Sentenza n. 164 del 2008

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SENTENZA N. 164

ANNO 2008

 

Commenti alla decisione di

 

I. Gianmario Demuro, Una impeccabile inammissibilità: nota a Corte costituzionale n. 164/2008 (per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)

 

II. Pietro Pinna, Sulla promulgazione della legge statutaria sarda non approvata dal referendum (per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)

 

III. Omar Chessa, Problemi del quorum partecipativo nel referendum sulla legge statutaria sarda (per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)

 

IV. Michele Sias, Il quorum di partecipazione nel referendum sulla legge statutaria della Regione Sardegna (per gentile concessione della Rivista telematica Federalismi.it)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                         BILE                              Presidente

- Giovanni Maria              FLICK                           Giudice     

- Francesco                     AMIRANTE                           “

- Ugo                             DE SIERVO                           “

- Paolo                           MADDALENA                       “

- Alfio                            FINOCCHIARO                     “

- Alfonso                        QUARANTA                          “

- Franco                         GALLO                                 “

- Luigi                            MAZZELLA                           “

- Gaetano                        SILVESTRI                            “

- Sabino                                  CASSESE                                      “

- Maria Rita                    SAULLE                                “

- Giuseppe                      TESAURO                             “

- Paolo Maria                  NAPOLITANO                      “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 15 (recte: 15, primo comma) della legge della Regione Sardegna 28 ottobre 2002, n. 21 (Disciplina del referendum sulle leggi statutarie), nella parte in cui rinvia all’articolo 14 della legge della Regione Sardegna 17 maggio 1957, n. 20 (Norme in materia di referendum popolare regionale), promosso con ordinanza del 30 ottobre 2007 dalla Corte d’appello di Cagliari nel procedimento di verifica dei risultati del referendum sulla legge statutaria della Regione Sardegna approvata dal Consiglio regionale il 7 marzo 2007, iscritta al n. 812 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2008.

         Visti l’atto di costituzione della Regione Sardegna nonché l’atto di intervento di Capelli Roberto ed altri, nella loro qualità di promotori del referendum regionale confermativo della legge statutaria della Regione Sardegna;

         udito nell’udienza pubblica del 15 aprile 2008 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

         uditi gli avvocati Giandomenico Falcon per la Regione Sardegna, Giovanni Contu, Benedetto Ballero e Andrea Pubusa per Capelli Roberto ed altri, nella loro qualità di promotori del referendum regionale confermativo della legge statutaria della Regione autonoma della Sardegna.

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza del 30 ottobre 2007 (r.o. n. 812 del 2007) la Corte d’appello di Cagliari, nel corso del procedimento di verifica dei risultati del referendum del 21 ottobre 2007 sulla legge statutaria per la Regione Sardegna, approvata dal Consiglio regionale il precedente 7 marzo, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 15 (recte: 15, primo comma) della legge della Regione Sardegna 28 ottobre 2002, n. 21 (Disciplina del referendum sulle leggi statutarie), nella parte in cui rinvia all’articolo 14 della legge della Regione Sardegna 17 maggio 1957, n. 20 (Norme in materia di referendum popolare regionale), in riferimento all’articolo 108 della Costituzione e all’articolo 15 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).

Ciò sotto due distinti profili: anzitutto l’art. 15, rinviando all’articolo 14, primo comma, della legge regionale n. 20 del 1957, assegna alla Corte d’appello, in pubblica adunanza, presieduta dal Presidente e costituita da quattro consiglieri, il compito di procedere, con l’intervento del procuratore generale, all’accertamento del numero dei votanti, alla somma dei voti favorevoli e dei voti contrari, e alla conseguente proclamazione dei risultati del referendum. Con questo rinvio ricettizio sarebbe violato l’art. 108 della Costituzione, poiché una legge regionale attribuirebbe a questa autorità giurisdizionale una funzione diversa da quelle previste dall’ordinamento giudiziario e dalle altre stabilite con legge statale.

In secondo luogo, lo stesso censurato art. 15, primo comma, non escludendo espressamente l’applicabilità al referendum sulla legge statutaria del quorum strutturale previsto dall’art. 14, secondo comma, («almeno un terzo degli elettori») della legge regionale n. 20 del 1957 violerebbe l’art. 15, quarto comma, dello statuto speciale per la Sardegna, quale modificato dall’art. 3 della legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano), dal momento che introdurrebbe, con legge ordinaria, un quorum non previsto per il referendum sulle leggi statutarie.

2. – Con atto depositato il 17 gennaio 2008, è intervenuta nel presente giudizio la Regione Sardegna, sostenendo l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale in oggetto e, comunque, la loro infondatezza.

2.1. – In via preliminare, la difesa regionale eccepisce il difetto di legittimazione dell’autorità rimettente, dal momento che il procedimento nel corso del quale sono state sollevate le questioni di legittimità costituzionale in oggetto non presenterebbe i caratteri del “giudizio”, di cui all’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n.1.

Per la Regione interveniente, infatti, il procedimento pendente dinanzi alla Corte d’appello di Cagliari, consistente nell’accertamento del numero dei votanti, nella somma dei voti favorevoli e contrari e nella conseguente proclamazione dei risultati della consultazione referendaria, attraverso una procedura completamente d’ufficio e priva di parti, costituirebbe espressione di «una funzione di accertamento e controllo di una fase eventuale del procedimento legislativo», che potrà culminare nella promulgazione della legge statutaria.     

Di conseguenza dovrebbe trovare applicazione anche nel presente giudizio la statuizione resa dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 216 del 1972, che ha negato sotto il profilo oggettivo il carattere giurisdizionale dell’attività posta in essere dagli uffici elettorali circoscrizionali, trattandosi di «semplici operazioni amministrative, dalle quali esula un momento suscettibile di configurarsi come propriamente decisorio».

Nel procedimento in oggetto difetta, inoltre, l’elemento fondamentale del contraddittorio (cfr. ordinanza n. 183 del 1999) che, come sottolinea la difesa regionale, «non solo non è stato attivato, ma neppure è normativamente previsto».

D’altro canto – prosegue la difesa della interveniente – se davvero il procedimento in parola avesse natura giurisdizionale, l’incostituzionalità da rilevare non consisterebbe nell’attribuzione della relativa competenza ad un giudice, ma consisterebbe «nella previsione in sé e per sé di tale procedimento giurisdizionale, che sarebbe evidentemente estraneo alla competenza regionale».

2.2. – La Regione Sardegna sostiene, inoltre, l’inammissibilità del ricorso «per perplessità e contraddittorietà», dal momento che le due questioni di costituzionalità sono poste senza alcuna graduazione fra di loro, mentre l’ipotetica fondatezza della prima questione escluderebbe la rilevanza della seconda.

2.3. – Altra causa di inammissibilità discenderebbe dalla mancanza nell’ordinanza di rimessione di sufficienti motivazioni a sostegno delle diverse censure: l’ordinanza di rinvio si limiterebbe «ad individuare i termini minimi della questione, senza un grado sia pure ridotto di argomentazione» e senza fornire neppure gli essenziali elementi conoscitivi relativi alla vicenda referendaria in oggetto, che «non risultano affatto dall’ordinanza di rimessione».

Solo, infatti, la difesa regionale chiarisce che, in data 7 marzo 2007, il Consiglio della Regione Sardegna ha approvato la legge statutaria di cui all’art. 15 dello statuto. Ai sensi del quarto comma dell’art. 15, diciannove consiglieri regionali hanno chiesto il previsto referendum. La consultazione popolare ha avuto luogo il 21 ottobre 2007, con una affluenza al voto del 15,7 % degli aventi diritto. Una volta terminate le operazioni elettorali, i relativi verbali sono stati trasmessi alla Corte d’appello di Cagliari per le attività previste dall’art. 14 della legge regionale n. 20 del 1957, cui rinvia il denunciato art. 15, primo comma, della legge regionale n. 21 del 2002.

2.4. – Nel merito, la difesa regionale anzitutto afferma che è improprio il richiamo alla sentenza di questa Corte n. 43 del 1982, dal momento che in quel caso ci si riferiva alla attribuzione ad un organo giurisdizionale del compito di valutare l’ammissibilità dei referendum regionali, mentre adesso ci si riferisce alla diversa attività di accertamento e di attestazione dei risultati della consultazione referendaria. Il legislatore regionale, senza interferire sulla composizione o sulle attribuzioni degli uffici giudiziari, si sarebbe limitato ad attribuire alla suddetta autorità «compiti ulteriori distinti e ben delimitati», nell’ambito della propria «piena competenza» in tema di disciplina del procedimento referendario.

Per quanto concerne l’asserita incostituzionalità della previsione relativa al quorum strutturale, la difesa regionale sostiene che l’invocata previsione statutaria non reca alcun divieto al riguardo, ma si limita in realtà ad affidare l’intera materia alla fonte legislativa. L’art. 15, secondo comma, dello statuto demanda alla legge statutaria la «disciplina del referendum abrogativo, propositivo e consultivo», e il successivo quarto comma, relativo alla legge statutaria, ugualmente rinvia alla «disciplina […] prevista da apposita legge regionale».

A questo proposito, la interveniente richiama la sentenza n. 372 del 2004 ed afferma che, operandosi nell’ambito del contenuto necessario dello statuto regionale ex art. 123 della Costituzione, «si deve ritenere che alle Regioni è consentito di articolare variamente la propria disciplina relativa alla tipologia dei referendum previsti in Costituzione, anche innovando ad essi sotto diversi profili».

3. – Con «atto di costituzione e di intervento» depositato il 22 gennaio 2008, sono intervenuti nel presente giudizio di legittimità costituzionale i consiglieri regionali Capelli Roberto e altri, in qualità di promotori del referendum sulla legge statutaria e che erano anche intervenuti presso la Corte di appello di Cagliari nel procedimento che ha originato il presente giudizio.

3.1. – Nel merito della questione, i promotori del referendum sostengono, innanzitutto, l’irrilevanza della questione di costituzionalità relativa all’art. 15, primo comma, della legge regionale n. 21 del 2002, nella parte in cui rinvia all’art. 14 della legge regionale n. 20 del 1957: infatti, la censurata disposizione non rinvia, e non avrebbe potuto rinviare, alla previsione del quorum strutturale del referendum in oggetto di cui alla legge regionale del 1957.

Quest’ultimo quorum non sarebbe, infatti, compatibile con la natura del referendum sulla legge statutaria. Il silenzio serbato sul punto dall’art. 15 dello statuto e l’enunciato secondo cui «la legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi», dimostrerebbero che la consultazione popolare in oggetto «si inquadra certamente nell’istituto del referendum confermativo (o “approvativo”), per il quale pacificamente non è previsto alcun quorum strutturale». Inoltre il legislatore regionale non avrebbe potuto prevedere il quorum strutturale, poiché l’art. 15 dello statuto, definendo la struttura essenziale di questo tipo di referendum, avrebbe demandato al legislatore regionale di disciplinare soltanto gli aspetti procedurali del referendum sulla legge statutaria. Sicché, il rinvio di cui all’impugnato art. 15, primo comma, della legge regionale n. 21 del 2002 dovrebbe essere interpretato nel senso di escludere dal suo ambito di operatività il secondo comma dell’art. 14 della legge regionale n. 20 del 1957, «che è la sola disposizione che tratta aspetti non meramente procedurali ma strutturali del referendum».

3.2. – Al tempo stesso, i promotori ritengono infondata l’eccezione sollevata in relazione all’art. 108 della Costituzione. Infatti, anche a seguito della revisione costituzionale dell’art. 117 della Costituzione, che ha profondamente innovato il sistema dei rapporti tra legge statale e legge regionale, la materia del referendum sulla legge statutaria «è sicuramente una materia, per quanto riguarda la Sardegna, esclusivamente regionale che incontra limiti solo nelle norme superiori costituzionali e statutarie». Pertanto, nella disciplina relativa all’accertamento del risultato della consultazione referendaria, appare corretto assegnare detta funzione all’ordine giudiziario, «dato che questa è la sola soluzione possibile se si vuole dare effettività alla prevalenza delle regole costituzionali».

3.3. – Nell’ipotesi che si riconoscesse, quale oggetto di rinvio, anche la previsione sul quorum strutturale di cui all’art. 14, secondo comma, della legge regionale n. 20 del 1957, la disposizione in oggetto, a detta degli intervenienti, sarebbe comunque in contrasto sia con l’invocato art. 15, quarto comma, dello statuto, sia «con il principio generale ricavabile dall’art. 138 comma secondo della Costituzione, secondo cui il referendum confermativo riferito alle leggi costituzionali o alle leggi regionali rinforzate (in materia costituzionale) richiede comunque che si abbia un valido esito, favorevole o sfavorevole, del voto popolare, senza la previsione di alcun quorum».

4. – Con memoria depositata il 1° aprile 2008 i consiglieri regionali Capelli Roberto e altri, in qualità di promotori del referendum in oggetto, hanno sviluppato ulteriori argomentazioni in ordine all’ammissibilità ed al merito delle suesposte questioni di legittimità costituzionale.

4.1. – La difesa dei promotori referendari contesta le eccezioni di inammissibilità prospettate dalla interveniente Regione Sardegna ed, in particolare, per ciò che riguarda la legittimazione del rimettente, invoca l’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte che parrebbe accedere ad una lettura estensiva del requisito oggettivo, così da riconoscere natura giurisdizionale ai procedimenti nei quali la competente autorità svolga una funzione volta unicamente a garantire la legalità degli atti ad essa sottoposti, e cioè preordinata alla tutela del diritto oggettivo.

4.2. – I suddetti promotori ribadiscono l’irrilevanza della questione di costituzionalità relativa all’art. 15, primo comma, della legge regionale n. 21 del 2002, nella parte in cui rinvia al quorum strutturale di cui all’art. 14, secondo comma, della legge regionale n. 20 del 1957. Infatti, l’impugnata disposizione non rinvierebbe, e non avrebbe potuto rinviare, alla previsione del quorum strutturale del referendum in oggetto di cui alla legge regionale del 1957: in tal senso si ribadiscono le argomentazioni già esposte.

4.3. – Nel merito, la difesa dei promotori esclude la dedotta violazione dell’art. 108 della Costituzione (non sussistendo alcuna interferenza con le funzioni «più strettamente giurisdizionali definite dalla legge sull’ordinamento giudiziario») e, in secondo luogo nell’ipotesi che non venga condivisa la sua posizione relativamente all’irrilevanza della questione, conferma la tesi dell’incostituzionalità della previsione relativa al quorum strutturale.

5. – Anche la Regione Sardegna ha depositato, in data 1° aprile 2008, una memoria per illustrare e approfondire i rilievi sviluppati nel precedente atto di intervento.

5.1. – Innanzitutto, la difesa regionale contesta l’ordine delle questioni prospettato dai promotori del referendum, dal momento che «la prima questione è quella che attiene alla stessa capacità dell’organo rimettente di agire come giudice a quo». Ove, contrariamente a quanto sostiene la stessa resistente, si riconoscesse la legittimazione della Corte d’appello e si riconoscesse la lamentata violazione dell’art. 108 della Costituzione, l’autorità rimettente non potrebbe più occuparsi della procedura referendaria in oggetto, dovendo al contrario restituire gli atti alla Regione per l’adozione delle necessarie determinazioni. Stando così le cose – prosegue la difesa regionale – l’eventuale accoglimento della prima questione priverebbe di rilevanza la seconda.

5.2. – Quanto all’asserito difetto di legittimazione della Corte rimettente, l’interveniente Regione riafferma la tesi della mancanza del requisito oggettivo, come risulterebbe – peraltro – dallo stesso atto di intervento dei suddetti promotori, i quali dichiarano di intervenire «nella loro qualità di promotori del referendum regionale confermativo». Ad ogni modo, difetterebbe il requisito della “ultimalità”, nel senso che un procedimento può qualificarsi come “giudizio” quando l’organo procedente è abilitato a decidere in via definitiva circa l’applicazione di una legge, salve le impugnazioni “interne” attivabili o meno dalle parti (a tal fine è richiamata la sentenza n. 387 del 1996 sul difetto di legittimazione del collegio di garanzia elettorale, in quanto la decisione di tale organo si è rivelata priva del carattere della definitività).

5.3. – Per quanto concerne la presunta violazione dell’art. 108 della Costituzione, la difesa regionale si limita a rinviare a quanto già sostenuto nell’atto di intervento.

5.4. – Infine, contrariamente a quanto sostenuto dai promotori, la difesa regionale ritiene che il censurato art. 15 della legge regionale n. 21 del 2002 rinvia per intero all’art. 14 della legge regionale n. 20 del 1957: oggetto del rinvio è, dunque, anche la previsione afferente al quorum strutturale. E non potrebbe essere diversamente, atteso che l’art. 15, quarto comma, dello statuto sardo non impone e non vieta alcunché in ordine ai requisiti di validità della procedura referendaria, «rimettendo ogni decisione su questo come su altri punti alla legge regionale». D’altro canto, per la interveniente la soluzione adottata dal legislatore sardo appare «perfettamente logica» giacché, trattandosi di decisione estremamente rilevante per l’assetto dell’istituzione regionale, «è ben comprensibile ed adeguato» che la legge statutaria sia approvata con la partecipazione alla consultazione referendaria di un numero minimo di elettori.

Non sarebbe, inoltre, condivisibile l’interpretazione che distingue tra “struttura” (interamente disciplinata dall’art. 15 dello Statuto) e “aspetti procedurali” (rimessi al legislatore regionale “ordinario”) del referendum in parola, dal momento che il termine “disciplina” di cui al succitato art. 15 Statuto «comprende ogni possibile regolazione dell’istituto».

Considerato in diritto

1. – La Corte d’appello di Cagliari, nel corso del procedimento di verifica dei risultati del referendum del 21 ottobre 2007 sulla legge statutaria per la Regione Sardegna approvata il 7 marzo dello stesso anno, ha sollevato, in riferimento all’articolo 108 della Costituzione e all’articolo 15 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), questione di legittimità costituzionale dell’articolo 15 (recte: 15, primo comma) della legge della Regione Sardegna 28 ottobre 2002, n. 21 (Disciplina del referendum sulle leggi statutarie), nella parte in cui rinvia all’articolo 14 della legge della Regione Sardegna 17 maggio 1957, n. 20 (Norme in materia di referendum popolare regionale).

Anzitutto l’art. 15, rinviando all’articolo 14, primo comma, della legge regionale n. 20 del 1957, assegna alla Corte d’appello, in pubblica adunanza, presieduta dal Presidente e costituita da quattro consiglieri, il compito di procedere, con l’intervento del procuratore generale, «all’accertamento del numero dei votanti, alla somma dei voti favorevoli e dei voti contrari, e alla conseguente proclamazione dei risultati del referendum». Con questa previsione sarebbe violato l’art. 108 della Costituzione, poiché una legge regionale attribuirebbe ad un’autorità giurisdizionale «una funzione diversa da quelle previste dall’ordinamento giudiziario e da quelle altre stabilite con legge dello Stato».

In secondo luogo, lo stesso censurato art. 15, primo comma, non escludendo espressamente l’applicabilità al referendum sulla legge statutaria del quorum strutturale previsto dall’art. 14, secondo comma, della legge regionale n. 20 del 1957 violerebbe l’art. 15, quarto comma, dello statuto speciale per la Sardegna, quale modificato dall’art. 3 della legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano), dal momento che introdurrebbe, con legge ordinaria, un quorum non previsto per il referendum sulle leggi statutarie.

2. – In via preliminare merita accoglimento l’eccezione, sollevata dalla difesa regionale, di inammissibilità delle suesposte questioni di legittimità costituzionale per difetto di legittimazione dell’autorità rimettente ai sensi dell’art. 23, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale).

2.1. – La giurisprudenza di questa Corte ha più volte interpretato i due requisiti – soggettivo (il giudice) e oggettivo (il giudizio) – richiesti dalla legge per poter sollevare una questione incidentale di legittimità costituzionale, anche mediante letture non restrittive di entrambi, al fine di ridurre le aree normative sottratte al controllo di costituzionalità.

Non mancano, almeno nella sua giurisprudenza più risalente, alcuni casi limitati nei quali questa Corte ha ritenuto sufficiente anche la presenza di uno solo di questi requisiti (cfr. soprattutto la sentenza n. 83 del 1966), nella consapevolezza che «il preminente interesse pubblico della certezza del diritto (che i dubbi di costituzionalità insidierebbero), insieme con l’altro dell’osservanza della Costituzione, vieta che dalla distinzione tra le varie categorie di giudizi e processi […], si traggano conseguenze così gravi» (sentenza n. 129 del 1957).

Peraltro, la giurisprudenza di questa Corte è andata progressivamente attestandosi su una interpretazione più rigorosa, soprattutto in riferimento alla necessaria compresenza sostanziale di entrambi i suddetti requisiti

La Corte è ormai ferma nel negare la legittimazione del rimettente: se l’intervento del giudice si esplichi nell’ambito di un procedimento amministrativo, suscettibile di un successivo controllo giurisdizionale (sentenza n. 132 del 1973); se il rimettente stesso risulti investito di «una semplice funzione di carattere formale attribuitagli per una finalità garantistica» (sentenza n. 96 del 1976); se difetta un momento propriamente decisorio (sentenze n. 116 del 1983; n. 17 del 1980; n. 74 del 1971; n. 13 del 1966 e n. 112 del 1964; nonché le ordinanze n. 382 e n. 86 del 1991; n. 59 del 1990); se vi è carenza di contraddittorio (tra le molte, le sentenze n. 387 del 1996; n. 335 e n. 29 del 1995; n. 226 del 1976 e n. 12 del 1971; e l’ordinanza n. 183 del 1999); se l’atto posto in essere dal rimettente è privo del carattere della definitività (cfr, per tutte, la sentenza n. 387 del 1996).

La sintesi di questa posizione giurisprudenziale è espressa nella recentissima ordinanza n. 6 del 2008, ove questa Corte ha statuito che «affinché possa ritenersi sussistente il presupposto processuale richiesto da dette norme, non è sufficiente il solo requisito soggettivo […]. Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’intervento di un magistrato, di per sé solo, non è idoneo ad alterare la struttura di un procedimento ed a connotarlo per ciò stesso quale “giudizio” […], restando escluso che ciò accada nel caso in cui tale intervento consista nello svolgimento di una funzione di carattere formale […]». Pertanto, «affinché la questione possa ritenersi sollevata nel corso di un “giudizio”, l’applicazione della legge da parte del giudice deve essere caratterizzata da entrambi gli attributi dell’obiettività e “della definitività, nel senso dell’idoneità (del provvedimento reso) a divenire irrimediabile attraverso l’assunzione di un’efficacia analoga a quella del giudicato”, poiché è in questo caso che il mancato riconoscimento della legittimazione comporterebbe la sottrazione delle norme al controllo di costituzionalità».

2.2. – In questo filone giurisprudenziale assumono specifico rilievo le sentenze n. 387 del 1996 e n. 216 del 1972 e, attesa l’affinità degli ambiti nei quali sono state sollevate le rispettive eccezioni d’incostituzionalità: trattasi, invero, di sentenze che hanno negato la legittimazione a sollevare questione di legittimità costituzionale rispettivamente agli uffici elettorali circoscrizionali ed al collegio centrale di garanzia elettorale. Nella prima pronuncia questa Corte ha ritenuto che la funzione degli uffici elettorali si esplica nello svolgimento di «una serie di attività materiali e di conteggio» consistenti in «semplici operazioni amministrative, dalle quali esula un momento suscettibile di configurarsi come propriamente decisorio». Nella seconda sentenza si è escluso che possa essere considerata come attività giurisdizionale quella «tutta interna ad un procedimento di verificazione che si attiva di ufficio, si svolge attraverso un mero riscontro dei presupposti e delle condizioni richieste dalla legge in vista dell’eventuale emanazione di un provvedimento finale privo […] della definitività».

In conclusione, la più recente giurisprudenza di questa Corte in tema di legittimazione del giudice a quo esige che, al di là della evidente finalità garantistica implicita nell’attribuzione di una funzione ad un organo giurisdizionale, l’attività richiesta non si esaurisca in semplici operazioni amministrative, per di più da conseguire tramite procedure prive di forme di contradditorio ed attraverso determinazioni finali prive dei caratteri di decisorietà e di definitività.

2.3. – Nel presente giudizio, la legge regionale 17 maggio 1957, n. 20 (Norme in materia di referendum popolare regionale) attribuisce espressamente alla Corte di appello di Cagliari (nella particolare composizione di cui all’art. 14, primo comma, della stessa legge n.20) il solo compito di proclamare l’esito del referendum sulla base dell’accertamento del numero dei votanti e dell’ammontare dei voti favorevoli e contrari. Ciò mentre sta al Presidente della Regione assumere le conseguenti determinazioni, secondo quanto prevedono alternativamente tra loro gli artt. 12 e 13 della legge 28 ottobre 2002, n. 21 (Disciplina del referendum sulle leggi statutarie), ma sempre tramite provvedimenti che potranno anche essere oggetto di giudizio sia da parte di giudici ordinari che di questa stessa Corte.

I precedenti giurisprudenziali che hanno riconosciuto, anche solo implicitamente, la legittimazione di autorità giudiziarie coinvolte in procedimenti referendari o elettorali, non sono idonei a dimostrare la natura “giurisdizionale” dell’attività posta in essere dalla Corte d’appello nella presente procedura (sentenza n. 334 del 2004 e ordinanza n. 207 del 2000). In quei giudizi, l’eccezione d’incostituzionalità era stata, in effetti, sollevata nella fase, anteriore alla consultazione popolare, nella quale si è in presenza di un vero e proprio “giudizio” sulla legittimità della richiesta referendaria. Un “giudizio” condotto al cospetto di parametri di legittimità, con garanzia di contraddittorio, e culminante in un provvedimento finale – nel caso dell’Ufficio centrale presso la Corte di cassazione, l’ordinanza – che ha i tratti tipici dell’atto giurisdizionale.

È il caso, tra l’altro, della sentenza n. 43 del 1982, nella quale la questione di legittimità costituzionale concernente l’art. 6 della legge della Regione Sardegna n. 20 del 1957 era stata sollevata, appunto, nell’ambito del giudizio di ammissibilità del referendum.

Nel caso di specie, invece, la Corte d’appello svolge una mera attività materiale di conteggio, essendo preposta ad una «semplice funzione di carattere formale» volta a realizzare «una finalità garantistica». In altri termini, alla Corte d’appello è assegnata una funzione strumentale di acquisizione ed elaborazione di dati necessari ai fini dell’adozione del provvedimento finale di competenza del Presidente della Giunta regionale, che si svolge secondo un procedimento che non presenta i caratteri del giudizio. Ciò diversamente dal giudizio di parificazione del rendiconto che si svolge con le formalità della giurisdizione contenziosa, attesa la sussistenza di un contraddittorio e considerata, soprattutto, la natura definitiva e insindacabile della decisione pronunciata dalla Corte dei conti (sentenze n. 244 del 1995; n. 142 del 1968; n. 121 del 1966 e n. 165 del 1963).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

         dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 15, primo comma, della legge della Regione Sardegna 28 ottobre 2002, n. 21 (Disciplina del referendum sulle leggi statutarie), sollevate, in riferimento all’articolo 108 della Costituzione e all’articolo 15 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), dalla Corte d’appello di Cagliari con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2008.