Ordinanza n. 125 del 2008

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ORDINANZA N. 125

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Franco               BILE                                        Presidente

-  Giovanni Maria   FLICK                                       Giudice

-  Ugo                   DE SIERVO                                    ”

-  Paolo                 MADDALENA                                 ”

-  Alfio                  FINOCCHIARO                              ”

-  Alfonso              QUARANTA                                   ”

-  Franco               GALLO                                           ”

-  Luigi                  MAZZELLA                                    ”

-  Gaetano             SILVESTRI                                     ”

-  Sabino               CASSESE                                       ”

-  Maria Rita          SAULLE                                         ”

-  Giuseppe            TESAURO                                       ”

-  Paolo Maria       NAPOLITANO                                ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo originario risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promossi con ordinanze del 19 dicembre 2006 dal Giudice di pace di Vicenza, del 10 febbraio e del 16 aprile 2007 dal Giudice di pace di Francavilla al Mare e del 16 maggio 2007 dal Giudice di pace di Chioggia rispettivamente iscritte ai nn. 412, 510, 581 e 638 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 23, 27, 34 e 37, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 2 aprile 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

 

Ritenuto che i Giudici di pace di Vicenza, Francavilla al Mare e Chioggia, con le ordinanze indicate in epigrafe, hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale – in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 27 e 42 della Costituzione – dell’art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo originario risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada);

che, in particolare, il Giudice di pace di Vicenza (r.o. n. 412 del 2007) premette di essere dover conoscere dell’opposizione proposta, ai sensi dell’art. 204-bis del codice della strada, avverso un verbale con il quale veniva contestata, al ricorrente nel giudizio principale, l’infrazione sanzionata dall’art. 170, comma 6, del medesimo codice della strada (per essere stato costui «trovato alla guida di un ciclomotore trasportando un’altra persona»), nonché disposto il «sequestro amministrativo del mezzo ai fini della confisca», ai sensi del predetto art. 213, comma 2-sexies;

che, il rimettente deduce l’irrilevanza, nel giudizio principale, delle sopravvenute modifiche apportate alla norma censurata dall’art. 2, comma 169, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), nel testo modificato dalla relativa legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286;

che, infatti, sebbene la confisca – per effetto del citato ius superveniens – sia ormai prevista soltanto nei casi in cui un ciclomotore o un motoveicolo «sia stato adoperato per commettere un reato» (e non più quale sanzione accessoria che colpisce anche le infrazioni amministrative di cui agli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del codice della strada), ciò nondimeno, osserva il giudice a quo, la nuova disciplina non può applicarsi alla fattispecie oggetto del giudizio principale, «a ciò ostando, in materia di illeciti amministrativi, i principi di legalità, di irretroattività e di divieto di analogia», previsti dall’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), con conseguente inapplicabilità della norma successiva più favorevole (è richiamata, sul punto, anche l’ordinanza della Corte costituzionale n. 245 del 2003);

che il rimettente, peraltro, ritiene che il testo originario dell’art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada – del quale egli reputa di dover fare applicazione nel giudizio a quo, per le ragioni illustrate, nonché in mancanza «di una normativa transitoria» che disciplini «i casi avvenuti nel periodo di vigenza della mutata disposizione» – si ponga in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto vari profili;

che, in primo luogo, viene ipotizzato che la scelta originariamente compiuta dal legislatore, e consistita nel limitare l’applicazione della confisca alle «sole violazioni derivanti dall’inosservanza delle disposizioni di cui agli artt. 169, 170, 171» del codice della strada, determinerebbe una disparità di trattamento «in relazione a condotte del tutto analoghe» (o meglio «di pari o maggiore gravità», quanto al potenziale pericolo che anch’esse recano al bene dell’incolumità individuale), «quali ad esempio la guida senza cinture di sicurezza»;

che, in secondo luogo, la censurata disposizione contravverrebbe al principio secondo cui «le misure patrimoniali presuppongono necessariamente un rapporto tra i beni ed i soggetti portatori di pericolosità sociale che ne dispongano o che siano avvantaggiati dal loro impiego nell’ambito di attività illecite», derivando la pericolosità del bene «dalla pericolosità della persona che ne può disporre» (è citata l’ordinanza della Corte costituzionale n. 368 del 2004);

che, infine, la norma si paleserebbe irragionevole, prevedendo una «generalizzata ed indiscriminata applicazione della confisca» per il solo fatto che sia posta in essere taluna delle infrazioni di cui agli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del codice della strada, «senza possibilità di valutare la maggiore o minore gravita dell’episodio»;

che, ciò premesso, il rimettente – non senza evidenziare come l’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della norma censurata non potrebbe «ledere l’ambito di discrezionalità riservato al legislatore», in quanto la Corte costituzionale «ha più volte censurato la previsione della confisca obbligatoria in ipotesi che si rivelavano obiettivamente ingiuste ed irrazionali» (sono citate le sentenze n. 110 del 1996, n. 371 del 1994, n. 259 del 1976 e n. 229 del 1974) – ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 Cost., dell’art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada «nella versione vigente al momento della commessa violazione e nello specifico esclusivamente nella parte in cui prevede che venga disposta la confisca in tutti i casi in cui un ciclomotore o un motoveicolo sia stato adoperato per commettere una delle violazioni amministrative di cui all’art. 170 del codice della strada»;

che il Giudice di pace di Francavilla al Mare, con due ordinanze di contenuto pressoché identico (r.o. n. 510 e n. 581 del 2007), assume l’illegittimità costituzionale – per contrasto con gli artt. 2, 3, 27 e 42 Cost. – dell’art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada, «in relazione all’art. 171, commi 1 e 2», dello stesso codice, «nella parte in cui prevedeva doversi sempre disporre la confisca in tutti i casi in cui un ciclomotore o un motoveicolo fosse stato adoperato per commettere le violazioni amministrative di cui all’art. 171»;

che, in punto di fatto, il rimettente deduce di doversi pronunciare – in entrambi i giudizi pendenti innanzi ad esso – in merito al ricorso proposto dal proprietario di un ciclomotore, sottoposto a sequestro in vista della successiva confisca, per essere stata contestata, ad altri, la violazione degli art. 171, commi 1 e 2, del codice della strada;

che secondo il giudice a quo, a dispetto della modificazione subita nelle more dei processi principali, il testo originario del predetto art. 213, comma 2-sexies, continuerebbe ad applicarsi alle fattispecie oggetto di quei giudizi, in mancanza di una norma transitoria che disponga diversamente, «stante il principio dell’irretroattività della legge più favorevole nel campo dell’illecito amministrativo» previsto dall’art. 1 della legge n. 689 del 1981 (la conformità del quale alla Costituzione, oltretutto, sarebbe stata riconosciuta dall’ordinanza della Corte costituzionale n. 140 del 2002);

che il rimettente deduce, tuttavia, l’illegittimità costituzionale del testo originario della norma censurata, implicitamente confermata – a suo dire – proprio dalla modifica operata dal già citato art. 2, comma 169, del decreto-legge n. 262 del 2006 (che ha limitato l’applicazione della confisca ai soli casi in cui motocicli e ciclomotori siano stati adoperati per commettere un reato);

che, difatti, la norma censurata darebbe luogo, innanzitutto, ad «un trattamento di evidente disparità tra ciclomotoristi e automobilisti», operando la confisca del veicolo solo in presenza di infrazioni poste in essere dai primi e non pure nel caso di inosservanza, da parte dei secondi, di norme egualmente poste a salvaguardia dell’integrità fisica dei conducenti;

che, inoltre, allorché la confisca – come nei casi oggetto dei giudizi a quibus – produca i suo effetti a carico di un soggetto diverso dal responsabile dell’infrazione essa finirebbe con il «colpire, immotivatamente, il patrimonio del proprietario del ciclomotore», non potendo ritenersi diretta ad eliminare il ripetersi del rischio costituito dall’inosservanza della norma trasgredita;

che il rimettente, pertanto, reputa che nella specie «siano stati violati i principi di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione, di eguaglianza dei cittadini, di personalità della sanzione amministrativa e di diritto della proprietà privata, garantiti dai parametri costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 27 e 42 Cost.»;

che anche il Giudice di pace di Chioggia (r.o. n. 638 del 2007) ha sollevato – in relazione all’art. 3 Cost., ed «in subordine» all’art. 42 della Carta fondamentale – questione di legittimità costituzionale dell’art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada, «in riferimento all’art. 171, comma 1» del medesimo codice;

che il rimettente – nel precisare di essere chiamato a giudicare dell’opposizione, proposta congiuntamente dal proprietario del ciclomotore e dal conducente, avverso un verbale con cui si contestava, ad entrambi, la violazione dell’art. 171, comma 1, del codice della strada (essendosi accertato che il secondo di tali soggetti circolava alla guida del mezzo indossando un casco non omologato) – censura il suddetto art. 213, comma 2-sexies «con riguardo al principio di ragionevolezza e di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.»;

che, difatti, richiamato quell’indirizzo della giurisprudenza costituzionale – sono citate le sentenze n. 144 del 2005 e n. 180 del 1994, nonché le ordinanze n. 45 del 2006, n. 401 del 2005, n. 262 del 2005, n. 212 e n. 109 del 2004, n. 234 del 2003 – secondo cui la discrezionalità del legislatore, riguardo all’individuazione delle condotte punibili ed alla scelta delle relative sanzioni, può essere sottoposta al sindacato del Giudice delle leggi «ove il suo esercizio ne rappresenti un uso distorto o arbitrario, così da confliggere in modo manifesto con il canone della ragionevolezza», reputa che l’evenienza da ultimo indicata ricorra proprio nel caso di specie;

che il giudice rimettente, difatti, evidenzia l’assenza, nel sistema del codice della strada, di «sanzioni così afflittive» come quella della confisca, sicché reputa che il legislatore – con la norma censurata – non abbia realizzato un adeguato «contemperamento degli opposti interessi», atteso che la salvaguardia del pur «superiore interesse alla sicurezza della circolazione stradale» (al quale la Corte costituzionale, nella sentenza n. 180 del 1994, ha ritenuto strettamente connesso quello all’incolumità individuale) non potrebbe giustificare «l’enorme sacrificio del diritto, anch’esso costituzionalmente garantito, di proprietà sul veicolo», specialmente quando ne sia titolare «un soggetto diverso dal trasgressore»;

che il carattere non ragionevole della previsione normativa in esame emergerebbe, inoltre, dal fatto che la sanzione accessoria della confisca è ricollegata a condotte – come la «non omologazione del casco, comunque ben allacciato, la non corretta posizione di guida, perché magari momentaneamente impegnati a sgranchirsi le gambe, il non impugnare il manubrio perché magari momentaneamente intenti a pulire la visiera del casco o ad aprire il rubinetto della riserva», o come, ancora, il «trasportare un passeggero laddove non previsto dal libretto di circolazione, oppure un oggetto non saldamente assicurato» – per le quali può essere ritenuta giustificata, al più, l’irrogazione della sola sanzione pecuniaria;

che l’irragionevolezza della scelta legislativa sarebbe, inoltre, confermata dalla «disparità di trattamento sanzionatorio» tra il contegno punito con la confisca «ed analoghe condotte compiute, però, alla guida di altri tipi di veicoli» (sono indicate, a titolo esemplificativo, quella previste dagli artt. 164, 169 e 172 dello stesso codice della strada), dotate di analogo disvalore;

che, infine, il giudice a quo ha anche censurato «l’enorme ed ingiustificata disparità di trattamento in ragione del sacrificio economico che ne deriverebbe, a fronte del medesimo illecito, fra proprietari di ciclomotori o motocicli di bassissimo o inesistente valore economico e proprietari di ciclomotori o motocicli di valore»;

che dedotta, dunque, l’illegittimità costituzionale dell’art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada, il Giudice di pace di Chioggia sottolinea di aver già sollevato identica questione di legittimità costituzionale, definita dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 73 del 2007, con la quale venivano restituiti gli atti ad esso rimettente, affinché valutasse la perdurante rilevanza e non manifesta infondatezza della questione alla luce delle modifiche apportata al testo della norma censurata dal già segnalato d.l. n. 262 del 2006;

che il rimettente reputa, tuttavia, che la questione permanga rilevante, oltre che non manifestamente infondata, attesa l’applicabilità alla fattispecie sottoposta al suo vaglio della previsione originaria dell’art. 213, comma 2-sexies, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1 della legge n. 689 del 1981, secondo cui le «leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati»;

che è intervenuto in ciascun giudizio – ad eccezione di quello originato dall’ordinanza di rimessione n. 412 del 2007, emessa dal Giudice di pace di Vicenza – il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato;

che la difesa dello Stato – eccepita, in via preliminare, l’inammissibilità delle questioni in quanto prive, a suo dire, di motivazione sulla rilevanza e non manifesta infondatezza – deduce «l’irrilevanza della questione sollevata in relazione all’art. 171, commi 1 e 2» del codice della strada, giacché essi «prevedono l’obbligo di indossare il casco e comminano la sanzione pecuniaria principale in caso di inosservanza», rimanendo, pertanto, estranea al loro contenuto precettivo ogni determinazione in riferimento al ciclomotore;

che in tutti i casi sottoposti all’esame dei giudici rimettenti, pertanto, la «sola disposizione astrattamente rilevante potrebbe essere l’art. 213, comma 2-sexies, che prevede la confisca obbligatoria» proprio nell’ipotesi in cui ricorra taluna delle infrazioni di cui agli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del medesimo codice della strada;

che, tuttavia, anche la questione avente ad oggetto tale norma si presenta «irrilevante», sebbene «sotto un diverso profilo»;

che, difatti, i giudici a quibus non avrebbero chiarito se, nei casi oggetto dei giudizi principali, risulti provato «il fatto che il veicolo circolava contro la volontà del proprietario», giacché, ricorrendo detta ipotesi, difetterebbe un’adeguata motivazione sull’influenza del prospettato dubbio di costituzionalità;

che, in subordine, l’Avvocatura generale dello Stato deduce l’infondatezza delle questioni sollevate;

che, a suo dire, la confisca è rivolta a sottrarre la disponibilità di ciclomotori e motoveicoli a coloro i quali, mostrandosi indifferenti all’obbligo di indossare il casco protettivo, realizzano, con il proprio contegno, «una causa di incremento del pericolo di lesioni craniche da circolazione di motocicli», sicché – sottolinea la difesa erariale – anche «il proprietario che autorizzi o tolleri l’uso del motociclo da parte di soggetti che non rispettano l’obbligo in questione» è ragionevolmente sottoposto, dal censurato art. 213, comma 2-sexies, a tale sanzione;

che l’applicazione di tale sanzione troverebbe, dunque, la sua ragion d’essere nella circostanza che il proprietario del veicolo «ha accettato di concorrere all’incremento complessivo del rischio da circolazione e, contemporaneamente, ha rinunciato ad esercitare un controllo personale e diretto sul comportamento del conducente», di talché, quella ipotizzabile nei suoi confronti, non sarebbe un’ipotesi di responsabilità per fatto altrui;

che nessuna violazione del principio di eguaglianza, poi, potrebbe essere ravvisata nel caso di specie, essendo priva di fondamento, in particolare, la censura che tende a stigmatizzare il fatto che la confisca obbligatoria «non sia prevista per violazioni stradali che il giudice rimettente considera più gravi sotto il profilo degli interessi protetti», atteso che la legittimità costituzionale di una sanzione va riconosciuta «qualora sussista una ragionevole coerenza tra la sua misura ed entità e gli interessi protetti dal precetto di cui la sanzione è presidio»;

che nella specie, prosegue la difesa erariale, «la prevenzione del rischio individuale e sociale da trauma cranico, specifico e peculiare della circolazione motociclistica, rende ragione sufficiente di una misura intesa a togliere la disponibilità del mezzo specifico della creazione di tale rischio»;

che tali rilievi, inoltre, varrebbero a fugare l’ulteriore dubbio relativo alla violazione dell’art. 3 della Costituzione, dimostrando come nell’applicazione della sanzione de qua «non abbia alcun rilievo il valore dei motocicli confiscati», giacché attraverso di essa non si «tende a colpire il patrimonio del responsabile, bensì a rimuovere una causa di incremento del rischio di cui si è detto».

Considerato che i Giudici di pace di Vicenza, Francavilla al Mare e Chioggia, con le ordinanze indicate in epigrafe, hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale – in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 27 e 42 della Costituzione – dell’art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo originario risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada);

che tutti i rimettenti censurano la norma suddetta nel testo anteriore a quello modificato dall’art. 2, comma 169, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), come risultante dalla relativa legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286, e cioè nella parte in cui prevede (o meglio, prevedeva) la confisca di ciclomotori e motoveicoli quale sanzione accessoria che colpisce anche le infrazioni amministrative di cui agli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del codice della strada;

 che, preliminarmente, deve essere disposta la riunione dei giudizi, atteso che la loro identità di oggetto ne giustifica l’unitaria trattazione ai fini di un’unica decisione;

che le questioni sono rilevanti, atteso che ciascuno del giudici a quibus muove dal corretto (ed adeguatamente motivato) presupposto di dover decidere la controversia devoluta al suo esame facendo applicazione del testo originario della norma suddetta;

che nessuna delle questioni sollevate risulta meritevole di accoglimento;

che, prima facie, non fondata è la dedotta violazione dell’art. 27 Cost., essendo la giurisprudenza costituzionale costante nell’affermare – in forza di un indirizzo reiteratamente ribadito, sino alla recente ordinanza n. 434 del 2007 (concernente, tra l’altro, proprio la disciplina della circolazione stradale) – che il parametro costituzionale suddetto si riferisce esclusivamente alle sanzioni penali e non pure a quelle amministrative;

che, in limine, deve rilevarsi come le censure formulate in riferimento agli artt. 2 e 42 Cost. risultino prive di autonomo rilievo rispetto a quelle proposte ai sensi dell’art. 3 della Carta fondamentale;

che il primo di tali parametri, difatti, è evocato per dedurre la violazione del «diritto fondamentale all’eguaglianza», e segnatamente la disparità di trattamento che la norma contestata introdurrebbe, innanzitutto, «tra ciclomotoristi e automobilisti» (operando la confisca del veicolo solo in presenza di infrazioni poste in essere dai primi e non pure nel caso di inosservanza, da parte dei secondi, di norme egualmente poste a salvaguardia dell’integrità fisica dei conducenti; così le ordinanze del rimettente di Francavilla al Mare), ovvero «fra proprietari di ciclomotori o motocicli di bassissimo o inesistente valore economico e proprietari di ciclomotori o motocicli di valore» (così il Giudice di pace di Chioggia);

che, analogamente, anche l’ipotizzato contrasto con l’art. 42 Cost., risultando motivato con riferimento all’«enorme sacrificio del diritto, anch’esso costituzionalmente garantito, di proprietà sul veicolo», specialmente quando ne sia titolare «un soggetto diverso dal trasgressore», tende a riproporre la censura dell’art. 213, comma 2-sexies formulata per avere tale norma previsto una misura non conforme ai principi di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione;

che, dunque, in entrambi i casi, si profila la necessità di prendere in considerazione tali profili di doglianza unitamente alle censure formulate in riferimento all’art. 3 Cost.;

che, peraltro, nello scrutinare la conformità della norma censurata a detto parametro, appare necessario muovere dalla constatazione preliminare – oltre che della natura di inconveniente di mero fatto della disparità di trattamento, cui la disposizione in contestazione darebbe luogo, «fra proprietari di ciclomotori o motocicli di bassissimo o inesistente valore economico e proprietari di ciclomotori o motocicli di valore» – circa l’ampio margine di discrezionalità che contraddistingue ogni scelta sanzionatoria compiuta dal legislatore;

che, ancora di recente, questa Corte – proprio con riferimento alla materia della circolazione stradale, anzi addirittura con specifico riguardo all’altra scelta compiuta dal testo originario del comma 2-sexies dell’art. 213 del codice della strada (ovvero quella di assoggettare alla sanzione della confisca ciclomotori e motoveicoli adoperati per commettere un reato) – ha inteso ribadire che «la valutazione della congruità della sanzione appartiene alla discrezionalità del legislatore, con il solo limite della manifesta irragionevolezza» (così, testualmente, la sentenza n. 345 del 2007);

che, pertanto, tale discrezionalità può essere oggetto di censura, in sede di scrutinio di costituzionalità, soltanto nei casi di «uso distorto o arbitrario, così da confliggere in modo manifesto con il canone della ragionevolezza» (così, da ultimo, ordinanza n. 169 del 2006; nello stesso senso – tra le più recenti, e sempre con riferimento a previsioni contenute nel codice della strada – le ordinanze n. 45 del 2006; n. 401 del 2005);

che siffatta evenienza, tuttavia, non ricorrere nel caso di specie, diversamente da quanto ipotizzato dai rimettenti;

che, invero, la scelta del legislatore di reprimere più intensamente, mediante l’irrogazione anche della sanzione accessoria della confisca del mezzo, oltre che di quella pecuniaria, in primo luogo, l’infrazione consistente nell’inosservanza dell’obbligo di indossare il casco protettivo (posta in essere dal conducente di un veicolo a due ruote o da eventuali passeggeri trasportati a bordo dello stesso), nonché, in secondo luogo, altre infrazioni che condividono, con la prima, la medesima funzione di prevenire i rischi specifici derivanti da quegli incidenti nei quali risultino coinvolti veicoli a due ruote, appare sorretta, per vero, da una adeguata ragione giustificativa;

che questa Corte, già chiamata in passato a decidere – proprio in relazione alla sua ipotizzata «manifesta irragionevolezza» – del più «severo regime sanzionatorio previsto» per l’inosservanza dell’obbligo di indossare il casco protettivo, «rispetto al regime relativo ad altre infrazioni del codice della strada», ha escluso la fondatezza di tale questione (sentenza n. 180 del 1994);

che, difatti, si è ritenuto di identificare la ratio legis della più accentuata risposta punitiva, prevista per l’infrazione de qua, nella necessità di prevenire i rischi specifici conseguenti alla utilizzazione dei veicoli a due ruote, rilevando che le «misure dirette ad attenuare le conseguenze che possano derivare dai traumi prodotti da incidenti, nei quali siano coinvolti motoveicoli», risultano «dettate da esigenze tali da non far reputare irragionevolmente limitatrici della “estrinsecazione della personalità”» il più severo trattamento sanzionatorio previsto per tale infrazione, rispetto ad altre pure contemplate dal codice della strada;

che tali rilievi possono essere estesi anche al caso in esame e, dunque, da un lato, applicati alle altre infrazioni stradali (artt. 169 e 170 del codice della strada) che – al pari di quella consistente nel mancato uso del casco protettivo (art. 171) – condividono la stessa finalità di «attenuare le conseguenze che possano derivare dai traumi prodotti da incidenti, nei quali siano coinvolti motoveicoli», nonché, dall’altro, ritenuti idonei a giustificare quell’intensificazione della risposta repressiva realizzata attraverso la previsione della sanzione accessoria della confisca;

che, risultando la norma in contestazione sorretta da un’adeguata ragione giustificativa, debbono superarsi anche i dubbi avanzati con riferimento alle ipotizzate disparità di trattamento tra le infrazioni suddette ed altre aventi anch’esse la finalità di tutelare l’incolumità individuale;

che questa Corte, sul punto, non può che ribadire quanto affermato nella già ricordata sentenza n. 345 del 2007, ovvero che «ogni iniziativa volta a superare questo trattamento differenziato non potrebbe che spettare al legislatore», essendo «principio ormai consolidato nella giurisprudenza costituzionale» quello secondo cui «rimodellare il sistema della confisca, stabilendo alcuni canoni essenziali al fine di evitare che l’applicazione giudiziale della sanzione amministrativa produca disparità di trattamento» costituisce un intervento «riservato alla discrezionalità legislativa»;

che, del pari, non fondata è la censura, sempre in riferimento all’art. 3 Cost. basata sul rilievo che la norma contestata, irragionevolmente, farebbe gravare la sanzione della confisca anche sul proprietario del mezzo che non sia il responsabile dell’infrazione stradale;

che questa Corte ha più volte sottolineato che «la responsabilità del proprietario di un veicolo per le violazioni commesse da chi si trovi alla guida costituisce, nel sistema delle sanzioni amministrative previste per le violazioni delle norme relative alla circolazione stradale, un principio di ordine generale» (si vedano, da ultimo, le ordinanze nn. 323 e 319 del 2002 e l’ordinanza n. 33 del 2001), principio destinato ad operare in riferimento tanto alla sanzione pecuniaria principale quanto a quelle accessorie, salvo che queste ultime non presentino contenuto «afflittivo personale» (sentenza n. 27 del 2005);

che quello da ultimo descritto non è, però, il caso della sanzione accessoria della confisca prevista dal censurato art. 213, comma 2-sexies, giacché essa mantiene i suoi effetti in un ambito puramente “patrimoniale”, non incidendo – diversamente da quella della decurtazione dei punti della patente di guida (in relazione alla quale è intervenuta la citata sentenza n. 27 del 2005) – sulla «legittimazione soggettiva alla conduzione di ogni veicolo», bensì unicamente sulla proprietà di un bene;

che è, quindi, proprio in virtù di siffatta circostanza che deve escludersi la paventata illegittimità costituzionale della norma censurata, nei termini in cui la stessa è stata prospettata dai giudici rimettenti.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo originario risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevate – in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 27 e 42 della Costituzione – dai Giudici di pace di Vicenza, Francavilla al Mare e Chioggia, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 aprile 2008.