Ordinanza n. 16 del 2009

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ORDINANZA N. 16

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Giovanni Maria           FLICK                            Presidente

-    Francesco                  AMIRANTE                      Giudice

-    Ugo                          DE SIERVO                          "

-    Paolo                        MADDALENA                      "

-    Alfio                         FINOCCHIARO                   "

-    Alfonso                     QUARANTA                        "

-    Franco                      GALLO                                "

-    Luigi                         MAZZELLA                          "

-    Gaetano                     SILVESTRI                          "

-    Sabino                       CASSESE                             "

-    Maria Rita                 SAULLE                               "

-    Giuseppe                   TESAURO                            "

-    Paolo Maria               NAPOLITANO                     "

-    Giuseppe                   FRIGO                                 "

-    Alessandro                 CRISCUOLO                        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), promosso dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra la Sept Italia s.p.a. e la Kaitech s.p.a. ed altri, con ordinanza del 23 gennaio 2008 iscritta al n. 243 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 17 dicembre 2008 il Giudice relatore Francesco Amirante.

Ritenuto che nel corso di una controversia concernente rapporti societari il Tribunale di Milano, in composizione collegiale, con ordinanza del 23 gennaio 2008, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), nella parte in cui stabilisce che «la mancata notifica dell’istanza di fissazione d’udienza nei venti giorni successivi alla scadenza dei termini di cui ai commi precedenti, o del termine per il deposito della memoria di controreplica del convenuto di cui all’art. 7, comma 2, ovvero dalla scadenza del termine massimo di cui all’art. 7, comma 3, determina l’estinzione immediata del processo», anziché la cancellazione della causa dal ruolo;

che nella specie – riferisce il remittente – dopo lo scambio di memorie previsto dagli artt. 6 e 7 del citato d.lgs. n. 5 del 2003, la parte attrice ha notificato l’istanza di fissazione dell’udienza di discussione di cui al censurato art. 8 e il giudice relatore designato ai sensi dell’art. 12 dello stesso d.lgs. ha dichiarato, con ordinanza del 5 febbraio 2007, l’intervenuta estinzione del processo, in quanto la suddetta notificazione è stata effettuata oltre il termine di venti giorni dalla notifica della memoria della controparte alla quale non si intendeva replicare, previsto dal comma 1, lettera c), del suddetto art. 8;

che avverso tale ordinanza ha presentato reclamo al collegio la parte attrice sostenendo che – avendo i convenuti indicato il termine di trenta giorni per la notificazione di eventuale ulteriore memoria di replica e scadendo tale ultimo termine oltre quello suddetto di venti giorni – per evitare l’estinzione del giudizio aveva inteso avvalersi della possibilità di notificare l’istanza di fissazione dell’udienza nei venti giorni dalla scadenza del termine massimo di ottanta giorni di cui all’art. 7, comma 3, del d.lgs. n. 5 del 2003 (richiamato dal successivo art. 8, comma 4), chiedendo, nel contempo, di essere autorizzata a replicare ulteriormente nel medesimo termine;

che ad avviso del Tribunale, tuttavia, tale tesi non può essere accolta e, nella specie, sia il termine di venti giorni dalla notifica dell’ultimo scritto difensivo dei convenuti sia il termine massimo di ottanta giorni dalla memoria di controreplica di questi ultimi erano ampiamente scaduti al momento della notifica dell’istanza di fissazione dell’udienza dell’attrice, sicché dovrebbe, comunque, essere confermato il provvedimento di estinzione del processo, sulla base della disposizione censurata (di qui la rilevanza della questione);

che, quanto alla non manifesta infondatezza, il Tribunale – dopo aver ricordato che l’estinzione è una vicenda anomala del processo, finalizzata ad evitare la prosecuzione dell’attività processuale quando si verifichino fatti o circostanze ritenute dal legislatore incompatibili con la volontà delle parti di proseguire il giudizio – ritiene la scelta legislativa di porre termini perentori sanzionati con l’estinzione immediata al fine di governare il passaggio del giudizio alla fase apud iudicem, contrastante, in primo luogo, con l’art. 24 Cost. perché del tutto sproporzionata ed irragionevole rispetto alla perseguita finalità acceleratoria;

che, nel rito ordinario, infatti, in ipotesi analoghe è prevista la meno penalizzante conseguenza della cancellazione della causa dal ruolo da cui può derivare l’estinzione del processo solo nell’ipotesi di omessa riassunzione della causa cancellata entro il termine di un anno;

che, viceversa, nella specie, la prevista sanzione impedisce all’interessato di sanare autonomamente (con la riassunzione del giudizio) l’eventuale errore di valutazione o di interpretazione compiuto e di ottenere la tutela del diritto azionato;

che, del resto, nello stesso rito societario, nell’ipotesi di cui all’art. 16, comma 1, d.lgs. n. 5 del 2003 – in cui si verifica la mancata presentazione delle parti davanti al collegio per la sentenza contestuale (e, quindi, una manifestazione di disinteresse alla prosecuzione del giudizio ben più esplicita della semplice non tempestiva notifica dell’istanza di fissazione dell’udienza) – è prevista la cancellazione della causa dal ruolo, donde l’ulteriore contrasto della disposizione censurata con l’art. 3 Cost. per irragionevole disparità di trattamento rispetto alla suddetta fattispecie;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per il rigetto della questione.

Considerato che il Tribunale di Milano, in composizione collegiale, con ordinanza del 23 gennaio 2008, dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), nella parte in cui stabilisce che «la mancata notifica dell’istanza di fissazione d’udienza nei venti giorni successivi alla scadenza dei termini di cui ai commi precedenti, o del termine per il deposito della memoria di controreplica del convenuto di cui all’art. 7, comma 2, ovvero dalla scadenza del termine massimo di cui all’art. 7, comma 3, determina l’estinzione immediata del processo», anziché la cancellazione della causa dal ruolo;

che questa Corte, investita di una questione analoga a quella oggi proposta dal giudice remittente, l’ha dichiarata non fondata con sentenza n. 221 del 2008, successiva alla presente ordinanza di rimessione;

che nella richiamata pronuncia – dopo aver ricordato il costante indirizzo della giurisprudenza costituzionale secondo cui le scelte compiute dal legislatore, nell’esercizio della sua ampia discrezionalità in ordine alla configurazione degli istituti processuali, sono sindacabili solo se manifestamente irragionevoli – la Corte ha escluso che la disposizione censurata travalichi tale limite ed ha anche affermato la compatibilità della stessa con la garanzia costituzionale del diritto di difesa;

che il Tribunale di Milano non sottopone alla Corte alcuna argomentazione diversa ed ulteriore rispetto a quelle già scrutinate nella menzionata decisione;

che la presente questione, pertanto, deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Milano, in composizione collegiale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 2009.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 gennaio 2009.