Ordinanza n. 444 del 2008

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ORDINANZA N. 444

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giovanni Maria   FLICK                                              Presidente

- Francesco          AMIRANTE                                         Giudice

- Ugo                   DE SIERVO                                             ”

- Paolo                 MADDALENA                                         ”

- Alfio                  FINOCCHIARO                                       ”

- Alfonso              QUARANTA                                            ”

- Franco               GALLO                                                    ”

- Luigi                  MAZZELLA                                             ”

- Gaetano             SILVESTRI                                              ”

- Sabino               CASSESE                                                ”

- Maria Rita          SAULLE                                                  ”

- Giuseppe            TESAURO                                               ”

- Paolo Maria        NAPOLITANO                                         ”

- Giuseppe            FRIGO                                                     ”

- Alessandro         CRISCUOLO                                           ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 438, comma 5, e 441, comma 2, del codice di procedura penale, promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Velletri con ordinanza del 14 novembre 2007, iscritta al n. 39 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2008.

         Visti l’atto di costituzione di A.A. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

         udito nell’udienza pubblica del 2 dicembre 2008 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;

uditi l’avvocato Pasquale Lattari per la parte costituita A.A. e l’avvocato dello Stato Ettore Figliolia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Velletri, con ordinanza del 14 novembre 2007, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale degli artt. 438, comma 5, e 441, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui, pur ammettendo la costituzione della parte civile nel giudizio abbreviato introdotto dall’imputato con richiesta condizionata ad una integrazione probatoria, non prevedono per la stessa parte civile la possibilità di chiedere l’ammissione di prova contraria;

che nel corso dell’udienza preliminare,  secondo quanto riferito dal giudice a quo, l’imputato ha formulato una richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad integrazione probatoria, e la parte civile – «accettando di partecipare al giudizio abbreviato ai sensi dell’art. 441 comma 2° c.p.p.» – ha sollecitato l’ammissione di alcuni testi;

che tale ultima «richiesta – avversata dalla controparte – veniva ritenuta irrituale ed inammissibile e pertanto la parte civile chiedeva rimettersi gli atti alla Corte costituzionale»;

che detta questione di legittimità, prospettata con riguardo al principio di parità tra le parti sancito dall’art. 111 Cost., avrebbe avuto ad oggetto – secondo quanto riferito dal rimettente – il comma 5 dell’art. 438 cod. proc. pen., nella parte in cui non riconosce alla parte civile, come invece riconosce al pubblico ministero, la possibilità di sollecitare l’ammissione di prova contraria a quella introdotta dall’imputato con la richiesta condizionata di accesso al rito;

che il giudice a quo ritiene la questione rilevante e non manifestamente infondata;

che la carenza di poteri istruttori in capo alla parte civile si giustificherebbe, infatti, nel caso di giudizio abbreviato non condizionato ad una integrazione probatoria, ove la parte medesima, in un quadro probatorio predeterminato, può razionalmente valutare se inserirsi nel giudizio penale o se piuttosto far valere le proprie ragioni mediante l’azione civile;

che sarebbe diversa, invece, l’ipotesi del giudizio abbreviato condizionato, perché «in tal caso […] il giudice, assunti i mezzi di prova ammessi su richiesta dell’imputato e del P.M. ha il potere dovere di accertare la responsabilità penale e civile dell’imputato secondo la stessa regola di giudizio del rito dibattimentale e tuttavia la scelta effettuata dall’imputato […] ha l’effetto di precludere al danneggiato quell’esercizio del diritto alla prova che gli sarebbe garantito nel rito ordinario»;

che in proposito non avrebbero rilievo, secondo il rimettente, né la possibilità per la parte civile di abbandonare il processo penale né la constatazione che, sul tema della responsabilità, la prova può essere comunque integrata su iniziativa del pubblico ministero o dello stesso giudice procedente, mentre l’accertamento del quantum debeatur, in caso di carenza della base cognitiva, potrebbe essere demandato al giudizio civile;

che lo stesso rimettente, al fine di documentare l’inefficienza di tali «garanzie», ricostruisce le connotazioni del caso di specie: l’imputato avrebbe formulato la propria richiesta; il giudice avrebbe disposto procedersi mediante il rito speciale; la parte civile avrebbe dichiarato di accettare il rito abbreviato; il pubblico ministero sarebbe rimasto silente, così omettendo di «surrogare» la parte privata nella sollecitazione istruttoria, pur concernente la responsabilità dell’imputato; il danneggiato, di conseguenza, si sarebbe di fatto trovato nell’impossibilità di provare la propria pretesa;

che il diritto alla prova della parte civile, d’altro canto, non potrebbe essere assicurato mediante l’uso dei poteri officiosi di integrazione probatoria, posto che il giudice, secondo il rimettente, non sarebbe legittimato a «svolgere funzione di supplenza all’inerzia volente o nolente delle parti, specie se “in malam partem” dell’imputato»;

che la regiudicanda, in tale contesto, dovrebbe essere definita sulla base degli elementi originariamente raccolti dal pubblico ministero e di quelli introdotti dall’imputato, con estromissione del danneggiato dalla dialettica probatoria in forza della sollecitazione «meramente potestativa» della parte avversa;

che le norme censurate – tra le quali il rimettente inserisce, a questo punto, il comma 2 dell’art. 441 cod. proc. pen. – confliggerebbero anzitutto con l’art. 3 Cost., laddove è imposta la rimozione di tutti gli ostacoli all’effettiva partecipazione dei cittadini all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, «ivi compresi gli ostacoli che ne impediscano l’accesso alla tutela dei diritti in sede giudiziaria»;

che sarebbe violato inoltre, secondo il giudice a quo, l’art. 24 Cost., nella parte in cui assicura la tutela giudiziale dei diritti e stabilisce «a tale scopo» che la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento;

che sussisterebbe, infine, una violazione dell’art. 111 Cost., secondo il quale ogni processo deve svolgersi nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale, di talché, una volta consentito l’esercizio dell’azione civile nel giudizio abbreviato condizionato, alla parte interessata dovrebbe essere garantito un trattamento analogo a quello delle altre parti (imputato e pubblico ministero);

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato il 18 marzo 2008;

che la questione, secondo la difesa erariale, sarebbe manifestamente infondata, dato che la parte civile presente nel giudizio abbreviato ha facoltà di revocare la propria costituzione, senza che da tale scelta derivino limiti per l’azione nella sede civile;

che l’anzidetta facoltà, secondo il disposto del comma 1 dell’art. 82 cod. proc. pen., potrebbe essere esercitata in ogni stato e grado del procedimento, e sarebbe di conseguenza irrilevante l’affidamento eventualmente riposto dalla parte civile nell’integrazione officiosa della prova, quand’anche lo stesso restasse deluso, come sarebbe accaduto nel caso di specie, dopo l’accettazione del rito;

che l’imputato nel procedimento principale si è costituito nel giudizio, per mezzo del proprio difensore e procuratore speciale, con atto depositato il 5 marzo 2008;

che la parte privata – dopo aver ricordato che l’odierna questione è stata in altre occasioni valutata, dalla giurisprudenza di legittimità, nel senso della manifesta infondatezza (è citata Cassazione penale, sentenza n. 320 del 2005) – ritiene che gli interessi della parte civile siano adeguatamente garantiti dalla facoltà di non accettare il rito, secondo il disposto del comma 4 dell’art. 441 cod. proc. pen.;

che tale disciplina sarebbe congrua, del resto, con i connotati di semplificazione del rito speciale, e comunque espressiva della discrezionalità del legislatore, ragionevolmente esercitata, così come la Corte costituzionale avrebbe già chiarito, con specifico riguardo alla posizione della parte civile, mediante la sentenza n. 169 del 2003;

che la stessa Corte costituzionale ha già negato, con riguardo al giudizio abbreviato condizionato, che l’esclusione di poteri probatori pieni in capo al pubblico ministero comporti una violazione del principio di parità delle parti, sancito nel secondo comma dell’art. 111 Cost. (è citata la sentenza n. 115 del 2001);

che d’altronde, sempre a parere della parte costituita, la posizione del danneggiato non potrebbe essere assimilata a quella del pubblico ministero, trattandosi di una parte solo eventuale, e portatrice di «interessi egoistici», diversi da quelli a carattere generale presidiati dalla pubblica accusa;

che il peculiare regime della controprova per la parte civile troverebbe giustificazione, in definitiva, tanto nella particolarità del rito (tale che sarebbe inefficace ogni comparazione con la disciplina in proposito vigente per il dibattimento), tanto nella peculiarità di posizione della persona offesa quale parte del procedimento penale.

Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Velletri, con ordinanza del 14 novembre 2007, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale degli artt. 438, comma 5, e 441, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui, pur ammettendo la costituzione della parte civile nel giudizio abbreviato introdotto dall’imputato con richiesta condizionata ad una integrazione probatoria, non prevedono per la stessa parte civile la possibilità di chiedere l’ammissione di prova contraria;

che la questione è manifestamente inammissibile, in ragione delle gravi carenze che segnano la descrizione dei fatti avvenuti nel giudizio principale, tali da precludere il necessario controllo di questa Corte in punto di rilevanza;

che il rimettente fornisce indicazioni carenti e contraddittorie, anzitutto, sui tempi della costituzione della parte civile in rapporto alla richiesta difensiva di giudizio abbreviato ed allo stesso provvedimento che avrebbe disposto l’introduzione del rito (peraltro non specificamente indicato nell’ordinanza di rimessione, sebbene essenziale quale antecedente logico e cronologico della richiesta di controprova delle parti diverse dall’imputato: ordinanza n. 101 del 2008);

che infatti, in esordio dell’ordinanza di rimessione, il giudice a quo sembra prospettare una costituzione successiva all’avvio del procedimento abbreviato, sia per la sequenza nell’illustrazione degli adempimenti, sia per l’evocazione del comma 2 dell’art. 441 cod. proc. pen., norma che regola gli effetti negoziali della costituzione operata dopo che la parte abbia avuto conoscenza dell’ordinanza di introduzione del rito;

che nel prosieguo del provvedimento, tuttavia, il rimettente prospetta una sequenza tra l’ordinanza di accoglimento della richiesta di giudizio abbreviato ed una accettazione espressa del rito ad opera della parte civile, sostanzialmente evocando il comma 4 dell’art. 441 cod. proc. pen., e comunque alludendo ad una parte costituita in fase antecedente;

che l’incerta ricostruzione della fattispecie condiziona la valutazione di rilevanza della questione, con evidenza particolare ed immediata per quanto concerne la censura mossa al comma 2 dell’art. 441 cod. proc. pen., della quale, peraltro, il rimettente non fornisce una specifica e chiara giustificazione;

che l’esposizione del fatto è carente e contraddittoria, su un piano più generale, per quanto attiene all’oggetto effettivo della domanda probatoria avanzata nel giudizio a quo dalla parte civile (domanda che sarebbe stata «ritenuta irrituale e non ammissibile», presumibilmente non mediante un provvedimento giudiziale di rigetto, ché altrimenti la questione sarebbe inammissibile anche in quanto sollevata dopo l’applicazione della norma censurata);

che, in particolare, sebbene il rimettente si riferisca ripetutamente alla «controprova» (e dunque all’assunzione di mezzi di prova aventi ad oggetto le stesse circostanze di fatto cui si riferiscono le prove integrative richieste dall’imputato), alcuni passaggi dell’ordinanza di rimessione inducono il dubbio che la parte civile, nella specie, abbia inteso piuttosto estendere il novero dei fatti da accertare mediante l’attività istruttoria integrativa;

che in effetti, premesso che il giudice a quo non indica l’oggetto della prova cui l’imputato ha subordinato la propria richiesta di accesso al rito, deve rilevarsi come le indicazioni fornite circa la domanda proposta dalla parte civile non evochino un carattere reattivo della medesima, essendo riferite all’escussione di testi già indicati fin dalla querela e mai sentiti nel corso delle indagini, l’oggetto delle cui dichiarazioni dovrebbe consistere in colloqui intervenuti con la vittima nell’immediatezza dei fatti;

che proprio le giustificazioni fornite dal rimettente sulla rilevanza della prova sollecitata dalla parte civile, in altre parole, rendono dubbia la pertinenza della medesima alle circostanze di fatto investite dalla richiesta istruttoria dell’imputato, non avendo ad esempio alcun senso, nella prospettiva della prova contraria, una considerazione a proposito della risalente indicazione dei testimoni indicati, o della completa assenza di precedenti  escussioni dei medesimi;

che la questione sollevata dal rimettente presuppone d’altronde, in punto di ammissibilità, l’effettiva natura di controprova della sollecitazione istruttoria proveniente dalla parte civile, ché altrimenti sarebbero privi di pertinenza tutti i rilievi espressi in motivazione, a cominciare dalla comparazione istituita tra la posizione della parte civile ed il pubblico ministero, cui la legge riconosce esclusivamente, ed appunto, un diritto alla controprova.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di illegittimità costituzionale degli artt. 438, comma 5, e 441, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Velletri, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 dicembre 2008.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 29 dicembre 2008.