Ordinanza n. 354 del 2007

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ORDINANZA N. 354

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco           BILE                                                Presidente

- Francesco       AMIRANTE                                       Giudice

- Ugo               DE SIERVO                                            ”

- Paolo             MADDALENA                                        ”

- Alfio             FINOCCHIARO                                      ”

- Alfonso         QUARANTA                                           ”

- Luigi             MAZZELLA                                            ”

- Gaetano         SILVESTRI                                             ”

- Maria Rita      SAULLE                                                 ”

- Giuseppe        TESAURO                                              ”

- Paolo Maria    NAPOLITANO                                        ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione), promossi con ordinanze del 1° aprile, del 26 ottobre, del 14 e del 21 dicembre 2005 e del 1° marzo 2006 dal Tribunale di Trieste, del 6 aprile 2005 dal Tribunale di Modena, del 27 settembre 2005 dal Tribunale di Chiavari, del 4 ottobre 2005 dalla Corte di appello di Venezia, del 14 ottobre e del 31 ottobre 2005 (n. 2 ordinanze) dal Tribunale di Verona, del 4 (n. 2 ordinanze), 5 e 8 aprile, del 12 e 23 maggio 2005 dal Tribunale di Venezia - sezione distaccata di Dolo, del 5 gennaio 2006 dal Tribunale di Bologna, rispettivamente iscritte al n. 436 del registro ordinanze 2005 e ai nn. 64, 284, 286 e 288 del registro ordinanze 2006; ai nn. 522 e 523 del registro ordinanze 2005; ai nn. 5, 127, 66, 67, 79, 121, 120, 118, 119, 117 e 116 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 38, 43 e 44, prima serie speciale, dell’anno 2005 e nn. 3, 11, 13, 17, 18 e 36, prima serie speciale, dell’anno 2006.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 settembre 2007 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.

Ritenuto che il Tribunale di Trieste in composizione monocratica, con ordinanza del 1° aprile 2005 (r.o. n. 436 del 2005), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione), nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis;

che il rimettente, chiamato a valutare, nell’àmbito del procedimento penale a carico di un cittadino straniero accusato del reato di indebito trattenimento, una richiesta congiunta di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, dubita della legittimità della norma che fissa i valori edittali della sanzione, poiché gli stessi sarebbero irragionevolmente alti, con conseguente violazione del principio di uguaglianza e di necessaria finalizzazione rieducativa della pena;

che infatti, secondo il Tribunale rimettente, l’inasprimento sanzionatorio attuato con la legge n. 271 del 2004 avrebbe avuto il solo scopo di legittimare una nuova previsione di arresto obbligatorio dopo la sentenza n. 223 del 2004 della Corte costituzionale (che aveva dichiarato l’illegittimità della disposizione concernente l’arresto per il reato de quo, in ragione della natura contravvenzionale della fattispecie e dei relativi valori di pena), senza trovare corrispondenza in una modificazione sostanziale del fenomeno regolato, e dunque alterando il rapporto di proporzionalità tra fatto e pena;

che il rimettente prospetta una violazione del principio di uguaglianza anche attraverso il raffronto fra il trattamento previsto per il reato di cui al comma 5-ter dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998 e quello riservato ad altre ipotesi criminose, che sarebbero ad esso comparabili in quanto consistenti, a loro volta, nella disobbedienza ad un ordine impartito dall’autorità amministrativa per ragioni di ordine pubblico;

che vengono evocate, a tale proposito, l’inosservanza di un provvedimento legalmente dato per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o di igiene, punita con l’arresto fino a tre mesi o addirittura con la sola ammenda (art. 650 del codice penale), e la contravvenzione al foglio di via obbligatorio, sanzionata con la pena dell’arresto da uno a sei mesi (art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, recante «Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza»);

che, in definitiva, la norma censurata contrasterebbe con il principio di uguaglianza sia in esito al raffronto con le sanzioni previste per la medesima fattispecie appena due anni prima della sua introduzione, sia in esito alla comparazione con le pene comminate per comportamenti illeciti della stessa natura;

che dal difetto di proporzione scaturirebbe anche, a parere del Tribunale, un contrasto con l’art. 27, terzo comma, Cost., posto che solo una pena proporzionata al fatto può esplicare una vera funzione rieducativa;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato l’11 ottobre 2005, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata infondata;

che il quadro sanzionatorio scaturito dalla legge n. 271 del 2004, secondo la difesa erariale, non sarebbe affetto dalle incongruenze denunciate, posto che l’indebito trattenimento conseguente all’ingresso illegale od a condotte similari sarebbe reato assimilabile alle altre ipotesi punite in misura equivalente, mentre la comparazione con l’art. 650 cod. pen. e con l’art. 2 della legge n. 1423 del 1956 sarebbe arbitraria, non assumendo rilievo, per tali fattispecie, interessi come l’osservanza di vincoli internazionali ed il governo dei flussi migratori;

che del resto, a conferma della corretta dosimetria della pena da parte del legislatore, nel testo unico delle leggi in materia di immigrazione permangono reati di natura contravvenzionale, con pene assimilabili a quelle previste dalle norme incriminatrici assunte a tertia comparationis, come l’indebito trattenimento dello straniero espulso per non aver sollecitato il rinnovo del permesso di soggiorno;

che lo stesso Tribunale di Trieste, con ordinanza del 14 dicembre 2005 (r.o. n. 284 del 2006), ha nuovamente sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis;

che il rimettente, chiamato nella specie a celebrare il giudizio abbreviato nei confronti di alcuni cittadini stranieri accusati del reato di indebito trattenimento, giudica rilevante la questione sollevata in quanto, per il caso di condanna, dovrebbe farsi necessario riferimento alla vigente previsione edittale;

che l’ordinanza di rimessione ricalca letteralmente, nella parte dedicata alla non manifesta infondatezza della questione, un altro provvedimento adottato dallo stesso giudice a quo (r.o. n. 436 del 2005), del cui tenore già si è dato conto;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato il 26 settembre 2006, sollecitando anche nel caso di specie, per le ragioni già illustrate, una dichiarazione di infondatezza della questione sollevata;

che il Tribunale di Modena in composizione monocratica, con ordinanza del 6 aprile 2005 (r.o. n. 522 del 2005), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanarsene impartitogli dal questore;

che il rimettente, chiamato a celebrare il giudizio nei confronti di persona accusata del reato di indebito trattenimento, rileva, nella prospettiva dell’eventuale condanna, che i valori edittali della sanzione sarebbero irragionevolmente alti, comportando una violazione del principio di uguaglianza e di necessaria funzionalità rieducativa della pena;

che infatti, secondo il Tribunale, l’inasprimento sanzionatorio attuato con la legge n. 271 del 2004 per il reato de quo non risponderebbe a mutate esigenze di politica criminale, ma alla sola finalità di assicurare «il governo delle espulsioni mediante lo strumento dell’arresto obbligatorio», come dovrebbe desumersi dalla successione riscontrabile tra la sentenza n. 223 del 2004 della Corte costituzionale (che aveva dichiarato l’illegittimità della previsione concernente l’arresto per lo stesso reato in forma di contravvenzione), il decreto-legge n. 241 del 2004 (il cui tenore, ferma restando la natura contravvenzionale della fattispecie, mirava a sopprimere formalmente la previsione processuale dichiarata illegittima) e la citata legge di conversione (segnata invece dalla trasformazione dell’illecito in figura delittuosa, e di fatto mirata – come risulterebbe da vari passaggi dei lavori parlamentari – a fissare la pena in guisa da consentire, a norma dell’art. 280 del codice di procedura penale, l’adozione della misura cautelare della custodia in carcere, e da legittimare, conseguentemente, la rinnovata previsione dell’arresto obbligatorio);

che il giudice a quo ravvisa, nella situazione indicata, una violazione dell’art. 3 Cost., in ragione dell’assenza di una giustificazione dell’inasprimento sanzionatorio realmente connessa ad un mutamento sostanziale del fenomeno regolato;

che comunque la previsione edittale della pena contrasterebbe, specie in riferimento al limite minimo, con il principio di proporzionalità, essendo riferibile anche a persone prive in concreto di pericolosità sociale;

che sarebbe incongrua, in particolare, l’attuale parificazione della pena prevista per l’indebito trattenimento a quella comminata nella prima parte dell’art. 13, comma 13-bis, dello stesso d.lgs. n. 286 del 1998, che punisce lo straniero già colpito da un provvedimento giudiziale di espulsione e rientrato indebitamente nel territorio dello Stato;

che infatti, a parere del rimettente, la condotta di indebito reingresso sarebbe ben più grave di quella in esame, perché realizzata – con un comportamento attivo e non semplicemente omissivo – da un soggetto già responsabile di altro reato e già destinatario di un provvedimento che presuppone la sua concreta pericolosità, tanto che, nell’impianto sanzionatorio originario, il trattamento delle figure poste a confronto era ben differenziato;

che un’ulteriore violazione del principio di uguaglianza (per l’analoga disciplina di fattispecie tra loro eterogenee) si riscontrerebbe raffrontando la norma censurata con la previsione della seconda parte del citato comma 13-bis dell’art. 13, a sua volta riformata nel 2004, vista la sostanziale parificazione del trattamento sanzionatorio per la condotta dello straniero rientrato in Italia dopo l’esecuzione di due precedenti provvedimenti di espulsione e per il comportamento, assai meno significativo, dell’inottemperanza al primo ordine del questore di allontanarsi dal territorio dello Stato;

che l’asserita sproporzione per eccesso delle sanzioni comminate dall’art. 14, comma 5-ter, emergerebbe anche dal raffronto con previsioni incriminatrici non comprese nel citato d.lgs. n. 286 del 1998, ed in particolare con quelle dell’art. 650 cod. pen. e dell’art. 2 della legge n. 1423 del 1956, assimilabili alla disposizione censurata perché relative anch’esse a fenomeni di disobbedienza verso provvedimenti assunti per ragioni di ordine pubblico, e per altro sanzionate assai meno gravemente, senza che la particolare condizione dell’agente nella stessa disposizione (cioè quella di straniero presente illegalmente sul territorio nazionale) valga a giustificare differenze tanto marcate del trattamento sanzionatorio;

che tali differenze non potrebbero essere legittimate, secondo il rimettente, dall’eventualità che la pena inflitta per l’indebito trattenimento dello straniero non sia eseguita, per effetto dell’espulsione disposta quale sanzione sostitutiva o alternativa, posto che detta espulsione non costituisce un diritto del condannato e non trova comunque applicazione nei casi di sospensione condizionale o per pene di entità superiore ai due anni;

che, infine, la violazione del principio di proporzionalità priverebbe la pena, a parere del Tribunale, della necessaria funzione rieducativa;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato il 15 novembre 2005, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata infondata;

che infatti, mediante le riforme introdotte con la legge n. 271 del 2004 nel trattamento sanzionatorio dell’indebito trattenimento, il legislatore avrebbe distinto, discrezionalmente ma ragionevolmente, tra le varie previsioni concernenti l’inottemperanza all’ordine del questore;

che in particolare, secondo la difesa erariale, le fattispecie evocate quali tertia comparationis potrebbero essere comparate con la residua ipotesi contravvenzionale in materia di immigrazione (l’inottemperanza dello straniero espulso per non aver rinnovato la richiesta del permesso di soggiorno), ma non con la figura delittuosa in discussione, che coinvolge interessi specificamente concernenti le politiche contro l’immigrazione clandestina e comunque riguarda persone entrate o trattenutesi clandestinamente nel territorio dello Stato;

che il Tribunale di Chiavari in composizione monocratica, con ordinanza del 27 settembre 2005 (r.o. n. 523 del 2005), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis;

che il rimettente, il quale procede con rito abbreviato nei confronti di uno straniero trattenutosi in Italia nonostante la rituale notifica dell’ordine di lasciare il Paese, senza alcuna allegazione di un giustificato motivo, dubita, nella prospettiva dell’eventuale deliberazione di una sentenza di condanna, che la norma censurata sia legittima nella parte concernente i valori edittali della pena;

che l’ordinanza riproduce sostanzialmente, in punto di non manifesta infondatezza della questione sollevata, la motivazione di altri provvedimenti con il medesimo oggetto (tra i quali l’ordinanza del Tribunale di Trieste r.o. n. 436 del 2005), che già sopra si è illustrata;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato il 22 novembre 2005, che riproduce le osservazioni e le richieste già svolte dalla difesa erariale in occasioni analoghe, e dunque già riassunte, in questa sede, con riguardo all’intervento spiegato nel giudizio concernente l’ordinanza r.o. n. 436 del 2005;

che la Corte di appello di Venezia, con ordinanza del 4 ottobre 2005 (r.o. n. 5 del 2006), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanarsene impartitogli dal questore;

che la Corte rimettente procede alla celebrazione del giudizio di appello nei confronti di persona di nazionalità estera, condannata in primo grado per il reato di indebito trattenimento e priva di precedenti penali o giudiziari;

che al fine di evidenziare l’asserita carenza di proporzionalità dell’attuale previsione sanzionatoria, il giudice a quo ricostruisce il quadro delle norme penali ed amministrative succedutesi nel tempo a proposito dell’inosservanza degli ordini impartiti dall’autorità per ragioni di ordine pubblico, ponendo in luce che mai in precedenza, neppure nell’àmbito della legislazione antecedente alla Costituzione repubblicana, sarebbero state configurate ipotesi a carattere delittuoso;

che la diversa opzione maturata con la modifica del comma 5-ter dell’art. 14 del t.u. in materia di immigrazione – attuata in sede di conversione del decreto-legge n. 241 del 2004 con il fine dichiarato di consentire nuovamente l’arresto degli stranieri inottemperanti dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004 – avrebbe dato luogo, in assenza di segnali di aggravamento del fenomeno regolato, ad una sanzione sproporzionata ed incongrua (rispetto a quella prevista appena due anni prima per gli stessi fatti), e comunque avrebbe introdotto nell’ordinamento «un ulteriore elemento di irragionevolezza, piegando il diritto penale sostanziale alle esigenze di quello processuale e ponendo entrambi a sostegno dell’attività di polizia, con un’inversione dei piani e dei ruoli istituzionali di tutta evidenza»;

che l’art. 3 Cost. sarebbe violato, secondo la rimettente, anche in forza del difforme trattamento istituito per l’indebito trattenimento rispetto a situazioni analoghe, come quelle disciplinate dall’art. 650 cod. pen., dall’art. 2 della legge n. 1423 del 1956, dall’art. 163 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), il quale ultimo sanziona, con la pena dell’arresto da uno a sei mesi, la violazione delle disposizioni impartite con il foglio di via obbligatorio;

che l’entità sproporzionata della sanzione, infine, varrebbe ad escluderne l’efficacia rieducativa, poiché questa presuppone che l’interessato possa recepire la pena inflittagli quale «giusta» reazione al fatto illecito da lui commesso;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato il 7 febbraio 2006, chiedendo che la questione proposta sia dichiarata infondata;

che la difesa erariale riproduce, nella specie, rilievi già svolti con atti di intervento analoghi (tra i quali l’atto depositato nel giudizio concernente l’ordinanza r.o. n. 436 del 2005), osservando in particolare che le fattispecie evocate quali tertia comparationis (compresa quella prevista dall’art. 163 t.u.l.p.s.) potrebbero essere raffrontate alla residua ipotesi contravvenzionale in materia di immigrazione (l’inottemperanza dello straniero espulso per non aver rinnovato la richiesta del permesso di soggiorno), ma non alla figura delittuosa in discussione, che coinvolge interessi specificamente concernenti le politiche contro l’immigrazione clandestina e comunque riguarda persone entrate o trattenutesi clandestinamente nel territorio dello Stato;

che il Tribunale di Trieste in composizione monocratica, con tre ordinanze di tenore sostanzialmente analogo, deliberate rispettivamente il 26 ottobre 2005 (r.o. n. 64 del 2006), il 21 dicembre 2005 (r.o. n. 286 del 2006) ed il 1° marzo 2006 (r.o. n. 288 del 2006), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis;

che il rimettente – il quale procede in tutti i giudizi a quibus, sia pure con riti diversi, nei confronti di persone accusate del reato di indebito trattenimento – dubita che i limiti edittali della pena, cui necessariamente dovrebbe far riferimento in caso di accoglimento della richiesta di patteggiamento o di condanna degli imputati, siano stati fissati in armonia con i precetti costituzionali;

che le questioni sono argomentate, in punto di non manifesta infondatezza, mediante esplicito e testuale richiamo al provvedimento deliberato dallo stesso Tribunale di Trieste in data 1° aprile 2005 (r.o. n. 436 del 2005), la cui motivazione è già stata illustrata;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in ciascuno dei tre giudizi, con atti depositati rispettivamente il 28 marzo 2006 (r.o. n. 64 del 2006) ed il 26 settembre 2006 (r.o. nn. 286 e 288 del 2006);

che l’Avvocatura dello Stato riproduce, negli atti indicati, i rilievi già svolti con l’atto di intervento per il giudizio concernente la citata ordinanza r.o. n. 436 del 2005, sollecitando anche nei casi di specie una dichiarazione di infondatezza delle questioni sollevate;

che il Tribunale di Verona in composizione monocratica, con tre ordinanze di tenore sostanzialmente analogo, deliberate rispettivamente il 14 ottobre 2005 (r.o. n. 127 del 2006) ed il 31 ottobre 2005 (r.o. nn. 66 e 67 del 2006), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni – anziché una pena equiparabile a quella prevista dagli artt. 650 cod. pen., 157 t.u.l.p.s., 2 della legge n. 1423 del 1956 – per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis;

che il rimettente – il quale procede con rito abbreviato, in tutti i giudizi a quibus, nei confronti di persone accusate del reato di indebito trattenimento – rileva, nella prospettiva d’una eventuale deliberazione di condanna, che la norma censurata sarebbe illegittima nella parte concernente i valori edittali della pena;

che il Tribunale prospetta, in primo luogo, una ingiustificata disparità di trattamento tra la fattispecie in questione ed analoghe ipotesi di inosservanza dei provvedimenti amministrativi adottati per ragioni di ordine pubblico, che sono punite a titolo di contravvenzione e con sanzioni assai più lievi, richiamando, in questo senso, le previsioni di cui all’art. 650 cod. pen. ed all’art. 2 della legge n. 1423 del 1956, nonché la fattispecie delineata all’art. 157 t.u.l.p.s., che sanziona la contravvenzione al foglio di via obbligatorio;

che le differenze sul piano sanzionatorio, a parere del rimettente, non potrebbero giustificarsi in base alla natura necessariamente dolosa della condotta concernente lo straniero, poiché nei fatti sarebbero sempre dolose anche le condotte contravvenzionali punibili a norma delle disposizioni citate;

che la norma censurata prevede una pena assimilabile a quella altrove comminata per violazioni da ritenersi, secondo il Tribunale, molto più gravi, perché riferibili a soggetti dalla pericolosità marcata e giudizialmente accertata, come nel caso dell’art. 9, secondo comma, della legge n. 1423 del 1956, ove si sanziona con la reclusione da uno a cinque anni l’inosservanza degli obblighi e delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con l’obbligo o il divieto di soggiorno;

che il rimettente connette un’ulteriore violazione del principio di uguaglianza alla natura di «reato ostacolo» della fattispecie in considerazione, la quale sarebbe mirata essenzialmente a prevenire la commissione di futuri reati da parte dell’immigrato irregolare, e però risulta punita con una pena molto più severa di quella in genere comminata per gli illeciti che si vorrebbero impedire;

che l’entità sproporzionata della sanzione, infine, varrebbe ad escluderne l’efficacia rieducativa, poiché questa presuppone che l’interessato possa recepire la pena inflittagli quale «giusta» reazione al fatto illecito realizzato;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in ciascuno dei giudizi, con atti depositati rispettivamente il 23 maggio 2006 (r.o. n. 127 del 2006) ed il 4 aprile 2006 (r.o. nn. 66 e 67 del 2006), chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate infondate;

che la difesa erariale rileva come il legislatore, con la novella del 2004, avrebbe distinto ragionevolmente, esercitando la propria discrezionalità, tra varie ipotesi di inottemperanza all’ordine del questore, osservando che le fattispecie evocate quali tertia comparationis potrebbero essere comparate con la residua ipotesi contravvenzionale in materia di immigrazione (l’inottemperanza dello straniero espulso per non aver rinnovato la richiesta del permesso di soggiorno), ma non con la figura delittuosa in discussione, la quale coinvolge interessi specificamente concernenti le politiche contro l’immigrazione clandestina e comunque riguarda persone entrate o trattenutesi clandestinamente nel territorio dello Stato;

che sarebbe del tutto infondato, per le ragioni appena indicate, l’assunto che la condotta in esame non esprima una concreta pericolosità del responsabile, e non possa dunque essere punita con una pena analoga a quella prevista per le violazioni concernenti le misure di prevenzione;

che infine, sempre a parere dell’Avvocatura generale, l’assunto di una proporzione invertita tra le pene previste per il «reato ostacolo» e quelle concernenti i delitti da prevenire sarebbe apodittico e palesemente privo di fondamento;

che il Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Dolo, con sei ordinanze di tenore sostanzialmente analogo, deliberate rispettivamente il 4 aprile 2005 (r.o. nn. 79 e 121 del 2006), il 5 aprile 2005 (r.o. n. 120 del 2006), l’8 aprile 2005 (r.o. n. 118 del 2006), il 12 maggio 2005 (r.o. n. 119 del 2006) e il 23 maggio 2005 (r.o. n. 117 del 2006), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartitogli dal questore ai sensi del precedente comma 5-bis;

che il rimettente – il quale procede in tutti i giudizi a quibus, sia pure con riti diversi, nei confronti di persone accusate del reato di indebito trattenimento – censura il relativo trattamento sanzionatorio in una duplice prospettiva;

che l’incongruenza della previsione edittale si manifesterebbe, per un primo verso, alla luce della vicenda evolutiva che ha segnato la materia, posto che l’inasprimento sanzionatorio attuato con la legge n. 271 del 2004 avrebbe avuto il solo scopo di legittimare una nuova previsione di arresto obbligatorio per il reato di indebito trattenimento dopo la sentenza n. 223 del 2004 della Corte costituzionale, senza trovare corrispondenza in una modificazione sostanziale del fenomeno regolato, e dunque alterando il rapporto di proporzionalità tra fatto e pena;

che il rimettente prospetta una violazione del principio di uguaglianza, per altro verso, anche attraverso il raffronto fra il trattamento previsto per il reato de quo e quello riservato ad altre ipotesi criminose, che sarebbero ad esso comparabili in quanto consistenti, a loro volta, nella disobbedienza ad un ordine impartito dall’autorità amministrativa per ragioni di ordine pubblico, evocando in particolare l’art. 650 cod. pen. e l’art. 2 della legge n. 1423 del 1956;

che in definitiva, secondo il Tribunale, la norma censurata contrasterebbe con il principio di ragionevolezza sia in esito al raffronto con le sanzioni previste per la medesima fattispecie appena due anni prima della sua introduzione, sia in esito al raffronto con le pene comminate per comportamenti illeciti della stessa natura;

che dal difetto di proporzione scaturirebbe anche il contrasto della norma censurata con l’art. 27, terzo comma, Cost., posto che solo una pena proporzionata al fatto può esplicare una vera funzione rieducativa;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in ciascuno dei giudizi, con atti depositati rispettivamente il 13 aprile 2006 (r.o. n. 79 del 2006) e il 16 maggio 2006 (r.o. nn. 117, 118, 119, 120 e 121 del 2006);

che gli atti indicati riproducono le osservazioni e le richieste già svolte dalla difesa erariale in occasioni analoghe, e dunque già riassunte, in questa sede, con riguardo all’intervento spiegato nel giudizio concernente l’ordinanza r.o. n. 436 del 2005;

che il Tribunale di Bologna in composizione monocratica, con ordinanza del 5 gennaio 2006 (r.o. n. 116 del 2006), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost. – una questione di legittimità costituzionale riguardo a norma non indicata, plausibilmente identificabile nell’art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004;

che dal testo del provvedimento di rimessione, il quale rinvia ad una eccezione difensiva non trascritta e ad altre (non meglio indicate e non trascritte) ordinanze dello stesso Tribunale, emerge che, secondo il giudice a quo, la pena per il reato contestato sarebbe eccessiva, una volta comparata a quella prevista per «fattispecie analoghe» come quelle regolate dall’art. 650 cod. pen. e dall’art. 2 della legge n. 1423 del 1956;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato il 16 maggio 2006, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata manifestamente inammissibile e, comunque, infondata;

che in punto di ammissibilità la difesa erariale evidenzia come l’ordinanza di rimessione sia priva di qualunque descrizione della concreta fattispecie sottoposta a giudizio, e finanche dell’indicazione della norma sottoposta a censura;

che l’Avvocatura dello Stato riproduce, quanto alla ritenuta infondatezza della questione, le osservazioni già svolte in occasioni analoghe, e dunque già riassunte, in questa sede, con riguardo all’intervento spiegato nel giudizio concernente l’ordinanza r.o. n. 436 del 2005.

Considerato che tutte le ordinanze fin qui descritte sollevano questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione), nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis;

che il Tribunale di Verona prospetta l’illegittimità della previsione sanzionatoria, in particolare, nella misura in cui non commina una pena equiparabile a quella prevista dagli artt. 650 del codice penale, 157 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), e 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza);

che la norma del citato comma 5-ter dell’art. 14 viene censurata per i valori asseritamente troppo elevati della pena edittale, con riferimento generalizzato agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione;

che i giudici a quibus – dopo aver ricordato che la pena originariamente prevista per il reato di indebito trattenimento consisteva nell’arresto da sei mesi ad un anno, e che, a séguito delle modifiche recate dalla legge n. 271 del 2004, la medesima condotta è oggi punita con la reclusione da uno a quattro anni – rilevano nel complesso che l’inasprimento sarebbe stato attuato per finalità di carattere processuale (la legittimazione di una nuova previsione di arresto obbligatorio), senza alcuna sostanziale modifica del fenomeno criminoso sottostante, e per ciò stesso in violazione dei princípi di ragionevolezza e proporzionalità della pena;

che le pene comminate dalla norma censurata sarebbero palesemente sproporzionate per eccesso rispetto alla gravità effettiva del fatto incriminato, il quale consisterebbe in un reato di pericolo, non sintomatico per sé di pericolosità sociale;

che, nel complesso, i rimettenti pongono in comparazione il trattamento sanzionatorio dell’indebito trattenimento con quello, assai più mite, previsto da disposizioni ritenute assimilabili, perché concernenti a loro volta condotte di inottemperanza a provvedimenti adottati dall’autorità amministrativa per ragioni di sicurezza e di ordine pubblico, evocando in particolare: l’art. 650 cod. pen. (recante la rubrica «Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità»), che prevede l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino ad euro 206; l’art. 2 della legge n. 1423 del 1956, relativo alla contravvenzione al foglio di via obbligatorio, punita con l’arresto da uno a sei mesi; l’art. 157 t.u.l.p.s., pure concernente contravvenzioni al foglio di via obbligatorio, punito con l’arresto da uno a sei mesi (in particolare, per il riferimento a tale fattispecie, le ordinanze r.o. nn. 66, 67 e 127 del 2006); l’art. 163 dello stesso t.u.l.p.s., che sanziona con la medesima pena la contravvenzione alle prescrizioni impartite con il foglio di via obbligatorio (r.o. n. 5 del 2006);

che il Tribunale di Verona, in particolare, deduce una violazione del principio di uguaglianza anche dal raffronto tra la pena collegata ad un «reato ostacolo» – quale sarebbe l’illecito di indebito trattenimento, asseritamente configurato al fine di prevenire la lesione di beni giuridici sostanziali – e quella assai più lieve che l’ordinamento commina per molte delle condotte concretamente lesive degli stessi beni (r.o. nn. 66, 67 e 127 del 2006);

che alcuni dei giudici a quibus, inoltre, istituiscono una comparazione tra la norma censurata e talune previsioni incriminatrici caratterizzate da analoghi livelli sanzionatori, riguardanti condotte ritenute assai più gravi, evocando in particolare alcune figure di indebito reingresso dello straniero nel territorio dello Stato (art. 13, comma 13-bis, primo e secondo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998) e l’inosservanza di obblighi e prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con l’obbligo o il divieto di soggiorno (art. 9, secondo comma, della legge n. 1423 del 1956);

che tutte le ordinanze di rimessione prospettano il contrasto tra la norma censurata ed il terzo comma dell’art. 27 Cost., in quanto la relativa previsione sanzionatoria, essendo priva di proporzionalità rispetto al fatto incriminato, non potrebbe assolvere alla necessaria funzione rieducativa della pena;

che, data la pertinenza di tutte le questioni sollevate al trattamento sanzionatorio del reato previsto dall’art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998, può essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

che la questione proposta dal Tribunale di Trieste con ordinanza del 1° aprile 2005 (r.o. n. 436 del 2005), e le questioni sollevate dal Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Dolo (r.o. nn. 79, 117, 118, 119, 120 e 121 del 2006), risultano manifestamente inammissibili, posto che i rimettenti non hanno svolto alcuna considerazione in punto di rilevanza delle questioni medesime nei giudizi a quibus (tra le molte, ordinanze n. 136, n. 205 e n. 308 del 2007);

che anche la questione sollevata dal Tribunale di Bologna è manifestamente inammissibile, atteso che è priva di una esplicita indicazione della norma censurata, che la motivazione in punto di non manifesta infondatezza si esaurisce sostanzialmente in un rinvio ad atti diversi e non trascritti (ex multis, ordinanza n. 75 del 2007), e che la rilevanza nel giudizio a quo è motivata in senso contraddittorio rispetto alla censura presumibilmente prospettata (collegando all’ipotetico accoglimento della questione una sopravvenuta insussistenza del reato);

che le ulteriori questioni di legittimità costituzionale, pure concernenti l’art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004, sono sostanzialmente identiche a quelle che questa Corte ha già dichiarato inammissibili con la sentenza n. 22 del 2007 e manifestamente inammissibili con l’ordinanza n. 167 del 2007;

che dunque, non essendovi ragione per discostarsi dalle valutazioni recentemente compiute, deve dichiararsi la manifesta inammissibilità anche delle questioni in esame.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione), nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dai Tribunali di Trieste, Modena, Chiavari, Verona, Venezia e Bologna, e dalla Corte di appello di Venezia, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 26 ottobre 2007.