Sentenza n. 27 del 2009

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SENTENZA N. 27

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giovanni Maria              FLICK                        Presidente

- Francesco                             AMIRANTE                          Giudice

- Ugo                              DE SIERVO                        "

- Alfio                             FINOCCHIARO                  "

- Alfonso                         QUARANTA                       "

- Franco                          GALLO                              "

- Luigi                             MAZZELLA                        "

- Gaetano                        SILVESTRI                         "

- Sabino                          CASSESE                           "

- Maria Rita                     SAULLE                             "

- Giuseppe                      TESAURO                          "

- Paolo Maria                 NAPOLITANO                   "

- Giuseppe                      FRIGO                               "

- Alessandro                    CRISCUOLO                      "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 60, comma 1, numero 9), del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), promosso con ordinanza del 20 dicembre 2007 dalla Corte d’appello di Salerno nel procedimento civile vertente tra Mario Pepe e Giovanni Costantino ed altri, iscritta al n. 283 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visti l’atto di costituzione di Mario Pepe nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 13 gennaio 2009 il Giudice relatore Sabino Cassese;

uditi gli avvocati Lorenzo Lentini e Giuseppe Abbamonte per Mario Pepe e l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - La Corte d’appello di Salerno ha sollevato, con riferimento agli artt. 3, primo comma, e 51, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 60, comma 1, numero 9), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), «nella parte in cui estende ai direttori sanitari delle case di cura private convenzionate la sanzione dell’ineleggibilità a sindaco e consigliere dei comuni che concorrono a costituire l’azienda sanitaria locale o ospedaliera con cui sono convenzionate».

Espone il rimettente che dinanzi a esso pende il ricorso contro la sentenza del Tribunale di Salerno, che, in accoglimento del ricorso proposto da alcuni elettori del Comune di Postiglione, ha dichiarato la decadenza del sindaco dello stesso Comune dalle cariche di sindaco e di consigliere comunale, per ineleggibilità. Contro la sentenza l’interessato ha presentato appello alla Corte rimettente.

Riferisce il giudice a quo che l’attuale ricorrente è direttore sanitario di una casa di cura accreditata per il Servizio sanitario nazionale e ricadente nel territorio dell’Azienda sanitaria locale nella quale è compreso il Comune di Postiglione, del quale egli è stato eletto sindaco. Il giudice di primo grado ha ritenuto che la carica di direttore sanitario fosse causa di ineleggibilità ai sensi della disposizione impugnata nel presente giudizio.

2. - In ordine alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale, il rimettente osserva che i motivi dell’appello si basano sulla prospettazione dell’illegittimità costituzionale della disposizione che dispone l’ineleggibilità del direttore sanitario di «struttura convenzionata» (cioè di casa di cura privata convenzionata con un’azienda sanitaria), che è l’unico parametro alla cui stregua deve essere valutata la sussistenza della causa di ineleggibilità riscontrata dal Tribunale di Salerno.

3. - Per quanto riguarda la non manifesta infondatezza della questione, la Corte rimettente ritiene che la disparità di trattamento tra il direttore sanitario di un singolo presidio ospedaliero pubblico, liberamente eleggibile, e il direttore di una struttura convenzionata, ineleggibile, possa comportare una violazione degli artt. 3 e 51 Cost.

Il giudice a quo ripercorre l’evoluzione della disciplina delle strutture sanitarie, con il superamento del forte legame tra comuni e unità sanitarie locali e la concentrazione dei poteri dirigenziali delle aziende sanitarie locali in capo a poche figure apicali. Ricorda la parallela evoluzione della disciplina dell’ineleggibilità, che – a seguito dell’abrogazione delle previsioni della legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale) da parte del decreto legislativo n. 267 del 2000 – è limitata alle tre figure del direttore generale, del direttore amministrativo e del direttore sanitario. Rileva che sono ormai liberamente eleggibili i dirigenti «di secondo livello», cioè i direttori sanitari o amministrativi dei distretti e presidi ospedalieri pubblici.

A fronte di una simile restrizione delle cause di ineleggibilità nel settore pubblico, secondo la Corte rimettente, la permanenza dell’ineleggibilità per tutti i dirigenti delle strutture convenzionate determina una disparità di trattamento tra questi ultimi e i dirigenti delle strutture pubbliche, che viola gli artt. 3 e 51 Cost. Esaminate le varie funzioni dei direttori sanitari delle strutture convenzionate, come definite dalle norme statali, la Corte osserva che esse corrispondono alle funzioni igienico-organizzative riconosciute anche ai direttori medici e ai direttori sanitari dei presidi ospedalieri pubblici, i quali non sono ineleggibili. Osserva infine la Corte che «l’identità di funzioni svolte e la totale analogia di contesto operativo giustificherebbero una identità di regime giuridico, ivi compresa la disciplina delle ineleggibilità» e che «l’irragionevole disparità di trattamento di situazioni sostanzialmente identiche, soprattutto in quanto limitativa del diritto di ogni cittadino di accedere liberamente alle cariche elettive, si pone quindi in contrasto con gli articoli 3, comma 1, nonché 51, comma 1, della Carta fondamentale».

4. - Nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

La difesa statale eccepisce preliminarmente l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, derivante dal fatto che la presunta illegittimità riguarderebbe non la disposizione impugnata, che prevede l’ineleggibilità dei dirigenti delle strutture convenzionate, bensì l’assenza di una analoga disposizione relativa ai dirigenti dei presidi ospedalieri pubblici. La pronuncia richiesta dalla Corte rimettente, prosegue l’Avvocatura generale dello Stato, non rimuoverebbe il contrasto con la Carta costituzionale, ma ne introdurrebbe uno ulteriore, estendendo anche ai soggetti privati un’eccezione in ipotesi contraria alla Costituzione. Da ciò deriverebbe l’irrilevanza della questione.

Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato afferma l’erroneità dell’interpretazione della disposizione data dal rimettente. Premesso che le disposizioni in materia di ineleggibilità non possono essere interpretate analogicamente, ma possono ben essere interpretate estensivamente, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che il regime di ineleggibilità debba essere esteso anche ai direttori sanitari di presidio ospedaliero pubblico, «pur non espressamente contemplati. Gli stessi, infatti, benché operino in un bacino di utenza necessariamente più ristretto rispetto a quello di una ASL, svolgono attività gestionali di supporto perfettamente assimilabili a quelle svolte dagli altri soggetti pubblici e privati contemplati dai numeri 8) e 9) del D. Lgs. N. 267/2000». Deve quindi essere esclusa, conclude la difesa statale, la violazione del principio di eguaglianza o del diritto di elettorato passivo.

5. - Si è costituito anche il ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale, con argomenti analoghi a quelli esposti nell’ordinanza di rimessione. La difesa del ricorrente insiste sull’equiparazione e sull’identità di funzioni tra dirigenti sanitari pubblici e privati e sull’illegittima disparità di trattamento derivante dal rispettivo regime delle ineleggibilità.

Considerato in diritto

1. - La Corte d’appello di Salerno ha sollevato, con riferimento agli artt. 3, primo comma, e 51, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 60, comma 1, numero 9), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), «nella parte in cui estende ai direttori sanitari delle case di cura private convenzionate la sanzione dell’ineleggibilità a sindaco e consigliere dei comuni che concorrono a costituire l’azienda sanitaria locale o ospedaliera con cui sono convenzionate». La Corte rimettente, rilevata l’analogia di funzioni e di contesto operativo tra il direttore sanitario di un singolo presidio ospedaliero pubblico e il direttore di una struttura convenzionata, ritiene che la previsione legislativa dell’ineleggibilità solo per il secondo determini un’irragionevole disparità di trattamento e un’illegittima limitazione del diritto di accedere alle cariche elettive, con conseguente violazione degli artt. 3 e 51 Cost.

2. - Deve essere disattesa, innanzitutto, l’eccezione di inammissibilità proposta dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale la presunta illegittimità deriverebbe non dalla previsione dell’ineleggibilità dei dirigenti sanitari privati, operata dalla disposizione impugnata, ma dalla mancata previsione dell’ineleggibilità dei dirigenti sanitari pubblici. La Corte rimettente ha impugnato la disposizione applicabile al caso che essa deve decidere, che riguarda un dirigente di una struttura convenzionata. Essa appunta le sue censure sulla disparità di trattamento e non esprime alcuna preferenza per il regime più rigoroso di ineleggibilità, previsto dalla disposizione impugnata: al contrario, essa, invocando la giurisprudenza costituzionale sui limiti alla possibilità di prevedere cause di ineleggibilità, lamenta la violazione del diritto di elettorato passivo, derivante da un ricorso eccessivo all’ineleggibilità da parte del legislatore.

3. - Nel merito, la questione è fondata.

Questa Corte ha più volte affermato che il diritto di elettorato passivo può essere compresso solo in vista di esigenze costituzionalmente rilevanti e che l’eleggibilità è la regola, mentre l’ineleggibilità è l’eccezione (sentenze n. 25 del 2008, n. 306 e n. 220 del 2003). La previsione di cause di ineleggibilità, da parte del legislatore, per essere conforme all’art. 51 Cost., deve rispettare i principi di ragionevolezza e proporzionalità. È alla luce di questi principi che va valutata la disciplina delle cause di ineleggibilità dei dirigenti sanitari alle cariche di governo negli enti locali.

La disciplina in questione, volta ad assicurare la parità di trattamento tra i candidati e ad evitare l’inquinamento delle competizioni elettorali, che potrebbe derivare dalla possibilità di alcuni candidati di condizionare gli elettori, era originariamente ispirata a un parallelismo tra le ipotesi di ineleggibilità dei dirigenti delle strutture sanitarie pubbliche e di quelli delle strutture convenzionate.

Le previsioni relative ai dirigenti delle strutture sanitarie pubbliche, peraltro, hanno risentito dell’evoluzione della disciplina in materia sanitaria e, in particolare, della riforma delle unità sanitarie locali. Queste ultime, inizialmente configurate come strutture operative dipendenti dai comuni, sono state riformate dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), il quale ha configurato le aziende sanitarie locali come strutture dipendenti dalle regioni, strumentali all’erogazione dei servizi sanitari attribuiti alla competenza delle regioni stesse, e ha modificato i rapporti tra le aziende e i comuni. Questi ultimi conservano alcune funzioni in quanto enti esponenziali delle collettività locali, ma non in quanto amministrazioni responsabili dei servizi sanitari.

Questa evoluzione ha giustificato un riordino delle ipotesi di ineleggibilità, operato con il d. lgs. n. 267 del 2000, che ha limitato l’ineleggibilità alle tre cariche di vertice delle aziende sanitarie locali (direttore generale, direttore amministrativo e direttore sanitario). Coerentemente, con lo stesso decreto legislativo sono state abrogate le previsioni della legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale), tranne che per le disposizioni relative ai consiglieri regionali (art. 274, comma 1, lettera l) del d. lgs. n. 267 del 2000). Questa Corte ha già dichiarato non fondata una questione di legittimità costituzionale relativa alla nuova disciplina, che limita l’ineleggibilità alle tre cariche di vertice delle aziende sanitarie locali (sentenza n. 220 del 2003).

In conseguenza di quanto precede, si deve escludere che il regime di ineleggibilità sia esteso anche ai direttori sanitari dei singoli presidi ospedalieri pubblici, nei quali possono articolarsi le aziende sanitarie. Si deve riconoscere che la previsione dell’art. 60, comma 1, numero 8), del d. lgs. n. 267 del 2000 è inequivoca nel limitare l’ineleggibilità alle tre figure di vertice dell’azienda sanitaria locale o ospedaliera.

A fronte dell’evoluzione descritta, che ha investito i dirigenti sanitari pubblici, le previsioni relative ai dirigenti delle strutture convenzionate sono rimaste invariate. Continua a esservi un parallelismo tra queste strutture e quelle pubbliche, nonostante il processo di riforma che ha investito le seconde. Mentre è venuta meno l’ineleggibilità per i dirigenti degli ospedali non costituiti in aziende, i quali sono ora presidi interni alle aziende stesse, è stata mantenuta la previsione relativa ai dirigenti delle strutture convenzionate, formulata in termini più ampi. È rimasta, in particolare, la previsione dell’ineleggibilità del direttore sanitario delle strutture convenzionate, che è figura assimilabile, per contesto e funzioni, a quella del dirigente medico dei presidi sanitari pubblici. Le due figure presentano spiccati tratti di analogia, come è dimostrato dal raffronto tra l’art. 4, comma 9, del d. lgs. n. 502 del 1999, che definisce i compiti del primo, e l’art. 27 del decreto del Presidente della Repubblica 27 giugno 1986 (Atto di indirizzo e coordinamento dell’attività amministrativa delle regioni in materia di requisiti delle case di cura private), che definisce quelli del secondo: al di là della diversa formulazione, l’uno e l’altro affidano ai due organi la responsabilità dell’organizzazione igienico-sanitaria delle rispettive strutture.

Nonostante questa analogia di compiti, la norma censurata opera una differenziazione in ordine alla possibilità di accedere alle cariche elettive negli enti locali, producendo una disparità di trattamento nella materia dell’elettorato passivo, regolata dall’art. 51 Cost. La previsione dell’ineleggibilità per i direttori sanitari di strutture convenzionate non appare ragionevole né proporzionata e, quindi, viola l’art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento, e l’art. 51 Cost., per l’indebita compressione del diritto di elettorato passivo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 60, comma 1, numero 9), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), nella parte in cui prevede l’ineleggibilità dei direttori sanitari delle strutture convenzionate per i consigli del comune il cui territorio coincide con il territorio dell’azienda sanitaria locale o ospedaliera con cui sono convenzionate o lo ricomprende, ovvero dei comuni che concorrono a costituire l’azienda sanitaria locale o ospedaliera con cui sono convenzionate.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 gennaio 2009.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 febbraio 2009.