Ordinanza n. 384 del 2007

 CONSULTA ONLINE 

 

ORDINANZA N. 384

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                                       Presidente

- Giovanni Maria         FLICK                                     Giudice

- Francesco                 AMIRANTE                                 "

- Ugo                          DE SIERVO                                 "

- Paolo                        MADDALENA                             "

- Alfio                        FINOCCHIARO                           "

- Alfonso                    QUARANTA                                "

- Franco                      GALLO                                        "

- Luigi                        MAZZELLA                                 "

- Gaetano                    SILVESTRI                                  "

- Sabino                      CASSESE                                     "

- Maria Rita                SAULLE                                      "

- Giuseppe                  TESAURO                                    "

- Paolo Maria              NAPOLITANO                              "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), e dell’art. 10 della medesima legge, promosso con ordinanza del 10 aprile 2006 dalla Corte d’appello di Lecce nel procedimento penale a carico di C. A. ed altri, iscritta al n. 230 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che la Corte d’appello di Lecce ha sollevato, in riferimento agli artt. 97, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), «nella parte in cui limita l’appello del pubblico ministero alle sole sentenze di condanna e lo consente contro le sentenze di proscioglimento nei soli casi previsti dall’art. 603, comma 2, cod. proc. pen.»; e dell’art. 10 della medesima legge, «che dichiara applicabile la nuova disciplina introdotta ai processi in corso»;

che la Corte d’appello rimettente premette che il procedimento è stato «definito in primo grado con sentenza del g.i.p. del Tribunale di Lecce» e che «avverso la predetta sentenza hanno proposto appello gli imputati in riferimento alle statuizioni di condanna e il pubblico ministero in relazione a quelle di proscioglimento»;

che, rilevato che nelle more del giudizio d’appello è entrata in vigore la legge n. 46 del 2006 – che modifica l’art. 593 cod. proc. pen., prevedendo che l’imputato e il pubblico ministero possano appellare contro le sentenze di proscioglimento solo nell’ipotesi di cui all’art. 603, comma 2, cod. proc. pen., se la prova nuova è decisiva – e che in base alla normativa transitoria di detta legge (e segnatamente dell’art. 10) l’appello del pubblico ministero dovrebbe essere dichiarato inammissibile, la Corte d’appello di Lecce solleva questione di legittimità costituzionale della nuova disciplina in riferimento agli artt. 97, 111 e 112 Cost.;

che, nel merito, la Corte rimettente – premesso che secondo la giurisprudenza costituzionale il principio del «doppio grado di giurisdizione di merito non forma oggetto di garanzia costituzionale» e non può neppure essere «derivato da convenzioni internazionali» e, in particolare, dall’art. 2 del Protocollo addizionale n. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990, n. 98 – ricorda che la Corte costituzionale ha affermato che la previsione di limiti al potere di impugnazione del pubblico ministero, di per sé non contrastante con la Costituzione, può essere censurata per irragionevolezza «se i poteri stessi, nel loro complesso, dovessero risultare inidonei all’assolvimento dei compiti previsti dall’art. 112 Cost.», con il principio cioè dell’obbligatorietà dell’azione penale;

che, secondo il rimettente, la giurisprudenza costituzionale formatasi anteriormente alle modifiche apportate all’art. 111 Cost. dalla legge 23 novembre 1999, n. 2 escluderebbe la possibilità di «negare in linea generale al pubblico ministero» il potere di impugnare le sentenze di proscioglimento: invero, «la condizione di parità delle parti garantita nel processo dal dettato costituzionale [sarebbe] seriamente compromessa dal fatto che all’una – l’imputato – è giustamente garantita la possibilità di un nuovo giudizio di merito nel caso di condanna, mentre, nell’ipotesi speculare di assoluzione dell’imputato, analoga possibilità non è data – e senza un ragionevole motivo – al pubblico ministero»;

che la residua possibilità di impugnazione delle sentenze di proscioglimento nell’ipotesi in cui sopravvengano o si scoprano nuove prove dopo il giudizio di primo grado, sempre che tali prove risultino decisive, non eliminerebbe i dubbi di legittimità costituzionale per il carattere assolutamente marginale di tale ipotesi;

che sarebbe, inoltre, violato l’art. 111, secondo comma, Cost., in riferimento al principio della ragionevole durata del processo, giacché per effetto delle modifiche recate dalla novella del 2006 «in caso di esperimento con esito positivo di ricorso per cassazione da parte del pubblico ministero (sostanzialmente consentito oggi – attraverso l’ampliamento dei casi di ricorso previsto dall’art. 8 della legge in esame – anche per un motivo di merito) il processo torna irragionevolmente al primo grado», con inevitabili conseguenze negative sui tempi processuali;

che, infine, il rimettente denuncia il contrasto dell’art. 10 della legge n. 46 del 2006 con l’art. 97 Cost. («applicabile secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale anche agli organi dell’amministrazione della giustizia»), in quanto tale disposizione transitoria non solo «vanifica, senza un’apparente ragione, il lavoro svolto dal pubblico ministero, costringendolo a rimodulare la sua impugnazione e a trasformarla in ricorso» ma «aggrava di un eccessivo carico di lavoro la Corte di cassazione fino a comprometterne l’efficienza e la funzionalità».

Considerato che la Corte d’appello di Lecce dubita della legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), e dell’art. 10 della medesima legge;

che l’art. 593 cod. proc. pen. censurato disciplina al comma 2 l’appello del pubblico ministero e dell’imputato avverso le sentenze dibattimentali di proscioglimento, stabilendo – per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 1 della legge n. 46 del 2006 ed immediatamente applicabili in forza dell’art. 10 della medesima legge – che l’appello è consentito solo nell’ipotesi di cui all’art. 603, comma 2, cod. proc. pen., se la nuova prova è decisiva;

che dalla stessa ordinanza di rimessione risulta che la Corte rimettente è investita degli appelli proposti dal pubblico ministero e dall’imputato avverso la sentenza pronunciata dal giudice per le indagini preliminari, in funzione di giudice per l’udienza preliminare, del Tribunale di Lecce;

che, dunque, la Corte d’appello sottopone a scrutinio di costituzionalità una norma (l’art. 593 cod. proc. pen.) – unitamente alla relativa disciplina transitoria - di cui non deve fare applicazione nel giudizio a quo;

che l’inesatta indicazione della norma oggetto di censura (aberratio ictus) implica, per costante giurisprudenza di questa Corte, la manifesta inammissibilità della questione (ex plurimis, ordinanze n. 294, n. 187 e n. 42 del 2007).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), e dell’art. 10 della medesima legge, sollevata, in riferimento agli artt. 97, 111 e 112 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Lecce con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2007.