Sentenza n. 364 del 2007

SENTENZA N. 364

ANNO 2007

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                      BILE                              Presidente

-    Giovanni Maria         FLICK                             Giudice

-    Francesco                  AMIRANTE                         "

-    Ugo                          DE SIERVO                        "

-    Paolo                        MADDALENA                    "

-    Alfio                        FINOCCHIARO                  "

-    Alfonso                    QUARANTA                       "

-    Luigi                        MAZZELLA                        "

-    Gaetano                    SILVESTRI                         "

-    Maria Rita                 SAULLE                              "

-    Giuseppe                   TESAURO                           "

-    Paolo Maria               NAPOLITANO                    "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 7-quater del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7 (Disposizioni urgenti per l’università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, e per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione, nonché altre misure urgenti), inserito dalla legge di conversione 31 marzo 2005, n. 43, promossi dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con due ordinanze del 16 novembre 2005 e dal Consiglio di Stato con ordinanza del 4 maggio 2006, rispettivamente iscritte ai nn. 25, 26 e 373 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6 e n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2006.

 

Visti gli atti di costituzione dell’azienda Policlinico Umberto I, dell’Alse Medica s.r.l. nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell’udienza pubblica del 25 settembre 2007 il Giudice relatore Francesco Amirante;

 

uditi gli avvocati Rosaria Russo Valentini e Antonio Capparelli per l’azienda Policlinico Umberto I, Sergio Como e Ennio Luponio per la  Alse Medica s.r.l. e l’avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

l.— Nel corso di un giudizio di ottemperanza, promosso dalla Technodal s.r.l. nei confronti dell’azienda Policlinico Umberto I di Roma, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, terza sezione, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 103 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 7-quater del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7 (Disposizioni urgenti per l’università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, e per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione, nonché altre misure urgenti), inserito dalla legge di conversione 31 marzo 2005, n. 43 (r. o. n. 25 del 2006).

 

Nel descrivere la vicenda processuale sottoposta al suo giudizio, il TAR espone che la società ricorrente ha chiesto l’ottemperanza, da parte dell’azienda convenuta, del giudicato formatosi sul decreto ingiuntivo emesso in data 28 aprile 2001 dal Tribunale civile di Roma e dichiarato definitivamente esecutivo, per mancata opposizione, il successivo 14 agosto 2001. Il decreto ingiuntivo era stato emesso nei confronti dell’azienda Policlinico Umberto I per servizi prestati dalla società ricorrente nei confronti della disciolta azienda universitaria Policlinico Umberto I, nel periodo dal 18 dicembre 1996 al 30 ottobre 1999, tenuto conto del fatto che, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del decreto-legge 1° ottobre 1999, n. 341, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 1999, n. 453, la prima azienda sopra menzionata era succeduta alla seconda. Divenuto esecutivo il decreto per mancata opposizione, la società creditrice aveva inutilmente esperito le procedure esecutive in sede civile, vedendosi perciò costretta a promuovere il giudizio amministrativo di ottemperanza nei confronti della menzionata azienda. Quest’ultima, costituendosi in giudizio, aveva eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva alla luce del disposto dell’art. 8-sexies del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136 (Disposizioni urgenti per garantire la funzionalità di taluni settori della pubblica amministrazione), aggiunto dalla legge di conversione 27 luglio 2004, n. 186, sostenendo, inoltre, che il giudizio doveva essere dichiarato estinto d’ufficio in base alla disposizione censurata.

 

Il giudice a quo precisa che l’eccezione di difetto di legittimazione passiva deve ritenersi infondata, in quanto il giudicato sostanziale portato dal decreto ingiuntivo ormai irrevocabile copre anche l’esistenza di fatti modificativi, impeditivi ed estintivi del rapporto precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti in sede di opposizione al medesimo; e che si presenta, invece, non manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale sollevata in via subordinata dalla società ricorrente.

 

Il TAR remittente, dopo aver richiamato testualmente il contenuto del censurato art. 7-quater, osserva che la seconda eccezione sollevata dall’azienda Policlinico Umberto I dovrebbe essere accolta, con conseguente declaratoria di estinzione del giudizio di ottemperanza pendente, il che dà conto della rilevanza della sollevata questione di legittimità costituzionale, in quanto relativa a norma della quale il giudice a quo deve fare applicazione.

 

Ciò premesso circa la rilevanza, il TAR per il Lazio osserva che la norma in esame appare in contrasto con i richiamati parametri costituzionali. Ed infatti, la ratio legis è quella di limitare, anche in sede esecutiva, la successione della neo-istituita azienda Policlinico Umberto I nei rapporti che facevano capo alla soppressa omonima azienda universitaria, «al solo troncone delle obbligazioni relative all’esecuzione dei contratti di durata successivo alla data della sua istituzione», secondo il dettato del menzionato art. 8-sexies del d.l. n. 136 del 2004. In vista di tale obiettivo, il legislatore ha stabilito l’inefficacia dei titoli esecutivi formatisi nei confronti dell’azienda Policlinico Umberto I per crediti sorti anteriormente all’istituzione della medesima – con conseguente inefficacia dei pignoramenti ed estinzione dei giudizi di ottemperanza pendenti – imponendo che, per le esecuzioni intraprese relativamente ai citati titoli esecutivi, vi fosse il subentro del commissario istituito dall’art. 2 del d.l. n. 341 del 1999. Ora, poiché la disposizione del censurato art. 7-quater fa riferimento ai decreti ingiuntivi ed alle sentenze «esecutivi», stabilendone l’inefficacia, tale locuzione «ne presuppone il passaggio in giudicato».

 

Compiuta tale ricostruzione del sistema vigente, il giudice a quo ricorda che la giurisprudenza di questa Corte ha fissato in numerose pronunce i limiti ai quali il legislatore deve attenersi nell’emanare norme con efficacia retroattiva, e che nella sentenza n. 525 del 2000 è stato espressamente stabilito che al legislatore è precluso intervenire con norme retroattive per annullare gli effetti del giudicato, poiché in tal modo vengono alterati i rapporti tra il potere legislativo e quello giurisdizionale. La disposizione denunciata, in realtà, non si limita, attraverso lo strumento dell’interpretazione autentica, a circoscrivere la portata effettiva della successione dell’azienda Policlinico Umberto I nei rapporti della precedente azienda universitaria, ma pone nel nulla alcuni provvedimenti giurisdizionali già passati in giudicato. In questo modo tale disposizione colpisce il diritto del cittadino ad agire in giudizio per ottenere una pronuncia senza onerose reiterazioni. Ad avviso del TAR, inoltre, la norma denunciata appare anche viziata da irragionevolezza, perché incide su provvedimenti passati in giudicato, al solo scopo di «dare rilevanza esterna retroattiva ad un criterio organizzativo di centri di spesa che si sarebbe potuto conseguire con strumenti interni di regresso».

 

Alla luce di tutte le esposte considerazioni, il giudice remittente sostiene che l’art. 7-quater del d.l. n. 7 del 2005, inserito dalla legge di conversione n. 43 del 2005, sia in contrasto con gli artt. 101 e 103 Cost., sotto il profilo della lesione delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giurisdizionale; con gli artt. 24 e 113 Cost., sotto il profilo della lesione del diritto del cittadino di agire in giudizio e di ottenere una pronuncia di merito senza onerose reiterazioni; con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione dei principi di ragionevolezza, di uguaglianza e di tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti dell’ordinamento.

 

2.1.— Nel corso di un giudizio promosso dalla Alse Medica s.r.l. nei confronti dell’azienda Policlinico Umberto I di Roma, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, terza sezione, ha sollevato, in riferimento ai medesimi parametri di cui alla precedente ordinanza, un’identica questione di legittimità costituzionale dell’art. 7-quater del d.l. n. 7 del 2005, inserito dalla legge di conversione n. 43 del 2005 (r. o. n. 26 del 2006).

 

La fattispecie dalla quale scaturisce questa seconda ordinanza di rimessione, assai simile a quella dell’altro giudizio, viene riassunta dal giudice a quo nei seguenti termini. La società ricorrente aveva ottenuto un decreto ingiuntivo in data 7 dicembre 2000, posto in esecuzione; il TAR per il Lazio, con sentenza del 29 ottobre 2003, aveva ordinato all’azienda Policlinico Umberto I di dare esecuzione al decreto, nominando contestualmente un commissario ad acta. A seguito dell’inerzia di quest’ultimo, accogliendo una nuova istanza della società creditrice, il medesimo giudice, con sentenza del 29 gennaio 2005, aveva disposto la nomina di un secondo commissario ad acta, avendo verificato la non ottemperanza alla propria precedente pronuncia. Anche il nuovo commissario, peraltro, aveva deciso di rinviare sine die l’esecuzione del decreto, ritenendo che ad essa fosse di ostacolo la disposizione attualmente censurata, con la conseguenza che la medesima creditrice si era vista costretta al deposito di un’ulteriore istanza, in data 6 aprile 2005, con la quale si sollevava incidente di esecuzione. Instauratosi il contraddittorio nei confronti dell’azienda Policlinico Umberto I, quest’ultimo aveva chiesto l’estinzione del giudizio, ai sensi dell’art. 7-quater del d.l. n. 7 del 2005, inserito dalla legge di conversione n. 43 del 2005.

 

Ciò premesso in punto di fatto, il TAR per il Lazio, dopo aver precisato che la disposizione denunciata si applica a tutti i decreti ingiuntivi emessi nei confronti dell’azienda Policlinico Umberto I successivamente alla sua istituzione, ma per obbligazioni contrattuali anteriori alla sua costituzione, svolge argomentazioni a sostegno dell’illegittimità costituzionale della norma del tutto identiche a quelle contenute nella precedente ordinanza di rimessione.

 

2.2.— Si è costituita in questo secondo giudizio la Alse Medica s.r.l., chiedendo, anche in una memoria depositata in prossimità dell’udienza, che la questione proposta venga dichiarata inammissibile ovvero, in caso di recepimento dell’opzione interpretativa del giudice a quo, che la medesima venga accolta.

 

La società creditrice, dopo aver effettuato un excursus delle norme che si sono succedute negli anni a regolare la complessa materia, sostiene, in primo luogo, che la disposizione censurata dovrebbe essere interpretata nel senso di essere riferita esclusivamente ai decreti ingiuntivi e alle sentenze ottenuti nei confronti dell’azienda soppressa e divenuti esecutivi dopo la creazione della nuova azienda. In altri termini, essa non dovrebbe applicarsi alle sentenze o ai decreti ingiuntivi che siano stati originariamente emessi direttamente nei confronti della nuova azienda e che abbiano assunto autorità di giudicato, ma solo ai procedimenti ancora pendenti.

 

Qualora, invece, non si dovesse accedere ad una simile interpretazione, la questione non potrebbe non essere accolta, in quanto la disposizione di cui si tratta violerebbe i giudicati e sarebbe diretta ad interferire su concreti procedimenti giudiziari in corso al fine di determinarne gli esiti e, quindi, si porrebbe in palese contrasto con gli invocati parametri costituzionali.

 

3.— In entrambi i giudizi promossi dal TAR per il Lazio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con due memorie di identico contenuto, concludendo per l’inammissibilità o l’infondatezza delle questioni.

 

L’Avvocatura dello Stato richiama, innanzitutto, il «consolidato orientamento» della giurisprudenza di questa Corte secondo il quale, al di fuori della materia penale, l’emanazione di leggi retroattive incontra una serie di limiti tesi alla salvaguardia di fondamentali valori di civiltà giuridica, tra i quali i principi di uguaglianza e di ragionevolezza. E’ precluso al legislatore, fra l’altro, dettare norme finalizzate ad incidere su provvedimenti già passati in giudicato. Ne consegue che, ove realmente la norma in esame avesse siffatti requisiti, «il contrasto con il dettato costituzionale apparirebbe possibile». Tuttavia, la corretta interpretazione della disposizione censurata consentirebbe di escluderne la portata retroattiva, negando che essa ponga nel nulla le sentenze e i decreti ingiuntivi ormai irrevocabili. Infatti, il riferimento compiuto dal legislatore alle sentenze ed ai decreti ingiuntivi «divenuti esecutivi» non dovrebbe ritenersi comprensivo anche delle decisioni irrevocabili o passate in giudicato, in tal modo interpretando il silenzio della legge come una «implicita salvezza del giudicato». E ciò in armonia con l’insegnamento della giurisprudenza costituzionale che privilegia, tra due letture possibili di una norma, quella conforme al dettato costituzionale.

 

Accogliendo siffatta impostazione, la proposta questione dovrebbe essere considerata, prima ancora che infondata, manifestamente inammissibile in quanto priva di rilevanza, poiché l’impugnato art. 7-quater non potrebbe trovare applicazione nei procedimenti a quibus, dovendosi perciò negare l’estinzione dei giudizi di ottemperanza pendenti.

 

4.— Nel corso di un giudizio di appello promosso in primo grado dalla Medikron s.r.l. nei confronti dell’azienda Policlinico Umberto I di Roma, anche il Consiglio di Stato, quinta sezione, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 97, 100, 101, 102, 103, 104, 108, 113 e 117, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 7-quater del d.l. n. 7 del 2005, inserito dalla legge di conversione n. 43 del 2005 (r. o. n. 373 del 2006).

 

Nel descrivere la controversia devoluta al suo giudizio, il Consiglio di Stato espone che la società ricorrente aveva ottenuto un decreto ingiuntivo, nei confronti dell’azienda Policlinico Umberto I, in data 14 dicembre 2000 divenuto esecutivo il successivo 24 marzo 2001. Era stato quindi intrapreso giudizio di ottemperanza nei confronti dell’azienda, concluso con la sentenza 2 febbraio 2004 del TAR per il Lazio con la quale si era riconosciuto il diritto della società Medikron all’esecuzione del decreto ingiuntivo, prevedendosi anche la nomina di un commissario ad acta per l’eventualità che l’obbligata continuasse a non ottemperare alla decisione. La sentenza di primo grado era stata impugnata e confermata in appello dal Consiglio di Stato con sentenza 9 novembre 2004. Nel frattempo la società creditrice, dando atto del comportamento del commissario ad acta che, in concreto, non aveva dato corso a quanto stabilito in sede di ottemperanza, aveva chiesto al TAR, con una nuova istanza del 9 settembre 2004, la sostituzione del commissario e l’adozione di tutti i provvedimenti necessari per l’esecuzione della precedente sentenza. Il giudice di primo grado, con una nuova sentenza depositata il 16 novembre 2004, riconoscendo il comportamento ostruzionistico dell’azienda, aveva ordinato ancora a quest’ultima di dare integrale esecuzione al decreto ingiuntivo, provvedendo altresì alla nomina di un nuovo commissario ad acta. Questa ulteriore pronuncia era stata appellata dell’azienda Policlinico Umberto I, dando luogo al giudizio pendente davanti al Consiglio di Stato.

 

Ciò posto il giudice a quo, riportando le contrastanti argomentazioni delle parti, richiama l’art. 3 del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 280, decaduto per mancata conversione, e specifica che l’art. 7-quater del d.l. n. 7 del 2005, inserito dalla legge di conversione n. 43 del 2005, recepisce il contenuto della norma precedente fuorché per l’aggiunta del comma 4 e, nel comma 1, del riferimento alle «sentenze» esecutive. Osserva, quindi, il Consiglio di Stato che non può più essere contestata la legittimazione passiva dell’azienda Policlinico Umberto I, poiché l’art. 8-sexies del d.l. n. 136 del 2004, inserito dalla legge di conversione n. 186 del 2004, è entrato in vigore prima che il medesimo Consiglio remittente decidesse l’appello sulla prima sentenza emessa dal TAR per il Lazio; la norma ora citata, d’altra parte, non ha fatto altro che ridurre l’estensione oggettiva della successione disposta ex lege dal d.l. n. 341 del 1999, senza modificare il termine massimo di dodici mesi entro cui quest’ultimo decreto aveva contenuto gli effetti della successione medesima. Il giudice a quo, inoltre, fa presente che, nonostante si sia nell’ambito di un giudizio di ottemperanza di contenuto «meramente ordinatorio», l’appello è da ritenere ugualmente ammissibile per una serie di motivi; il tenore della disposizione censurata, d’altra parte, è tale da imporre al collegio «un obbligo incondizionato e preminente su ogni altro profilo processuale di provvedere, anche d’ufficio, all’estinzione dei giudizi di ottemperanza pendenti», il che dà conto dell’ammissibilità e della rilevanza della sollevata questione. Precisa, infine, il Consiglio di Stato che, nel giudizio in corso, si tratta dell’esecuzione di un decreto ingiuntivo relativo ad un credito sorto prima della creazione della nuova azienda Policlinico Umberto I, ossia relativo ad obbligazioni contrattuali assunte dalla soppressa azienda universitaria.

 

Compiuta questa ampia premessa e dando atto di conoscere il contenuto delle precedenti ordinanze di rimessione a questa Corte emesse nella stessa materia dal TAR per il Lazio, il Consiglio di Stato si sofferma sulla non manifesta infondatezza delle numerose censure di illegittimità costituzionale relative alla disposizione denunciata.

 

Un primo gruppo di censure viene prospettato, in riferimento agli artt. 100, 101, 102, 103, 104 e 108 Cost., sotto il profilo della lesione delle prerogative costituzionalmente riservate al potere giurisdizionale in generale e, più specificamente, al Consiglio di Stato. Osserva l’ordinanza di rimessione che l’art. 7-quater «ha di fatto posto nel nulla non meri provvedimenti giurisdizionali impugnati o impugnabili, ma veri e propri giudicati già perfezionatisi, ledendo in tal guisa l’indipendenza della magistratura (sia ordinaria sia) amministrativa (quest’ultima tutelata, in apicibus, dall’art. 100, nonché dall’art. 108 Cost.)». Un decreto ingiuntivo divenuto esecutivo, infatti, è a tutti gli effetti un provvedimento passato in giudicato ed idoneo a costituire il presupposto di un giudizio di ottemperanza, come conferma anche l’art. 656 del codice di procedura civile; ciò comporta che una norma che pone nel nulla un provvedimento giurisdizionale dotato del peso del giudicato dovrebbe essere ritenuta in contrasto con i menzionati parametri costituzionali.

 

Alla lesione del giudicato si affianca la violazione degli artt. 3 e 97 Cost., perché la norma censurata ha agito sui provvedimenti divenuti irrevocabili «allo scopo di dare rilevanza esterna ad un criterio organizzativo di centri di spesa che si sarebbe potuto conseguire, ben più efficacemente, con strumenti interni di regresso tra la gestione liquidatoria e l’azienda ospedaliera».

 

Una ulteriore censura viene prospettata, in riferimento agli artt. 24 e 113 Cost., sotto il profilo della lesione del diritto di agire in giudizio. Se è vero che la lettura coordinata delle norme più volte richiamate in precedenza dimostra come il credito vantato dalla società ricorrente non venga negato, bensì posto a carico della gestione separata disciplinata dall’art. 2 del d.l. n. 341 del 1999, è altresì vero che la trasposizione del credito nell’alveo dell’esecuzione concorsuale regolata da quest’ultima norma non assicura sufficienti garanzie, in favore della società creditrice, di una completa soddisfazione delle proprie pretese; ciò in quanto il comma 6 del menzionato art. 2 subordina la copertura dei disavanzi alla capienza concreta delle risorse pubbliche messe a disposizione dalla norma medesima.

 

Un’altra censura viene poi svolta, in riferimento agli artt. 24, 101, 103, 104, 108 e 113 Cost., con riguardo alla previsione dell’estinzione d’ufficio dei giudizi di ottemperanza pendenti. Dopo aver richiamato la sentenza n. 103 del 1995 di questa Corte – concernente una vicenda simile – il giudice a quo rileva che una legge che disponga l’estinzione di una serie di giudizi in corso deve prevedere una realizzazione, sia pure parziale, delle pretese azionate. Nel caso specifico, invece, vi sarebbe un’evidente violazione dell’art. 24 Cost. rappresentata dal fatto che l’art. 7-quater denunciato esclude espressamente ogni aggravio per la finanza pubblica; ciò comporta che la parte creditrice potrà essere soddisfatta solo all’esito di una procedura liquidatoria di natura amministrativa, con tutti i rischi che essa comporta. A conferma di quanto detto, inoltre, deporrebbe l’assenza di ogni regolazione relativa alla compensazione delle spese processuali. A parere del remittente, perciò, la disposizione da scrutinare è da assimilare a quella dichiarata illegittima con la sentenza n. 123 del 1987 di questa Corte, trattandosi di una norma con la quale il legislatore ha cercato di opporsi a provvedimenti giurisdizionali già passati in giudicato.

 

L’ultimo gruppo di censure, prospettato in riferimento agli artt. 2, 24, 117, primo comma, Cost., riguarda l’asserita lesione, da parte dell’art. 7-quater del d.l. n. 7 del 2005, di una serie di obblighi derivanti dal diritto internazionale. Osserva in proposito il Consiglio di Stato che tali obblighi non sono soltanto quelli introdotti dal diritto internazionale consuetudinario, ma anche quelli introdotti dal diritto internazionale pattizio. Sotto questo profilo, la categoria dei diritti inviolabili di cui all’art. 2 Cost. viene ad essere arricchita dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva dall’Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848. Il giudice a quo richiama, al riguardo, gli artt. 6, primo paragrafo, e 13 della Convenzione, oltre all’art. 1 del Protocollo addizionale n. l. Queste disposizioni – che il Consiglio di Stato interpreta alla luce di alcune sentenze, richiamate nell’ordinanza, emesse dalla Corte europea dei diritti dell’uomo – tutelano il diritto di ogni cittadino non solo ad essere giudicato da un tribunale (secondo il dettato del menzionato art. 6) ma anche a che le decisioni giudiziarie definitive vengano poste in attuazione. Gli Stati membri, perciò, non possono invalidare, ritardare o, addirittura, compromettere l’esecuzione di tali decisioni. Ed in base all’art. 1 del richiamato Protocollo addizionale è considerato bene patrimoniale anche il guadagno oggetto di un credito esigibile.

 

A queste censure, infine, il Consiglio di Stato affianca, sempre ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost., il richiamo ad una possibile violazione dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. La cosiddetta “quinta libertà comunitaria”, infatti, «postula indefettibilmente la libera circolazione delle decisioni giudiziarie, incentrata sul principio del mutuo riconoscimento». Ciò comporta che uno Stato membro non può stabilire autonomamente di porre nel nulla atti provenienti dal potere giudiziario, in quanto «astrattamente suscettibili di valicare i confini nazionali».

 

L’ordinanza di rimessione si conclude evidenziando come non sia possibile fornire un’interpretazione alternativa e costituzionalmente orientata della norma in questione, della quale si sollecita la declaratoria di illegittimità costituzionale.

 

5.— Anche nel giudizio promosso dal Consiglio di Stato è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o l’infondatezza delle questioni.

 

Per quanto riguarda le censure di una possibile violazione del giudicato, l’Avvocatura dello Stato riporta argomentazioni del tutto analoghe a quelle contenute negli altri due precedenti atti di intervento.

 

In relazione, invece, alla presunta violazione del diritto di agire, l’interveniente osserva che l’ordinanza di rimessione non contiene alcuna dimostrazione di una presunta incapienza dei fondi destinati al pagamento dei debiti della disciolta azienda universitaria Policlinico Umberto I; quanto alla questione del credito per le spese di giustizia, trattandosi di somme estranee all’applicazione del d.l n. 341 del 1999, l’Avvocatura rileva che esso potrà essere fatto valere in via esecutiva direttamente contro l’azienda ospedaliera di nuova istituzione.

 

6.— In tutti e tre i giudizi ora richiamati si è costituita l’azienda Policlinico Umberto I di Roma, con atti di identico contenuto, chiedendo che la prospettata questione venga dichiarata non fondata sia perché il limite del giudicato non trova espressa copertura costituzionale, se non per la materia penale, sia perché, comunque, nella specie, tale limite non è stato travalicato in quanto la disposizione censurata non ha cancellato dei diritti accertati con provvedimenti giurisdizionali divenuti definitivi, ma si è limitata a prevederne forme di soddisfazione ed attuazione diverse da quelle ordinarie onde non incidere sulla situazione dell’azienda di nuova istituzione.

 

In altri termini, si tratterebbe di una disposizione del tutto ragionevole e non arbitraria, perché ispirata dalla ricerca di un adeguato contemperamento tra la garanzia di soddisfazione dei crediti dei privati e quella di salvaguardia della stabilità e dell’ordine del bilancio pubblico.

 

Considerato in diritto

 

1.— Il TAR per il Lazio (con due ordinanze di contenuto sostanzialmente identico) e il Consiglio di Stato, nel corso di giudizi di ottemperanza per l’esecuzione di decreti ingiuntivi emessi contro l’azienda Policlinico Umberto I, divenuti esecutivi per mancata opposizione, hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7-quater del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7 (Disposizioni urgenti per l’università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti e per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione, nonché altre misure urgenti), inserito, in sede di conversione, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43.

Il TAR ha impugnato l’intero articolo, il Consiglio di Stato i commi primo, secondo e quarto.

Entrambi i remittenti lamentano la violazione degli artt. 3, 24, 101, 103, 113 della Costituzione ed il Consiglio di Stato anche degli artt. 2, 97, 100, 102, 104, 108, 117, primo comma, della medesima e sostengono, anzitutto, che l’articolo censurato – nello stabilire, al primo comma, l’inefficacia nei confronti della suddetta azienda dei decreti ingiuntivi e delle sentenze divenuti esecutivi dopo l’entrata in vigore del decreto-legge 1° ottobre 1999, n. 341, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 1999, n. 453, qualora relativi a crediti vantati nei confronti della soppressa omonima azienda universitaria per obbligazioni contrattuali anteriori alla data di istituzione della predetta azienda ospedaliera Policlinico Umberto I, e, al secondo comma, l’inefficacia dei pignoramenti e l’estinzione dei giudizi di ottemperanza «in base al medesimo titolo pendenti» – avrebbe violato i principi costituzionali relativi alle attribuzioni dell’autorità giudiziaria e nel contempo il diritto di difesa delle parti, incidendo su provvedimenti definitivi aventi autorità di giudicato. Le disposizioni censurate, secondo i remittenti, avrebbero esorbitato dai limiti che devono essere osservati nell’emanazione di norme retroattive, in particolare qualora esse, come nella specie, abbiano caratteristiche provvedimentali.

Il Consiglio di Stato, sul rilievo che i titoli giudiziari hanno efficacia in ambito comunitario, denuncia anche la violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione.

2.— Deve essere disposta la riunione dei giudizi, concernenti questioni in parte identiche, in parte connesse.

In via preliminare, si rileva la non fondatezza della tesi dell’interveniente secondo la quale le disposizioni censurate possono essere interpretate nel senso che esse si riferiscono esclusivamente a procedimenti fondati su provvedimenti esecutivi non aventi efficacia di giudicato. Siffatta interpretazione dovrebbe essere privilegiata, in quanto attribuisce alle disposizioni suddette un contenuto che escluderebbe ogni contrasto con i parametri costituzionali invocati.

Il ragionamento non può essere condiviso, perché contrasta con la formulazione delle disposizioni denunciate e con la vicenda normativa in cui esse s’inseriscono e nel cui ambito vanno interpretate.

Anzitutto esse fanno riferimento, senza distinzione alcuna, a decreti ingiuntivi e sentenze divenuti esecutivi, ma ciò che più rileva è che prescrivono la dichiarazione di estinzione dei giudizi di ottemperanza, i quali presuppongono la definitività dei provvedimenti fatti valere qualora questi siano stati emanati da giudici ordinari.

Inoltre, ed è notazione di non secondario rilievo, se le disposizioni sospettate di incostituzionalità si riferissero a procedure pendenti sulla base di provvedimenti giudiziari ancora suscettibili di riesame, a raggiungere lo scopo voluto dal legislatore sarebbe sufficiente il d.l. n. 341 del 1999, interpretato autenticamente dall’art. 8-sexies del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136 (aggiunto dalla legge di conversione 27 luglio 2004, n. 186), sicché le disposizioni censurate risulterebbero sostanzialmente inutili.

A queste ultime, in conformità di quanto ritenuto dai remittenti, va quindi attribuito l’effetto di privare di efficacia, nei confronti dell’azienda Policlinico Umberto I, provvedimenti giurisdizionali definitivi.

3.— La questione, individuata nei termini suindicati, è fondata.

Al fine di inquadrare il presente scrutinio di costituzionalità nell’ambito dei precedenti di questa Corte risolutivi di questioni simili, è opportuno soffermarsi sulle disposizioni del d.l. n. 341 del 1999 e sull’art. 8-sexies del d.l. n. 136 del 2004, che sono i diretti antecedenti delle disposizioni impugnate.

Con il primo dei suddetti provvedimenti legislativi, in considerazione dello stato di dissesto in cui versava l’azienda universitaria Policlinico Umberto I (da ora in poi azienda universitaria) e degli accordi intervenuti tra la Regione Lazio e l’Università “La Sapienza” di Roma per condurre su basi nuove la collaborazione in materia sanitaria, il legislatore istituì un nuovo soggetto – l’azienda Policlinico Umberto I (non più definita «universitaria») – cui spettava l’esercizio dell’attività dal momento della nomina del suo direttore generale e alla quale andavano imputati i rapporti che da essa sarebbero insorti. Il nuovo soggetto succedeva all’azienda universitaria nei contratti in corso inerenti alla gestione dell’assistenza sanitaria, i quali, nel periodo di dodici mesi, sarebbero stati risolti o confermati oppure rinegoziati dal direttore generale.

Per i debiti dell’azienda universitaria, della quale era stabilita la cessazione dall’inizio dell’attività della nuova azienda, era prevista una procedura concorsuale cui era preposto un commissario di nomina ministeriale.

Alla situazione dell’azienda universitaria si intese sopperire, quindi, con una soluzione che presenta elementi di analogia con quella che era stata stabilita per gli enti locali in dissesto dall’art. 21 del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8 (convertito, con modificazioni, dalla legge 19 marzo 1993, n. 68), e sul quale questa Corte si è pronunciata, escludendone l’illegittimità sul rilievo che, mentre l’insolvenza dei contraenti fa parte del rischio di ogni attività economica, una procedura concorsuale ispirata al principio della par condicio creditorum garantiva i diritti dei creditori meglio della concorrenza tra più azioni esecutive individuali (sentenza n. 155 del 1994).

Una normativa analoga a quella ora in esame è stata stabilita con il decreto-legge 19 novembre 2004, n. 277, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 gennaio 2005, n. 4, per l’Ordine Mauriziano di Torino, anch’esso passato indenne attraverso lo scrutinio di costituzionalità (sentenza n. 355 del 2006).

L’art. 8-sexies del d.l. n. 136 del 2004, sul presupposto della non perspicuità delle disposizioni regolanti la successione del nuovo soggetto azienda Policlinico Umberto I alla cessata azienda universitaria, ha chiarito, con interpretazione autentica, che esse devono essere intese nel senso che la successione riguarda, nell’ambito dei contratti di durata, «esclusivamente le obbligazioni relative all’esecuzione dei medesimi successiva alla data di istituzione della predetta azienda Policlinico Umberto I».

Le disposizioni denunciate vanno ben oltre tale normativa, analoga anche se non identica, come si è detto, a quella dettata per gli enti locali in dissesto e molto simile a quella poi introdotta per l’Ordine Mauriziano; esse sono dirette a travolgere provvedimenti definitivi ottenuti contro il soggetto di nuova istituzione non in dissesto quale l’azienda Policlinico Umberto I, facendo confluire anche i creditori di questo nell’ambito della procedura concorsuale instaurata per i crediti fondati su titoli emessi nei confronti della cessata azienda universitaria. Nei riguardi di tali disposizioni non sono pertinenti, quindi, le considerazioni di cui alle citate sentenze n. 155 del 1994 e n. 355 del 2006.

Non può infatti essere accolta la tesi della difesa del Policlinico Umberto I secondo la quale le disposizioni censurate non travolgerebbero i giudicati, ma si limiterebbero a sostituire per la loro esecuzione un tipo di procedimento ad un altro. Sul punto si rileva che i provvedimenti di cui viene stabilita l’inefficacia sono stati emessi contro il suddetto Policlinico, mentre la procedura concorsuale concerne la contabilità separata dei debiti e dei crediti della cessata azienda universitaria, ossia un diverso centro d’imputazione dei rapporti. Le disposizioni in scrutinio, quindi, incidono sul soggetto nei cui confronti sono stati emessi i provvedimenti e, di riflesso, sulla realizzazione dei crediti in essi consacrati, sostituendo ad un soggetto in bonis, responsabile secondo il regime sostanziale e processuale ordinario, un’entità diversa, nei cui confronti non è assicurata ai creditori la piena realizzazione dei propri diritti.

4.— Una volta definito in tal modo il contenuto normativo delle disposizioni censurate, la Corte ritiene che  esse  violino le attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria cui spetta la tutela dei diritti (artt. 102 e 113 Cost.).

Infatti non vi è dubbio che l’emissione di provvedimenti idonei ad acquistare autorità di giudicato costituisca uno dei principali strumenti per la realizzazione del suindicato compito.

Nel contempo, le disposizioni denunciate contrastano con gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto in parte vanificano i risultati dell’attività difensiva svolta, sulla cui definitività i creditori del Policlinico Umberto I potevano fare ragionevole affidamento.

In simile ordine di idee questa Corte ha affermato, da un lato, che l’estinzione dei giudizi pendenti può essere ritenuta costituzionalmente legittima qualora le norme che la stabiliscono incidano anche sulla legge regolatrice del rapporto controverso, garantendo la sostanziale realizzazione dei diritti in oggetto (sentenza n. 103 del 1995), dall’altro, che in materia non penale la legittimità di leggi retroattive è condizionata dal rispetto di altri principi costituzionali e, in particolare, di quello della tutela del ragionevole, e quindi legittimo, affidamento (ex plurimis, sentenze n. 446 del 2002 e n. 234 del 2007). Anche se le disposizioni in scrutinio non possono essere definite retroattive in senso tecnico, tuttavia esse, travolgendo provvedimenti giurisdizionali definitivi e incidendo sui regolamenti dei rapporti in essi consacrati, finiscono per avere la stessa efficacia di norme retroattive e per incontrare i medesimi limiti costituzionali per queste enunciati.

Una volta accertato il contrasto delle disposizioni impugnate con gli artt. 3, 24, 102 e 113 Cost., restano assorbiti gli altri profili di censura.

E’ opportuno soggiungere che la questione va accolta nei termini in cui è proposta dal TAR per il Lazio, cioè in quanto concernente l’intero art. 7-quater del d.l. n. 7 del 2005, i cui commi terzo e quarto sono strettamente connessi ai primi due; l’illegittimità costituzionale di questi ultimi, rende, infatti, inefficaci i successivi.

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

 

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7-quater del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7 (Disposizioni urgenti per l’università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, e per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione, nonché altre misure urgenti), inserito dalla legge di conversione 31 marzo 2005, n. 43.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 2007.

 

F.to:

 

Franco BILE, Presidente

 

Francesco AMIRANTE, Redattore

 

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2007.