Ordinanza n. 208 del 2008

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 208

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                      BILE                              Presidente

-    Giovanni Maria           FLICK                             Giudice

-    Francesco                  AMIRANTE                          "

-    Ugo                          DE SIERVO                          "

-    Paolo                        MADDALENA                      "

-    Alfio                         FINOCCHIARO                   "

-    Alfonso                     QUARANTA                        "

-    Franco                      GALLO                                "

-    Luigi                         MAZZELLA                          "

-    Gaetano                     SILVESTRI                          "

-    Sabino                       CASSESE                             "

-    Maria Rita                 SAULLE                               "

-    Giuseppe                   TESAURO                            "

-    Paolo Maria               NAPOLITANO                     "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Delega al Governo per la riforma del diritto societario) e, «per derivazione», degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’art. 2 della legge 3 ottobre 2001, n. 366) promosso dal Tribunale di Napoli nel procedimento civile vertente tra L. B. e la Banca Fideuram s.p.a. ed altro, con ordinanza del 1° febbraio 2006, iscritta al n. 806 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 maggio 2008 il Giudice relatore Francesco Amirante.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso da privati nei confronti di un istituto di credito e di un intermediatore finanziario, il Tribunale di Napoli, in composizione collegiale, con ordinanza del 1° febbraio 2006, ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Delega al Governo per la riforma del diritto societario), «nella parte in cui, in relazione al giudizio ordinario di primo grado in materia societaria, non indica i principi e criteri direttivi che avrebbero dovuto guidare le scelte del legislatore delegato» e, «per derivazione», degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’art. 2 della legge 3 ottobre 2001, n. 366);

che il giudice a quo ricorda, innanzitutto, che l’art. 76 Cost. stabilisce che la delega delle funzioni legislative al Governo non può avvenire se non con determinazione di principi e criteri direttivi, per un tempo limitato e con definizione dell’oggetto;

che, nella specie, con il censurato art. 12, il legislatore si è, invece, limitato ad indicare le materie nelle quali il Governo poteva intervenire, l’obiettivo di rendere più rapida ed efficace la definizione dei procedimenti, il divieto di modificare la competenza per territorio e materia, la tendenziale collegialità del procedimento, la possibilità di valutare l’atteggiamento delle parti in sede di tentativo di conciliazione e di dettare regole che favorissero la riduzione dei termini e la concentrazione del procedimento;

che, in tal modo, però, non sono stati indicati «con sufficiente determinazione i principi ed i criteri direttivi» ai quali il legislatore delegato si sarebbe dovuto attenere, in quanto non è stata fornita alcuna indicazione in ordine allo schema processuale da adottare, sicché il legislatore delegato è stato lasciato libero di creare per il processo societario di cognizione un nuovo modello processuale, che esula completamente dallo schema del procedimento ordinario disciplinato dal codice di procedura civile e che, viceversa, anticipa, in pratica, il nuovo rito ordinario quale prefigurato dal testo redatto della Commissione ministeriale per la riforma del processo civile;

che proprio tali connotati della legge delega fanno sì che essa sia in contrasto con il parametro costituzionale invocato, il che impone – ad avviso del remittente – di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge n. 366 del 2001, nella parte relativa al procedimento di primo grado, e, «per derivazione», degli articoli da 2 a 17 del d.lgs. n. 5 del 2003;

che la suddetta questione sarebbe rilevante perché dall’esito della decisione di questa Corte dipende l’applicabilità dell’intera nuova disciplina processuale alla controversia in corso;

che, in via subordinata e per l’ipotesi in cui la Corte dovesse ritenere costituzionalmente legittimo l’art. 12 della legge n. 366 del 2001, il Tribunale di Napoli solleva anche questione di legittimità costituzionale degli articoli da 2 a 17 del d.lgs. n. 5 del 2003, per contrasto con l’art. 76 della Costituzione, «in quanto emanati eccedendo dai principi e criteri direttivi dettati dalla legge n. 366 del 2001»;

che il remittente rileva come, per evitare il sospetto di incostituzionalità della legge delega, questa debba necessariamente essere interpretata nel senso che il legislatore delegante, indicando il principio di «concentrazione del procedimento», abbia fatto evidentemente riferimento alle scansioni previste nel processo ordinario, che si svolge attraverso la successione di più udienze fisse ed obbligatorie (artt. 180, 183, 184, 189 cod. proc. civ.), sicché «la generica indicazione del legislatore delegante del principio di “riduzione dei termini processuali”» avrebbe dovuto (e potuto) essere riempita di contenuto dal legislatore delegato solo attraverso la riduzione dei termini previsti nel giudizio di cognizione ordinario per la fissazione di tali udienze e per il deposito di memorie e comparse difensive;

che solo una simile lettura, «estremamente riduttiva e per questo proposta in via subordinata rispetto all’altra, dei principi fissati dal legislatore delegante», sarebbe idonea a fugare i sospetti di illegittimità costituzionale dell’art. 12 della legge n. 366 del 2001, risultando però evidente, in questo modo, l’illegittimità costituzionale degli articoli da 2 a 17 del d.lgs. n. 5 del 2003, emanati eccedendo i limiti della delega contenuta nell’art. 12 della legge n. 366 del 2001;

che anche detta questione, secondo il Tribunale, sarebbe rilevante, per le stesse ragioni indicate nella motivazione della questione proposta in via principale;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta inammissibilità delle questioni.

Considerato che questa Corte – già investita del vaglio di costituzionalità di identiche questioni, sollevate dal medesimo giudice – ne ha dichiarato la manifesta inammissibilità, escludendo (considerate le modalità e le argomentazioni con le quali sono state prospettate) l’asserito nesso di subordinazione logico-giuridica della seconda rispetto alla prima ed affermando, invece, la radicale contraddizione tra l’interpretazione “subordinata”, esposta dal remittente a sostegno della legittimità della legge di delega (da esso compiutamente argomentata e quasi “suggerita” alla Corte), e la diversa lettura della medesima norma premessa alla questione “principale” (ordinanze n. 209 e n. 360 del 2006, n. 70 e n. 343 del 2007, n. 21 e n. 22 del 2008);

che anche le presenti questioni (sollevate in modo identico alle precedenti) presentano gli stessi difetti di prospettazione, in quanto il remittente non solo non adempie l’obbligo di ricercare un’interpretazione costituzionalmente orientata di ciascuna delle norme impugnate, ma propone, nel medesimo contesto motivazionale, due opzioni ermeneutiche sostanzialmente alternative, così inammissibilmente demandando alla Corte la scelta fra queste;

che le questioni, pertanto, sono manifestamente inammissibili.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Delega al Governo per la riforma del diritto societario) e, «per derivazione», degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’art. 2 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), sollevate, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dal Tribunale di Napoli con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2008.