Ordinanza n. 435 del 2007

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ORDINANZA N. 435

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                                       Presidente

- Giovanni Maria         FLICK                                     Giudice

- Francesco                 AMIRANTE                                 "

- Ugo                          DE SIERVO                                 "

- Paolo                        MADDALENA                             "

- Alfio                        FINOCCHIARO                           "

- Alfonso                    QUARANTA                                "

- Franco                      GALLO                                        "

- Luigi                        MAZZELLA                                 "

- Gaetano                    SILVESTRI                                  "

- Sabino                      CASSESE                                     "

- Maria Rita                SAULLE                                      "

- Giuseppe                  TESAURO                                    "

- Paolo Maria              NAPOLITANO                              "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006 n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), e degli artt. 1 e 10 della stessa legge, promossi, nell’ambito di diversi procedimenti penali, con ordinanze del 20 marzo e del 6 aprile 2006 dalla Corte d’appello di Torino, del 30 marzo 2006 dalla Corte di assise d’appello di Caltanissetta, del 7 aprile 2006 dalla Corte d’appello di Torino, del 28 aprile 2006 dalla Corte d’appello di Palermo, del 21 marzo 2006 dalla Corte di assise d’appello di Roma, del 6 giugno 2006 dalla Corte d’appello di Palermo, del 4 aprile e del 3 maggio 2006 dalla Corte d’appello di Brescia, del 10 maggio dalla Corte d’appello di Torino, del 13 aprile e del 7 giugno 2006 dalla Corte d’appello di Brescia, del 3 maggio 2006 dalla Corte d’appello di Palermo, del 25 maggio e del 1° giugno 2006 dalla Corte d’appello di Torino, del 24 maggio 2006 dalla Corte d’appello di Trento, del 19 e del 27 ottobre 2006 dalla Corte d’appello di Palermo, rispettivamente iscritte ai numeri 247, 248, 281, 343, 364, 389, 470, 495, 496, 568 e 672 del registro ordinanze 2006 e ai numeri 15, 21, 75, 76, 121, 385 e 386 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, numeri 34, 36, 39, 40, 41, 45, 46 e 50, prima serie speciale, dell’anno 2006 e numeri 6,7, 8, 10, 12 e 21, prima serie speciale, dell’anno 2007.

         Udito nella camera di consiglio del 21 novembre 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

         Ritenuto che, con numerose ordinanze, le Corti d’appello di Torino (r.o. nn. 248, 343 e 568 del 2006; nn. 75 e 76 del 2007), di Palermo (r.o. nn. 364 e 470 del 2006; nn. 21, 385 e 386 del 2007), di Brescia (r.o. nn. 495, 496, 672 del 2006; n. 15 del 2007), di Trento (r.o. n. 121 del 2007) e la Corte d’assise d’appello di Caltanissetta (r.o. n. 281 del 2006) hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, secondo comma, 97, 111, primo, secondo, sesto e settimo comma, e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui non consente al pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, se non nel caso previsto dall’art. 603, comma 2, cod. proc. pen., quando cioè sopravvengano o si scoprano nuove prove dopo il giudizio di primo grado, e sempre che tali prove risultino decisive;

che la Corte d’appello di Torino (r.o. n. 247 del 2006) e la Corte d’assise d’appello di Roma (r.o. n. 389 del 2006) hanno sollevato identica questione di legittimità costituzionale, sebbene proposta in riferimento soltanto agli artt. 3, 111 e 112 Cost. e in relazione all’art. 1 della citata legge n. 46 del 2006, sostitutivo dell’art. 593 cod. proc. pen.;

che i rimettenti (con la sola eccezione della Corte d’appello di Brescia, r.o. nn. 495, 496 del 2006 e n. 15 del 2007) censurano anche l’art. 10 della medesima legge, recante la relativa disciplina transitoria;

che, sotto il profilo della rilevanza, i rimettenti premettono che in forza dell’art. 10 della legge n. 46 del 2006 − il cui art. 1, sostituendo l’art. 593 cod. proc. pen., ha sottratto al pubblico ministero il potere di appellare le sentenze di proscioglimento − i giudizi dovrebbero essere definiti con ordinanze non impugnabili di inammissibilità;

che tutti i rimettenti dubitano della legittimità costituzionale della disciplina censurata − in riferimento al principio di parità fra le parti (art. 111, secondo comma, Cost.), a quello di ragionevolezza e a quello di eguaglianza (art. 3 Cost.) − avuto riguardo al potere di impugnazione che continua ad essere riconosciuto alla parte civile;

che la Corte d’appello di Torino (r.o. n. 247 del 2006) − che ritiene violati gli artt. 3, 111 e 112 Cost. − nel censurare gli artt. 1 e 10 della legge n. 46 del 2006, evidenzia che il giudizio a quo si è instaurato in esito all’appello proposto dal pubblico ministero avverso una sentenza di assoluzione pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Pinerolo;

che, analogamente, la Corte d’appello di Torino, con due ordinanze identiche (r.o. nn. 75 e 76 del 2007), riferisce che i rispettivi giudizi a quibus traggono origine da appelli del pubblico ministero avverso altrettante sentenze di assoluzione pronunziate dai Giudici dell’udienza preliminare presso i Tribunali di Torino e di Ivrea;

che, in altra ordinanza (r.o. n. 343 del 2006), la medesima autorità rimettente  − a fronte della qualificazione da parte del pubblico ministero della propria impugnazione, avverso l’assoluzione di uno degli imputati pronunciata dal giudice dell’udienza preliminare, come appello incidentale − preliminarmente ritiene di dover qualificare l’atto di impugnazione in questione come appello principale, ritenendolo conseguentemente ammissibile e procedendo alla denunzia di legittimità costituzionale dell’art. 593 cod. proc. pen. nel nuovo testo e dell’art. 10, commi 1, 2 e 3, della citata legge del 2006, per contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost.; in particolare, quanto a questo ultimo parametro, la Corte rimettente adduce anche la violazione del principio della ragionevole durata del processo;

che sempre la Corte d’appello di Torino − con ordinanza di rimessione (r.o. n. 568 del 2006) pronunciata nell’ambito di un giudizio originato dall’impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione emessa all’esito di un giudizio abbreviato dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Torino − propone l’identica questione di costituzionalità;

che, infine, la stessa Corte d’appello di Torino (r.o. n. 248 del 2006), nel sollevare identica questione di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3, 111 e 112 Cost., precisa in fatto che l’imputato è stato assolto a seguito di giudizio abbreviato dal Tribunale di Torino − Sezione Moncalieri, e che avverso tale sentenza ha proposto appello il pubblico ministero;

che, con tre ordinanze identiche (r.o. n. 364 del 2006; nn. 21 e 385 del 2007), la Corte d’appello di Palermo − su appelli proposti dal pubblico ministero avverso sentenze di assoluzione emesse dai Giudici dell’udienza preliminare dei Tribunali di Palermo e di Agrigento − ha censurato l’art. 593 cod. proc. pen. come sostituito, in riferimento, anche, all’art. 111, secondo, sesto e settimo comma, Cost., sotto il profilo sia della lesione del principio di parità delle parti nel processo e della ragionevole durata di esso, sia della irragionevole estensione dell’area del giudizio “di merito” della Corte di cassazione, e all’art. 112 Cost. per violazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale; e ha censurato l’art. 10 della legge n. 46 del 2006, in riferimento anche agli artt. 3 e 97 Cost., poiché l’immediata applicazione, ai procedimenti in corso, della novella processuale in tema di impugnazioni comporterebbe il «collasso dell’intero sistema processuale»;

che, ad avviso della rimettente Corte d’appello di Palermo, sarebbe violato altresì l’art. 111, settimo comma, Cost., in quanto la disciplina transitoria − nel prevedere che l’appello proposto prima dell’entrata in vigore della legge è dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile − viola il principio secondo cui contro le sentenze è sempre ammesso ricorso per cassazione; e ciò in considerazione del rilievo che l’ordinanza in questione, per il «suo contenuto definitorio», ha natura di sentenza;

che altra ordinanza di rimessione della medesima autorità giudiziaria (r.o. n. 386 del 2007), identica alle precedenti, è emessa nell’ambito di un giudizio d’appello conseguente ad un duplice annullamento con rinvio, da parte della Corte di cassazione, di una sentenza di assoluzione emessa dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Palermo del 20 dicembre 2000;

che anche l’ordinanza di rimessione r.o. n. 470 del 2006 della Corte d’appello di Palermo è resa nell’ambito di un giudizio originato dall’impugnazione del pubblico ministero avverso una sentenza di assoluzione del Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Palermo: ed anche in questo caso l’ordinanza censura, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost., l’art. 593 cod. proc. pen., come modificato dall’art. 1 della legge  n. 46 del 2006, nonché l’art. 10 della medesima legge;

che la Corte d’assise d’appello di Roma (r.o. 389 del 2006) − investita dell’appello del pubblico ministero avverso una sentenza di assoluzione di alcuni imputati dal reato di cui all’art. 270 del codice penale, emessa dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Roma − si duole che la normativa censurata (artt. 1 e 10 della legge n. 46 del 2006) violi anche il principio della ragionevole durata del processo;

che la Corte d’appello di Brescia − con quattro ordinanze identiche (r.o. nn. 495, 496, 672 del 2006 e 15 del 2007), tutte emesse nel corso di giudizi di appello, instaurati in esito all’impugnazione del pubblico ministero avverso sentenze di assoluzione pronunciate a seguito di giudizio abbreviato, una delle quali (r.o. 672 del 2006) in sede dibattimentale − impugna l’art. 593 cod. proc. pen., come modificato dalla novella del 2006, anche in relazione all’art. 24 Cost., sotto il profilo della lesione del diritto di difesa garantito da tale norma costituzionale anche alle parti offese, e all’art.112 Cost.;

che la Corte d’appello di Trento (r.o. n. 121 del 2007) solleva l’incidente di costituzionalità dell’art. 593 cod. proc. pen. nel nuovo testo e dell’art. 10 della legge n. 46 del 2006, per violazione del solo parametro di cui all’art. 111, secondo comma, Cost., nell’ambito di un giudizio di appello avverso una sentenza di assoluzione emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del locale Tribunale;

che, infine, la Corte d’assise d’appello di Caltanissetta (r.o. n. 281 del 2006) − delibando un appello proposto dal pubblico ministero avverso una sentenza di assoluzione, emessa all’esito di giudizio abbreviato − ritiene l’art. 593 cod. proc. pen., come modificato dall’art. 1 della legge n. 46 del 2006, e l’art. 10 della medesima legge, in contrasto anche con l’art. 111, primo, sesto e settimo comma, Cost., per violazione del principio della ragionevole durata del processo e del principio «di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali»; con l’art. 25, secondo comma, Cost., sotto il profilo della discriminazione dell’interesse pubblico, «di cui è portatore il pubblico ministero, all’affermazione della legalità violata, rispetto al diritto dell’imputato a far prevalere la presunzione di non colpevolezza»; con l’art. 24 Cost., per l’irragionevole discriminazione del diritto di difesa della persona offesa; nonché con l’art. 112 Cost.

Considerato che, con le ordinanze in epigrafe, i rimettenti dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento) – quest’ultimo direttamente censurato dalla Corte d’appello di Torino (r.o. n. 247 del 2006) e dalla Corte d’assise d’appello di Roma (r.o. n. 389 del 2006) – e dell’art. 10 della medesima legge;

che, stante l’identità delle questioni proposte, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;

che l’art. 593 cod. proc. pen. disciplina al comma 2 l’appello del pubblico ministero e dell’imputato avverso le sentenze dibattimentali di proscioglimento, stabilendo − per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 1 della legge n. 46 del 2006 ed immediatamente applicabili in forza dell’art. 10 della medesima legge − che l’appello è consentito solo nell’ipotesi di cui all’art. 603, comma 2, cod. proc. pen., se la nuova prova è decisiva;

che dalle stesse ordinanze di rimessione risulta che le Corti rimettenti sono in realtà investite degli appelli proposti dal pubblico ministero avverso sentenze pronunciate dal giudice per le indagini preliminari, in funzione di giudice dell’udienza preliminare, o, comunque, rese in dibattimento con il rito abbreviato;

che, dunque, le Corti rimettenti sottopongono a scrutinio di costituzionalità una norma (l’art. 593 cod. proc. pen.) − unitamente alla relativa disciplina transitoria − di cui non devono fare applicazione nei rispettivi giudizi a quibus;

che l’inesatta indicazione della norma oggetto di censura (aberratio ictus) implica, per costante giurisprudenza di questa Corte, la manifesta inammissibilità della questione (ex plurimis, ordinanze n. 384, n. 294, n. 187 e n. 42 del 2007).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), e degli artt. 1 e 10 della medesima legge, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, secondo comma, 97, 111, primo, secondo, sesto e settimo comma, e 112 della Costituzione, dalle Corti d’appello di Torino, di Palermo, di Brescia, di Trento e dalle Corti d’assise d’appello di Roma e di Caltanissetta, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 dicembre 2007.