Ordinanza n. 377 del 2007

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ORDINANZA N. 377

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                          BILE                          Presidente

- Francesco                             AMIRANTE                        Giudice

- Ugo                             DE SIERVO                       "

- Paolo                           MADDALENA                   "

- Alfio                            FINOCCHIARO                 "

- Alfonso                        QUARANTA                      "

- Franco                          GALLO                             "

- Luigi                            MAZZELLA                      "

- Sabino                          CASSESE                          "

- Maria Rita                    SAULLE                            "

- Giuseppe                      TESAURO                         "

- Paolo Maria                  NAPOLITANO                  "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, lettera a), della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), promosso con ordinanza dell’11 gennaio 2006 dalla Commissione tributaria regionale del Veneto sul ricorso proposto da Giuseppe Faedo contro il Comune di Chiampo ed altro, iscritta al n. 363 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 ottobre 2007 il Giudice relatore Sabino Cassese.

Ritenuto che la Commissione tributaria regionale di Venezia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, lettera a), della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente) (erroneamente indicata, nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione, con il n. 112), nella parte in cui prevede che gli atti dei concessionari della riscossione «devono tassativamente indicare» – fra l’altro – il responsabile del procedimento, in riferimento agli articoli 3, primo comma, e 97 della Costituzione;

che la questione è insorta nel giudizio d’appello avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di Vicenza, che aveva respinto il ricorso di Giuseppe Faedo avverso la cartella di pagamento (notificata l’8 maggio 2003) relativa all’iscrizione a ruolo dell’Ici dovuta al Comune di Chiampo;

che, ad avviso della Commissione regionale remittente, la questione di costituzionalità è rilevante ai fini del decidere, dal momento che, in caso di dichiarazione di incostituzionalità, essa «dovrebbe accogliere l’appello, con assorbimento di ogni altra censura»;

che, osserva il remittente, l’art. 7 della legge n. 212 del 2000 (come, del resto, l’intero statuto dei diritti del contribuente) si colloca sulla scia della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), e ciò spiega «come mai siano stati obbligati a seguire le regole sul procedimento non solo gli uffici dell’amministrazione finanziaria in senso stretto, ma anche, in un empito garantistico, gli enti preposti alla riscossione»;

che, tuttavia, prosegue il remittente, disposizioni come quella censurata «si attagliano bene all’attività procedimentale che gli uffici della pubblica amministrazione in senso proprio sono tenuti a svolgere al fine di emettere un provvedimento destinato ad incidere nella sfera giuridica del destinatario, mentre, al contrario, l’attività svolta dai concessionari della riscossione al fine di formare la cartella non pare configurabile come un vero e proprio procedimento (tali attività, invero, non sono aperte alla partecipazione; non si mettono a confronto interessi pubblici fra loro, e con quelli privati di cui sono portatori i contribuenti; non vi è alcun margine di apprezzamento da parte degli uffici, etc.)»;

che, secondo il remittente, l’attività dei concessionari può dar luogo, tutt’al più, a «procedimenti di massa», «caratterizzati in modo pressoché assoluto dall’elemento tecnico organizzativo e dall’uniformità delle operazioni», trattandosi di «trasfondere il contenuto dei ruoli ricevuti dall’Agenzia delle entrate in singole cartelle destinate individualmente ai contribuenti, senza alcuna possibilità di apprezzamento, tanto più di natura discrezionale»;

che, pertanto, conclude il remittente, sembra eccessivo e poco utile addossare ai concessionari obblighi che appaiono «fini a se stessi, anche considerato che sulle cartelle figura l’avvertenza che si possono chiedere informazioni sul contenuto della cartella stessa»; ragion per cui l’art. 7, comma 2, lettera a), ultima parte, contrasta, per un verso, con l’art. 3, primo comma, Cost., poiché tratta in maniera simile attività e situazioni sicuramente diverse, quali sono quelle ascrivibili all’amministrazione finanziaria e quelle, invece, di competenza del concessionario e, per altro verso, «con l’art. 97 Cost. e con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione ivi stabilito, nonché con l’art. 1 della legge n. 241 del 1990, che ne costituisce sviluppo, laddove sancisce che l’attività della pubblica amministrazione è ispirata al principio [recte: ai principi] di efficienza, economicità ed efficacia»;

che si è costituita, per la Presidenza del Consiglio dei ministri, l’Avvocatura generale dello Stato, eccependo che la questione sollevata sarebbe inammissibile per difetto assoluto di rilevanza;

che, secondo l’Avvocatura, l’eventuale dichiarazione di incostituzionalità della norma raggiungerebbe l’effetto contrario a quello indicato dal giudice a quo (l’accoglimento dell’appello), giacché, facendo venir meno l’obbligo di indicare il responsabile del procedimento, comporterebbe che la mancanza o l’insufficienza di tale indicazione non sarebbe più oggetto di «un dovere sanzionabile con la declaratoria di illegittimità» della cartella di pagamento.

Considerato che il giudizio principale ha ad oggetto la legittimità o meno della cartella di pagamento, in quanto – secondo uno dei motivi di ricorso proposti dal ricorrente – essa non conterrebbe l’indicazione, obbligatoria per legge, del «responsabile del procedimento» (da intendere come il responsabile del procedimento che mette capo all’esattore, e non del procedimento, culminante nella consegna del ruolo all’esattore, che si svolge presso l’amministrazione finanziaria);

che – a prescindere dalla circostanza che l’eventuale declaratoria di incostituzionalità del censurato art. 7 della legge n. 212 del 2000 comporterebbe il rigetto e non, come sostiene il remittente, l’accoglimento del motivo di appello proposto dal contribuente (atteso che verrebbe meno l’obbligo di indicare, nella cartella di pagamento, il responsabile del procedimento) – la questione è manifestamente infondata;

che, infatti, ogni provvedimento amministrativo è il risultato di un procedimento, sia pure il più scarno ed elementare, richiedendo, quanto meno, atti di notificazione e di pubblicità;

che l’art. 7 della legge n. 212 del 2000 si applica ai procedimenti tributari (oltre che dell’amministrazione finanziaria) dei concessionari della riscossione, in quanto soggetti privati cui compete l’esercizio di funzioni pubbliche, e che tali procedimenti comprendono sia quelli che il giudice a quo definisce come «procedimenti di massa» (che culminano, cioè, in provvedimenti di contenuto omogeneo o standardizzato nei confronti di innumerevoli destinatari), sia quelli di natura non discrezionale;

che l’obbligo imposto ai concessionari di indicare nelle cartelle di pagamento il responsabile del procedimento, lungi dall’essere un inutile adempimento, ha lo scopo di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, la piena informazione del cittadino (anche ai fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile) e la garanzia del diritto di difesa, che sono altrettanti aspetti del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione predicati dall’art. 97, primo comma, Cost. (si veda, ora, l’art. 1, comma 1, della legge n. 241 del 1990, come modificato dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, recante «Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa»);

che, del resto, fin da epoca precedente l’entrata in vigore della legge n. 212 del 2000, recante lo statuto dei diritti del contribuente, la Corte ha ritenuto l’applicabilità ai procedimenti tributari della legge generale sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990 (ordinanza n. 117 del 2000, relativa all’obbligo di motivazione della cartella di pagamento).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza  della questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, lettera a), della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente),  sollevata dalla Commissione tributaria regionale di Venezia, in riferimento agli articoli 3, primo comma, e 97 della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe.

Cosi deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2007.