Ordinanza n. 77 del 2009

 

ORDINANZA N. 77

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Francesco                    AMIRANTE          Presidente

 

-  Ugo                            DE SIERVO          Giudice

 

-  Paolo                          MADDALENA               “

 

-  Alfio                           FINOCCHIARO            “

 

-  Alfonso                        QUARANTA                 “

 

-  Franco                         GALLO                         “

 

-  Luigi                            MAZZELLA                  “

 

-  Gaetano                       SILVESTRI                   “

 

-  Sabino                        CASSESE                     “

 

-  Maria Rita                   SAULLE                       “

 

-  Giuseppe                    TESAURO                     “

 

-  Paolo Maria                 NAPOLITANO              “

 

-  Giuseppe                     FRIGO                          “

 

-  Alessandro                  CRISCUOLO                “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 63 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), promosso con ordinanza depositata il 21 gennaio 2008 dal Giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, nel giudizio di opposizione di terzo all’esecuzione esattoriale, promosso dalla s.a.s. Smerigliatrice V.S. di Guglielmuccio Vito & C. e dalla s.n.c. GE.GA. di Benvenuti Marcello & C. nei confronti della s.p.a. G.E.T. – Gestione Esattorie e Tesorerie e della debitrice esecutata s.r.l. Ilaria Lavorazione Pellami, iscritta al n. 305 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2008.

 

Udito nella camera di consiglio dell’11 febbraio 2009 il Giudice relatore Franco Gallo.

 

Ritenuto che il Giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, con ordinanza depositata il 21 gennaio 2008, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24 e 42 della Costituzione – questioni di legittimità dell’art. 63 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nel testo attualmente vigente, quale sostituito dall’art. 16 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337), in vigore dal 1° luglio 1999;

che il giudice rimettente denuncia tale disposizione nella parte in cui stabilisce che, nel caso di opposizione di terzo proposta avverso l’esecuzione esattoriale da soggetti diversi da quelli indicati dal comma 3 dell’art. 58 dello stesso d.P.R. n. 602 del 1973 (cioè diversi dal coniuge, dai parenti o dagli affini entro il terzo grado del debitore), l’ufficiale della riscossione deve astenersi dal pignoramento o desistere dal procedimento solo quando gli opponenti dimostrino di essere proprietari dei beni in forza di atto pubblico o di scrittura privata autenticata anteriori all’anno cui si riferisce l’entrata tributaria iscritta a ruolo o in forza di sentenza passata in giudicato pronunciata su domanda proposta prima di detto anno;

che, in particolare, il giudice a quo censura la suddetta disposizione in quanto non consente ai terzi opponenti di provare di essere proprietari dei beni pignorati né mediante i suddetti atti, ove abbiano data anteriore alla consegna del ruolo all’esattore, né – come, invece, consentito al coniuge, ai parenti ed agli affini entro il terzo grado del debitore dalle lettere a), b) e c) del comma 3 dell’art. 58 del citato d.P.R. n. 602 del 1973 – mediante atti pubblici o scritture private di data certa anteriore alla presentazione della dichiarazione fiscale (se la dichiarazione è prevista ed è presentata) o alla violazione che ha dato origine all’iscrizione a ruolo (se la dichiarazione non è prevista o, comunque, non è stata presentata) o al verificarsi del presupposto dell’iscrizione a ruolo (se l’iscrizione a ruolo non trae origine da una violazione e la dichiarazione fiscale non è prevista o, comunque, non è stata presentata);

che l’incidente di costituzionalità è stato sollevato nel corso di un’opposizione di terzo proposta da due società commerciali avverso l’esecuzione esattoriale promossa dalla concessionaria della riscossione dei tributi nei confronti di una società a responsabilità limitata, debitrice verso l’erario;

che, secondo quanto il giudice rimettente premette in punto di fatto: a) le cartelle in base alle quali è stata promossa l’esecuzione esattoriale si riferiscono a tributi relativi al periodo d’imposta 2003; b) le società opponenti deducono di essere proprietarie di alcuni dei beni pignorati e, a sostegno di tale deduzione, hanno prodotto in giudizio «due contratti di affitto, l’uno di azienda, e l’altro di ramo d’azienda, entrambi stipulati per atto pubblico in data 29 aprile 2003, contenenti in allegato i rispettivi elenchi dei beni mobili compresi nell’affitto, alcuni dei quali pignorati in danno della conduttrice, debitrice dell’Erario»; c) la concessionaria eccepisce che tali documenti non sono idonei, ai sensi dell’art. 63 del d.P.R. n. 602 del 1973, a fondare l’opposizione, «essendo contemporanei all’anno cui si riferiscono i tributi per cui si procede (2003)»; d) le società opponenti eccepiscono l’illegittimità costituzionale dell’art. 63 del d.P.R. n. 602 del 1973, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 42 Cost.;

che, secondo quanto il giudice rimettente premette in punto di diritto: a) nell’opposizione di terzo avverso l’esecuzione esattoriale mobiliare, la prova dell’appartenenza al terzo opponente dei beni sottoposti ad esecuzione è soggetta alle limitazioni stabilite dal denunciato art. 63 del d.P.R. n. 602 del 1973; b) nella specie, «la prova dell’acquisto degli stessi beni da parte delle opponenti, non ancora completamente offerta, potrebbe sopravvenire in corso di causa»; c) la giurisprudenza della Corte costituzionale ha evidenziato l’irragionevolezza delle norme che limitano la proponibilità dell’opposizione di terzo all’esecuzione esattoriale con riguardo a quei beni che, con certezza e senza alcun rischio di fraudolente elusioni o di impedimenti alla soddisfazione del credito esattoriale, non appartengono al contribuente moroso (il rimettente cita, in proposito, le sentenze n. 415 del 1996 e n. 444 del 1995); d) la stessa giurisprudenza costituzionale ha sottolineato, inoltre, che norme piú rigorose in ordine alla prova della proprietà dei beni possono trovare giustificazione con riferimento alla posizione del coniuge, il quale può presumersi a conoscenza delle vicende patrimoniali dell’altro coniuge e, quindi, in grado di colludere col medesimo anche quando si realizzi il presupposto del tributo, e non solo quando è in corso la procedura di riscossione (viene richiamata, al riguardo, la citata sentenza n. 444 del 1995); e) nell’originaria formulazione dell’art. 65 del d.P.R. n. 602 del 1973 (in vigore fino al 30 giugno 1999 e costituente l’antecedente storico del denunciato art. 63), il «limite temporale entro il quale opera la presunzione di frode dell’atto» di acquisto del bene coincideva, per i terzi, con la data di consegna del ruolo all’esattore e, perciò, la posizione di essi si differenziava in melius rispetto a quella dei congiunti, del coniuge e dei parenti ed affini entro il terzo grado del debitore erariale, i quali, in forza dell’art. 52 del citato d.P.R. n. 602 del 1973 (antecedente storico del vigente art. 58, che è entrato in vigore il 1° luglio 1999, in forza dell’art. 16 del decreto legislativo n. 46 del 1999), potevano opporsi all’esecuzione solo in relazione ai beni costituiti in dote con atto anteriore alla presentazione della dichiarazione annuale o alla notifica dell’avviso di accertamento dell’imposta (testo originario del suddetto art. 52, in vigore fino al 1° marzo 1997) ovvero potevano dimostrare di essere proprietari dei beni pignorati esclusivamente mediante «atto pubblico o scrittura privata di data certa o per atto di donazione anteriori alla presentazione della dichiarazione o alla notifica dell’avviso di accertamento dell’imposta» (testo dell’art. 52, quale sostituito dall’art. 5, comma 4, lettera b-bis del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, recante «Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997», convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, in vigore dal 2 marzo 1997 al 30 giugno 1999); f) solo con la disposizione denunciata il legislatore ha «esteso ai terzi opponenti, non parenti del debitore, la disciplina frutto della sentenza n. 444/1995 più volte richiamata, imponendo la dimostrazione del diritto con atto “avente data anteriore all’anno cui si riferisce l’entrata iscritta a ruolo” (art. 63, d.P.R. n. 602, quale modificato dall’art. 16 del d.lgs. n. 46 del 1999), in tal modo giungendo addirittura ad aggravare la posizione del terzo non parente rispetto al prossimo congiunto del debitore (coniuge, parente o affine entro il terzo grado), il quale, ai sensi dell’art. 58, come modificato dal predetto art. 16 del d.lgs. n. 46 del 1999, può provare la fondatezza dell’opposizione con atti di data certa anteriore alla presentazione della dichiarazione (se prevista e se presentata) ovvero al momento in cui si è verificata la violazione che ha dato origine all’iscrizione a ruolo (se non è prevista la presentazione della dichiarazione o se la dichiarazione non è comunque stata presentata) ovvero, infine, al momento in cui si è verificato il presupposto dell’iscrizione a ruolo (nei casi non rientranti nelle ipotesi di cui alle lettere a e b)»;

che in base a tali premesse, per il giudice a quo, la norma censurata víola: a) l’art. 3 Cost., sia perché «sottopone ad un regime più rigoroso la posizione dell’estraneo rispetto a quella del congiunto», mentre «la logica vorrebbe semmai che avvenisse l’opposto», sia perché «non pare ragionevole presumere che siano simulati o fraudolenti atti posti in essere durante l’anno in cui si verifica semplicemente il presupposto del tributo, e quindi prima ancora che esso si sia compiutamente verificato [...], quando il terzo non è coniuge, parente o affine del debitore, parendo più che sufficiente (e forse già eccessivo), in questo caso, fissare una presunzione di frode in relazione al momento della consegna del ruolo all’esattore, come nella disciplina originaria del d.P.R. n. 602/1973»; b) l’art. 24 Cost., perché la limitazione probatoria da essa introdotta è irragionevole e limitativa del diritto di difesa; c) l’art. 42 Cost., perché dà «vita, quale pratica conseguenza, ad una sorta di espropriazione senza indennizzo»;

che, in ordine alla rilevanza, il giudice rimettente afferma che dall’accoglimento delle sollevate questioni di legittimità costituzionale «dipendono le sorti della proposta opposizione, che potrebbe essere accolta se, e solo se, i limiti temporali di riferimento della prova scritta richiesta fossero posti dopo l’anno antecedente al tributo da riscuotere, essendo contemporanei (e non anteriori) a tale anno i contratti di affitto che giustificano la detenzione dei beni da parte del debitore non proprietario».

Considerato che il Giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, dubita – in riferimento agli artt. 3, 24 e 42 della Costituzione – della legittimità dell’art. 63 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nel testo vigente, come sostituito dall’art. 16 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337), nella parte in cui stabilisce che, nel caso di opposizione di terzo proposta avverso l’esecuzione esattoriale da soggetti diversi da quelli indicati dal comma 3 dell’art. 58 dello stesso d.P.R. n. 602 del 1973 (cioè diversi dal coniuge, dai parenti o dagli affini entro il terzo grado del debitore), l’ufficiale della riscossione deve astenersi dal pignoramento o desistere dal procedimento solo quando gli opponenti dimostrino di essere proprietari dei beni in forza di atto pubblico o di scrittura privata autenticata anteriori all’anno cui si riferisce l’entrata tributaria iscritta a ruolo o di sentenza passata in giudicato pronunciata su domanda proposta prima di detto anno;

che, in particolare, il giudice a quo censura la suddetta disposizione in quanto non consente ai terzi opponenti di provare di essere proprietari dei beni pignorati né mediante i suddetti atti, ove abbiano data anteriore alla consegna del ruolo all’esattore, né – come invece consentito al coniuge, ai parenti ed agli affini entro il terzo grado del debitore dalle lettere a), b) e c) del comma 3 dell’art. 58 del citato d.P.R. n. 602 del 1973 – mediante atti pubblici o scritture private di data certa anteriore alla presentazione della dichiarazione fiscale (se la dichiarazione è prevista ed è presentata) o alla violazione che ha dato origine all’iscrizione a ruolo (se la dichiarazione non è prevista o, comunque, non è stata presentata) o al verificarsi del presupposto dell’iscrizione a ruolo (se l’iscrizione a ruolo non trae origine da una violazione e la dichiarazione fiscale non è prevista o, comunque, non è stata presentata);

che, secondo il rimettente, la disposizione censurata víola: a) l’art. 3 Cost., sia perché «sottopone ad un regime più rigoroso la posizione dell’estraneo rispetto a quella del congiunto», mentre «la logica vorrebbe semmai che avvenisse l’opposto», sia perché «non pare ragionevole presumere che siano simulati o fraudolenti atti posti in essere durante l’anno in cui si verifica semplicemente il presupposto del tributo, e quindi prima ancora che esso si sia compiutamente verificato [...], quando il terzo non è coniuge, parente o affine del debitore, parendo più che sufficiente (e forse già eccessivo), in questo caso, fissare una presunzione di frode in relazione al momento della consegna del ruolo all’esattore, come nella disciplina originaria del d.P.R. n. 602/1973»; b) l’art. 24 Cost., perché introduce, per i terzi opponenti, una limitazione probatoria irragionevole e limitativa del diritto di difesa; c) l’art. 42 Cost., perché dà «vita, quale pratica conseguenza, ad una sorta di espropriazione senza indennizzo»;

 

che le questioni sono manifestamente inammissibili per difetto di rilevanza;

 

che nella specie, infatti, secondo quanto riferito dal giudice a quo, la prova dell’acquisto dei beni da parte delle opponenti, «non ancora completamente offerta, potrebbe sopravvenire in corso di causa (non essendo ancora scattate le preclusioni istruttorie), e comunque può emergere già in parte dai contratti di affitto prodotti, che negli elenchi allegati dei beni mobili compresi nelle aziende affittate fanno riferimento a “costi storici” ed “ammortamenti”, i quali lasciano presumere annotazioni sui libri contabili delle opponenti […] e tenuta di fatture ed altri documenti di acquisto, cui per legge sono obbligate»;

 

che il rimettente, pertanto, pur censurando i limiti che la disposizione denunciata pone ai terzi opponenti in ordine alla prova della loro proprietà dei beni oggetto di esecuzione esattoriale, non solo non precisa che tale prova, ove non operassero quei limiti, sarebbe stata già raggiunta nel giudizio a quo, ma addirittura espressamente esclude che i terzi, allo stato degli atti processuali, abbiano comunque dimostrato, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata od atti equipollenti di data certa, di essere proprietari dei beni e si limita a prospettare la mera eventualità che tale dimostrazione possa essere fornita dagli opponenti nel prosieguo del giudizio principale;

 

che, dunque, le questioni, in quanto sollevate in relazione alla suddetta eventualità, sono ipotetiche o comunque premature e, pertanto, vanno dichiarate manifestamente inammissibili per difetto di rilevanza attuale nel giudizio a quo (ex plurimis: sentenza n. 272 del 2008; ordinanze n. 398 e n. 12 del 2008; n. 293 del 2007; n. 209 del 2006).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 63 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), sollevate dal Giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, in riferimento agli artt. 3, 24 e 42 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 marzo 2009.

 

F.to:

 

Francesco AMIRANTE, Presidente

 

Franco GALLO, Redattore

 

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2009.