Sentenza n. 107 del 2009

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SENTENZA N. 107

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Francesco          AMIRANTE                              Presidente

-  Ugo                   DE SIERVO                                Giudice

-  Paolo                 MADDALENA                                 ”

-  Alfio                  FINOCCHIARO                              ”

-  Alfonso              QUARANTA                                   ”

-  Franco               GALLO                                           ”

-  Luigi                  MAZZELLA                                    ”

-  Gaetano             SILVESTRI                                     ”

-  Sabino               CASSESE                                       ”

-  Maria Rita          SAULLE                                         ”

-  Giuseppe            TESAURO                                       ”

-  Paolo Maria       NAPOLITANO                                ”

-  Giuseppe            FRIGO                                            ”

-  Alessandro         CRISCUOLO                                  ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi da 46 a 49, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2008) promosso dalla Regione Veneto con ricorso notificato il 26 febbraio 2008, depositato in cancelleria il 5 marzo 2008 ed iscritto al n. 19 del registro ricorsi 2008.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 24 febbraio 2009 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.— Con ricorso notificato il 26 febbraio 2008 e depositato in cancelleria il successivo 5 marzo (ric. n. 19 del 2008), la Regione Veneto ha promosso questione di legittimità costituzionale, tra l’altro, dell’articolo 2, commi da 46 a 49, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2008), per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost. ed all’art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).

In via preliminare, la ricorrente precisa di censurare tali norme nell’ambito di una più ampia impugnativa che investe numerose disposizioni delle predetta legge n. 244 del 2007.

L’iniziativa della Regione Veneto si basa sull’assunto che detta legge sarebbe, sotto vari profili, lesiva dell’autonomia che la Costituzione riserva alle Regioni, non potendo invocarsi in senso contrario – a dire della ricorrente – la previsione di cui all’art. 3, comma 162, secondo cui quelle contenute nella medesima legge n. 244 del 2007 «costituiscono norme di coordinamento della finanza pubblica per gli enti territoriali».

Assume, difatti, la ricorrente che non può certo attribuirsi rilievo decisivo a tale autoqualificazione, in quanto, «perché una norma statale sia di coordinamento della finanza pubblica, essa deve essere di principio», come previsto dall’art. 117, terzo comma, Cost., che assegna al legislatore statale il compito di dettare «i soli principi fondamentali della materia» costituita dalla «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario».

Tale evenienza, tuttavia, non ricorrerebbe – secondo la Regione Veneto – nel caso di specie.  

1.2.— In tale prospettiva la ricorrente illustra, innanzitutto, il contenuto delle impugnate disposizioni.

Evidenzia, pertanto, che, ai sensi del censurato comma 46 dell’art. 2 della legge n. 244 del 2007, lo Stato – in attuazione degli accordi sottoscritti con «le regioni Lazio, Campania, Molise e Sicilia ai sensi dell’articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, con i quali le regioni interessate si obbligano al risanamento strutturale dei relativi servizi sanitari regionali, anche attraverso la ristrutturazione dei debiti contratti» – è «autorizzato ad anticipare alle predette regioni, nei limiti di un ammontare complessivamente non superiore a 9.100 milioni di euro, la liquidità necessaria per l’estinzione dei debiti contratti sui mercati finanziari e dei debiti commerciali cumulati fino al 31 dicembre 2005, determinata in base ai procedimenti indicati nei singoli piani e comunque al netto delle somme già erogate a titolo di ripiano dei disavanzi».

Il successivo comma 47 dispone, per parte propria, che le «regioni interessate, in funzione delle risorse trasferite dallo Stato di cui al comma 46, sono tenute a restituire, in un periodo non superiore a trenta anni, le risorse ricevute», aggiungendo che gli «importi così determinati sono acquisiti in appositi capitoli del bilancio dello Stato».

In forza, invece, di quanto previsto dal comma 48 del medesimo art. 2, la «erogazione delle somme di cui ai commi 46 e 47, da accreditare su appositi conti correnti intestati alle regioni interessate», viene effettuata dallo Stato, «anche in tranche successive, a seguito del riaccertamento definitivo e completo del debito da parte delle regioni interessate, con il supporto dell’advisor contabile, come previsto nei singoli piani di rientro, e della sottoscrizione di appositi contratti, che individuano le condizioni per la restituzione, da stipulare fra il Ministero dell’economia e delle finanze e ciascuna regione»; è, inoltre, stabilito che all’«atto dell’erogazione le regioni interessate provvedono all’immediata estinzione dei debiti pregressi per l’importo corrispondente e trasmettono tempestivamente la relativa documentazione ai Ministeri dell’economia e delle finanze e della salute».

Infine, secondo quanto stabilito dal comma 49, in «presenza della sottoscrizione dell’accordo con lo Stato per il rientro dai deficit sanitari, ai sensi dell’articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, alle regioni interessate che non hanno rispettato il patto di stabilità interno in uno degli anni precedenti il 2007 spetta l’accesso al finanziamento integrativo del Servizio sanitario nazionale a carico dello Stato previsto per l’anno di riferimento dalla legislazione vigente, nei termini stabiliti dal relativo piano».

Orbene, la contestata disciplina – assume la ricorrente – costituirebbe «l’ennesimo intervento statale di rientro di deficit sanitari regionali», realizzato, questa volta, «in una duplice forma»: per le Regioni Lazio, Campania, Molise e Sicilia, «che hanno firmato gli accordi con lo Stato per il risanamento dei relativi servizi, anche attraverso la ristrutturazione dei debiti contratti», è stata prevista «l’anticipazione dell’ingente somma di 9.100 milioni di euro (al netto delle somme già erogate a titolo di ripiano dei disavanzi)» per l’estinzione dei debiti contratti sui mercati finanziari e dei debiti cumulati fino al 31 dicembre 2005, «con l’accordo che tali risorse saranno restituite entro trent’anni»; per le Regioni «che non hanno rispettato il Patto di stabilità negli anni antecedenti al 2007, la finanziaria prevede l’accesso ad un finanziamento integrativo del Servizio sanitario nazionale a carico dello Stato».

Nel premettere di avere «già impugnato forme del tutto similari di intervento a ripiano di deficit sanitari regionali» (il riferimento è ai due ricorsi promossi, rispettivamente, avverso il decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, recante «Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario» e la relativa legge di conversione 17 maggio 2007, n. 64), la Regione Veneto ribadisce le proprie doglianze dinnanzi a quello che definisce come «un nuovo caso di ingiustificata elargizione di preziose risorse pubbliche».

1.3.— In limine, la Regione Veneto  reputa necessario rammentare le linee essenziali, sul piano costituzionale ed ordinamentale, della materia oggetto della contestata disciplina.

Nell’osservare che la salute (art. 32, primo comma, Cost.) è configurata sia «come fondamentale diritto dell’individuo» (art. 2 Cost.), da intendere quale «benessere psico-fisico della persona, di qualunque persona senza discriminazioni di sorta» (art. 3 Cost.), sia alla stregua di un «interesse della collettività», la cui tutela è attribuita alla Repubblica, la ricorrente evidenzia che quest’ultima, ai sensi dell’art. 114 Cost., nel testo come novellato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, sia ormai «costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato».

Ne deriva, pertanto, un assetto «di stampo federale» (sebbene in senso lato) del sistema sanitario, nel quale «il centro procede alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni da assicurare su tutto il territorio» nazionale e si fa, inoltre, «garante del coordinamento della finanza pubblica ponendo i principi fondamentali», mentre «alle autonomie» è riconosciuta – come evidenziato a più riprese dalla Corte costituzionale – una competenza legislativa che, «concernendo ora la “tutela della salute” e non più la mera “assistenza ospedaliera”», risulta «assai più ampia rispetto a quella precedente» (è citata, innanzitutto, la sentenza n. 162 del 2007, nonché le sentenze n. 134 del 2006, n. 270 del 2005 e n. 282 del 2002).

1.4.— Tanto premesso, la ricorrente illustra le specifiche censure indirizzate nei confronti delle singole norme in contestazione.

1.4.1.— In particolare, sul presupposto che i conflitti relativi al ripiano dei disavanzi di gestione del Servizio sanitario nazionale andrebbero valutati – secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale – «nel quadro della competenza legislativa regionale concorrente in materia di tutela della salute» e «specialmente nell’ambito di quegli obiettivi di finanza pubblica e di contenimento della spesa, al cui rispetto sono tenute Regioni e Province autonome» (sono citate le sentenze n. 98 del 2007 e n. 36 del 2005), la Regione Veneto, in primo luogo, ipotizza la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Il legislatore, difatti, avrebbe ecceduto dalla propria competenza a dettare, in tale materia, «solo i principi fondamentali»; ciò in quanto la disciplina impugnata «si segnala, invece, per il suo carattere minuzioso, dettagliato, autoapplicativo, dal momento che indica quali Regioni e secondo quali modalità potranno beneficiare del finanziamento statale per ripianare i propri debiti sanitari».

1.4.2.— Viene, inoltre, dedotto il contrasto con l’art. 119 Cost., essendo stati previsti «dei finanziamenti a destinazione vincolata in materie di potestà legislativa concorrente».

Ed invero, nell’evidenziare che «lo Stato può istituire e disciplinare fondi a destinazione vincolata solo nelle materie di sua competenza legislativa esclusiva» (sono richiamate le sentenze della Corte costituzionale n. 118 del 2006; n. 107 e n. 77 del 2005; n. 49 e n. 16 del 2004; n. 423 e n. 370 del 2003), la ricorrente deduce che, in linea generale, «solamente due tipologie di fondi possono essere considerate rispettose del dettato dell’art. 119 Cost.».

Difatti, accanto al «fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante» (art. 119, terzo comma, Cost.), fondo che – «insieme ad entrate e tributi propri e compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al proprio territorio» (art. 119, secondo comma, Cost.) – «serve a finanziare integralmente le funzioni attribuite a Regioni ed enti locali» (art. 119, quarto comma, Cost.), vengono in rilievo le «risorse aggiuntive» e gli «interventi speciali» previsti – sottolinea sempre la Regione Veneto – «in favore di determinate Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni, al fine di “promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, (…) rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni”» (art. 119, quinto comma, Cost.).

Nel caso di specie, tuttavia, neppure la seconda delle descritte evenienze verrebbe in rilievo.

La Corte costituzionale, difatti, ha precisato che gli interventi speciali di cui al quinto comma dell’art. 119 Cost. «non solo debbono essere aggiuntivi rispetto al finanziamento integrale (…) delle funzioni spettanti ai Comuni o agli altri enti, e riferirsi alle finalità di perequazione e di garanzia enunciate nella norma costituzionale, o comunque a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni, ma debbono essere indirizzati a determinati Comuni o categorie di Comuni (o Province, Città metropolitane, Regioni)». A tale affermazione fa poi riscontro l’altra secondo cui «l’esigenza di rispettare il riparto costituzionale delle competenze legislative fra Stato e Regioni comporta altresì che, quando tali finanziamenti riguardino ambiti di competenza delle Regioni, queste siano chiamate ad esercitare compiti di programmazione e di riparto dei fondi all’interno del proprio territorio» (sentenza n. 16 del 2004; è citata anche la sentenza n. 222 del 2005).

Tanto premesso, quindi, rileva sempre la ricorrente, «l’ormai costante sottostima del fabbisogno del sistema sanitario nazionale operato dallo Stato in sede di distribuzione delle risorse finanziarie» renderebbe impossibile riconoscere «carattere “aggiuntivo”» a «tutte le somme distribuite a copertura dei disavanzi». Inoltre, con «specifico riguardo agli stanziamenti di cui al comma 49», deve notarsi che «essi non sono rivolti ad enti determinati», né «è dato comprendere a quali finalità siano devoluti» (e, in particolare, se si tratti di una di quelle tassativamente previste dall’art. 119, quinto comma, Cost.), ciò che può ripetersi anche «per quanto attiene ai 9.100 milioni di euro, che si aggiungono alle ingenti somme già distribuite alle regioni Lazio, Campania, Molise e Sicilia gli anni scorsi».

Infine, la circostanza che per nessuno di tali finanziamenti le Regioni siano state interpellate integrerebbe un autonomo vizio di illegittimità costituzionale per violazione del principio di leale collaborazione.

1.4.3.— Conclusivamente la Regione Veneto ipotizza anche altri profili di incostituzionalità delle censurate disposizioni.

Viene, pertanto, dedotta la violazione dell’art. 3 Cost., «sia sotto il profilo del rispetto del principio di eguaglianza, sia sotto quello dell’irragionevolezza delle scelte del legislatore statale».

Ed invero, in relazione al primo di tali profili, si evidenzia come la contestata disciplina venga a discriminare le Regioni cosiddette “virtuose”, cioè quelle – tra le quali rientrerebbe la stessa ricorrente – «che hanno informato l’organizzazione e l’erogazione del servizio sanitario a criteri di efficacia e di efficienza», facendo fronte alla carenza di finanziamenti in materia sanitaria attraverso l’imposizione, ai cittadini residenti nei rispettivi territori, di sacrifici o «di natura prettamente fiscale», ovvero «nei termini di maggiore partecipazione al costo delle prestazioni erogate».

Inoltre, la contestata disciplina sarebbe sia irragionevole, in quanto «decide di dare nuovamente a chi ha già ricevuto in abbondanza e non ha dimostrato di saper gestire le risorse provenienti dalla fiscalità generale», sia irrazionale, perché la rinnovata elargizione non risulta accompagnata né «da misure capaci di incidere, eliminandole, sulle cause dei disavanzi», né «da adeguate forme di controllo sull’utilizzo delle risorse elargite».

La scelta compiuta, d’altra parte, nella misura in cui «toglie a chi ha gestito oculatamente, talvolta con rigore, le finanze pubbliche», dando, viceversa, «a chi ha male amministrato», si porrebbe – secondo la ricorrente – in contrasto anche con il «principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.»; senza tacere, poi, del fatto che lo «scialacquamento dei già scarsi mezzi finanziari a disposizione» determinerà – si legge sempre nel ricorso – «una contrazione dei livelli essenziali delle prestazioni» sanitarie, con un «evidente danno riflesso sulla tutela della salute garantita dall’art. 32 Cost.».

Infine, interventi del tipo di quelli previsti dalle norme censurate – conclude la Regione Veneto – «si risolvono in un’indebita interferenza nella gestione più propriamente organizzativa della sanità, ossia, in concreto, nell’esercizio delle funzioni amministrative che l’art. 118 Cost. vuole distribuire tra i diversi enti territoriali “sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”».

1.5.— Su tali basi, quindi, la ricorrente ha chiesto dichiararsi l’illegittimità costituzionale dei commi da 46 a 49 dell’art. 2 della legge n. 244 del 2007, per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost. ed all’art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001.

2.— Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso.

Evidenzia, difatti, come il contributo statale previsto dalle contestate disposizioni risulti «assolutamente necessario ad accompagnare finanziariamente le Regioni impegnate in piani di rientro dai deficit strutturali, affinché il peso del debito pregresso non comprometta il raggiungimento dell’equilibrio economico e finanziario della gestione corrente».

Esso, poi, oltre a giustificarsi in ragione «del principio di leale collaborazione tra gli enti territoriali» (il quale «ha accompagnato il consolidarsi nel settore sanitario di un nuovo spirito cooperativo incentrato sulla stipula periodica di “patti di stabilità” tra lo Stato e le Regioni per la fissazione del fabbisogno sanitario e il riparto delle spese disponibili»), troverebbe il proprio fondamento costituzionale nella competenza esclusiva statale nelle materie di cui alle lettere e) ed m) del secondo comma dell’art. 117 Cost.

Del resto, rileva sempre la difesa dello Stato, la stessa giurisprudenza costituzionale ha «in più occasioni affrontato le problematiche afferenti al concorso statale alla riduzione del deficit dei servizi sanitari regionali» ed ha riconosciuto che, pur operando «in deroga all’obbligo espressamente previsto dalla legislazione sul finanziamento del Servizio sanitario nazionale che siano le Regioni a coprire gli eventuali deficit del servizio sanitario regionale», è legittimo uno «speciale contributo finanziario dello Stato», purché sia «subordinato a particolari condizioni finalizzate a conseguire un migliore o più efficiente funzionamento del complessivo servizio sanitario».

Principio, questo, si precisa, già affermato sin dalla sentenza n. 36 del 2005.

Pertanto, la disciplina censurata non integrerebbe «un’invasione di competenze da parte dello Stato», dando vita, invece, ad un intervento condizionato «al rispetto di obiettivi precisi stabiliti a livello centrale», in vista del risanamento dei servizi sanitari di alcune Regioni, «al fine di non pregiudicare il diritto alla salute dei cittadini» ivi residenti, assicurando, così, l’omogeneità della sua tutela, in conformità al disposto dell’art. 32, primo comma, Cost.

3.— La Regione Veneto, con memoria depositata l’11 febbraio 2009, haribadito la dedotta illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate, sebbene consapevole che la Corte costituzionale, con sentenza n. 216 del 2008, abbia dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione, dalla medesima Regione precedentemente promossa, avverso «forme del tutto similari di intervento a ripiano dei deficit sanitari regionali».

In particolare, essa invita la Corte costituzionale ad astrarsi dalle pur «puntuali e stringenti questioni di legittimità costituzionale proposte» per considerare, soprattutto, le generali ripercussioni che opzioni legislative come quella in esame produrrebbero sul sistema complessivo di fruizione delle prestazioni sanitarie.

Considerato in diritto

1.— La Regione Veneto ha promosso – nell’ambito di una più vasta impugnativa – questione di legittimità costituzionale, tra l’altro, dell’articolo 2, commi da 46 a 49, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2008), per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost. ed all’art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).

2.— In particolare, la ricorrente – sul presupposto che i conflitti relativi al ripiano dei disavanzi di gestione del Servizio sanitario nazionale debbano essere valutati, secondo quanto affermato da questa Corte, «nel quadro della competenza legislativa regionale concorrente in materia di tutela della salute» e «specialmente nell’ambito di quegli obiettivi di finanza pubblica e di contenimento della spesa, al cui rispetto sono tenute Regioni e Province autonome» (sono citate le sentenze n. 98 del 2007 e n. 36 del 2005) –  ipotizza, in primo luogo, la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Il legislatore, difatti, avrebbe ecceduto dalla propria competenza a dettare, in tale materia, «solo i principi fondamentali»; la disciplina impugnata «si segnala, invece, per il suo carattere minuzioso, dettagliato, autoapplicativo, dal momento che indica quali Regioni e secondo quali modalità potranno beneficiare del finanziamento statale per ripianare i propri debiti sanitari».

Viene dedotto, in secondo luogo, il contrasto con l’art. 119 Cost., essendo stati previsti «finanziamenti a destinazione vincolata in materie di potestà legislativa concorrente».

Ed invero, nell’evidenziare che «lo Stato può istituire e disciplinare fondi a destinazione vincolata solo nelle materie di sua competenza legislativa esclusiva» (sono richiamate le sentenze n. 118 del 2006; n. 107 e n. 77 del 2005; n. 423, n. 49 e n. 16 del 2004; n. 370 del 2003), la ricorrente deduce che, in linea generale, «solamente due tipologie di fondi possono essere considerate rispettose del dettato dell’art. 119 Cost.». Infatti, è consentito, da un lato, dare vita a «un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante» (art. 119, terzo comma, Cost.), fondo che – «insieme ad entrate e tributi propri e compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al proprio territorio» (art. 119, secondo comma, Cost.) – «serve a finanziare integralmente le funzioni attribuite a Regioni ed enti locali» (art. 119, quarto comma, Cost.); dall’altro, invece, è possibile stanziare «risorse aggiuntive» e realizzare «interventi speciali», entrambi – sottolinea sempre la ricorrente – «in favore di determinate Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni, al fine di “promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, (…) rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni”» (art. 119, quinto comma, Cost.).

Nessuna di tali evenienze – secondo la ricorrente – sarebbe, però, ipotizzabile nel caso di specie.

Infine, vengono dedotti altri profili di incostituzionalità delle censurate disposizioni, come di seguito precisati.

In primo luogo, si assume che per nessuno dei finanziamenti, contemplati dalla disciplina in contestazione, le Regioni siano state interpellate, ciò che integrerebbe un autonomo vizio di legittimità costituzionale per violazione del principio di leale collaborazione.

In secondo luogo, viene dedotta la violazione dell’art. 3 Cost., «sia sotto il profilo del rispetto del principio di eguaglianza, sia sotto quello dell’irragionevolezza delle scelte del legislatore statale».

Ed invero, in relazione al primo di tali profili, si pone in evidenza come la contestata disciplina venga a discriminare le Regioni cosiddette “virtuose”, cioè quelle «che hanno informato l’organizzazione e l’erogazione del servizio sanitario a criteri di efficacia e di efficienza», facendo fronte alla carenza di finanziamenti in materia sanitaria attraverso l’imposizione, ai cittadini residenti nei rispettivi territori, di sacrifici o «di natura prettamente fiscale», ovvero «nei termini di maggiore partecipazione al costo delle prestazioni erogate». Inoltre, la contestata disciplina sarebbe irragionevole, in quanto «decide di dare nuovamente a chi ha già ricevuto in abbondanza e non ha dimostrato di saper gestire le risorse provenienti dalla fiscalità generale»; essa, poi, sarebbe irrazionale, perché la rinnovata elargizione non risulta accompagnata né «da misure capaci di incidere, eliminandole, sulle cause dei disavanzi», né «da adeguate forme di controllo sull’utilizzo delle risorse elargite».

La scelta compiuta, d’altra parte, nella misura in cui «toglie a chi ha gestito oculatamente, talvolta con rigore, le finanze pubbliche», dando, viceversa, «a chi ha male amministrato», si porrebbe – secondo la ricorrente – in contrasto anche con il «principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.»; senza tacere, poi, del fatto che lo «scialacquamento dei già scarsi mezzi finanziari a disposizione» determinerà – si legge sempre nel ricorso – «una contrazione dei livelli essenziali delle prestazioni» sanitarie, con un «evidente danno riflesso sulla tutela della salute garantita dall’art. 32 Cost.».

Infine, interventi del tipo di quelli previsti dalle norme censurate – conclude la Regione Venero – «si risolvono in un’indebita interferenza nella gestione più propriamente organizzativa della sanità, ossia, in concreto, nell’esercizio delle funzioni amministrative che l’art. 118 Cost. vuole distribuire tra i diversi enti territoriali “sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”».

3.— Le questioni proposte sono inammissibili.

4.— Ad identica conclusione questa Corte è già pervenuta nel decidere una questione di legittimità costituzionale – promossa, tra l’altro, anche dall’odierna ricorrente – che presentava più di un elemento di analogia con quella oggi al vaglio.

Nel giudicare, infatti, della legittimità costituzionale del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 (Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario, nonché in materia di quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale), impugnato dalle Regioni Veneto e Lombardia, sia nel testo originario, che in quello risultante all’esito delle modifiche apportate dalla relativa legge di conversione 17 maggio 2007, n. 64, si è ritenuta inammissibile, con sentenza n. 216 del 2008, l’iniziativa assunta dalle ricorrenti, per carenza in capo ad esse dell’interesse ad agire. 

Questa Corte ritiene – non senza rilevare che il ripetersi di simili interventi legislativi statali di ripiano dei bilanci regionali in materia mal si concilia con il principio del «parallelismo fra responsabilità di disciplina e di controllo e responsabilità finanziaria» enunciato dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 355 del 1993) – che le motivazioni poste a fondamento della citata decisione vadano ribadite anche nel presente caso.

4.1.— In primo luogo, quanto alla dedotta violazione degli artt. 3, 32 e 97 Cost., va confermata – sulla scorta di un più che consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte – la «inammissibilità delle questioni prospettate con riferimento ai parametri diversi da quelli ricavabili dal titolo V della parte seconda della Costituzione non attinenti specificamente alla produzione di fonti normative, poiché la loro evocazione non risulta, prima facie, destinata a far valere una menomazione delle attribuzioni costituzionalmente spettanti» alla Regione ricorrente (sentenza n. 216 del 2008, punto 4, del Considerato in diritto).

4.2.— Il medesimo esito processuale si impone, in secondo luogo, in relazione all’ipotizzato contrasto con l’art. 117 Cost.

Anche nel censurare la disciplina di cui ai commi da 46 a 49 dell’art. 2 della legge n. 244 del 2007, la ricorrente non ha lamentato alcuna «presunta ingerenza dello Stato» nell’esercizio della potestà legislativa regionale. Non si è, infatti, dedotta – come già in occasione dell’impugnativa definita dalla citata sentenza n. 216 del 2008 – «la menomazione» di alcuna prerogativa della stessa ricorrente «nella materia della tutela della salute», né si è contestata l’assenza, in capo allo Stato, di «alcuna legittimazione a dettare la normativa impugnata». La Regione Veneto si è limitata a dolersi del contenuto della impugnata disciplina, «senza l’affermazione» di un proprio «autonomo titolo ad emanare quella stessa normativa».

Conseguentemente, sussistono gli elementi per pervenire ad una pronuncia di inammissibilità, per difetto di interesse, delle censure proposte, atteso che la ricorrente «nessuna utilità diretta ed immediata» potrebbe «trarre, sul piano sostanziale, da una eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della contestata disciplina legislativa statale, per violazione del parametro in questione» (sentenza n. 216 del 2008, punto 7, del Considerato in diritto).

Giova, invero, rammentare che nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale deve necessariamente sussistere, nel soggetto ricorrente, un interesse attuale e concreto a proporre l’impugnazione, in mancanza del quale il ricorso stesso è inammissibile.

Questa Corte, infatti, ha già sottolineato che «ai sensi dell’art. 127, secondo comma, Cost., la Regione è legittimata a promuovere questione di legittimità costituzionale quando una legge o un atto avente forza di legge, dello Stato o di altra Regione, “leda la sua sfera di competenza”. Allo stesso modo l’art. 2, primo comma, della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, dispone che quando una Regione “ritenga che una legge od atto avente forza di legge della Repubblica invada la sfera della competenza ad essa assegnata dalla Costituzione”, può “promuovere l’azione di legittimità costituzionale davanti alla Corte”. E nella medesima prospettiva si pone l’art. 32 della legge 11 marzo 1953, n. 87, secondo il quale la “questione della legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge dello Stato può essere promossa dalla Regione che ritiene dalla legge o dall’atto invasa la sfera della competenza assegnata alla Regione stessa dalla Costituzione e da leggi costituzionali. Analoga previsione, nei giudizi per conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni è contenuta nell'art. 39 della medesima legge n. 87 del 1953» (sentenza n. 216 del 2008, punto 6, del Considerato in diritto).

Deve, dunque, ribadirsi che dall’esame delle suddette disposizioni  «emerge come l’unico interesse che le Regioni sono legittimate a far valere sia quello alla salvaguardia del riparto delle competenze delineato dalla Costituzione; esse, pertanto, hanno titolo a denunciare soltanto le violazioni che siano in grado di ripercuotere i loro effetti, in via diretta ed immediata, sulle prerogative costituzionali loro riconosciute dalla Costituzione. Da ciò consegue che è in tale quadro – caratterizzato dalla necessità che l’iniziativa assunta dalle Regioni ricorrenti sia oggettivamente diretta a conseguire l’utilità propria, ovviamente, del tipo di giudizio che, di volta in volta, venga in rilievo – che deve essere valutata la sussistenza dell’interesse ad agire, da postulare soltanto quando esso presenti le caratteristiche della concretezza e dell’attualità, consistendo in quella utilità diretta ed immediata che il soggetto che agisce può ottenere con il provvedimento richiesto al giudice» (sentenza n. 216 del 2008, punto 6, del Considerato in diritto).

L’assenza, pertanto, in capo all’odierna ricorrente di un interesse avente simili caratteristiche comporta la declaratoria di inammissibilità della censura formulata a norma dell’art. 117 Cost.

4.3.— Considerazioni analoghe a quelle appena svolte debbono ripetersi con riferimento alla dedotta violazione degli artt. 118 e 119 Cost.

4.3.1.— Quanto, in particolare, al primo di tali parametri, il riconoscimento che, anche in relazione alla disciplina oggi in contestazione,  «si versi non in un’ipotesi di allocazione a livello statale di funzioni regionali o di altri enti territoriali, bensì di un intervento diretto dello Stato, a livello legislativo, destinato ad interessare soggetti diversi» dalla Regione ricorrente, porta a concludere che lo stesso risulta «privo di un’incidenza – se non mediata – sulle funzioni» amministrative della ricorrente (sentenza n. 216 del 2008, punto 7, del Considerato in diritto).

4.3.2.— In merito, invece, alla pretesa violazione dell’art. 119 Cost.,  deve essere, del pari, esclusa la sussistenza di «una astratta idoneità della disciplina in contestazione ad influire sull’autonomia finanziaria delle Regioni», e ciò, in particolare, «limitando il reperimento di risorse da destinare alla gestione del servizio sanitario regionale».

Anche quello previsto dalle norme ora impugnate, infatti, «è un intervento che, da un lato, favorisce altre Regioni», rispetto alla ricorrente, «e, dall’altro, è effettuato con oneri a carico della fiscalità generale, sicché la eventuale caducazione di tali norme non comporterebbe» – stante l’assenza di un fondo sanitario nazionale destinato esclusivamente al finanziamento della spesa sanitaria – «la ridistribuzione di maggiori risorse in favore di tutte le Regioni» (sentenza n. 216 del 2008, sempre al punto 7, del Considerato in diritto).

Il tutto senza, peraltro, tacere come «nell’attuale fase di perdurante inattuazione della citata disposizione costituzionale» (art. 119 Cost.), «le Regioni siano legittimate a contestare interventi legislativi dello Stato, concernenti il finanziamento della spesa sanitaria, soltanto qualora lamentino una diretta ed effettiva incisione della loro sfera di autonomia finanziaria; evenienza, questa, neppure dedotta in giudizio».

4.4.— Infine, la descritta situazione di carenza di interesse al ricorso comporta ex se anche l’inammissibilità della censura formulata con riferimento al principio di leale collaborazione, e ciò a prescindere dal rilievo – più volte espresso da questa Corte – «che l’esercizio dell’attività legislativa sfugge alle procedure di leale collaborazione» (sentenze n. 371, n. 222, n. 159 del 2008, sentenza n. 401 del 2007).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale, promosse sempre dalla Regione Veneto con il ricorso n. 19 del 2008,

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 2, commi da 46 a 49, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2008), promosse dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 3, 32, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost. ed all’art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'1 aprile 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Alfonso QUARANTA , Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 aprile 2009.