Ordinanza n. 254 del 2008

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ORDINANZA N. 254

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                    BILE                      Presidente

- Giovanni Maria       FLICK                     Giudice

- Francesco               AMIRANTE               "

- Ugo                              DE SIERVO                     "

- Paolo                      MADDALENA             "

- Alfio                      FINOCCHIARO           "

- Alfonso                  QUARANTA                "

- Franco                    GALLO                        "

- Luigi                      MAZZELLA                 "

- Gaetano                  SILVESTRI                  "

- Sabino                    CASSESE                    "

- Maria Rita              SAULLE                      "

- Giuseppe                TESAURO                   "

- Paolo Maria            NAPOLITANO             "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342 (Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), siccome trasfuso nell’art. 120, comma 2, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), promosso con ordinanza del 25 ottobre 2007 dal Tribunale ordinario di Vicenza nel procedimento civile vertente tra la Unicredit Banca d’Impresa s.p.a. e il Fallimento Crestani Costruzioni s.r.l., iscritta al n. 51 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2008.

       Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’11 giugno 2008 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.

Ritenuto che, con ordinanza depositata il 25 ottobre 2007, il Tribunale ordinario di Vicenza ha sollevato questione di legittimità costituzionale, con espresso riferimento agli artt. 3, commi primo e secondo, e 76 della Costituzione, dell’art. 25, comma 2, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342 (Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), siccome trasfuso nell’art. 120, comma 2, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia);

che il rimettente precisa di dubitare della legittimità costituzionale della disposizione che consente alle banche, in violazione di quanto previsto dall’art. 1283 del codice civile, di applicare la capitalizzazione anatocistica degli interessi con cadenza trimestrale (o comunque infrannuale) nei rapporti in conto corrente, anche in caso di pattuizione anteriore alla scadenza degli interessi;

che, riguardo alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale nel giudizio a quo, il rimettente chiarisce di essere chiamato a giudicare in ordine alla opposizione alla stato passivo proposta, nei confronti del Fallimento Crestani Costruzioni s.r.l., dalla Unicredit Banca d’Impresa s.p.a. la quale, insinuatasi nel passivo fallimentare, si era vista ammettere il saldo del conto corrente intestato alla società fallita, depurato però della somma riferibile alla capitalizzazione trimestrale degli interessi successiva alla delibera del Comitato interministeriale  per il credito e il risparmio del 9 febbraio 2000;

che – affermando l’istituto di credito la legittimità di tale capitalizzazione, in quanto, conformemente alla delibera del CICR emanata ai sensi della disposizione impugnata, essa opererebbe sia nei confronti dell’istituto di credito che del cliente – il Tribunale vicentino ha sollevato questione di costituzionalità dell’art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 342 del 1999;     

che il rimettente, riportato il contenuto della disposizione censurata  e dell’art. 1, commi 1 e 2, della delibera del CICR del 9 febbraio 2000, osserva che, ferma restando la illegittimità delle clausole anatocistiche stipulate anteriormente alla entrata in vigore della ricordata delibera CICR, a tenore delle disposizioni sopra richiamate, risulterebbe la “liceità” dell’anatocismo là dove, previsto in condizioni di reciprocità fra la banca e il cliente, esso operi a vantaggio di entrambi;

che, tuttavia, ad avviso del rimettente, anche la condizione di reciprocità non «muta i profili di illegittimità»;

che il rimettente deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 342 del 1999, in quanto la disposizione sarebbe viziata, con riferimento all’art. 76 della Costituzione, da eccesso di delega;

che, per il rimettente, con l’art. 1, comma 5, della legge 24 aprile 1998, n. 128 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dalla appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 1995-1997), è stata conferita delega al Governo per l’emanazione di disposizioni «integrative e correttive» del testo unico bancario, essendo stati richiamati espressamente i principi e i criteri direttivi indicati nell’art. 25 della legge 19 febbraio 1992, n. 142 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria per il 1991);

che sulla base dei medesimi principi e criteri direttivi già erano stati emanati sia il decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 481 (Attuazione della direttiva 89/646/CEE relativa al coordinamento delle disposizioni legislative regolamentari e amministrative riguardanti l’accesso all’attività degli enti creditizi e il suo esercizio e recante modifica della direttiva 77/780/CEE), sia il d.lgs. n. 385 del 1993;

che, secondo il rimettente, anche interpretando estensivamente le finalità di «correzione e integrazione» del testo unico bancario e i principi e criteri direttivi in base ai quali questo era stato emanato, non può ammettersi che essi potessero consentire un intervento in tema di anatocismo, derogatorio rispetto a quanto previsto dall’art. 1283 cod. civ.;

che a tale conclusione il rimettente perviene sulla base delle seguenti considerazioni: nessuna delle disposizioni deleganti si riferisce all’anatocismo, né è ravvisabile la volontà del legislatore delegante di derogare all’art. 1283 cod. civ., tanto più attribuendo tale potere ad un «organismo normativo di rango non primario»; il testo unico bancario, oggetto di «integrazione e correzione», non conteneva disposizioni in tema di anatocismo, sicché la disciplina di questo non può corrispondere all’attività di integrazione e correzione assegnata al legislatore delegato; in ogni caso la delega, in quanto volta a derogare a una norma imperativa del codice civile, avrebbe dovuto essere «espressa e inequivoca», rispettando, altresì, la previsione dell’art. 76, primo comma, della Costituzione, secondo la quale essa deve essere formulata «per oggetti definiti»;

che il giudice a quo conclude, sul punto, osservando che la volontà derogatoria in questione non potrebbe essere attribuita al legislatore della delega, in quanto, all’epoca del conferimento di questa, ancora non era maturato il mutamento della giurisprudenza della Corte di cassazione che, esclusa la natura normativa degli usi relativi alla pratica anatocistica, ha reso necessario l’intervento del legislatore, volto, si legge, a porre «rimedio ad un improvviso e sfavorevole cambiamento di rotta della Cassazione»;  

che il Tribunale di Vicenza, illustrando i restanti profili di illegittimità costituzionale della norma censurata, rileva che essi avrebbero ad oggetto la violazione del principio di eguaglianza sia formale che sostanziale;

che, riguardo al primo aspetto, il rimettente ritiene che, benché sia necessario, ai fini della sua validità, in base alla disposizione delegata, che la previsione dell’anatocismo operi, con la medesima periodicità, nei reciproci rapporti delle parti, ciò non esclude una disparità di trattamento da parte della legge; in quanto, da un lato, diverso è il saggio di interesse praticato nei confronti della banca e nei confronti del cliente e, d’altro canto, la clausola anatocistica, inserita nei contratti uniformi praticati dalle banche, non può essere rifiutata dal cliente;

che, riguardo alla violazione dell’eguaglianza sostanziale, il rimettente osserva che la disposizione censurata «consolida una situazione di già grave squilibrio sociale a favore delle banche, che costituisce un ostacolo di ordine economico che limita di fatto […] il pieno sviluppo […] [scilicet: del cittadino contraente debole] e la sua effettiva partecipazione all’organizzazione economica del Paese»;

che in particolare, diversamente da un’eventuale pattuizione successiva alla scadenza degli interessi, la pattuizione anatocistica anteriore a detta scadenza, benché caratterizzata dalla reciprocità, consolida una situazione di disuguaglianza, violando il principio per cui «tutti i cittadini […] sono uguali di fronte alla legge»;

che la norma sarebbe altresì irragionevole laddove consente un meccanismo che la Corte di cassazione ha già ritenuto illegittimo, a prescindere dall’eventuale reciprocità del suo funzionamento, non potendo quest’ultima elidere «i profili di illegittimità», che dipendono, invece, dalla unilaterale costrizione della libertà contrattuale;

che, infine, il rimettente ravvisa ulteriori motivi di irragionevolezza della norma «per tutte le gravi conseguenza che possono derivare al sistema economico (libertà individuale, risparmio, prezzi, proprietà, iniziativa economica)»;

che il Tribunale di Vicenza conclude ribadendo che la disposizione censurata sarebbe viziata da eccesso di delega e – a causa dell’impossibilità per il cliente di rifiutare la clausola anatocistica, – dalla violazione dei «principi costituzionali riferiti ai valori della libertà individuale, del risparmio, dell’iniziativa e della stabilità economica, della proprietà», comportando «la negazione della libertà e dignità della persona e della sua uguaglianza davanti alla legge»;                

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, la quale ha concluso per la inammissibilità o, comunque, per la infondatezza della questione;

che la Avvocatura dello Stato rileva come la Corte costituzionale, con la sentenza n. 341 del 2007, abbia già scrutinato la norma censurata sotto l’aspetto della sua congruità alla delega legislativa in attuazione della quale è stata emanata, affermando che la disciplina sia della capitalizzazione degli interessi nell’esercizio del credito bancario che della periodicità di tale operazione «rientravano nell’ambito della attività di adeguamento che il legislatore delegante aveva demandato» a quello delegato;

che, anche con riferimento alle dedotte violazioni del principio di eguaglianza, la Avvocatura osserva che la predetta sentenza della Corte costituzionale contiene considerazioni che giustificano, quanto alla sua compatibilità costituzionale, la peculiare disciplina applicabile agli istituti di credito;

che, infine, privi di alcuna argomentazione, e pertanto inammissibili, sarebbero quei profili di censura relativi ai parametri, non esplicitati ma genericamente richiamati nel corpo dell’ordinanza, costituiti dagli artt. 41, primo comma, e 47, primo e secondo comma, della Costituzione.

Considerato che il Tribunale ordinario di Vicenza dubita, con esplicito riferimento agli artt. 3, commi primo e secondo, e 76 della Costituzione,  e, implicitamente, anche con riferimento agli artt. 2, 41, 42 e 47 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342 (Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), siccome trasfuso nell’art. 120, comma 2, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia);

che, in particolare, per il giudice a quo la disposizione contenuta nella norma censurata, in base alla quale con provvedimento del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio sono stabiliti modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio della attività bancaria, sarebbe stata adottata in assenza di idonea delega legislativa;

che, sempre secondo il rimettente, la disposizione medesima violerebbe sia il primo che il secondo comma dell’art. 3 della Costituzione in quanto, per un verso, consentirebbe la applicazione di saggi di interesse sensibilmente diversi a seconda che essi siano pretesi o dovuti dagli istituti di credito, senza che il cliente possa realmente trattare le relative condizioni contrattuali e, per altro verso, contribuirebbe al consolidamento di una situazione di squilibrio contrattuale in favore delle banche, tale da limitare il pieno sviluppo e la effettiva partecipazione dei consumatori alla organizzazione economica del Paese, legittimando un meccanismo di incremento del debito nei confronti degli istituti di credito già ritenuto viziato dalla Corte di cassazione;

che, infine, la stessa disposizione sarebbe altresì lesiva di altri interessi costituzionalmente tutelati, quali quello alla dignità individuale, alla salvaguardia del risparmio, dell’iniziativa economica  e della proprietà, per i quali il rimettente non ha specificamente individuato alcun parametro ma che appaiono riconducibili agli artt. 2, 41, 42 e 47 della Costituzione;

che, ancora di recente, questa Corte, con la sentenza n. 341 del 2007, ha avuto l’occasione di escludere la difformità rispetto all’art. 76 della Costituzione della norma ora censurata dal Tribunale di Vicenza;

che, in assenza di elementi di sostanziale novità nella prospettazione del rimettente, non vi è motivo per discostarsi da tale precedente decisione;

che, con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 3 della Costituzione, la questione è manifestamente infondata;

che, infatti, a prescindere dal fatto che i vizi denunciati dal rimettente non appaiono essere frutto della disposizione censurata – la quale si limita a rinviare ad altra fonte, dettando la necessaria condizione di reciprocità, la disciplina della capitalizzazione periodica degli interessi – derivando essi, semmai, da un’esistente disparità di fatto fra la posizione contrattuale degli istituti che esercitano professionalmente l’attività creditizia e quella dei loro correntisti, va osservato che, quanto alla introdotta deroga al regime ordinario fissato dall’art. 1283 del codice civile, essa trova la sua giustificazione, come indicato nella citata sentenza n. 341 del 2007, nell’esigenza di uniformare questo aspetto della legislazione interna a quella vigente nei principali Stati che allora costituivano la Unione europea per i quali «la disciplina prevista in materia di anatocismo per il sistema bancario o, più in generale, per le attività di natura commerciale (o in cui una delle parti fosse un istituto di credito) era diversa da quella prevista nei rapporti di diritto civile».

che riguardo alla dedotta irragionevolezza della norma, la quale legittimerebbe una regola contrattuale già dichiarata viziata dalla Corte di cassazione, risulta palese che il ricordato orientamento giurisprudenziale è incongruamente evocato, essendo esso sorto sulla base di una legislazione, precedente a quella ora in esame, la quale appunto non prevedeva deroghe alla disciplina generale prevista dall’art. 1283 cod. civ.;

quanto ai restanti profili di illegittimità, implicitamente evocati dal rimettente, essi, stante la assoluta genericità delle censure, sono manifestamente inammissibili.

Visti gli artt. 26 secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342 (Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), siccome trasfuso nell’art. 120, comma 2, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), sollevata, con riferimento agli artt. 2, 41, 42 e 47 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Vicenza con l’ordinanza in epigrafe;

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 25, comma 2, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342 (Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), siccome trasfuso nell’art. 120, comma 2, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), sollevata, con riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, e 76 della Costituzione, sempre dal Tribunale ordinario di Vicenza con la medesima ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 giugno 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2008.