Sentenza n. 29 del 2009

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SENTENZA N. 29

ANNO 2009

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Giovanni Maria           FLICK                            Presidente

-    Francesco                  AMIRANTE                      Giudice

-    Ugo                          DE SIERVO                          "

-    Paolo                        MADDALENA                      "

-    Alfio                         FINOCCHIARO                   "

-    Alfonso                     QUARANTA                        "

-    Franco                      GALLO                                "

-    Luigi                         MAZZELLA                          "

-    Gaetano                     SILVESTRI                          "

-    Sabino                       CASSESE                             "

-    Maria Rita                 SAULLE                               "

-    Giuseppe                   TESAURO                            "

-    Paolo Maria               NAPOLITANO                     "

-    Giuseppe                   FRIGO                                 "

-    Alessandro                 CRISCUOLO                        "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 238-bis del codice di procedura penale promosso dal Tribunale di Biella, nel procedimento penale a carico di U. C. ed altra, con ordinanza iscritta al n. 212 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2006.

Udito nella camera di consiglio del 19 novembre 2008 il Giudice relatore Francesco Amirante.

Ritenuto in fatto

1.— Nel corso di un procedimento penale a carico di due imputati accusati di illecita detenzione di sostanza stupefacente, il Tribunale di Biella ha sollevato, in riferimento all’art. 111, quarto e quinto comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 238-bis del codice di procedura penale, nella parte in cui «consente l’acquisizione dibattimentale delle sentenze divenute irrevocabili ai fini della prova di fatto in esse accertato e, quindi, la utilizzabilità di tale mezzo di prova documentale oltre i casi e i limiti di efficacia probatoria previsti in via generale dal combinato disposto degli artt. 234 e 236» del medesimo codice.

Premette, in punto di fatto, il Tribunale che i due imputati sono accusati di aver illecitamente detenuto cinquanta grammi di sostanza stupefacente del tipo eroina, ricevuta da un terzo che aveva in precedenza definito la propria posizione di imputato di reato collegato, con sentenza di condanna emessa col rito abbreviato e divenuta irrevocabile in data 27 aprile 1992. Nel corso del dibattimento il P.M., dopo aver chiesto l’esame della persona già condannata, assunta con le modalità di cui all’art. 197-bis cod. proc. pen., ha sollecitato anche l’acquisizione – ai sensi della disposizione censurata – della sentenza di condanna a suo tempo pronunciata, con l’intento di utilizzarla in chiave probatoria nel processo. Ciò posto, il giudice a quo rileva che, nella specie, sussiste connessione tra il fatto reato a suo tempo giudicato e quello oggi sottoposto al suo esame, poiché la terza persona già condannata ha reso – con le garanzie di cui all’art. 197-bis cod. proc. pen. – dichiarazioni accusatorie contro gli attuali imputati che potrebbero essere confermate da quanto risulta dalla sentenza irrevocabile che si dovrebbe acquisire.

2.— Compiuta questa premessa, il remittente pone in dubbio la legittimità costituzionale del citato art. 238-bis sotto diversi profili. Da un lato, infatti, la disposizione impugnata, «consentendo al giudice di acquisire elementi di prova formati in assenza del contraddittorio con il soggetto contro il quale possono essere utilizzati», sarebbe in contrasto l’art. 111, quarto comma, Cost., in base al quale la formazione della prova nel processo penale deve avvenire nel contraddittorio delle parti. L’art. 238-bis cod. proc. pen., d’altra parte, introdotto dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, di conversione del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), risponde all’intento evidente di attuare «una sorta di semplificazione probatoria»; la norma non distingue, perciò, i diversi elementi probatori utilizzati nella sentenza, con la conseguenza che essa è acquisibile – secondo pacifica giurisprudenza – «per risultanze processuali diverse, e cioè per le risultanze di fatto emergenti dalle motivazioni di dette sentenze e non già dai loro dispositivi». D’altra parte, osserva il Tribunale di Biella, la natura di “prova documentale” della sentenza irrevocabile necessita di chiarimenti; come una parte della dottrina ha avvertito, infatti, a differenza di quanto disposto dall’art. 238 cod. proc. pen., l’art. 238-bis non prevede una prova documentale in senso stretto – la cui disciplina è contenuta negli artt. 234 e 236 del codice – poiché la sua forza probatoria è limitata ai “fatti documentati”, non potendosi invece estendere anche ai “fatti documentali”. Scopo della norma censurata è, quindi, quello di «evitare che il diverso organo giudicante sia costretto a compiere un nuovo accertamento sulla medesima ipotesi di reato», pur rimanendo esclusa dal sistema l’esistenza di una pregiudiziale penale. Ma ciò dimostra che l’art. 238-bis cod. proc. pen., come più volte affermato in giurisprudenza, pone una chiara limitazione al principio della formazione della prova nel dibattimento.

Al remittente, quindi, pare «insuperabile» il rilievo per cui il documento in questione, cioè la sentenza irrevocabile, «non è stato, di regola, formato in contraddittorio con il soggetto nei cui confronti può essere utilizzato e che la sua acquisizione prescinde totalmente dall’accertamento delle condizioni che, giusta il disposto del quinto comma dell’art. 111 Cost., consentono di derogarvi». Pur essendo pacifico, infatti, che la sentenza è un documento di carattere affatto peculiare, il Tribunale rileva che su di una simile fonte di prova è per le parti impossibile confrontarsi, poiché essa non fornisce una rappresentazione del fatto documentato, bensì una valutazione dello stesso. E non è neppure pensabile che una simile lesione del principio del contraddittorio consacrato nell’art. 111, quarto comma, Cost., possa essere sanata per il fatto che la disposizione censurata impone il criterio di valutazione di cui all’art. 192, comma 3, del codice di rito. Tale criterio, infatti, esclude soltanto che il giudice che si avvale della sentenza irrevocabile sia vincolato al risultato probatorio raggiunto nel diverso processo, ma non può comunque evitare il pregiudizio che «si è ormai già in concreto verificato» per il semplice fatto che ci si debba confrontare con un dato probatorio acquisito e, quindi, rilevante per la decisione.

In conclusione, perciò, il giudice remittente afferma che, pur non potendosi sostenere che la riforma costituzionale dell’art. 111 abbia recepito una concezione «massimalistica e totalizzante del principio del contraddittorio “genetico” della prova», tuttavia è lecito ritenere che l’unico limite a questo sia da identificare nella previsione espressa del quinto comma del medesimo art. 111 Cost.; del che si trae conferma dal fatto che il legislatore – dando attuazione, con la legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’articolo 111 della Costituzione), ai principi costituzionali del giusto processo – ha provveduto a modificare una serie di norme fondamentali del sistema processuale, quali gli artt. 238 e 500 cod. proc. pen., di modo che appare assai difficile dimostrare la ragionevolezza della norma censurata.

Il Tribunale di Biella osserva, infine, che ogni opzione interpretativa diversa da quella di ritenere l’illegittimità costituzionale sopravvenuta dell’art. 238-bis cod. proc. pen. «assumerebbe inevitabilmente connotati di carattere manipolativo-additivo in una materia riservata, appunto, alle scelte discrezionali del legislatore».

Considerato in diritto

1.— Il Tribunale di Biella, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento all’articolo 111, quarto e quinto comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 238-bis del codice di procedura penale.

Il remittente censura la suddetta disposizione «laddove consente l’acquisizione dibattimentale delle sentenze divenute irrevocabili ai fini della prova di fatto in esse accertato e, quindi, l’utilizzabilità di tale mezzo di prova documentale oltre i casi e i limiti di efficacia probatoria previsti in via generale dal combinato disposto degli artt. 234 e 236 cod. proc. pen.».

Secondo il remittente, poiché dai parametri costituzionali evocati si evince il principio generale che in ciascun processo possono essere utilizzate soltanto le prove formatesi nel contraddittorio tra le parti in esso svoltosi, mentre le eccezioni sono tassativamente indicate nel quinto comma dell’art. 111 Cost., la disposizione censurata, prevedendo un’ipotesi non compresa tra queste ultime, viola i precetti suddetti.

Né vale obiettare – prosegue il remittente – che, dovendo la sentenza acquisita essere valutata ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., l’imputato avrebbe sempre modo di contestarne l’efficacia probatoria alla luce degli elementi di riscontro che il giudice deve acquisire. Infatti, la valutazione della prova – e, in particolare, della sentenza acquisita secondo i criteri indicati – «lungi dal prevenire un effetto pregiudizievole rilevante sul piano probatorio nel processo ad quem e derivante dall’avvenuta acquisizione degli accertamenti fattuali oggetto di valutazione della sentenza irrevocabile resa inter alios, si colloca processualmente (e necessariamente) dopo che tale pregiudizio, eziologicamente ricollegabile alla violazione del fondamentale principio della formazione della prova in contraddittorio delle parti (art. 111, quarto comma, Cost.), si è ormai già in concreto verificato: essendo, infatti, il giudice comunque obbligato a confrontarsi (sia pure con i limiti valutativi indicati dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.) con un “dato probatorio” ritualmente acquisito e, quindi, pienamente utilizzabile per la decisione».

La questione viene sollevata nel corso di un processo a carico di due imputati – accusati di detenzione, al fine di cessione, di sostanze stupefacenti – nel quale il pubblico ministero ha chiesto l’acquisizione della sentenza irrevocabile di condanna emessa a seguito di giudizio abbreviato – per un reato collegato – nei confronti di un terzo, sentito nella qualità di testimone assistito ai sensi dell’art. 197-bis cod. proc. pen.

2.— La questione non è fondata.

Al fine dell’inquadramento storico-sistematico della disposizione censurata e della individuazione dei termini della questione, è opportuno mettere in evidenza lo svolgimento della normativa, costituzionale e ordinaria, e della giurisprudenza, costituzionale e comune, in tema di acquisizione e valutazione della sentenza irrevocabile emessa in altro processo.

La disposizione in esame è stata introdotta, nella vigenza del testo originario dell’art. 111 Cost., con il decreto-legge 8 giugno 1992, n 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356 – dopo le stragi verificatesi in Sicilia – per contrastare più efficacemente  la criminalità organizzata, come risulta dallo stesso titolo del provvedimento («Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa»). Tuttavia, la disposizione è applicabile in via generale, quale che ne sia l’oggetto, e l’acquisizione della sentenza irrevocabile pronunciata in altro processo può essere chiesta non soltanto dal pubblico ministero, ma anche dall’imputato.

Poiché il codice di procedura penale entrato in vigore nel 1989 è ispirato, tra gli altri, anche ai principi dell’autonomia di ciascun processo e della formazione della prova in dibattimento, insorse il dubbio che la disposizione dell’art. 238-bis in oggetto non fosse in linea con il disegno originario del codice in materia di prove e che, quindi, ne alterasse il quadro sistematico, rendendo eccentriche disposizioni previgenti attuative del principio della separazione dei processi. Questa Corte fu, quindi, chiamata a risolvere la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, cod. proc. pen, sollevata in riferimento, tra gli altri parametri, anche all’art. 3 Cost., in quanto prevedeva l’indifferenza del processo a carico di un minorenne rispetto al processo nei confronti di coimputati maggiorenni.

La Corte dichiarò la manifesta infondatezza della questione rilevando, fra l’altro, «che […] la previsione dell’art. 238-bis cod. proc. pen., in vista della cui applicazione il tribunale rimettente ha sollevato il quesito di costituzionalità, lungi dall’assumere la portata di statuizione idonea a risolvere ogni aspetto del thema devoluto alla cognizione del giudice ricevente, si limita a regolare il modo di valutazione della pronuncia irrevocabile resa in separato giudizio, in una logica di economia nella raccolta del materiale utile alla decisione che non intacca il basilare principio, già operante nel vigore dell’art. 18 del precedente codice, per cui ogni giudice è tenuto a formarsi il proprio convincimento in base alle prove di cui dispone e che sono utilizzabili, senza che ad una di tali prove possa essere attribuita efficacia cogente e risolutiva dell’obbligo di apprezzamento e motivazione da parte del giudicante» (ordinanza n. 159 del 1996).

Si deve considerare che tale provvedimento fu emesso nell’ambito del previgente testo costituzionale, il quale non stabiliva che «il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova». Tuttavia esso, per alcuni aspetti, costituisce un precedente dal quale possono ricavarsi argomenti utili ai fini della risoluzione della presente questione.

Intervenuta, nel 1999, la modifica dell’art. 111 Cost., la legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’articolo 111 della Costituzione), ha provveduto a adeguare alcune disposizioni del codice di procedura penale ai nuovi precetti costituzionali, ma non ha inciso sull’art. 238-bis.

La mancanza di interventi legislativi sulla disposizione ora in scrutinio, nel mutato contesto costituzionale, non è certamente decisiva per negarne l’illegittimità, ma non può non indurre a valutarne i contenuti alla luce dei principi costituzionali ora vigenti, al fine di accertare la possibilità, o meno, di una sua interpretazione  ad essi adeguata.

A tale scopo deve essere considerata anche la giurisprudenza, formatasi in epoca successiva alla modifica costituzionale, concernente i limiti dell’utilizzazione ai fini probatori della sentenza irrevocabile emessa in altro procedimento.

3.— Occorre, però, prima osservare che non può essere condiviso l’assunto del remittente secondo il quale l’acquisizione del dato probatorio – nella specie della sentenza irrevocabile pronunciata in un diverso giudizio – è momento autonomo rispetto all’utilizzazione che se ne farà poi nel processo ricevente, sicché i limiti imposti a quest’ultima sono irrilevanti ai fini del giudizio sulla legittimità dell’acquisizione.

Acquisizione del dato probatorio e sua valutazione ed utilizzazione sono momenti certamente distinti, ma altrettanto certamente non autonomi. Numerose disposizioni del codice, nel prevedere l’acquisizione di dati probatori esterni, ne indicano le condizioni e la finalità, in tal modo fissandone anche i limiti di utilizzabilità. Tra le altre, a titolo di mero esempio, possono essere indicate le disposizioni degli artt. 187 (sentenza n. 129 del 2008), 197-bis (ordinanza n. 265 del 2004 e sentenza n. 381 del 2006), 236 e 238, comma 4, del codice di procedura penale.

In tale ordine di idee questa Corte, con la citata ordinanza n. 159 del 1996, ha affermato che l’art. 238-bis «si limita a regolare il modo di valutazione della pronuncia irrevocabile resa in separato giudizio».

La giurisprudenza di legittimità successiva alla modifica dell’art. 111 Cost., proprio alla stregua del criterio in base al quale acquisizione e valutazione del dato probatorio sono distinte ma correlate, ha emesso pronunce di segno diverso a seconda dell’utilizzazione che la sentenza impugnata aveva fatto di quella resa in altro processo, divenuta irrevocabile ed acquisita ai sensi dell’art. 238-bis.

In particolare, è stato escluso che nel processo ricevente possano essere considerati provati vicende e fatti sulla base soltanto delle risultanze della decisione emessa in altro processo, o che l’art. 238-bis possa consentire l’ingresso di elementi probatori la cui acquisizione non sarebbe consentita per altre vie.

In positivo, invece, sono stati individuati i limiti di utilizzabilità della sentenza acquisita e, quindi, la consistenza e la natura che essa può assumere quale elemento probatorio nel processo ricevente. Si è, infatti, affermato che l’art. 238-bis in esame, «col circoscrivere l’utilizzabilità dell’acquisizione delle sentenze irrevocabili ai fini della prova del fatto in esse accertato, limita all’avvenuto accertamento ed ai connessi rilievi critici l’impiego della sentenza, conferendo a tali passaggi qualità di elemento probatorio in quanto evento storico esterno di rilevanza indubbia» (Corte di cassazione, sez. VI, sentenza n. 1269 del 2004). In tale contesto, è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità dell’art. 238-bis, prospettata in riferimento agli artt. 24 e 25 Cost., in quanto la disposizione censurata era suscettibile di interpretazione costituzionalmente adeguata. In quella circostanza è stato evidenziato che la sentenza acquisita era stata valutata non in quanto contenente un accertamento ormai indiscutibile destinato a fare stato nel processo ricevente, bensì come documento dal quale risultavano il fatto dell’accertamento e le considerazioni che ad esso avevano condotto e che il tutto era stato oggetto di contraddittorio insieme agli elementi di riscontro ritenuti utili, e che, quindi, il principio costituzionale secondo cui la prova si forma nel contraddittorio non era stato violato.

4.— Si può perciò desumere che la portata del principio del contraddittorio nella formazione della prova va individuata in considerazione della specificità dei singoli mezzi di prova. La sentenza irrevocabile non può essere considerata un documento in senso proprio, poiché si caratterizza per il fatto di contenere un insieme di valutazioni di un materiale probatorio acquisito in un diverso giudizio; tuttavia, neppure può essere equiparata alla prova orale. Ne consegue che, in relazione alla specifica natura della sentenza irrevocabile, il principio del contraddittorio trova il suo naturale momento di esplicazione non nell’atto dell’acquisizione – nel quale, del resto, non sarebbe ipotizzabile alcun contraddittorio, se non in ordine all’an dell’acquisizione – ma in quello successivo della valutazione e utilizzazione. Una volta che la sentenza è acquisita, le parti rimangono libere di indirizzare la critica che si andrà a svolgere, in contraddittorio, in funzione delle rispettive esigenze. Nel corso del dibattito, ai fini della valutazione e utilizzazione in questione, non si potrà non tenere conto del tipo di procedimento (ordinario, abbreviato, con accettazione della pena) in cui la sentenza acquisita è stata pronunciata e, quindi, anche del contraddittorio in esso svoltosi.

D’altra parte, la scelta del legislatore di consentire al giudice di apprezzare liberamente l’apporto probatorio scaturente dagli esiti di altro processo conclusosi con sentenza irrevocabile e di permettere correlativamente alle parti di utilizzare, come elementi di prova, i risultati che da quella sentenza sono emersi – tutto ciò nel quadro delle prospettive eventualmente contrapposte, da misurare, come si è detto, nel contraddittorio dibattimentale – si salda logicamente alla scomparsa, nel nuovo sistema processuale, della pregiudiziale penale: la quale, al contrario, proiettava in termini di vincolatività il giudicato esterno nel processo “pregiudicato”. Il tutto sottolineando, per altro verso, come la libertà di valutazione del giudice che acquisisce la sentenza irrevocabile, unita alla necessità di riscontri che ne confermino il contenuto, rappresentino garanzia sufficiente del rispetto delle prerogative dell’imputato, alla cui salvaguardia il parametro costituzionale invocato è stato posto.

In conclusione, alla luce del principio più volte affermato da questa Corte – secondo il quale l’illegittimità costituzionale di una disposizione non consegue alla possibilità di darne un’interpretazione contrastante con precetti della Costituzione, quanto all’impossibilità di adottarne una ad essi conforme (v. per tutte, sentenze n. 147 e n. 148 del 2008 e n. 379 e n. 403 del 2007) – la presente questione deve essere dichiarata non fondata.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 238-bis del codice di procedura penale sollevata, in riferimento all’art. 111, quarto e quinto comma, della Costituzione, dal Tribunale di Biella con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 gennaio 2009.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 febbraio 2009.