ORDINANZA N. 334
ANNO 2008
Commenti alla decisione
di
I. Roberto Bin, Se non sale
in cielo, non sarà forse un raglio d’asino? (a proposito dell’ord. 334/2008) (per gentile
concessione del Forum dei
Quaderni Costituzionali)
II. Roberto Romboli, Il conflitto tra poteri dello Stato sulla
vicenda Englaro: un caso di evidente inammissibilità (per gentile concessione del sito dell’AIC – Associazione Italiana dei
Costituzionalisti)
III.
Stefano Spinelli, Re giudice o re legislatore? (per gentile
concessione del Forum dei
Quaderni Costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi per conflitto di attribuzione tra poteri
dello Stato sorti a seguito della sentenza della Corte di cassazione, n. 21748
del 16 ottobre 2007 e del decreto della Corte di appello di Milano del 25
giugno 2008, promossi con ricorsi della Camera dei deputati e del Senato della
Repubblica depositati in cancelleria il 17 settembre 2008 ed iscritti ai nn. 16
e 17 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2008, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio dell’8 ottobre 2008 il
Giudice relatore Ugo De Siervo.
Ritenuto
che con ricorso depositato il 17 settembre 2008 (reg. confl. poteri amm. n. 16
del 2008),
che,
in particolare,
che
entrambi i provvedimenti menzionati sono stati adottati a seguito della domanda
del tutore di una giovane donna di interrompere il trattamento (alimentazione
con sondino gastrico) che mantiene in essere lo stato vegetativo permanente in
cui ella giace da numerosi anni, a seguito di un incidente stradale;
che
tale domanda, già rigettata dal Tribunale di Lecco e da altra sezione della
Corte di appello di Milano, è stata infine accolta tramite il decreto
impugnato, a seguito della pronuncia del giudice di legittimità con cui si è
annullato il provvedimento negativo della Corte di appello;
che
che,
pertanto, l’interruzione del trattamento può venire disposta soltanto: «a)
quando
che
che
sarebbe perciò interesse della Camera «ripristinare l’ordine costituzionale
delle attribuzioni», giacché per tale via si sarebbe realizzato «il radicale
sovvertimento del principio della divisione dei poteri», in violazione degli
artt. 70, 101, secondo comma e 102, primo comma, della Costituzione;
che
il presupposto da cui muove
che
mentre quest’ultima ha ugualmente ritenuto di poter accogliere
che
tale circostanza troverebbe conferma in numerosi indici segnalati dalla
ricorrente;
che,
anzitutto,
che
in presenza di tali condizioni, per giustificare l’intervento del giudice non
«sarebbe conferente appellarsi alla impossibilità del “non liquet”,
considerato che
che, infatti, alla luce degli artt. 70, 101 e 102 della Costituzione, «nessuno potrebbe disconoscere che nella Costituzione, conformemente alla nostra tradizione giuridica, opera una istanza di ripartizione dei compiti tra il potere legislativo ed il potere giudiziario il cui nucleo essenziale non può subire alterazioni o attenuazioni di sorta. Tale istanza trova appunto la sua puntuale espressione nelle disposizioni costituzionali sopra richiamate, le quali respingono recisamente l’idea, che emerge obiettivamente dalle sentenze qui impugnate, che tra funzione legislativa e funzione giurisdizionale vi sia niente di più che una frontiera mobile che ciascun potere potrebbe liberamente varcare all’occorrenza»;
che, a maggior ragione, tale conclusione dovrebbe venire ribadita con riferimento alla disciplina dei diritti costituzionali soggetti a riserva di legge, giacché in tal caso «la legge è il mezzo “privilegiato” destinato alla conformazione» di tali diritti;
che, prosegue la ricorrente, l’Autorità giudiziaria non avrebbe potuto pronunciare ai sensi dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, poiché, al contrario, gli artt. 357 e 414 cod. civ., in tema di poteri del tutore, già allo stato avrebbero precluso l’accoglimento della domanda, non potendosi attribuire al primo, a parere della Camera, la prerogativa di «disporre della vita del soggetto tutelato»;
che, parimenti,
l’art. 5 cod. civ., in tema di atti dispositivi del proprio corpo, e gli artt.
575, 576, 577, 579, 580 cod. pen., in tema di
omicidio, avrebbero imposto all’Autorità giudiziaria di concludere che nel
nostro ordinamento vige «un principio ispiratore di fondo che è quello della
indisponibilità del bene della vita», tutelato dall’art. 2 della Costituzione,
secondo quanto già apprezzato, in fattispecie che
che, per
contro, gli elementi normativi richiamati dall’Autorità giudiziaria a sostegno
delle pronunce appaiono alla ricorrente «palesemente inidonei»: infatti, sia il
decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 211 (Attuazione della direttiva
2001/20/CE relativa all’applicazione della buona pratica clinica
nell’esecuzione delle sperimentazioni cliniche di medicinali per uso clinico),
sia l’art. 13 della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale
della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza), sia il codice
deontologico dei medici, sia l’art. 2 della CEDU, sia infine
che, infine,
neppure gli artt. 13 e 32 della Costituzione varrebbero, secondo
che, invece, le precitate disposizioni costituzionali non varrebbero, di per sé, a somministrare al giudice la regola del giudizio, anche in ragione delle «differenti letture di cui appare suscettibile l’art. 32 della Costituzione»;
che l’Autorità
giudiziaria, per conseguire il risultato cui è giunta, avrebbe dovuto, secondo
che per tali
ragioni,
che con ricorso depositato il 17 settembre 2008 (reg. confl. poteri amm. n. 17 del 2008) il Senato della Repubblica ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Corte di Cassazione e della Corte di appello di Milano, avente ad oggetto i medesimi atti impugnati dalla Camera dei deputati, chiedendo a questa Corte di dichiarare che «non spettava al Potere giudiziario, e in particolare alla Suprema Corte di Cassazione: a) stabilire il diritto del malato in stato vegetativo permanente di conseguire l’interruzione di trattamenti sanitari invasivi che si risolvono in un inutile accanimento terapeutico cui consegua con certezza il suo decesso; b) disporre la esercitabilità di tale diritto personalissimo da parte del tutore alla stregua e nel presupposto di presunte opinioni espresse in precedenza dall’infermo», con conseguente annullamento della sentenza n. 21748 del 2007 della Corte di cassazione e del decreto del 25 giugno del 2008 della Corte di appello di Milano;
che i presupposti in fatto del ricorso sono i medesimi già enunciati dalla Camera dei deputati: i provvedimenti dell’Autorità giudiziaria avrebbero determinato una «interferenza nell’area della attribuzione della funzione legislativa», fondata su una «cosciente intenzione supplettiva diretta ad ovviare ad una supposta situazione di vuoto normativo»; anzi, le proposte di legge vertenti in argomento attribuirebbero a tale interferenza i caratteri di un intervento indebito «in un puntuale procedimento di legislazione che il Parlamento ha in corso»;
che, in punto di ammissibilità, il Senato osserva che «il proposito del ricorso è unicamente quello di dimostrare che la sentenza ha fissato un principio di diritto debordando verso le attribuzioni del Legislativo e superando, quindi, i limiti che l’ordinamento pone al Potere Giudiziario, e non quello di un invito al riesame del processo logico seguito dalla Cassazione per giungere alla sua pronuncia»: non si tratterebbe perciò di rilevare un error in iudicando, ma l’esorbitanza dai «confini stessi della giurisdizione»; in tale ottica, la censura rivolta agli «errori interpretativi dell’organo giudiziario» costituirebbe «passaggio essenziale al fine di mettere in evidenza il momento e il modo in cui il giudice» avrebbe ecceduto dalla funzione sua propria;
che, nel
merito, il Senato ritiene che
che, per tale via,
che il Senato pone poi in rilievo che l’Autorità giudiziaria avrebbe articolato i propri provvedimenti su due punti, entrambi contestabili, ovvero «il diritto del malato di conseguire l’interruzione di trattamenti sanitari» e «la esercitabilità di tale diritto da parte del tutore»;
che, quanto al primo punto, il ricorrente osserva che l’alimentazione e l’idratazione assistita sono solo da alcuni ritenute trattamento terapeutico, mentre altri li considerano «cure essenziali doverosamente impartite dal sanitario», che avrebbe, anche sulla base del documento redatto dal Comitato nazionale di bioetica del 18 dicembre 2003, il «dovere di procedere»; ad ogni modo, in difetto di «una normativa intesa a determinare la interruzione di trattamenti del malato terminale», la stessa Corte di Cassazione in precedente pronuncia (ordinanza n. 8291 del 2005) ed il Tribunale di Roma (con sentenza del 15 dicembre 2006) avevano escluso che il giudice potesse in tale materia espletare «attività sostanzialmente paranormativa»;
che, piuttosto, sia l’art. 2 della CEDU (come interpretato dalla Corte EDU con la sentenza Pretty v. Gran Bretagna del 29 aprile 2002), sia l’art. 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sottolineano, a parere del ricorrente, la «essenzialità del principio di tutela della vita», così saldandosi all’art. 27 della Costituzione e agli artt. 579 e 580 cod. pen., in tema di omicidio del consenziente e di aiuto al suicidio: «esistono, quindi, due modi contrapposti di considerare la persona e i suoi diritti inviolabili che conducono a leggere la decisione sulla interruzione della alimentazione o come causa del decesso o come manifestazione della libera determinazione della cessazione di un trattamento terapeutico inaccettabile in quanto sproporzionato e inutile»;
che per risolvere tale alternativa, il Senato stima necessario l’intervento del legislatore, al quale soltanto spetterebbe sciogliere il nodo, stabilendo, tra l’altro, condizioni e natura dello stato vegetativo permanente, «ancora oggetto di incertezze e divergenze di opinioni in quanto non coincidente con la morte cerebrale»: parimenti, è stata la legge 29 dicembre 1993, n. 578 (Norme per l’accertamento e la certificazione di morte) a stabilire espressamente che la morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo;
che la necessità di legiferare troverebbe conferma in «strumenti internazionali», quali l’art. 5, paragrafo 3, della Convenzione di Oviedo (la cui attuazione avrebbe richiesto il decreto legislativo previsto dall’art. 3 della legge 28 marzo 2001, n. 145 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei diritti dell'uomo e della dignità dell'essere umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina: Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, fatta a Oviedo il 4 aprile 1997, nonché del Protocollo addizionale del 12 gennaio 1998, n. 168, sul divieto di clonazione di esseri umani) e l’art. 3, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;
che, quanto ai poteri del tutore, il Senato afferma «la non esistenza nel nostro ordinamento del puntuale potere del tutore di intervenire in tema di diritto indisponibile alla interruzione della vita e il regime costituzionale dei diritti definiti personalissimi», in assenza di una disciplina di diritto positivo concernente il cd. testamento biologico;
che, in particolare, sarebbe erroneo il convincimento espresso dall’Autorità giudiziaria circa l’estensione dei poteri tutori al di fuori della sfera degli interessi patrimoniali, in assenza di una specifica norma attributiva di tali poteri: la stessa Cassazione, in altra pronuncia (ordinanza n. 8291 del 2005) avrebbe escluso il «generale potere di rappresentanza con riferimento ai cosiddetti atti personalissimi»;
che, innanzi a tale principio, le ipotesi contrarie segnalate dagli atti oggetto del conflitto, (art. 4 del d.lgs. 211 del 2003 in tema di sperimentazioni cliniche; art. 13 della legge n. 194 del 1978 in tema di interruzione volontaria della gravidanza; art. 6 della Convenzione di Oviedo) apparirebbero eccezionali ed insuscettibili di applicazione analogica: l’esercizio del diritto di «disporre del proprio corpo» e di «decidere sulle proprie cure» non potrebbe perciò essere affidato al tutore.
Considerato che
che, in particolare, tali provvedimenti, venendo a stabilire termini e condizioni affinché possa cessare il trattamento di alimentazione ed idratazione artificiale cui è sottoposto un paziente in stato vegetativo permanente, avrebbero utilizzato la funzione giurisdizionale per modificare in realtà il sistema legislativo vigente, così invadendo l’area riservata al legislatore;
che i ricorsi meritano di essere riuniti, riferendosi alla medesima vicenda;
che in questa fase del giudizio, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, questa Corte è chiamata a delibare, senza contraddittorio tra le parti, esclusivamente se il ricorso sia ammissibile, valutando se sussistano i requisiti soggettivo ed oggettivo di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato;
che non è dubbia la legittimazione attiva di ciascun ramo del Parlamento a difendere le attribuzioni costituzionali che gli spettino, quand’anche esercitate congiuntamente;
che spetta parimenti alla Corte di cassazione ed alla Corte di appello di Milano la legittimazione passiva al conflitto, in quanto organi competenti a dichiarare in via definitiva, in relazione al procedimento di cui sono investiti, la volontà del potere cui appartengono (ex plurimis, ordinanza n. 44 del 2005);
che
che, per costante giurisprudenza di questa Corte, l’ammissibilità di un conflitto avente ad oggetto atti giurisdizionali sussiste «solo quando sia contestata la riconducibilità della decisione o di statuizioni in essa contenute alla funzione giurisdizionale, o si lamenti il superamento dei limiti, diversi dal generale vincolo del giudice alla legge, anche costituzionale, che essa incontra nell’ordinamento a garanzia di altre attribuzioni costituzionali» (ordinanza n. 359 del 1999; nello stesso senso, tra le più recenti, sentenze n. 290, n. 222, n. 150, n. 2 del 2007);
che la medesima giurisprudenza afferma che un conflitto di attribuzione nei confronti di un atto giurisdizionale non può ridursi alla prospettazione di un percorso logico-giuridico alternativo rispetto a quello censurato, giacché il conflitto di attribuzione «non può essere trasformato in un atipico mezzo di gravame avverso le pronunce dei giudici» (ordinanza n. 359 del 1999; si veda altresì la sentenza n. 290 del 2007);
che, peraltro, questa Corte non rileva la sussistenza nella specie di indici atti a dimostrare che i giudici abbiano utilizzato i provvedimenti censurati – aventi tutte le caratteristiche di atti giurisdizionali loro proprie e, pertanto, spieganti efficacia solo per il caso di specie – come meri schermi formali per esercitare, invece, funzioni di produzione normativa o per menomare l’esercizio del potere legislativo da parte del Parlamento, che ne è sempre e comunque il titolare;
che entrambe le parti ricorrenti, pur
escludendo di voler sindacare errores in
iudicando, in realtà avanzano molteplici critiche al modo in cui
che la vicenda processuale che ha originato il presente giudizio non appare ancora esaurita, e che, d’altra parte, il Parlamento può in qualsiasi momento adottare una specifica normativa della materia, fondata su adeguati punti di equilibrio fra i fondamentali beni costituzionali coinvolti;
che, pertanto, non sussiste il requisito oggettivo per l’instaurazione dei conflitti sollevati.
PER QUESTI MOTIVI
riuniti i ricorsi,
dichiara inammissibili, ai sensi dei commi terzo e quarto dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, i ricorsi per conflitto di attribuzione sollevati dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica nei confronti della Corte di cassazione e della Corte di appello di Milano, di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il l'8 ottobre 2008.
F.to:
Franco
BILE, Presidente
Ugo
DE SIERVO, Redattore
Giuseppe
DI PAOLA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria l'8 ottobre 2008.