Sentenza n. 202 del 2008

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SENTENZA N. 202

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                      BILE                              Presidente

-    Giovanni Maria           FLICK                             Giudice

-    Francesco                  AMIRANTE                          "

-    Ugo                          DE SIERVO                          "

-    Paolo                        MADDALENA                      "

-    Alfio                         FINOCCHIARO                   "

-    Alfonso                     QUARANTA                        "

-    Franco                      GALLO                                "

-    Luigi                         MAZZELLA                          "

-    Gaetano                     SILVESTRI                          "

-    Sabino                       CASSESE                             "

-    Maria Rita                 SAULLE                               "

-    Giuseppe                   TESAURO                            "

-    Paolo Maria               NAPOLITANO                     "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 12, settimo comma, del d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1420 (Norme in materia di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti gestita dall’Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo), come sostituito dall’art. 1, comma 10, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 182, promossi, dal Tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra M. P. ed altro e l’ENPALS e dal Tribunale di Sanremo nel procedimento civile vertente tra M. B. e l’ENPALS, con ordinanze del 26 agosto 2006 e del 27 novembre 2006 rispettivamente iscritte ai nn. 293 e 344 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 17 e 20, prima serie speciale, dell’anno 2007.

 

Visti gli atti di costituzione di M. P. ed altro, dell’ENPALS, di C. M. vedova di M. B., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell’udienza pubblica del 1° aprile 2008 il Giudice relatore Francesco Amirante;

 

uditi gli avvocati Roberto Carapelle, Mario Mangino, Vincenzo Martino e Mario Menghini per M. P. ed altro, Angelo Pandolfo e Rossana Cardano per l’ENPALS, Federico Sorrentino per C. M. vedova di M. B. e l’avvocato dello Stato Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1.— Nel corso di una controversia previdenziale – promossa nei confronti dell’Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo per ottenere il ricalcolo della pensione sulla base della retribuzione giornaliera effettivamente percepita – il Tribunale di Sanremo, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, settimo comma, del d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1420 (Norme in materia di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti gestita dall’Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo), sia nel testo attualmente vigente – formulato dall’art. 1, comma 10, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 182 – sia in quello precedente, la cui vigenza è stata confermata in via transitoria dall’art. 13 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503.

 

Rileva preliminarmente il giudice a quo che la medesima questione è stata già sollevata nello stesso giudizio e che questa Corte l’ha dichiarata inammissibile – con la sentenza n. 120 del 2006 – per mancanza di adeguata considerazione del quadro normativo complessivo e, più specificamente, dell’art. 5 del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 marzo 1993, n. 70; ciò premesso, il Tribunale ritiene che tali vizi siano emendabili e che la questione possa essere quindi riproposta.

 

L’ordinanza di remissione precisa perciò che il ricorrente, già dipendente a tempo indeterminato del Casinò municipale di Sanremo con la qualifica di impiegato, è stato collocato a riposo in data 31 dicembre 1998 all’età di sessantaquattro anni, avendo maturato trentaquattro anni di anzianità di servizio, pari a complessive 10.620 giornate di contribuzione. La pensione erogata in suo favore dall’ENPALS a decorrere dal 1° gennaio 1999 è stata calcolata – sia per la quota a) sia per la quota b) – assumendo come massimale di retribuzione giornaliera pensionabile una somma inferiore a quella realmente percepita, con la conseguenza che il trattamento pensionistico globale è risultato inferiore rispetto a quello che il ricorrente avrebbe ottenuto ove il criterio di calcolo fosse stato quello della retribuzione effettiva.

 

La norma censurata prevedeva, nel testo previgente confermato in via transitoria dall’art. 13 del d.lgs. n. 503 del 1992, che il limite massimo della retribuzione giornaliera pensionabile fosse quello di cui alla penultima classe della tabella “F” allegata al d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, aumentata del 5 per cento, ossia pari in concreto a lire 315.000 (euro 162,68); mentre nella formulazione vigente detto limite è stato esplicitamente fissato in lire 315.000, sia pure col meccanismo correttivo della rivalutazione annuale a decorrere dal 1° gennaio 1998. Ai fini della rilevanza, il Tribunale osserva che la domanda formulata dal ricorrente non sarebbe, allo stato, accoglibile, ma che la decisione della presente questione assume carattere pregiudiziale, perché il giudizio in corso non può essere deciso a prescindere dalla soluzione della medesima.

 

Nel merito, la questione pare al giudice a quo non manifestamente infondata. Per i lavoratori assicurati col regime generale gestito dall’Istituto nazionale della previdenza sociale, infatti, l’art. 21, comma 6, della legge 11 marzo 1988, n. 67, prevede che la retribuzione eccedente quella fissata nel tetto pensionabile venga computata, con aliquota decrescente, ai fini della determinazione di una quota aggiuntiva di pensione che va a costituire parte integrante di quella già erogata. L’art. 5 del d.l. n. 11 del 1993, dettando una norma di interpretazione autentica, estende anche ai lavoratori assicurati presso l’ENPALS l’applicazione del citato art. 21, comma 6; senonché – a parere del giudice a quo – mentre per i lavoratori assicurati presso l’INPS quest’ultima disposizione riceve «applicazione piena, senza limitazioni di sorta», per i dipendenti in regime ENPALS il medesimo effetto è impedito dalla disposizione censurata, la quale consente che le quote aggiuntive di pensione vengano riconosciute «soltanto fino al raggiungimento del massimale di retribuzione pensionabile giornaliera rivalutato in base all’indice ISTAT». E ciò costituisce violazione del principio di eguaglianza in quanto l’art. 2, terzo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971 stabilisce che le retribuzioni fino alla soglia di un milione di lire siano soggette a prelievo contributivo in favore del Fondo pensioni gestito dall’ENPALS, creando un’evidente ingiustificata discriminazione tra retribuzione sottoposta a contribuzione piena e retribuzione utile ai fini del calcolo della pensione. Il prelievo contributivo eccedente la soglia della retribuzione pensionabile, secondo il remittente, «si traduce integralmente in contributo di solidarietà».

 

Da tanto consegue una violazione dell’art. 3 Cost. per la disparità di trattamento tra le due categorie di lavoratori dipendenti sopra confrontate, tanto più evidente in relazione al profilo professionale cui appartiene il ricorrente (dipendente di una casa da gioco), disparità che si è andata ancora più accentuando con l’entrata in vigore della disposizione (art. 11 della legge 30 dicembre 1991, n. 412) che ha elevato la soglia di retribuzione soggetta a prelievo contributivo; da ciò conseguirebbe un secondo profilo di illegittimità costituzionale, «relativo all’irragionevolezza di una disciplina che rende pensionabile soltanto meno di un terzo della retribuzione assoggettata a contribuzione piena».

 

2.— Si è costituita in giudizio la vedova del lavoratore ricorrente, nella qualità di unica erede, sollecitando l’accoglimento della prospettata questione.

 

Dopo aver precisato che la medesima, ancorché già proposta per due volte nello stesso giudizio, è certamente riproponibile, poiché questa Corte ne ha dichiarato in entrambi i casi l’inammissibilità (ordinanza n. 385 del 2002 e sentenza n. 120 del 2006), la parte osserva che la questione è pure rilevante, poiché dal suo accoglimento deriva anche l’accoglimento del ricorso.

 

La ricorrente rammenta che la pensione dei dipendenti dell’ENPALS viene calcolata, in base all’art. 13 del d. lgs. n. 503 del 1992, in due diverse quote, riferibili l’una al periodo contributivo anteriore al 1° gennaio 1993 e l’altra al periodo successivo a tale data, il che spiega la ragione per cui ai fini della presente questione rileva anche il testo della disposizione censurata precedente a quello oggi in vigore.

 

Il Tribunale di Sanremo ha ravvisato nelle disposizioni censurate due possibili ragioni di illegittimità costituzionale, l’una relativa alla disparità di trattamento tra pensionati assicurati presso enti previdenziali diversi e l’altra interna al regime ENPALS, conseguente alla sproporzione tra contributi, retribuzione e pensione. Quanto al primo profilo di incostituzionalità, pare alla parte privata evidente la disparità di trattamento conseguente al fatto che il meccanismo correttivo rappresentato dalle quote aggiuntive di pensione è limitato, per i dipendenti ENPALS, dal tetto fissato dal contestato art. 12, settimo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971; in altre parole, la norma estensiva di cui all’art. 5 del d.l. n. 11 del 1993 non potrebbe in concreto operare in considerazione della soglia legislativa fissata a lire 315.000. D’altra parte, la giurisprudenza di questa Corte ha sempre affermato che non è possibile fare raffronti tra sistemi previdenziali diversi, purché rimanga fermo il limite della «evidente irragionevolezza» (sentenza n. 83 del 2006); limite che sarebbe violato nella fattispecie in esame. Il defunto coniuge dell’odierna ricorrente, infatti, inquadrato al n. 21) dell’art. 3 del d.lgs. C.p.S. 16 luglio 1947, n. 708, ossia nella categoria degli impiegati ed operai dipendenti dalle case da gioco – e non in una di quelle di cui ai numeri da 1) a 14) del citato articolo, che comprendono categorie di lavoratori “particolari” quali cantanti, artisti, attori, ballerini etc. – non fruisce del minor numero di contributi versati (rispetto ai normali 312 annui) per ottenere il requisito dell’annualità della contribuzione e neppure di quello della minore età pensionabile, con la conseguenza che l’inserimento nell’ambito del regime speciale ENPALS comporta un’ingiusta disparità di trattamento rispetto ad un lavoratore iscritto all’INPS, «in virtù della sostanziale omogeneità che contraddistingue le due posizioni».

 

Quanto al secondo profilo di illegittimità costituzionale ravvisato dal giudice a quo, poi, la parte costituita conferma l’inaccettabilità di un sistema che consente un simile divario tra retribuzione assoggettata a prelievo contributivo e retribuzione pensionabile, aggiungendo che sarebbe improprio il richiamo al principio della solidarietà in una situazione come quella in esame, perché tale principio «non può essere sospinto ad un livello di intensità e di incidenza redistributiva così alta», tale da vanificare il rispetto di quello di uguaglianza.

 

3.— Nell’ambito di una controversia promossa nei confronti dell’ENPALS da due ex impiegati del Casinò di Saint Vincent, con qualifica di croupier, per il ricalcolo delle rispettive pensioni, il Tribunale di Torino, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, settimo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971 nel testo attualmente vigente, formulato dall’art. 1, comma 10, del d.lgs. n. 182 del 1997.

 

Il Tribunale precisa che i due ricorrenti sono stati dipendenti a tempo indeterminato rispettivamente fino alle date del 31 agosto 2001 e del 30 giugno 2003, maturando una pensione inferiore a quella spettante se l’ente previdenziale avesse tenuto conto delle retribuzioni effettive da loro percepite e soggette a prelievo contributivo.

 

Ciò premesso, il giudice torinese dichiara di essere a conoscenza delle due precedenti questioni sollevate dal Tribunale di Sanremo e dal Tribunale di Bologna oggetto della sentenza costituzionale n. 120 del 2006; e ribadisce, inoltre, che la disposizione censurata è di ostacolo all’accoglimento dei ricorsi presentati, il che dà conto della rilevanza della presente questione. Sulla base di tali premesse, il giudice a quo specifica che fino alla data di entrata in vigore dell’art. 11, comma 2, della legge n. 412 del 1991 vi era coincidenza tra retribuzione pensionabile e retribuzione soggetta a contribuzione, in virtù della previsione di cui all’art. 2, comma 3, del d.P.R. n. 1420 del 1971, sicché non è possibile, fino a tale momento, evidenziare alcuna irragionevolezza della normativa.

 

La situazione muta, invece, a decorrere dal 1° gennaio 1992, momento in cui la retribuzione pensionabile resta ferma a lire 315.000, mentre quella soggetta a contribuzione viene innalzata fino alla soglia di un milione di lire. Le considerazioni svolte dal Tribunale di Torino circa una presunta violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza sono, a questo punto, assai simili a quelle compiute dal Tribunale di Sanremo; quanto all’effettiva valenza dell’art. 5 del d.l. n. 11 del 1993, il giudice rileva che l’estensione disposta da tale norma «non sembra possa aver portato ad eliminare la irragionevole discrasia» esposta in precedenza. Rimarrebbe sempre, infatti, «un evidente, elevatissimo squilibrio» tra le due soglie più volte riportate, destinato ad aumentare col trascorrere del tempo.

 

4.— Si sono costituiti nel giudizio davanti a questa Corte i due ricorrenti, chiedendo l’accoglimento della prospettata questione.

 

Osservano le due parti private che, in conseguenza della censurata disposizione, essi hanno ricevuto un trattamento pensionistico inferiore a quello che sarebbe spettato loro tenendo conto dell’effettiva retribuzione giornaliera percepita. Quanto al merito della questione, i due ricorrenti notano che il principio vigente è quello per cui tutta la retribuzione imponibile è valida ai fini del computo del rateo di pensione, «sia pure con le correzioni rese necessarie (in punto rendimento) per coniugare il principio di proporzionalità con quello di solidarietà»; alla luce di simili criteri, appare del tutto irragionevole un sistema che impone il prelievo contributivo fino alla soglia retributiva di un milione di lire ed eroga la pensione su di una retribuzione massima giornaliera di lire 315.000.

 

5.— Si è costituito in entrambi i giudizi anche l’ENPALS, con due diverse memorie di analogo contenuto – depositando fuori termine quella relativa al giudizio promosso dal Tribunale di Sanremo – chiedendo che la questione venga respinta, in quanto inammissibile ovvero non fondata.

 

Osserva l’ente previdenziale che il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708, istituì l’ENPALS rendendolo sostitutivo dell’INPS per una serie di categorie di lavoratori, con una normativa per molti versi più favorevole rispetto a quella degli altri lavoratori dipendenti.

 

Questa Corte, già con l’importante sentenza n. 173 del 1986, si pronunciò favorevolmente in ordine ai cosiddetti “tetti pensionistici”, evidenziando come il passaggio da un sistema di tipo mutualistico ad un sistema di tipo solidaristico dia ragione del fatto che le prestazioni versate dal singolo lavoratore non vanno a vantaggio automatico del singolo contribuente, bensì dell’intera categoria, con particolare attenzione verso i soggetti più deboli.

 

In riferimento alle questioni prospettate dai giudici a quibus, la difesa dell’ente rileva, innanzitutto, la mancanza di chiarezza in ordine al petitum, poiché non sarebbe evidente se si intenda perseguire l’obiettivo della completa eliminazione del tetto pensionabile o, viceversa, della parificazione tra retribuzione soggetta a contribuzione e retribuzione pensionabile; il tutto tenendo presente che la fissazione di un simile tetto spetta alla discrezionalità del legislatore. D’altra parte, i lavoratori ricorrenti hanno versato contributi con aliquote assai basse e non va dimenticato che l’ENPALS assicura anche molte categorie di lavoratori strutturalmente esposte – in considerazione del tipo di attività – alla discontinuità lavorativa. Rammenta inoltre l’ente costituito che le prestazioni previdenziali rispondono all’interesse pubblico e la loro funzione si attenua, se non si esaurisce del tutto, una volta raggiunto un livello adeguato ai sensi dell’art. 38, secondo comma, della Costituzione.

 

L’ENPALS, infine, evidenzia anche il carattere «dirompente» che avrebbe, dal punto di vista finanziario, l’accoglimento della presente questione.

 

6.— In entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con due memorie di contenuto pressoché identico, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

 

Rileva l’interveniente che entrambe le ordinanze di remissione si fonderebbero su presupposti non dimostrati, ossia quello della parità tra retribuzione soggetta a contribuzione e retribuzione pensionabile e quello della ragionevole proporzionalità tra retribuzione soggetta a prelievo contributivo e pensione. Il legislatore, in realtà, con il sistema oggi contestato «ha inteso salvaguardare l’equilibrio finanziario della gestione», creando un sistema di calcolo delle pensioni nel quale il trattamento meno favorevole delle retribuzioni più elevate «risponde ad un criterio di perequazione tra il sistema a capitalizzazione dei contributi, da porre a base della rendita pensionistica, ed il sistema di trarre la base pensionistica dall’ultima, o dalle ultime retribuzioni». D’altra parte – come più volte questa Corte ha ribadito – l’obiettivo indicato dall’art. 38 Cost. di consentire la conduzione di un’esistenza libera e dignitosa «non vincola il legislatore a garantire una coincidenza tra la pensione e l’ultima retribuzione».

 

Richiamando anche la sentenza costituzionale n. 402 del 1999, l’interveniente evidenzia che l’apporto maggiore che i lavoratori dello spettacolo sono tenuti a versare in favore del Fondo pensionistico gestito dall’ENPALS trova una logica corrispondenza nel fatto che tali lavoratori godono di requisiti ridotti (rispetto a quelli della generalità dei lavoratori dipendenti) per l’accesso ad una serie di prestazioni previdenziali, sicché la presenza di tali requisiti si bilancia col maggiore apporto contributivo da parte dei titolari di retribuzioni più elevate.

 

D’altra parte, con l’entrata in vigore della riforma di cui al d. lgs. n. 182 del 1997 il massimale contributivo è ormai il medesimo fissato per gli altri lavoratori dipendenti, e sull’eccedenza deve essere versato il solo contributo di solidarietà nella misura del cinque per cento. Non sussisterebbe, perciò, alcuna violazione del principio di eguaglianza, stante la diversa organizzazione dei due sistemi previdenziali posti a confronto.

 

Considerato in diritto

 

1.— Il Tribunale di Sanremo, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, settimo comma, del d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1420 (Norme in materia di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti gestita dall’Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo), sia nel testo attualmente vigente – formulato dall’art. 1, comma 10, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 182 – sia in quello precedente, la cui vigenza è stata confermata in via transitoria dall’art. 13 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503.

 

Il Tribunale di Torino, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, settimo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971 nel testo attualmente vigente, formulato dall’art. 1, comma 10, del d.lgs. n. 182 del 1997.

 

I giudizi, concernenti la stessa disposizione e questioni analoghe o connesse, devono essere riuniti e decisi con unico provvedimento.

 

2.— Le questioni sollevate dal Tribunale di Sanremo, sotto il profilo dell’intrinseca irragionevolezza della disposizione censurata, e dal Tribunale di Torino, con accentuazioni diverse, ma con argomentazioni sostanzialmente analoghe, sono inammissibili.

 

Entrambi i remittenti, infatti, non contestano la legittimità costituzionale della disciplina del cosiddetto “tetto pensionabile” – cioè della determinazione di una misura della retribuzione, inferiore a quella effettiva percepita dal lavoratore, da porre a base del calcolo della pensione – della quale più volte questa Corte ha avuto modo di occuparsi (ex plurimis, sentenze n. 173 del 1986, n. 72 del 1990 e n. 296 del 1995). Neppure è in discussione, in linea di principio generale, la legittimità di una normativa che comporti un divario tra misura della retribuzione su cui vengono versati i contributi e tetto pensionabile, purché una certa proporzionalità venga assicurata e, soprattutto, non sia compromessa la realizzazione delle finalità di cui all’art. 38 della Costituzione. Evenienza, quest’ultima, sulla quale la Corte ha anche affermato che la stessa struttura di tipo solidaristico cui sono informati i sistemi previdenziali non comporta la necessaria corrispondenza tra i contributi versati e le prestazioni erogate (sentenza n. 390 del 1995).

 

Le censure concernono, piuttosto, lo squilibrio di notevole entità che esisterebbe tra la misura del tetto pensionabile e quella, all’incirca tripla, della retribuzione assoggettata a contribuzione. La correzione di siffatto squilibrio esigerebbe da parte della Corte una pronuncia manipolativa incidente sull’uno o sull’altro dei termini del rapporto, oppure su entrambi, mentre resterebbe comunque opinabile la misura dell’intervento. La razionalizzazione dei sistemi previdenziali esige, come la Corte ha più volte ribadito, valutazioni e bilanciamenti di interessi comportanti scelte politiche che, nei limiti del rispetto dei diritti fondamentali, competono al legislatore (v., ex plurimis, la già citata sentenza n. 173 del 1986).

 

In riferimento all’art. 38 Cost., si è affermato che «il precetto costituzionale esige che il trattamento previdenziale sia sufficiente ad assicurare le esigenze di vita del lavoratore pensionato; ma nell’attuazione di tale principio al legislatore deve riconoscersi un margine di discrezionalità, anche in relazione alle risorse disponibili, almeno quando non sia in gioco la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona» (sentenza n. 180 del 2001, nonché, fra le altre, sentenza n. 457 del 1998). Evenienza quest’ultima estranea ai termini delle presenti questioni.

 

3.— Infondata è, invece, l’altra questione, prospettata dal solo Tribunale di Sanremo per violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto agli assicurati presso l’INPS riguardo al rapporto tra retribuzione pensionabile e retribuzione soggetta a prelievo contributivo.

 

L’incomparabilità dei sistemi previdenziali è principio cui la Corte si è costantemente attenuta; incomparabilità che deriva dalla loro complessità inerente alla varietà delle prestazioni e delle condizioni per ottenerle – conseguenza della varietà delle attività lavorative – e alle collegate diversità delle fonti di finanziamento; principio di cui la Corte ha fatto applicazione proprio riguardo all’assicurazione presso l’ENPALS nei confronti dell’assicurazione generale presso l’INPS (ordinanza n. 325 del 1993). Né può essere trascurato, ai fini di una valutazione complessiva della prospettata questione, che il sistema previdenziale dei lavoratori dello spettacolo – anche in considerazione della particolarità di talune professioni e delle modalità di svolgimento delle medesime – è, per certi versi, un sistema ampiamente favorevole per gli iscritti, quanto all’entità delle prestazioni ed alle condizioni di accesso, rispetto a quello della generalità dei lavoratori assicurati presso l’INPS; di talché non è possibile lamentare il semplice dato della diversità esistente tra retribuzione soggetta a prelievo contributivo e retribuzione pensionabile senza tenere presente l’intero sistema previdenziale in cui detta previsione si inserisce.

 

Il remittente assume che, in considerazione della qualità di impiegato a tempo indeterminato ricoperta dal ricorrente, questi non si sarebbe trovato nelle condizioni di fruire dei benefici del regime previdenziale dei lavoratori dello spettacolo, subendo in tal modo, con riguardo alla disciplina della retribuzione pensionabile, un trattamento deteriore rispetto a quello della generalità dei lavoratori. Tali argomentazioni, tuttavia, per un verso si risolvono nell’addurre inconvenienti di fatto – i quali, di per sé, non possono giustificare una pronuncia di illegittimità costituzionale – mentre per altro verso sembrano accennare alla illogicità dell’iscrizione all’ENPALS di chi svolge a tempo indeterminato funzioni impiegatizie, aspetto quest’ultimo certamente estraneo alla presente questione di legittimità costituzionale.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, settimo comma, del d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1420 (Norme in materia di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti gestita dall’Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo), nel testo originario e in quello sostituito dall’art. 1, comma 10, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 182, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, e all’art. 38 Cost., dal Tribunale di Sanremo, in funzione di giudice del lavoro con l’ordinanza indicata in epigrafe;

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, settimo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971, nel testo attualmente vigente, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale di Torino, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, settimo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971, nel testo originario e in quello sostituito dall’art. 1, comma 10, del d.lgs. n. 182 del 1997, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento, dal Tribunale di Sanremo, in funzione di giudice del lavoro, con la suddetta ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2008.

 

F.to:

 

Franco BILE, Presidente

 

Francesco AMIRANTE, Redattore

 

Gabriella MELATTI, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2008.