Sentenza n. 63 del 2008

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SENTENZA N. 63

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                    BILE                                   Presidente

-    Giovanni Maria         FLICK                                 Giudice

-    Francesco                AMIRANTE                             "

-    Ugo                        DE SIERVO                             "

-    Alfio                       FINOCCHIARO                       "

-    Alfonso                   QUARANTA                            "

-    Luigi                       MAZZELLA                             "

-    Gaetano                   SILVESTRI                              "

-    Sabino                     CASSESE                                  "

-    Maria Rita               SAULLE                                  "

-    Giuseppe                 TESAURO                                "

-    Paolo Maria             NAPOLITANO                         "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 853, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), promossi con ricorsi delle Regioni Veneto e Lombardia, notificati il 23 e il 26 febbraio 2007, depositati in cancelleria il 1° e il 7 marzo 2007 ed iscritti ai nn. 10 e 14 del registro ricorsi 2007.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 12 febbraio 2008 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro;

uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Andrea Manzi per la Regione Veneto, Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Lombardia e l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – La Regione Veneto, con ricorso notificato il 23 febbraio 2007, depositato in cancelleria il successivo 1° marzo (r.r. n. 10 del 2007), ha promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), fra le quali anche quella concernente l’art. 1, comma 853, in riferimento agli artt. 3, 117 e 118 della Costituzione nonché al principio della leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120, secondo comma, della Costituzione e 11 della legge costituzionale  18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).

In particolare, la ricorrente sostiene che la citata norma, nella parte in cui prevede che gli interventi del «Fondo per il finanziamento degli interventi consentiti dagli Orientamenti UE sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà» sono disposti sulla base di criteri e modalità fissati dal CIPE, con propria delibera, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, e che per la loro attuazione il Ministro dello sviluppo economico può avvalersi di Sviluppo Italia S.p.a.: lederebbe la competenza regionale residuale in materia di «impresa»; non potrebbe, comunque, trovare idoneo fondamento nel principio di sussidiarietà, non essendo individuata dalla medesima disposizione alcuna esigenza di esercizio unitario della competenza e, in ogni caso, non essendo la disciplina in essa contenuta idonea e proporzionata al perseguimento del fine che lo Stato abbia eventualmente inteso perseguire (di soddisfacimento della predetta esigenza unitaria).

La ricorrente ritiene, altresì, che, ove, in subordine, si riconosca la sussistenza della necessità di una disciplina accentrata nel settore e si ritenga quella posta dal comma 583 idonea e proporzionata a soddisfare tale necessità, sarebbe, comunque, violato il principio di leale collaborazione, poiché la Regione è stata totalmente pretermessa dalla programmazione, dalla gestione e dall’attuazione delle misure ricollegabili al Fondo.

2. – Anche la Regione Lombardia, con ricorso notificato il 26 febbraio 2007, depositato in cancelleria il successivo 7 marzo (r.r. n. 14 del 2007), ha promosso questioni di legittimità costituzionale, fra l’altro, dell’art. 1, comma 853, della legge n. 296 del 2006, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché ai principi di leale collaborazione (art. 120 Cost.), buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.) e ragionevolezza (art. 3 Cost.).

La ricorrente deduce: che la norma censurata, disciplinando finanziamenti statali vincolati nella destinazione e diretti a sostenere attività di competenza regionale, determinerebbe una illegittima violazione della medesima competenza regionale, essendo detti finanziamenti privi di dimensione macroeconomica e quindi non riconducibili alla competenza statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza; che, ove anche si ritenesse che trovino spazio àmbiti di competenza statale legati alla tutela della concorrenza o si considerasse operante la cosiddetta «sussidiarietà ascendente», sarebbe comunque violato il principio costituzionale di leale collaborazione, in ragione del mancato coinvolgimento delle Regioni.

3. – In entrambi i giudizi si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto dei ricorsi.

Secondo la difesa erariale gli aiuti alle imprese sarebbero riconducibili alla competenza esclusiva statale, riguardando, per un verso, gli obblighi internazionali dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera a), della Costituzione e, per altro verso, la materia «tutela della concorrenza» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, afferendo «a problematiche di economia nazionale generale».

4. – All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate nelle difese scritte.

Considerato in diritto

1. – La Regione Veneto e la Regione Lombardia, con due distinti ricorsi, hanno promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose norme della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007).

1.1. – Le impugnazioni aventi ad oggetto l’art. 1, comma 853, della legge n. 296 del 2006, sono qui trattate separatamente rispetto alle altre questioni promosse nei suddetti ricorsi e, in quanto aventi ad oggetto la stessa norma e formulate in riferimento a profili e con argomenti in parte coincidenti, vanno riunite per essere decise con la medesima sentenza.

2. – La predetta norma è censurata in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché al principio della leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120, secondo comma, della Costituzione e 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, ed ai principi di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.) e di ragionevolezza (art. 3 Cost.).

La Regione Veneto sostiene che la disposizione, stabilendo che gli interventi del «Fondo per il finanziamento degli interventi consentiti dagli Orientamenti UE sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà» sono disposti sulla base di criteri e modalità fissati dal CIPE, con propria delibera, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, e che per la loro attuazione il Ministro dello sviluppo economico può avvalersi di Sviluppo Italia S.p.a., invaderebbe la competenza regionale residuale in materia di «impresa», in violazione dell’art. 117 della Costituzione. Secondo la ricorrente, un simile intervento del legislatore statale non potrebbe ritenersi fondato neppure sull’attrazione in sussidiarietà allo Stato della competenza di cui all’art. 118 della Costituzione, non essendo ravvisabile alcuna esigenza di esercizio unitario della competenza stessa e, in ogni caso, non essendo la disciplina in esso contenuta idonea e proporzionata al soddisfacimento della predetta esigenza unitaria.

Entrambe le Regioni ricorrenti sostengono inoltre che, anche ove si volesse ritenere che sussista la necessità di una disciplina accentrata nel settore e che quella posta dal comma 853 sia idonea e proporzionata a soddisfarla, sarebbe, comunque, violato il principio di leale collaborazione, stabilito dagli artt. 5 e 120 della Costituzione, non essendo prevista alcuna forma di coinvolgimento delle Regioni nella programmazione, gestione e attuazione delle misure ricollegabili al Fondo.

3. – Le questioni prospettate della Regione Lombardia in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione sono inammissibili.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, le Regioni possono far valere il contrasto con norme costituzionali diverse da quelle attributive di competenza solo ove esso si risolva in una lesione di sfere di competenza regionali (così, fra le tante, sentenze n. 401 del 2007, n. 116 del 2006, n. 383 del 2005). Nel caso di specie, le censure dedotte, oltre ad essere generiche, non sono prospettate in maniera da far derivare dalla pretesa violazione dei richiamati parametri costituzionali una compressione dei poteri delle Regioni, con conseguente inammissibilità delle stesse.

4. – Le ulteriori questioni sollevate nei confronti dell’art. 1, comma 853, della legge n. 296 del 2006 sono fondate nei termini di seguito precisati.

4.1. – In linea preliminare, occorre procedere ad individuare la materia sulla quale detta norma va ad incidere.

La norma stabilisce la disciplina delle modalità di erogazione e gestione del «Fondo per il finanziamento degli interventi consentiti dagli Orientamenti UE sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà», riconducibile alla categoria dei fondi statali a destinazione vincolata. In relazione a tali fondi, questa Corte ha costantemente affermato che la legge statale, nelle materie di competenza regionale residuale o concorrente, non può prevedere nuovi finanziamenti a destinazione vincolata, «che possono divenire strumenti indiretti, ma pervasivi, di ingerenza dello Stato nell’esercizio delle funzioni delle Regioni e degli enti locali, nonché di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza» (per tutte sentenza n. 77 del 2005

). Alla luce di siffatto principio, occorre, pertanto, preliminarmente valutare se il Fondo in esame incida o meno in una materia di competenza regionale residuale o concorrente.

4.2. – Il «Fondo per il finanziamento degli interventi consentiti dagli Orientamenti UE sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà» è stato istituito dall’art. 11, comma 3, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (recante «Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale»), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 maggio 2005, n. 80. Tale norma si è tuttavia limitata ad istituire il predetto Fondo ed a stabilirne la dotazione finanziaria per l’anno 2005, identificandone genericamente le finalità negli aiuti per la ristrutturazione ed il salvataggio delle imprese in difficoltà, in linea con le indicazioni comunitarie.

Il citato art. 1, comma 853, ha quindi attribuito al CIPE il compito di definire, con propria delibera, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, le tipologie di aiuto concedibile, le priorità di natura produttiva nonché i requisiti economici e finanziari delle imprese da ammettere ai benefici e per l’eventuale coordinamento delle altre amministrazioni interessate, «in conformità agli orientamenti comunitari in materia», sicché è appunto questa disposizione, e la disciplina con la stessa stabilita, che è suscettibile di determinare la lesione denunciata con i ricorsi in esame.

La norma impugnata non identifica i settori nei quali operano le imprese in difficoltà che, eventualmente, sono beneficiarie di detti aiuti. Gli Orientamenti comunitari ai quali la medesima norma rinvia (Comunicazione della Commissione 2004/C244/02, adottata il 7 luglio 2004) prevedono che i finanziamenti in questione riguardino «tutti i settori di attività, esclusi i settori del carbone e dell’acciaio, ma compresa la pesca e l’acquacoltura» e, nel rispetto delle relative disposizioni specifiche, l’agricoltura; contengono anche «norme specifiche per le piccole e medie imprese e per il settore agricolo».

Pertanto, risulta chiaro che la disposizione in esame disciplina finanziamenti riferibili ad una pluralità di materie, in relazione ai molteplici settori nei quali le imprese in difficoltà, cui detti finanziamenti sono destinati, si trovino ad operare.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione Veneto, non è, infatti, configurabile una materia «impresa», disgiunta dai settori (riconducibili, tra l’altro, esemplificativamente, all’agricoltura, al commercio, al turismo, all’industria) nei quali le imprese operano, non espressamente richiamata negli elenchi dell’art. 117 della Costituzione e che, per ciò solo, possa ritenersi attribuita alla competenza residuale delle Regioni.

Inoltre, la disciplina dei finanziamenti in esame neppure può essere ricondotta allo «sviluppo economico e produttivo», dato che, come questa Corte ha affermato, lo «sviluppo economico» non è configurabile quale materia spettante alla competenza legislativa regionale di tipo residuale, ma è piuttosto «una espressione di sintesi, meramente descrittiva, che comprende e rinvia ad una pluralità di materie» attribuite sia alla competenza statale che a quella regionale (sentenze n. 430 del 2007 e n. 165 del 2007).

Nella specie, i settori nei quali operano le imprese in difficoltà, in favore delle quali possono essere erogati i finanziamenti – come risulta dai citati Orientamenti comunitari – sono i più vari (agricoltura, commercio, industria, pesca, turismo etc.) e ad essi corrispondono altrettante materie, tutte essenzialmente di competenza regionale.

4.3. – Il riferimento alla «tutela della concorrenza» quale materia di competenza statale esclusiva, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa erariale, non può giustificare l’intervento del legislatore statale in relazione ad aiuti di Stato, i quali, quando consentiti, lo sono normalmente in deroga alla tutela della concorrenza.

Questa Corte ha affermato che la predetta materia comprende «le misure legislative di tutela in senso proprio, che hanno ad oggetto gli atti ed i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati e ne disciplinano le modalità di controllo, eventualmente anche di sanzione» e quelle «di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese, in generale i vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche» (sentenza n. 430 del 2007). Dunque, detta materia non può essere estesa fino a ricomprendere «quelle misure statali che non intendono incidere sull’assetto concorrenziale dei mercati o che addirittura lo riducono o lo eliminano» (sentenza n. 430 del 2007) o che, lungi dal costituire uno strumento indispensabile per tutelare e promuovere la concorrenza, contrastano con i principi comunitari e contraddicono apertamente il fine (la tutela della concorrenza), che pur affermano di voler perseguire (sentenza n. 1 del 2008).

Inoltre, neppure può ritenersi – come dedotto dal resistente – che la norma impugnata costituisca adempimento di un obbligo comunitario di esclusiva competenza statale. Infatti, tale norma si limita a disciplinare le modalità di gestione del Fondo, già istituito in attuazione degli orientamenti comunitari sugli aiuti alle imprese in difficoltà (contenuti nella richiamata comunicazione della Commissione UE) dall’art. 11, comma 3, del d.l. n. 35 del 2005, e non ha attinenza con la disciplina dei rapporti dello Stato con l’Unione europea, evocata dalla lettera a) del secondo comma dell’art. 117 della Costituzione.

Peraltro, tale competenza esclusiva dello Stato nella materia suddetta deve essere intesa tenendo conto che il medesimo art. 117 della Costituzione non solo attribuisce alla competenza regionale concorrente la «materia» dei rapporti delle Regioni con l’Unione europea (comma terzo), ma riconosce alle Regioni il potere di dare attuazione alla normativa comunitaria nelle materie di loro spettanza (comma quinto); quindi, l’intervento del solo legislatore statale per l’adempimento di un obbligo comunitario si giustifica solo nel caso in cui esso incida su materie di competenza statale esclusiva (sentenza n. 116 del 2006).

Nella specie non si configurano, pertanto, materie di competenza statale esclusiva sulle quali la norma impugnata incide, in quanto quelle interessate dai finanziamenti in esame corrispondono ai molteplici settori (ad esempio, il commercio, l’agricoltura, il turismo, l’industria) nei quali operano le imprese in difficoltà che siano beneficiarie dei medesimi, riconducibili a materie di competenza regionale.

4.4. – Occorre poi considerare che la norma impugnata, disciplinando le modalità di gestione ed erogazione del Fondo per il finanziamento degli interventi consentiti dagli Orientamenti UE sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà, è strumentale rispetto al conseguimento di obiettivi che sono quelli delineati dalla stessa Comunicazione della Commissione UE. Siffatti obiettivi corrispondono a «ragioni di politica sociale o regionale» connesse ai «positivi effetti economici dell’attività delle piccole e medie imprese», o anche, in via eccezionale, alla opportunità di «conservare una struttura di mercato concorrenziale nel caso in cui la scomparsa di imprese possa determinare una situazione di monopolio o di oligopolio ristretto».

Pertanto, il Fondo in esame risulta diretto a perseguire finalità di politica economica – costituite dal sostegno alle imprese in difficoltà, la cui scomparsa dal mercato potrebbe danneggiare il sistema economico produttivo nazionale – che, almeno in parte, sfuggono alla sola dimensione regionale (l’intervento tramite Sviluppo Italia s.p.a. prefigurato dalla norma impugnata non esclude quello analogo delle Regioni, in linea con quanto già avvenuto, come dimostrato dalla legislazione regionale di settore: così ad es. l’art. 10 della legge della Regione Calabria 8 luglio 2002, n. 24; l’art. 8 della legge della Regione Emilia-Romagna 28 dicembre 1999 n. 39); e che sono, perciò, tali da giustificare la deroga al normale riparto di competenze fra lo Stato e le Regioni e la conseguente «attrazione in sussidiarietà» allo Stato della relativa disciplina, in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (sentenza n. 242 del 2005).

Tuttavia, «l’attrazione in sussidiarietà» allo Stato di funzioni spettanti alle Regioni, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, comporta la necessità che lo Stato coinvolga le Regioni stesse «poiché l’esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione ammistrativa, anche quella legislativa, può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovvero sia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà» (sentenza n.303 del 2003).

Nel caso in esame, la norma impugnata, in violazione di detti parametri, attribuisce invece al CIPE il potere di stabilire, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, criteri e modalità di realizzazione degli interventi del Fondo, determinando le tipologie di aiuto concedibile, le priorità di natura produttiva, i requisiti economici e finanziari delle imprese da ammettere ai benefici, nonché i criteri dell’eventuale coordinamento con le altre amministrazioni interessate, senza prevedere un coinvolgimento delle Regioni idoneo ad equilibrare le esigenze di leale collaborazione con quelle di esercizio unitario delle funzioni attratte in sussidiarietà al livello statale.

Pertanto, va dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma, nella parte in cui non stabilisce che i poteri del CIPE di determinazione dei criteri e delle modalità di attuazione degli interventi di cui al Fondo per il finanziamento degli interventi consentiti dagli Orientamenti UE sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà siano esercitati d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle restanti questioni di legittimità costituzionale sollevate con i ricorsi indicati in epigrafe;

riuniti i giudizi,

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 853, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), nella parte in cui non prevede che i poteri del CIPE di determinazione dei criteri e delle modalità di attuazione degli interventi di cui al Fondo per il finanziamento degli interventi consentiti dagli Orientamenti UE sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà siano esercitati d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 853, della legge n. 296 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 3 e 97, della Costituzione, dalla Regione Lombardia, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giuseppe TESAURO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2008.