impone a chiunque voglia esercitare l'attività venatoria nella Regione Friuli-Venezia Giulia un obbligo di associazione ad un unico soggetto, in palese contrasto con il principio della libertà di associazione».

    Le medesime norme, inoltre, violerebbero anche l'art. 4 dello statuto speciale di autonomia, in quanto determinerebbero «una privatizzazione della gestione faunistica al livello regionale ed una concentrazione nella mani di un'unica categoria della stessa gestione faunistica, in contrasto con quanto previsto dall'art. 14, comma 10, della legge n. 157 del 1992» il quale, configurandosi come norma fondamentale di riforma economico-sociale, prevede invece che «negli organismi di gestione faunistica, deve essere assicurata la presenza paritaria delle organizzazioni professionali agricole, delle associazioni venatorie nazionali e delle associazioni di protezione ambientale».

    1.3. – La terza censura investe l'art. 23, commi 7, 8 e 9 della legge in oggetto. Tali disposizioni, secondo il ricorrente, violano la competenza esclusiva statale di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nonché il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., in quanto, contrastando con l'art. 16, comma 4, della legge n. 157 del 1992, esse prevedono che l'attività venatoria svolta nelle aziende agri-turistico-venatorie non venga considerata esercizio della caccia, di talché essa risulterebbe esonerata «dagli obblighi di legge previsti dalla citata legge-quadro nazionale».

    1.4. – Con una quarta censura il ricorrente impugna l'art. 44 della stessa legge, nella parte in cui, sostituendo l'art. 3 della legge regionale 1° giugno 1993, n. 29 (Disciplina dell'aucupio), consente l'utilizzo indiscriminato di impianti fissi a rete per la cattura di uccelli ovvero l'uccellagione, così violando gli articoli 5 e 9 della direttiva n. 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli selvatici, che sanciscono il divieto di cattura «di tutte le specie di uccelli “deliberatamente con qualsiasi metodo” e assoggettano la cattura e la detenzione degli uccelli all'utilizzazione di metodi rigidamente selettivi». Inoltre, la disposizione censurata, nel prevedere l'uso delle reti, violerebbe la Convenzione internazionale per la protezione degli uccelli selvatici, adottata a Parigi il 18 ottobre 1950, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 24 novembre 1978, n. 812, nonché la Convenzione relativa alla Conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale in Europa, adottata a Berna il 19 settembre 1975 (recte: 1979), anch'essa ratificata e resa esecutiva con legge 5 agosto 1981, n. 503 (recte: 203), e, quindi l'art. 4, primo comma, dello statuto speciale e l'art. 117, primo comma, della Costituzione.

    Ritiene poi il ricorrente che l'art. 44, nella parte in cui prevede che «possono essere individuati impianti tra quelli attivati da destinare a cattura per l'allevamento amatoriale e ornamentale», violi, inoltre, l'art. 3 della legge statale n. 157 del 1992, che vieta ogni forma di uccellagione; attività sanzionata penalmente dall'art. 30, comma 1, lettera e), della medesima legge. Pertanto, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la disposizione regionale violerebbe anche la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento penale e tutela dell'ambiente di cui all'art. 117, secondo comma, lettere l) ed s), della Costituzione.

    2. – Con atto depositato in data 11 giugno 2008 si è costituita in giudizio la Regione Friuli-Venezia Giulia, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato.

    2.1. – Con riferimento all'art. 2, commi 1 e 3, della legge impugnata, la difesa regionale eccepisce, in via preliminare, l'inammissibilità della censura relativa alla violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto il ricorrente ha omesso di motivare in ordine all'applicabilità del suddetto parametro nei confronti di una legge di una Regione a statuto speciale. Del pari inammissibile sarebbe la censura riguardante la violazione dell'art. 3 Cost., nonché quella sulla violazione degli standard minimi uniformi, in quanto entrambe sarebbero prive di motivazione.

    Nel merito, la difesa regionale sottolinea, da un lato, che una disposizione di analogo contenuto a quella impugnata nel presente giudizio era già prevista nell'art. 2 della legge regionale 31 dicembre 1999, n. 30 (Gestione ed esercizio dell'attività venatoria nella Regione Friuli-Venezia Giulia); dall'altro che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la norma censurata sarebbe volta «ad aumentare le soglie di tutela rispetto alla legge statale là dove il bisogno esiste, cioè nelle zone autenticamente montane». Al riguardo, si precisa, inoltre, che «la scelta delle aree da sottoporre  ad una determinata quota territoriale minima e massima di tutela spetta alla Regione» e che, nel caso di specie, non sarebbe stato superato il limite della ragionevolezza poiché, a seguito «dell'intensa antropizzazione» delle aree di pianura, sarebbe «inutile ed inefficace una più elevata soglia di protezione» delle stesse.

    2.2. – Anche in relazione agli impugnati artt. 14, 17 e 19 della legge regionale n. 6 del 2008, concernenti l'organizzazione della gestione venatoria, la Regione Friuli-Venezia Giulia eccepisce, in via preliminare, l'inammissibilità delle censure per genericità. Il ricorrente non avrebbe infatti indicato «a quale disposizione, tra le diverse tre citate, sarebbe dovuta la violazione» dell'art. 18 Cost., né le modalità attraverso le quali si verrebbe a determinare l'asserita privatizzazione e concentrazione della gestione faunistica in un'unica categoria, nonché il mancato coinvolgimento di altre categorie.

    Nel merito, la difesa regionale ritiene che dalle disposizioni impugnate non discenderebbe alcun obbligo di aderire ad una determinata associazione e che, comunque, la condizione richiesta, di appartenenza del cacciatore all'associazione titolare della riserva, troverebbe una ragionevole giustificazione nel fatto che il cacciatore, in questo modo, opererebbe «non come individuo isolato, ma come parte di una comunità globalmente responsabile della riserva nel rispetto delle sue regole».

    Sempre secondo la Regioneresistente le censure relative agli artt. 17 e 19 sarebbero «del tutto oscure», in particolare lo sarebbe quella riferita all'art. 17, in quanto detta disposizione non prevede la creazione di alcuna associazione. Quanto all'art. 19, la previsione che le «associazioni riservistiche […] siano aggregate in una ulteriore struttura a base associativa, titolare di competenze in larga misura pubblicistiche», non inciderebbe sulla libertà del singolo di partecipare o meno ad una determinata associazione.

    Del pari infondata sarebbe la censura relativa all'asserita violazione dell'art. 14, comma 10, della legge n. 157 del 1992, derivante dal fatto che la legge regionale impugnata affiderebbe la gestione faunistica alle sole associazioni di cacciatori. In proposito, la Regione resistente nega al citato art. 14 la natura di norma di riforma economico-sociale essendo, a suo avviso, evidente che non si tratterebbe di una disposizione a tutela della fauna ma «di una mera regola organizzativa della gestione della caccia», di competenza, peraltro, della Regione data la potestà primaria di questa in materia di caccia.

    2.3. – Anche della censura relativa all'art. 23, commi 7, 8 e 9 la Regione deduce, in via preliminare, l'inammissibilità per «l'inappropriatezza del richiamo all'art. 117, secondo comma, della Costituzione», per la genericità del riferimento al principio di ragionevolezza, nonché perché essa ha ad oggetto «tre articoli a contenuto complesso» senza individuare «la specifica disposizione considerata lesiva».

    Nel merito, la difesa regionale osserva che i commi 7 e 9 sarebbero conformi alla legge statale n. 157 del 1992. Quanto al comma 8, a sostegno dell'infondatezza, la resistente precisa che nelle aziende agri-turistico-venatorie «la fruizione venatoria» sarebbe riferita «solo a fauna immessa, senza alcuna ripercussione sulla fauna selvatica».

    2.4. – Infine, riguardo alla censura riferita all'art. 44 della legge regionale n. 6 del 2008, la Regione rileva che il novellato art. 3 della legge regionale n. 29 del 1993 «è una disposizione complessa, che consta ben di nove commi». Pertanto, a suo avviso, sarebbe del tutto «aprioristico ed infondato affermare […] che la disposizione consenta indiscriminatamente l'utilizzo di impianti fissi a rete per la cattura di uccelli».

    Rileva, comunque, la Regione che la censura riferita alla presunta violazione degli obblighi internazionali stabiliti dalla Convenzione di Parigi e dalla Convenzione di Berna è inammissibile, in quanto formulata in modo generico.

    Nel merito, a sostegno dell'infondatezza, la Regionesottolinea che non sarebbe possibile equiparare l'uso delle reti, da un lato, e l'impiego di mezzi di cattura non selettivi dall'altro. In proposito, la resistente richiama la giurisprudenza amministrativa con la quale si è affermato che l'utilizzo di specifiche tipologie di reti, con gli accorgimenti necessari, «vale ad escludere il carattere della non selettività del mezzo venatorio» (Cons. Stato, sez. VI, 19 maggio 2003, n. 2698).

    3. – In prossimità dell'udienza la difesa della Regione Friuli-Venezia Giulia ha depositato memoria con la quale, nel ribadire le argomentazioni contenute nell'atto di costituzione, insiste per la dichiarazione di inammissibilità e di infondatezza del ricorso.

    In particolare, riguardo alla seconda censura, la resistente precisa che dalla legge regionale impugnata non emergerebbe alcun obbligo di associarsi per il cacciatore, interessato a svolgere attività venatoria nel territorio regionale, e che l'Associazione riserva di caccia sarebbe «investita di funzioni pubblicistiche di regolazione, affidatele dalla Regione […]» e destinate a «tutti coloro che esercitano l'attività venatoria» e che non sussisterebbero «ostacoli o limitazioni» a carico dei cacciatori interessati a «fare parte dell'associazione medesima».

    Sempre ad avviso della resistente, non vi sarebbe alcuna privatizzazione della gestione faunistica, in quanto, nella preparazione del Piano venatorio distrettuale, che costituisce «l'atto fondamentale di programmazione della gestione venatoria sul territorio», è previsto il coinvolgimento «di tutte le categorie interessate» (rappresentanti locali delle associazioni di protezione ambientale, agricole e venatorie maggiormente rappresentative a livello regionale, enti locali territorialmente compresi nel Distretto venatorio), nonché l'acquisizione del parere del Comitato faunistico regionale.

    Infine, con riferimento alla quarta censura, la Regione Friuli-Venezia Giulia ribadisce che le norme internazionali e comunitarie non vieterebbero «in sé l'uso delle reti, ma l'utilizzo delle medesime» in modo non selettivo e sottolinea che la fattispecie oggetto del presente giudizio sarebbe diversa rispetto a quella decisa da questa Corte con la sentenza n. 124 del 1990, poiché le norme regionali dichiarate illegittime con la sentenza da ultimo richiamata consentivano l'uccellagione con bressana, roccolo, prodina e panie «senza prevedere alcuna specificazione in ordine a caratteristiche tecniche degli impianti e modalità operative di cattura».

Considerato in diritto

    1. – Il Governo ha impugnato numerose disposizioni della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 marzo 2008, n. 6 (Disposizioni per la programmazione faunistica e per l'esercizio dell'attività venatoria), sul presupposto che esse eccedano la competenza legislativa primaria che lo statuto speciale attribuisce alla predetta Regione nelle materie della caccia e della tutela del paesaggio, flora e fauna, con conseguente lesione degli artt. 3, 18, 117, primo e secondo comma, lettere l) e s), della Costituzione e degli artt. 4, primo comma, e 6, primo comma, punto 3, della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia).

    Le disposizioni regionali impugnate risulterebbero, altresì, in contrasto con la legge statale 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).

    Invero, secondo giurisprudenza costante di questa Corte le disposizioni relative alla tutela della fauna selvatica contenute nella cennata legge statale hanno carattere di norme di grande riforma economico-sociale (sentenze n. 4 del 2000, n. 210 del 2001).

    2. – In via preliminare, l'eccezione di inammissibilità proposta dalla Regione resistente in relazione alla prospettata violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione deve essere dichiarata infondata. In effetti, il ricorrente non avrebbe argomentato riguardo all'applicabilità della suddetta disposizione costituzionale anche ad una Regione a statuto speciale.

    Dal ricorso introduttivo si evince, infatti, che, là dove il ricorrente richiama l'indicato parametro costituzionale, egli ritiene che le disposizioni impugnate superano i limiti che lo statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia pone alla competenza legislativa primaria della Regione in materia di tutela del paesaggio, flora e fauna e, conseguentemente, violano l'indicato parametro costituzionale.

    2.1. – Ancora in via preliminare, non meritano accoglimento le eccezioni di inammissibilità per genericità delle censure sollevate nei confronti di alcune delle disposizioni impugnate (artt. 2, commi 1 e 3, 19, 23, commi 7, 8 e 9, 44), in quanto il ricorrente ha offerto una motivazione che consente di individuare l'oggetto del giudizio e le ragioni sulle quali si basano i dubbi di costituzionalità sollevati.

    2.2. – Sempre in via preliminare, infine, va dichiarata l'inammissibilità delle censure relative agli artt. 14 e 17 della legge regionale n. 6 del 2008 in quanto formulate senza un adeguato fondamento argomentativo.

    3. – Nel merito, va premesso che questa Corte ha più volte sottolineato che «la disciplina statale che delimita il periodo venatorio […] è stata ascritta al novero delle misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili, rientrando in quel nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica ritenuto vincolante anche per le Regioni speciali e le Province autonome» e che «le disposizioni legislative statali che individuano le specie cacciabili» hanno carattere di norme fondamentali di riforma economico-sociale (sentenza n. 227 del 2003 che richiama la sentenza n. 323 del 1998).

    3.1. – Venendo ad esaminare le singole censure, quelle riferite ai commi 1 e 2 dell'art. 2 sono fondate.

    In particolare, l'art. 2 prevede, al comma 1, che «Ai fini dell'applicazione della presente legge, il territorio della Regione Friuli-Venezia Giulia è sottoposto al regime giuridico della Zona faunistica delle Alpi» e, al comma 3, afferma che «la Regione destina a protezione della fauna una quota del territorio agro-silvo-pastorale non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento».

    Diversamente da tale disciplina, sulla base dell'art. 11, comma 1, della legge n. 157 del 1992 il territorio delle Alpi si connota per la consistente presenza della tipica flora e fauna alpina e, in ragione di ciò, viene considerato zona faunistica a sé stante.

    In particolare, l'art. 10, comma 3, della citata legge prevede che «il territorio agro-silvo-pastorale di ogni Regione è destinato per una quota dal 20 al 30 per cento a protezione della fauna selvatica, fatta eccezione per il territorio delle Alpi di ciascuna Regione, che costituisce una zona faunistica a sé stante ed è destinato a protezione nella percentuale dal 10 a 20 per cento».

    Queste considerazioni indicano che il legislatore regionale, nel sottoporre l'intera Regione Friuli-Venezia Giulia al regime giuridico della zona faunistica delle Alpi, ha, irragionevolmente, limitato la quota di territorio da destinare a protezione della fauna selvatica, con ciò violando gli standard minimi ed uniformi di tutela di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e, in particolare, ponendosi in contrasto con quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 10 e 11 della legge n. 157 del 1992, in ragione del quale l'individuazione del territorio delle Alpi quale zona faunistica a sé stante presuppone la presenza di peculiari caratteristiche.

    4. – La questione relativa all'art. 19 è fondata.

    La disposizione impugnata si propone di disciplinare la gestione e l'organizzazione dell'attività venatoria nel territorio regionale e, a tal fine, prevede la creazione di un'Associazione dei cacciatori affidandole i compiti sopra indicati.

    L'art. 19 individua, poi, gli organi di cui si compone l'indicata Associazione stabilendo, tra l'altro, che l'Assemblea degli eletti sia composta da «un'adeguata e omogenea rappresentanza dei cacciatori sia territoriale […] che per tipologia di caccia».

    L'art. 14, comma 1, della legge statale n. 157 del 1992, anch'esso finalizzato alla disciplina della caccia, stabilisce che le Regioni, sentite le organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e le Province interessate, ripartiscono in ambiti territoriali di caccia il territorio agro-silvo-pastorale, destinato alla caccia programmata.

    Il successivo comma 10 dello stesso art. 14, prevede che «negli organi direttivi degli ambiti territoriali di caccia deve essere assicurata la presenza paritaria, in misura pari complessivamente al 60 per cento dei componenti, dei rappresentanti di strutture locali delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e delle associazioni venatorie nazionali riconosciute, ove presenti in forma organizzata sul territorio. Il 20 per cento dei componenti è costituito da rappresentanti di associazioni di protezione ambientale presenti nel Consiglio nazionale per l'ambiente e il 20 per cento da rappresentanti degli enti locali».

    Risulta evidente la difformità della normativa regionale impugnata rispetto a quanto previsto dall'art. 14, comma 10, della legge n. 157 del 1992 che, nel fissare i criteri di composizione degli organi preposti alla gestione dell'attività venatoria negli ambiti territoriali individuati secondo le modalità indicate, fissa uno standard minimo ed uniforme di composizione degli organi stessi che deve essere garantito in tutto il territorio nazionale.

    5. – Altre censure investono l'art. 23, commi 7, 8 e 9.

    L'indicato comma 7 prevede che «nelle aziende agri-turistico-venatorie è consentita, per tutta la stagione venatoria, l'immissione e l'abbattimento di fauna di allevamento appartenente alle specie cacciabili».

    La questione riferita al suddetto comma non è fondata, in quanto tale previsione è conforme all'art. 16, comma 1, lettera b), della legge statale n. 157 del 1992. Ai sensi della norma da ultimo citata le Regioni possono infatti «autorizzare, regolamentandola, l'istituzione di aziende agri-turistico-venatorie, ai fini di impresa agricola, soggette a tassa di concessione regionale, nelle quali sono consentiti l'immissione e l'abbattimento per tutta la stagione venatoria di fauna selvatica di allevamento».

    Le questioni riguardanti i successivi commi 8 e 9 sono fondate.

    In particolare, il comma 8 prevede che «la fruizione venatoria nelle aziende agri-turistico-venatorie non costituisce giornata di caccia ed esonera dall'obbligo dell'indicazione delle giornate fruite e dei capi abbattuti» ed il successivo comma 9 che nelle medesime aziende «sono consentiti l'addestramento e l'allenamento di cani da caccia e di falchi e l'effettuazione di gare e prove cinofile anche con l'abbattimento di fauna di allevamento, appartenente alle specie cacciabili, durante tutto il periodo dell'anno».

    La Regione Friuli-Venezia Giulia, nell'escludere che l'attività venatoria svolta all'interno delle aziende agri-turistico-venatorie sia considerata caccia, nonché nell'estendere il permesso di caccia nelle suddette aziende a «tutto il periodo dell'anno», introduce una irragionevole deroga alla rigida disciplina sulle modalità di esercizio della caccia che contrasta con gli standard minimi ed uniformi di tutela della fauna, quali previsti dalla legislazione dello Stato.

    6. – La questione avente ad oggetto l'art. 44 della legge regionale n. 6 del 2008 è fondata.

    La norma impugnata prevede che la cattura degli uccelli avvenga «esclusivamente» attraverso l'uso di impianti fissi «a reti orizzontali (prodine) e verticali (roccoli e bressane)» e che «le amministrazioni possano individuare un impianto compreso tra quelli attivati da destinare a cattura per l'allevamento amatoriale e ornamentale».

    Questa Corte, con la sentenza n. 124 del 1990, ha già dichiarato l'illegittimità costituzionale di analoghe disposizioni contenute nella legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 24 luglio 1969, n. 17, che consentivano l'utilizzo, quali mezzi di cattura, della bressana, del roccolo, della prodina e delle panie; mezzi già qualificati come non selettivi che risultano, tra l'altro, in contrasto con la stessa normativa internazionale e specificamente con la citata Convenzione di Berna del 1979.

    Ad analoghe conclusioni deve dunque pervenirsi in ordine alla questione di legittimità costituzionale riguardante l'art. 44 della legge regionale n. 6 del 2008.

per questi  motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 3, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 marzo 2008, n. 6 (Disposizioni per la programmazione faunistica e per l'esercizio dell'attività venatoria), nella parte in cui sottopone al regime giuridico della zona faunistica delle Alpi tutto il territorio della Regione Friuli-Venezia Giulia;

    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 19 della legge regionale n. 6 del 2008;

    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 23, commi 8 e 9, della legge regionale n. 6 del 2008;

    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 44 della legge regionale n. 6 del 2008;

    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 14 e 17 della medesima legge regionale n. 6 del 2008;

    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, comma 7, della legge regionale n. 6 del 2008.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 maggio 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Maria Rita SAULLE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2009.