Ordinanza n. 446 del 2008

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ORDINANZA N. 446

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giovanni Maria   FLICK                                              Presidente

- Francesco          AMIRANTE                                         Giudice

- Ugo                   DE SIERVO                                             ”

- Paolo                 MADDALENA                                         ”

- Alfio                  FINOCCHIARO                                       ”

- Alfonso              QUARANTA                                            ”

- Franco               GALLO                                                    ”

- Luigi                  MAZZELLA                                             ”

- Gaetano             SILVESTRI                                              ”

- Sabino               CASSESE                                                ”

- Maria Rita          SAULLE                                                  ”

- Giuseppe            TESAURO                                               ”

- Paolo Maria        NAPOLITANO                                         ”

- Giuseppe            FRIGO                                                     ”

- Alessandro         CRISCUOLO                                           ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come sostituito dall’art. 2 della legge 27 maggio 1998, n. 165 (Modifiche all’articolo 656 del codice di procedura penale ed alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni), promosso dal Magistrato di sorveglianza di Livorno nel procedimento relativo a B.H.A., con ordinanza del 1° aprile 2008, iscritta al n. 271 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2008.

         Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

         udito nella camera di consiglio del 3 dicembre 2008 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.

Ritenuto che il Magistrato di sorveglianza di Livorno, con ordinanza del 1° aprile 2008, ha sollevato – in riferimento all’art. 3 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come sostituito dall’art. 2 della legge 27 maggio 1998, n. 165 (Modifiche all’articolo 656 del codice di procedura penale ed alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni), nella parte in cui non prevede che il magistrato di sorveglianza, investito dell’istanza di affidamento in prova al servizio sociale, proposta dopo che ha avuto inizio l’esecuzione della pena, possa disporre l’applicazione provvisoria della misura «anziché la pura e semplice sospensione dell’esecuzione della pena», in attesa della decisione definitiva del tribunale di sorveglianza;

che il rimettente è investito dell’istanza di ammissione provvisoria alla misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, avanzata da una detenuta già condannata a cinque anni di reclusione dalla Corte d’appello di Roma, per il delitto di cui agli artt. 73 e 80 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), con sentenza del 13 dicembre 2006, divenuta definitiva il 13 febbraio 2008;

che, secondo il giudice a quo, sussisterebbero i requisiti soggettivi ed oggettivi per l’ammissione dell’interessata alla misura alternativa richiesta, atteso che il residuo della pena è inferiore a tre anni (la relativa esecuzione ha avuto inizio il 23 novembre 2005), e che la detenuta, delinquente primaria, ha trascorso un significativo periodo di detenzione agli arresti domiciliari (dal 30 maggio 2007 al 27 febbraio 2008), prima che la sentenza divenisse irrevocabile, rispettando le prescrizioni e mantenendo una condotta irreprensibile, di talché risulterebbe inesistente il pericolo di fuga;

che, inoltre, non emergerebbero specifici e concreti elementi dai quali desumere la sussistenza di «collegamenti attuali della detenuta con la criminalità organizzata od eversiva, elementi che, di fatto, sarebbero stati ostativi anche alla sostituzione della custodia cautelare in carcere con la più tenue misura degli arresti domiciliari»;

che, infine, la detenuta istante avrebbe a disposizione un domicilio «ove riprenderebbe l’attività di cura familiare già svolta durante il periodo degli arresti domiciliari», laddove, sottolinea il giudice a quo, «la stessa potrebbe essere gravemente pregiudicata dal protrarsi dello stato detentivo in attesa della decisione del Tribunale di sorveglianza […] anche in virtù delle necessità familiari e di accudimento evidenziate nell’istanza»;

che il rimettente osserva come, nonostante la prognosi favorevole all’ammissione dell’interessata alla misura alternativa, la richiesta di applicazione provvisoria della stessa misura non possa essere accolta, stante il disposto dell’art. 47, comma 4, della legge n. 354 del 1975;

che infatti la disposizione citata, nel definire il procedimento di ammissione all’affidamento in prova al servizio sociale, con riferimento alle ipotesi in cui l’esecuzione della pena abbia già avuto inizio, prevede che il magistrato di sorveglianza possa sospendere detta esecuzione e ordinare la liberazione del condannato, in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza, ma non anche applicare in via provvisoria la misura alternativa;

che il giudice a quo ritiene irragionevole tale disciplina, in quanto preclusiva degli effetti positivi che discenderebbero dall’applicazione provvisoria della misura, in termini di possibile sottoposizione dell’interessato a prescrizioni – utili anche ai fini della successiva valutazione della condotta ad opera del tribunale di sorveglianza –, di attivazione dell’intervento del servizio sociale fin dal momento della scarcerazione, e, infine, di garanzia della «prosecuzione dell’esecuzione della pena», potendosi riferire all’espiazione anche il periodo che precede la decisione definitiva del tribunale di sorveglianza;

che, inoltre, sarebbe violato il principio di uguaglianza sotto il profilo della disparità di trattamento, come emergerebbe dal raffronto tra la disciplina in esame e quelle dettate per l’ammissione alle misure dell’affidamento in prova in casi particolari (per tossicodipendenti e alcooldipendenti) e della detenzione domiciliare, contenute rispettivamente nell’art. 94, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990, come sostituito dall’art. 4-undecies della legge 21 febbraio 2006, n. 49 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, recante misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero dei tossicodipendenti recidivi), e nell’art. 47-ter, comma 1-quater, della legge n. 354 del 1975;

che, infatti, nelle disposizioni citate il legislatore ha configurato l’intervento del magistrato di sorveglianza in chiave totalmente anticipatoria, allo scopo di realizzare in tempi ragionevolmente rapidi – ove ricorrano le condizioni di ammissibilità e sia assente il pericolo di fuga – l’accesso alle misure alternative indicate, tenuto conto che il termine di 45 giorni, previsto per la decisione definitiva del tribunale di sorveglianza, è meramente ordinatorio;

che il rimettente si sofferma sulla previsione riguardante la detenzione domiciliare, contenuta nel citato art. 47-ter, comma 1-quater, per effetto della quale, in presenza dei requisiti di cui al comma 1 (detenzione domiciliare per motivi umanitari) e al comma 1-bis (detenzione domiciliare biennale «generica»), il magistrato di sorveglianza può disporre l’applicazione provvisoria della misura, con un provvedimento che conserva efficacia fino alla decisione del tribunale di sorveglianza;

che anche nel procedimento di ammissione alla misura dell’affidamento in prova cosiddetto terapeutico, per effetto della recente modifica introdotta con la legge n. 49 del 2006, si realizza l’immediata «presa in carico» del detenuto istante, da parte del servizio per le tossicodipendenze o della comunità terapeutica, nonché l’imposizione di obblighi e prescrizioni a carico dello stesso, «senza che vengano a crearsi sospensioni tra la decisione provvisoria del Magistrato di sorveglianza e quella definitiva del Tribunale»;

che, secondo il giudice a quo, il divario determinatosi a proposito dei provvedimenti anticipatori del magistrato di sorveglianza sarebbe privo di giustificazione, in quanto varrebbero anche per l’ammissione all’affidamento in prova al servizio sociale le ragioni che militano a sostegno dell’applicazione provvisoria della misura;

che, in particolare, identica sarebbe la ratio dell’intervento cautelare dell’organo monocratico nelle tre ipotesi considerate, da individuarsi nell’esigenza di garantire la tempestiva ammissione del detenuto alla misura alternativa, in attesa della decisione definitiva dell’organo collegiale, che può intervenire anche a distanza considerevole di tempo rispetto alla presentazione della domanda;

che, inoltre, identica sarebbe la struttura del giudizio, tipicamente cautelare, di prognosi circa l’accoglimento dell’istanza da parte del tribunale di sorveglianza, previa verifica della sussistenza delle condizioni di ammissibilità alla misura alternativa richiesta e del grave pregiudizio che potrebbe derivare dalla protrazione dello stato di detenzione, nonché, in negativo, dell’assenza del pericolo di fuga (a tal proposito il rimettente evidenzia che l’art. 47-ter, comma 1-quater, richiama le disposizioni dettate dall’art. 47, comma 4, applicabili in quanto compatibili, là dove l’art. 94, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990 espressamente indica il periculum in mora come presupposto della decisione cautelare);

che, infine, il rimettente evidenzia come la sospensione dell’esecuzione della pena comporti un «temporaneo congelamento» dell’esecuzione stessa, il quale, oltre a presentare i limiti già indicati sotto il profilo contenutistico, determina, per l’interessato, una situazione paragonabile ad una sorta di «limbo», potenzialmente di durata apprezzabile, mentre l’applicazione provvisoria della misura arricchirebbe di contenuti il periodo di attesa e «consentirebbe inoltre al Tribunale, al momento della decisione definitiva, di esprimere un giudizio più ponderato sulla capacità del soggetto di conformarsi alle prescrizioni della misura alternativa»;

che, con riguardo alla rilevanza della questione, il giudice a quo ribadisce che l’istanza sottoposta al suo giudizio è volta ad ottenere l’applicazione provvisoria dell’affidamento in prova al servizio sociale, vale a dire un provvedimento non consentito dal censurato art. 47, comma 4, della legge n. 354 del 1975, risultando così ininfluente la circostanza che, nella specie, potrebbe comunque essere disposta la sospensione dell’esecuzione della pena, attesa l’evidenziata diversità di contenuto e di effetti tra i due provvedimenti;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 30 settembre 2008, ed ha concluso per la manifesta inammissibilità e, comunque, per l’infondatezza della questione;

che, secondo la difesa erariale, la comparazione istituita tra la disciplina dell’ammissione alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale e quelle previste per l’ammissione alla detenzione domiciliare e all’affidamento in prova cosiddetto terapeutico poggerebbe sul presupposto, non condivisibile, della assimilabilità delle situazioni in esame;

che, diversamente da quanto ritenuto dal rimettente, l’applicabilità in via provvisoria delle misure richiamate risponderebbe a specifiche esigenze, facilmente desumibili in rapporto al contenuto di ciascuna misura alternativa;

che, infatti, nell’ipotesi prevista dall’art. 47-ter della legge n. 354 del 1975, sarebbe evidente «la necessità di garantire la continuità del regime detentivo al quale il condannato permane assoggettato anche dopo l’applicazione della detenzione domiciliare», là dove, nell’ipotesi dell’affidamento in prova cosiddetto terapeutico, sarebbe del pari evidente la necessità di «assicurare che il tossicodipendente o l’alcooldipendente inizi immediatamente o prosegua il programma di recupero già avviato»;

che nessuna delle indicate esigenze connoterebbe la fase di ammissione all’affidamento in prova al servizio sociale, come configurato nell’art. 47 della citata legge n. 354 del 1975, trattandosi di misura alternativa alla detenzione che non comporta né un vero e proprio regime di privazione della libertà personale, né la sottoposizione dell’interessato ad un programma di recupero, ma soltanto l’attuazione di una serie di prescrizioni finalizzate a contribuire alla rieducazione del soggetto e ad assicurare la prevenzione del pericolo che lo stesso commetta altri reati;

che in definitiva, a parere della difesa dello Stato, il differente regime di applicazione di quest’ultima misura sarebbe sorretto da una adeguata giustificazione, e come tale non irragionevole.

Considerato che il Magistrato di sorveglianza di Livorno dubita – in riferimento all’art. 3 della Costituzione – della legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come sostituito dall’art. 2 della legge 27 maggio 1998, n. 165 (Modifiche all’articolo 656 del codice di procedura penale ed alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni), nella parte in cui non prevede che il magistrato di sorveglianza, investito dell’istanza di affidamento in prova al servizio sociale, proposta dopo che ha avuto inizio l’esecuzione della pena, possa disporre l’applicazione provvisoria della misura «anziché la pura e semplice sospensione dell’esecuzione della pena», in attesa della decisione definitiva del tribunale di sorveglianza;

che il rimettente reputa irragionevole, oltre che ingiustificatamente discriminatoria rispetto ad altre misure assunte in comparazione, la scelta legislativa secondo cui l’accesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale può essere preceduto solo dalla sospensione dell’esecuzione della pena – e dunque dalla rimessione in libertà del detenuto istante – in ipotesi di prognosi favorevole circa l’accoglimento dell’istanza da parte del tribunale di sorveglianza;

che il rimettente evidenzia come, al contrario, con riferimento alle misure alternative dell’affidamento in prova cosiddetto terapeutico e della detenzione domiciliare, sia possibile l’ammissione provvisoria alle predette misure, all’esito di un procedimento valutativo in tutto identico a quello delineato dalla norma censurata;

che il rimettente vorrebbe perciò introdotto, in luogo della prevista sospensione della pena, un provvedimento di carattere anticipatorio, in modo da «riempire» con i contenuti tipici della predetta misura il periodo, di durata potenzialmente significativa, che precede la decisione definitiva del tribunale di sorveglianza, evitando, nel contempo, l’interruzione della fase esecutiva, con il vantaggio, per l’interessato, di vedersi riconosciuto il predetto periodo ai fini del computo della pena espiata;

che, nell’ambito della discrezionalità che connota le scelte di politica penitenziaria, non appare manifestamente irragionevole la previsione, introdotta con la legge n. 165 del 1998, che consente la sospensione cautelare della pena nei confronti del condannato il quale abbia presentato istanza di affidamento in prova al servizio sociale, in attesa della decisione definitiva dell’organo collegiale sull’applicazione della misura;

che infatti la provvisoria rimessione in libertà, senza prescrizioni, è disposta mediante un provvedimento cautelare, di competenza del magistrato di sorveglianza nei casi di detenzione già iniziata, che deve essere sorretto da un giudizio prognostico favorevole circa l’ammissione del soggetto istante alla misura alternativa in assoluto più favorevole tra quelle configurate dall’ordinamento penitenziario, e che presuppone la capacità del beneficiario di autodeterminarsi a prescindere da particolari limitazioni della libertà personale;

che anche il criticato effetto interruttivo dell’esecuzione della pena, derivante dall’applicazione della norma censurata, risulta in realtà coerente con la scelta di restituire provvisoriamente piena libertà al soggetto che, ad un giudizio prognostico, appare meritevole dell’ammissione alla misura alternativa in esame, essendo logica conseguenza che, nell’ipotesi di mancato accoglimento dell’istanza da parte del tribunale di sorveglianza, il periodo trascorso fuori dall’istituto di detenzione, senza alcuna forma di restrizione, non possa essere valutato quale forma di espiazione;

che nemmeno può ritenersi ingiustificata la disparità di trattamento denunciata, con riferimento al contenuto dell’intervento provvisorio del magistrato di sorveglianza, tra condannati istanti per l’affidamento in prova al servizio sociale, come nella specie, e condannati che richiedano l’ammissione alle misure della detenzione domiciliare e dell’affidamento in prova a fini terapeutici, atteso che, come ripetutamente affermato da questa Corte, le situazioni poste in comparazione sono caratterizzate dalla diversità dei presupposti di fatto e della configurazione normativa delle diverse misure alternative (ex multis, sentenza n. 338 del 2008 e ordinanza n. 375 del 1999);

che, infatti, l’ammissione in via provvisoria alla detenzione domiciliare nei casi indicati all’art. 47-ter, commi 1 e 1-bis, della legge n. 354 del 1975, serve a garantire la continuità della restrizione, in attesa della decisione definitiva sull’applicazione della misura alternativa, quando il detenuto si trovi in situazioni soggettive caratterizzate da esigenze di natura umanitario-assistenziale (comma 1), ovvero in condizioni tali, avuto riguardo all’entità della pena da espiare, al titolo del reato e alla mancanza di recidiva (comma 1-bis), da rendere preferibile, a fini essenzialmente deflattivi, la sostituzione della detenzione carceraria con quella domiciliare;

che, in termini analoghi, l’ammissione in via provvisoria all’affidamento a fini terapeutici consente l’immediato avvio, o la prosecuzione, del programma di recupero dalla tossicodipendenza o alcooldipendenza, all’interno del quale si realizza anche una imprescindibile forma di contenimento e di controllo su soggetti altrimenti destinati a rimanere ristretti in carcere;

che, pertanto, la questione sollevata appare, sotto ogni profilo, manifestamente non fondata.

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come sostituito dall’art. 2 della legge 27 maggio 1998, n. 165 (Modifiche all’articolo 656 del codice di procedura penale ed alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza di Livorno con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 dicembre 2008.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 29 dicembre 2008.