Ordinanza n. 90 del 2009

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ORDINANZA N. 90

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco                     AMIRANTE                Presidente

- Ugo                                      DE SIERVO                          Giudice

- Paolo                           MADDALENA                    "

- Alfio                             FINOCCHIARO                  "

- Alfonso                         QUARANTA                       "

- Franco                          GALLO                              "

- Luigi                             MAZZELLA                        "

- Gaetano                        SILVESTRI                         "

- Sabino                          CASSESE                           "

- Maria Rita                     SAULLE                             "

- Giuseppe                      TESAURO                          "

- Paolo Maria                  NAPOLITANO                   "

- Giuseppe                      FRIGO                               "

- Alessandro                    CRISCUOLO                      "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 83-undecies del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), aggiunto dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147 (Modificazione alle norme sul contenzioso elettorale amministrativo), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia – sezione staccata di Catania – sui ricorsi riuniti proposti da B. C. ed altri contro l’Ufficio elettorale circoscrizionale di Ragusa ed altri, con ordinanza del 28 febbraio 2008, iscritta al n. 307 del registro ordinanze del 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visti gli atti di costituzione della Provincia regionale di Ragusa, di B. C. ed altra nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 24 febbraio 2009 il Giudice relatore Sabino Cassese;

udito l’avvocato dello Stato Sergio Sabelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia – sezione staccata di Catania – ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 48, 49, 51, 97 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 83-undecies del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), introdotto dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147 (Modificazioni alle norme sul contenzioso elettorale amministrativo), o, in subordine, della predetta disposizione nella parte in cui si interpreti nel senso di impedire la proposizione del ricorso avverso atti endoprocedimentali attualmente lesivi anteriormente alla proclamazione degli eletti;

che il collegio rimettente, chiamato a pronunciarsi su due ricorsi proposti contro i provvedimenti di esclusione di una lista dalle consultazioni elettorali per il rinnovo degli organi elettivi della Provincia di Ragusa, riferisce di aver accolto la domanda cautelare proposta dai ricorrenti – candidato e presentatori della lista esclusa – e di avere, quindi, ammesso provvisoriamente tale lista alle elezioni;

che il giudice a quo espone che, dopo lo svolgimento delle elezioni, con successivo ricorso, uno dei ricorrenti nei primi due giudizi ha impugnato il risultato elettorale e ne ha chiesto l’annullamento e l’integrale ripetizione, lamentando l’insufficiente spazio di propaganda elettorale concessogli per non avere l’autorità correttamente e tempestivamente ottemperato alle pronunce cautelari del giudice amministrativo;

che, secondo quanto afferma il Tribunale amministrativo rimettente, l’Avvocatura generale dello Stato e alcuni dei controinteressati, costituitisi nel giudizio principale, resistono all’accoglimento dei ricorsi, rilevandone l’inammissibilità in base alla disposizione legislativa censurata, la quale, nell’interpretazione fatta propria dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 24 novembre 2005, n. 10, prevede che i ricorsi contro le operazioni elettorali possano essere proposti soltanto dopo la proclamazione degli eletti, cioè ad operazioni elettorali concluse;

che tale interpretazione della norma impugnata, in quanto affermata dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, deve ormai considerarsi, ad avviso del rimettente, una regola di diritto vivente che, nella misura in cui impedisce «l’immediata esperibilità di tutela giurisdizionale contro atti elettorali endoprocedimentali lesivi», «non sfugge a gravi dubbi di incostituzionalità» e deve essere, dunque, sottoposta ad una verifica di legittimità costituzionale;

che, in punto di rilevanza, il collegio rimettente evidenzia che la decisione sui tre ricorsi sottoposti al suo giudizio «dipende pregiudizialmente dalla ammissibilità o meno dei primi due gravami», i quali, in quanto proposti contro i provvedimenti di esclusione prima della proclamazione degli eletti, dovrebbero considerarsi inammissibili alla luce della disposizione legislativa censurata, con conseguente improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, anche del terzo ricorso; 

che, in ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo, innanzitutto, ritiene che la disposizione censurata contrasti con gli artt. 24 e 113 Cost., dal momento che il differimento dell’impugnabilità degli atti endoprocedimentali immediatamente lesivi, quali quelli di esclusione o di ammissione alle elezioni, priva il ricorrente, con riferimento a tali atti, della tutela cautelare, che costituisce parte integrante del diritto alla difesa costituzionalmente garantito;

che, in secondo luogo, la norma censurata, precludendo la possibilità di un intervento tempestivo del giudice nella fase antecedente allo svolgimento delle elezioni, aumenta il rischio di reiterazione delle operazioni elettorali e in tal modo lede, sotto diversi profili, il diritto di elettorato attivo e passivo, di cui agli artt. 48, 49 e 51 Cost.;

che, in terzo luogo, secondo il giudice a quo, la norma censurata viola l’art. 97 Cost., sia perché impedisce un tempestivo intervento del giudice per ripristinare la legittimità dell’azione amministrativa, sia perché «consente ad un organo elettivo proclamato in carica all’esito di un procedimento elettorale invalido di governare per un periodo di tempo consistente, senza legittimazione popolare effettiva»;

che, in quarto luogo, il Tribunale amministrativo rimettente ritiene che la disposizione impugnata si ponga implicitamente in contrasto con la sentenza n. 154 del 1995 di questa Corte, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale, per superamento dei limiti della competenza legislativa esclusiva, di una legge regionale che espressamente impediva il ricorso avverso gli atti del procedimento elettorale prima della proclamazione degli eletti;

che, in quinto luogo, secondo il collegio rimettente, la disposizione censurata si pone in contrasto con l’art. 3 Cost., perché determina una irragionevole disparità di trattamento sia sul piano processuale (in quanto in altri settori, come quello degli appalti pubblici, è invece ammessa l’impugnativa immediata degli atti infraprocedimentali immediatamente lesivi), sia sul piano sostanziale (in quanto i candidati illegittimamente esclusi, nella ripetizione della consultazione elettorale, devono confrontarsi in una posizione di svantaggio con quelli illegittimamente eletti);

che, infine, ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata è irrazionale in quanto «irrimediabilmente ambigua, perché si presta ad essere interpretata, ed è stata di fatto interpretata, anche dopo la sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, addirittura in tre modi diversi: «immediata impugnabilità dell’ammissione o dell’esclusione; inammissibilità di tale impugnazione; ammissibilità della sola impugnazione immediata dei provvedimenti di esclusione»;

che, secondo il collegio rimettente, tale «altalenante (ed esasperante) oscillazione interpretativa giurisprudenziale [...] è prova del fatto che la norma è oggettivamente ambigua e formulata in un contesto che non consente alcuna sicura interpretazione, con evidente lesione dei principi di certezza del diritto, specie perché [...] non è possibile risolvere detta ambiguità alla luce della ratio legis»;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, insistendo affinché la questione di legittimità costituzionale sollevata sia dichiarata inammissibile o, in subordine, manifestamente infondata;

che, ad avviso della difesa erariale, la questione è inammissibile perché priva del requisito della rilevanza, avendo la lista in questione partecipato alle elezioni in forza della pronuncia cautelare del giudice a quo e non potendo «la eventuale dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi [...] determinare né l’operatività del provvedimento di esclusione, né la ripetizione della consultazione elettorale senza la partecipazione della lista»;

che, nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene la questione infondata, osservando, in particolare, che il principio della non impugnabilità immediata degli atti del procedimento elettorale risponde ad esigenze di speditezza del procedimento elettorale, è volto a «consentire lo svolgimento della consultazione alla data stabilita» e trova un bilanciamento nella particolare struttura del procedimento elettorale, che risulta improntato «a criteri di accentuate garanzie di imparzialità e obiettività», in particolare con affidamento dei compiti più delicati ad organi composti da magistrati;

che si è costituito in questa sede il ricorrente nel giudizio principale, la cui difesa ha insistito per l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata;

che è costituita nel giudizio costituzionale anche la Provincia regionale di Ragusa, controinteressata nel giudizio principale, insistendo affinché la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile, per difetto del requisito della rilevanza, e in ogni caso infondata nel merito.

Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia – sezione staccata di Catania – ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 83-undecies del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), introdotto dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147 (Modificazioni alle norme sul contenzioso elettorale amministrativo);

che tale disposizione, nell’interpretazione fatta propria dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato e assunta quale diritto vivente dal giudice a quo, prevede che i ricorsi contro gli atti immediatamente lesivi del procedimento elettorale possano essere proposti solo dopo la proclamazione degli eletti;

che simile regola di diritto vivente, ad avviso del Tribunale amministrativo rimettente, nell’escludere la tutela cautelare contro gli atti endoprocedimentali del procedimento elettorale e nell’accrescere il rischio di reiterazione delle operazioni elettorali, si pone in contrasto con gli articoli 3, 24, 48, 49, 51, 97 e 113 della Costituzione;

che l’ordinanza di rimessione è formulata in modo perplesso e contraddittorio, dal momento che il giudice a quo, per un verso, assume quale diritto vivente, di cui chiede la verifica di costituzionalità, l’interpretazione della norma censurata fatta propria dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, mentre, per altro verso, rileva come, anche dopo l’intervento dell’Adunanza plenaria, la disposizione impugnata sia stata oggetto di contrastanti interpretazioni giurisprudenziali, al punto che la norma stessa viene censurata dallo stesso rimettente anche per la sua ambiguità;  

che, in mancanza di un diritto vivente, la cui esistenza è posta in dubbio dalla stessa ordinanza di rimessione, la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal giudice a quo con riferimento ad una interpretazione della norma censurata da lui non condivisa, si risolve in un tentativo di ottenere l’avallo della Corte a favore di una diversa interpretazione della norma stessa e deve, pertanto, ritenersi manifestamente inammissibile;

che, inoltre, la circostanza che i ricorrenti nei primi due giudizi abbiano ottenuto la tutela cautelare contro i provvedimenti di esclusione, con conseguente partecipazione della lista esclusa alla consultazione elettorale, costituisce una ulteriore ragione di inammissibilità, non avendo il giudice a quo dimostrato la rilevanza della sollevata questione.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 83-undecies del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), introdotto dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147 (Modificazioni alle norme sul contenzioso elettorale amministrativo), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, 48, 49, 51, 97 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia – sezione staccata di Catania – con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 marzo 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 marzo 2009.