Sentenza n. 252 del 2008

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ORDINANZA N. 252

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                    BILE                           Presidente

- Giovanni Maria        FLICK                          Giudice

- Francesco               AMIRANTE                    "

- Ugo                       DE SIERVO                    "

- Paolo                      MADDALENA                "

- Alfio                       FINOCCHIARO              "

- Alfonso                   QUARANTA                   "

- Franco                    GALLO                          "

- Luigi                       MAZZELLA                    "

- Gaetano                  SILVESTRI                            "

- Sabino                    CASSESE                       "

- Maria Rita               SAULLE                         "

- Giuseppe                 TESAURO                      "

- Paolo Maria             NAPOLITANO               "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 39, della legge 23 agosto 2004, n. 243 (Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all’occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria), promosso con ordinanza del 18 ottobre 2007 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra il Policlinico San Donato s.p.a. ed altri e la Fondazione ENPAM, iscritta al n. 854 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visti gli atti di costituzione del Policlinico San Donato s.p.a. ed altri, della Fondazione ENPAM nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 20 maggio 2008 il Giudice relatore Maria Rita Saulle;

uditi gli avvocati Giustino Ciampoli per il Policlinico San Donato s.p.a. ed altri, Giulio Prosperetti per la Fondazione ENPAM e l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, con ordinanza del 18 ottobre 2007, il Tribunale di Roma, Sezione lavoro, dubita della legittimità dell’art. 1, comma 39, della legge 23 agosto 2004, n. 243 (Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all’occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria), in riferimento agli artt. 2, 3, 38, 41 e 53 della Costituzione;

che la disposizione censurata prevede che «le società professionali mediche ed odontoiatriche, in qualunque forma costituite, e le società di capitali, operanti in regime di accreditamento col Servizio sanitario nazionale, versano, a valere in conto entrata del Fondo di previdenza a favore degli specialisti esterni dell’Ente nazionale di previdenza ed assistenza medici (ENPAM), un contributo pari al 2 per cento del fatturato annuo attinente a prestazioni specialistiche rese nei confronti del Servizio sanitario nazionale e delle sue strutture operative, senza diritto di rivalsa sul Servizio sanitario nazionale. Le medesime società indicano i nominativi dei medici e degli odontoiatri che hanno partecipato alle attività di produzione del fatturato, attribuendo loro la percentuale contributiva di spettanza individuale»;

che il giudizio principale è sorto a seguito del ricorso proposto da trentaquattro società che gestiscono strutture sanitarie accreditate presso il Servizio sanitario regionale della Lombardia per l’erogazione di prestazioni specialistiche ambulatoriali in regime di gratuità, teso a far accertare l’insussistenza, in favore dell’ENPAM, dell’obbligo contributivo;

che il giudice rimettente, «premesso che la legge n. 243 del 2004 non prevede alcun potere dell’Ente di previdenza di modulare la base imponibile riducendola secondo un criterio discrezionale», ritiene che, in base alla lettera della legge, «il contributo debba calcolarsi sul fatturato realizzato dalle società, sia pure limitatamente alla quota riferibile all’attività svolta dai medici e dagli odontoiatri»;

      che, posta tale premessa interpretativa, secondo il giudice a quo, la norma censurata violerebbe:

a)             il principio di ragionevolezza, in quanto il contributo previdenziale viene commisurato ad un valore – il fatturato – che non sarebbe espressione diretta né del corrispettivo ricevuto dai professionisti, né della capacità contributiva del soggetto che si avvale delle prestazioni mediche per l’esercizio di un’attività di impresa;

b)            i principi di cui agli artt. 2, 3 e 38 Cost., in quanto il contributo, utile per assicurare il finanziamento di uno specifico fondo previdenziale, verrebbe a gravare in modo definitivo sui soggetti che si avvalgono delle prestazioni professionali, senza possibilità di rivalsa né sul professionista né, per espresso dettato di legge, sul Servizio sanitario nazionale;

c)             gli artt. 3 e 41 della Costituzione, poiché il contributo inciderebbe esclusivamente sulle società professionali e sulle società di capitali, anziché su tutte le strutture pubbliche e private che, a condizioni paritarie, operano in regime di accreditamento con il Servizio sanitario nazionale;

d)            i principi di cui agli artt. 2, 3, 38 e 53 Cost., dovendosi ritenere illegittimo un contributo che grava sul «produttore il quale non può rivalersi sul Servizio sanitario, soggetto esponenziale della collettività dei fruitori del servizio»;

che, del pari, sempre ad avviso del giudice rimettente, non sarebbe possibile superare i profili di illegittimità costituzionale evidenziati «anche nel caso in cui la disposizione di cui all’art. 1, comma 39, della legge n. 243 del 2004» fosse «interpretata nel senso che il contributo debba essere commisurato non già al fatturato» complessivo della società, «nonostante il chiaro tenore letterale della norma, bensì ai soli compensi corrisposti in concreto ai professionisti»;

che, infatti, anche in forza di tale interpretazione, sempre secondo il giudice rimettente, la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con gli artt. 2, 3 e 41 Cost., in quanto il contributo graverebbe «su una sola delle categorie di soggetti abilitati a rendere, in condizioni di parità, prestazioni assistenziali», e con gli artt. 2, 3, 38 e 53 Cost., «essendo imposto l’onere al produttore del servizio anziché al fruitore», nonché con gli artt. 2, 3 e 38 Cost., «essendo imposto un onere solidaristico a carico di un soggetto privato estraneo alla categoria di lavoratori beneficiaria delle prestazioni previdenziali»;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’infondatezza delle questioni sollevate;

che, con atto depositato in data 15 febbraio 2008, si sono costituite le società di capitali ricorrenti nel giudizio a quo, deducendo ulteriori argomenti a favore dell’accoglimento della sollevata questione di legittimità costituzionale;

che, con successivo atto depositato in data 19 febbraio 2008, si è costituita la Fondazione ENPAM, parte resistente nel giudizio principale, chiedendo che le questioni sollevate siano rigettate;

che, con memorie depositate in prossimità dell’udienza pubblica, le parti costituite hanno insistito nelle rispettive conclusioni, ribadendo e precisando le argomentazioni già svolte nei relativi atti di costituzione.

Considerato che il Tribunale di Roma, Sezione lavoro, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 39, della legge 23 agosto 2004, n. 243 (Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all’occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria), in riferimento agli artt. 2, 3, 38, 41 e 53 della Costituzione;

che la disposizione censurata pone a carico delle società professionali mediche ed odontoiatriche, in qualunque forma costituite, e delle società di capitali, operanti in regime di accreditamento col Servizio sanitario nazionale, un «contributo pari al 2 per cento del fatturato annuo attinente a prestazioni specialistiche rese nei confronti del Servizio sanitario nazionale e delle sue strutture operative, senza diritto di rivalsa sul Servizio sanitario nazionale»;

che il giudice rimettente, nel prospettare le questioni di legittimità costituzionale, non ha fornito una interpretazione univoca della disposizione oggetto di censura;

che, in particolare, il giudice a quo, da un lato, afferma che il tenore letterale dell’art. 1, comma 39, della legge n. 243 del 2004, «sembra» non consentire altri significati che quello per cui la percentuale del contributo in essa contemplato debba computarsi sul fatturato realizzato dalle società, anziché sui compensi erogati dalle medesime ai professionisti; dall’altro, ammette che l’obbligo contributivo in questione possa essere calcolato sui compensi medesimi, così contraddicendo la stessa premessa interpretativa sulla quale ha fondato i dubbi di legittimità costituzionale sollevati in via principale;

che tale difetto dell’ordinanza di rimessione risulta ancora più evidente se si considera che il rimettente non si è fatto carico di verificare la possibilità di seguire l’interpretazione fatta propria dall’ENPAM, nell’applicazione della disposizione censurata, per commisurare la base imponibile del contributo ai compensi corrisposti ai singoli professionisti;

che, pertanto, oltre all’evidenziata contraddittorietà nella prospettazione delle questioni, il rimettente si è sottratto all'onere di offrire adeguata motivazione sia sulla norma da applicare, nel suo significato all’interno del sistema complessivamente considerato, sia «sulla effettiva impraticabilità di una diversa interpretazione conforme a Costituzione» (ex plurimis, ordinanze n. 448 del 2007, n. 272 del 2006 e n. 427 del 2005);

che detti vizi determinano, secondo il costante orientamento di questa Corte, la manifesta inammissibilità di tutte le questioni sollevate.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 39, della legge 23 agosto 2004, n. 243 (Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all’occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 38, 41 e 53 della Costituzione, dal Tribunale di Roma, Sezione lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 giugno 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Maria Rita SAULLE, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2008.