Sentenza n. 64 del 2008

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SENTENZA N. 64

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Franco BILE  Presidente

-  Giovanni Maria FLICK   Giudice

-  Francesco AMIRANTE "

-  Ugo DE SIERVO  "

-  Paolo MADDALENA    "

-  Alfio FINOCCHIARO   "

-  Alfonso QUARANTA "

-  Franco GALLO  "

-  Luigi MAZZELLA "

-  Gaetano SILVESTRI "

-  Sabino CASSESE  "

-  Maria Rita SAULLE  "

-  Giuseppe TESAURO  "

-  Paolo Maria NAPOLITANO "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, promosso con ordinanza depositata il 2 novembre 2006 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra il Condominio di Viale Mazzini n. 119, il Comune di Roma ed altra parte, iscritta al n. 459 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2007.

            Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

            udito nella camera di consiglio del 13 febbraio 2008 il Giudice relatore Franco Gallo.

Ritenuto in fatto

1. – Nel corso di un giudizio, nel quale un contribuente aveva proposto opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 del codice di procedura civile nei confronti del Comune di Roma, il Tribunale ordinario di Roma, con ordinanza depositata il 2 novembre 2006, ha sollevato, in riferimento agli artt. 102, secondo comma, e 25, primo comma, della Costituzione, questioni di legittimità dell’art. 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) – come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 –, nella parte in cui stabilisce, nel secondo periodo del comma 2, che appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del suddetto canone.

2. – Il Tribunale rimettente premette, in punto di fatto, che: a) la controversia riguarda la contestazione, da parte del contribuente, del diritto del Comune di Roma a procedere alla riscossione coattiva, mediante cartella di pagamento, del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubblici (COSAP) relativo all’anno 2000; b) il Comune ha preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione del giudice adíto, essendo la controversia devoluta alla giurisdizione delle commissioni tributarie in forza del novellato art. 2 del decreto legislativo n. 546 del 1992.

3. – Il giudice a quo premette altresí, in punto di diritto, che: a) le commissioni tributarie sono organi giurisdizionali «pienamente compatibili» con il dettato costituzionale, essendo preesistenti all’entrata in vigore della Costituzione (Corte costituzionale, sentenze n. 196 del 1982; n. 215 del 1976; ordinanze n. 144 del 1998; n. 351 del 1995); b) la loro giurisdizione deve ritenersi limitata alle controversie attinenti alla «materia tributaria» e ciò «costituisce garanzia di compatibilità con il divieto di istituzione di nuovi giudici speciali» (ordinanza n. 144 del 1998).

4. – Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il rimettente afferma, sulla base delle indicate premesse, che la disposizione censurata – nello stabilire che «appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall’art. 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni» – attribuisce alla cognizione delle commissioni tributarie prestazioni che, secondo la giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione, non hanno natura tributaria (sentenze n. 14864 del 2006; n. 1239 del 2005; n. 12167 del 2003) ed ineriscono a diritti soggettivi rientranti nella giurisdizione del giudice ordinario. La norma denunciata comporterebbe, pertanto, lo “snaturamento” della giurisdizione tributaria e, quindi, la violazione sia del divieto di costituzione di nuovi giudici speciali (art. 102, secondo comma, Cost.), sia del principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25, primo comma, Cost.).

Né, per il giudice a quo, tali dubbi di costituzionalità sono superati dalla giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione (sent. n. 4895 del 2006), la quale, in forza dell’argomento secondo cui «i “canoni” indicati nella disposizione [...] attengono tutti ad entrate che in precedenza rivestivano indiscussa natura tributaria», ha ritenuto manifestamente infondata un’analoga questione di legittimità costituzionale in tema di giurisdizione tributaria sulla tariffa di igiene ambientale (TIA). Ad avviso del rimettente, infatti, detta giurisprudenza non solo si pone «in netto contrasto [...] con le pronunce specifiche in tema di COSAP innanzi richiamate», ma non tiene neppure conto dell’alternatività – prevista dalla normativa vigente – tra TOSAP e COSAP.

Quanto alla rilevanza, infine, il Tribunale di Roma osserva che «qualunque decisione […] non potrà prescindere dall’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal convenuto», eccezione la cui fondatezza dipende dall’applicabilità, nel giudizio principale, della disposizione censurata.

5. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale ed ha chiesto dichiararsi l’infondatezza delle sollevate questioni.

Nel merito, la difesa erariale afferma che: a) «Un ampliamento della competenza delle Commissioni Tributarie non equivale ad istituzione di un nuovo giudice speciale»; b) «l’intervenuta revisione non vincola il legislatore ordinario a mantenere immutati nell’ordinamento e nel funzionamento le Commissioni Tributarie come già revisionate»; c) «Non può dirsi che la mera attribuzione della competenza a conoscere dei canoni di concessione per l’occupazione dei suoli pubblici snaturi le competenze originarie delle Commissioni: tale competenza si aggiunge a quella relativa alla materia propriamente tributaria, in una logica di sistema che considera la natura pubblicistica dell’entrata la quale, pur non essendo “stricto sensu” tributaria, è certamente “fiscale” ed altrettanto certamente non è “privatistica”, rett[a], come è, da principi e regole non dissimili da quelli che presiedono la “tassa”».

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale ordinario di Roma dubita della legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) – come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 –, nella parte in cui stabilisce, nel secondo periodo del comma 2, che appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubblici (COSAP).

In particolare, il Tribunale afferma che la norma denunciata víola: a) l’art. 102, secondo comma, della Costituzione, perché “snaturerebbe” la giurisdizione di cui sono investite le commissioni tributarie, creando così un “nuovo” giudice speciale vietato dalla Costituzione; b) l’art. 25, primo comma, Cost., perché, attribuendo ai giudici tributari la cognizione delle controversie relative alla debenza del COSAP, distoglierebbe dette controversie – relative a prestazioni che non hanno natura tributaria – dal proprio “giudice naturale”, e cioè da quello civile.

2. – La questione sollevata in riferimento all’art. 102, secondo comma, Cost. è fondata.

Al riguardo, va premesso che, come riconosciuto dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, la giurisdizione tributaria deve essere considerata un organo speciale di giurisdizione preesistente alla Costituzione (ex plurimis: sentenza n. 50 del 1989; ordinanze n. 144 del 1998, n. 152 del 1997, n. 351 del 1995). Ciò posto, si perviene alla conclusione della fondatezza della questione attraverso i seguenti due passaggi argomentativi: 1) la modificazione dell’oggetto della giurisdizione degli organi speciali di giurisdizione preesistenti alla Costituzione è consentita solo se non “snaturi” la materia originariamente attribuita alla cognizione del giudice speciale; 2) una volta che, conformemente a quanto asserito dal diritto vivente, sia esclusa la natura tributaria del COSAP, l’attribuzione alla giurisdizione tributaria – ad opera della norma censurata – delle controversie relative a tale canone “snatura” la materia originariamente attribuita alla cognizione del giudice tributario e, conseguentemente, víola l’evocato art. 102, secondo comma, Cost.

2.1. – Con riguardo al primo passaggio argomentativo, concernente il limite entro il quale la Costituzione consente al legislatore ordinario di modificare, senza “snaturarlo”, l’oggetto della giurisdizione dei giudici speciali tributari, va ricordato che, come affermato in via generale da questa Corte (sentenze n. 196 del 1982, n. 215 del 1976, n. 41 del 1957; ordinanza n. 144 del 1998): a) l’evocato art. 102, secondo comma, Cost. vieta l’istituzione ex novo di giudici speciali diversi da quelli espressamente nominati in Costituzione; b) la VI disposizione transitoria della Costituzione – ad integrazione della disciplina posta dal citato art. 102 Cost. – impone l’obbligo di effettuare la revisione degli organi speciali di giurisdizione preesistenti alla Costituzione («salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei tribunali militari») entro il termine ordinatorio di cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione medesima. Questa stessa Corte ha poi precisato che, benché l’indicata revisione non crei nell’ordinamento «una sorta di immodificabilità nella configurazione e nel funzionamento» delle giurisdizioni revisionate, tuttavia il legislatore ordinario – nel modificare la disciplina di tali organi giurisdizionali – incontra il duplice limite costituzionale «di non snaturare (come elemento essenziale e caratterizzante la giurisprudenza speciale) le materie attribuite» a dette giurisdizioni speciali «e di assicurare la conformità a Costituzione» delle medesime giurisdizioni (ordinanza n. 144 del 1998). Da tale giurisprudenza si desume che il menzionato duplice limite opera con riferimento ad ogni modificazione legislativa riguardante l’oggetto delle giurisdizioni speciali preesistenti alla Costituzione (sia in sede di prima revisione, che successivamente) e, altresí, che il mancato rispetto del limite di «non snaturare» le materie originariamente attribuite alle indicate giurisdizioni si traduce nell’istituzione di un “nuovo” giudice speciale, espressamente vietata dall’art. 102 Cost. L’identità della “natura” delle materie oggetto delle suddette giurisdizioni costituisce, cioè, una condizione essenziale perché le modifiche legislative di tale oggetto possano qualificarsi come una consentita «revisione» dei giudici speciali e non come una vietata introduzione di un “nuovo” giudice speciale.

2.1.1. – In coerenza con i sopra evidenziati princípi e con specifico riferimento alla materia devoluta alla cognizione dei giudici tributari, questa Corte ha rilevato, in numerose pronunce, che la giurisdizione del giudice tributario «deve ritenersi imprescindibilmente collegata» alla «natura tributaria del rapporto» (ordinanze n. 395 del 2007; n. 427, n. 94, n. 35 e n. 34 del 2006). In particolare, con dette pronunce, la Corte – in riferimento a questioni di costituzionalità di disposizioni che, secondo i rimettenti, avrebbero attribuito alla cognizione dei giudici tributari controversie non aventi natura tributaria e, pertanto, avrebbero violato l’art. 102, secondo comma, Cost. – ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle sollevate questioni, perché i giudici a quibus non avevano neppure tentato di fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata delle denunciate disposizioni. Essi, infatti, non avevano esplorato la possibilità di interpretare tali disposizioni nel senso che esse mantenevano ferma la competenza del giudice ordinario in materie non tributarie e, pertanto, non avevano spezzato il nesso di inscindibilità tra giurisdizione tributaria e materia tributaria richiesto dall’evocato parametro costituzionale.

2.1.2. – Da quanto precede deriva che l’attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi natura tributaria comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali. Tale illegittima attribuzione può derivare, direttamente, da una espressa disposizione legislativa che ampli la giurisdizione tributaria a materie non tributarie ovvero, indirettamente, dall’erronea qualificazione di “tributaria” data dal legislatore (o dall’interprete) ad una particolare materia (come avviene, ad esempio, allorché si riconducano indebitamente alla materia tributaria prestazioni patrimoniali imposte di natura non tributaria). Per valutare la sussistenza della denunciata violazione dell’art. 102, secondo comma, Cost., occorre accertare, perciò, se la controversia devoluta ai giudici tributari abbia o no effettiva natura tributaria. E, a tal fine, non si può prescindere dai criteri elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte per qualificare come tributarie le entrate erariali; criteri che, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che disciplina tali entrate, consistono nella doverosità della prestazione e nel collegamento di questa alla pubblica spesa, con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante (ex multis: sentenze n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005).

Al riguardo, va sottolineato che, ove sia stata accertata la natura non tributaria della materia attribuita alla cognizione dei giudici tributari, si deve affermare l’illegittimità costituzionale di detta attribuzione, né possono addursi in contrario argomenti che non trovano fondamento nell’art. 102, secondo comma, Cost. e nella VI disposizione transitoria della Costituzione. Ad esempio, non sarebbe sufficiente, al fine di negare lo “snaturamento” della materia attribuita alla giurisdizione tributaria, affermare che le controversie relative ad alcuni particolari canoni, pur non avendo natura tributaria, sono legittimamente attribuite alla cognizione delle commissioni tributarie per la sola ragione che il fatto generatore delle suddette prestazioni patrimoniali è simile al presupposto che, in passato, avevano avuto alcuni tributi. Neppure sarebbe sufficiente addurre mere ragioni di opportunità per giustificare, sul piano costituzionale, la cognizione, da parte dei giudici tributari, di controversie non tributarie riguardanti fattispecie in qualche misura simili a quelle propriamente tributarie. Al contrario, come già rilevato, il difetto della natura tributaria della controversia fa necessariamente venir meno il fondamento costituzionale della giurisdizione del giudice tributario, con la conseguenza che l’attribuzione a tale giudice della cognizione della suddetta controversia si risolve inevitabilmente nella creazione, costituzionalmente vietata, di un “nuovo” giudice speciale.

2.2. – Con riguardo al sopra menzionato secondo passaggio argomentativo, concernente la natura non tributaria del COSAP, questa Corte deve preliminarmente prendere atto che la disposizione censurata è stata oggetto di numerose pronunce della Corte di cassazione. Tale giurisprudenza, dopo aver inserito il denunciato art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge n. 203 del 2005 nell’àmbito di una tendenza del legislatore ad ampliare progressivamente l’oggetto della giurisdizione tributaria mediante successive modificazioni dell’art. 2 del decreto legislativo n. 546 del 1992, ha costantemente dichiarato che le controversie attinenti al COSAP non hanno natura tributaria (ex multis, Cassazione, sezioni unite civili, nn. 25551, 13902, 1611 del 2007; n. 14864 del 2006; n. 1239 del 2005; n. 5462 del 2004; n. 12167 del 2003). In particolare, la Cassazione, dopo aver rilevato che il COSAP si applica in via alternativa al tributo denominato «tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche» (TOSAP), ha precisato che detto canone, da un lato, «è stato concepito dal legislatore come un quid ontologicamente diverso, sotto il profilo strettamente giuridico, dal tributo (Tosap) in luogo del quale può essere applicato» e, dall’altro, «risulta disegnato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici».

Tali decisioni circa la natura non tributaria del COSAP, che – per il numero elevato, la sostanziale identità di contenuto e la funzione nomofilattica dell’organo decidente – costituiscono diritto vivente, prospettano una ricostruzione plausibile dell’istituto, non in contrasto con i sopra ricordati criteri elaborati dalla giurisprudenza costituzionale per individuare le entrate tributarie. Non sussistono ragioni, pertanto, perché questa Corte proceda ad una autonoma valutazione circa la natura del COSAP.

3. – Dalla evidenziata esclusione della natura tributaria del COSAP discende, dunque, l’illegittimità costituzionale della norma denunciata, perché questa attribuisce alla giurisdizione tributaria la cognizione di controversie relative a prestazioni patrimoniali non tributarie e, pertanto, si risolve nella creazione di un giudice speciale vietato dal secondo comma dell’art. 102 Cost.

4. – Resta assorbita la questione sollevata dal giudice rimettente con riferimento all’art. 25, primo comma, Cost.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) – come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 –, nella parte in cui stabilisce che «Appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall’articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2008.