Sentenza n. 342 del 2007

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SENTENZA N. 342

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                              Presidente

- Giovanni Maria         FLICK                             Giudice

- Francesco                  AMIRANTE                         "

- Ugo                          DE SIERVO                        "

- Paolo                        MADDALENA                    "

- Alfio                        FINOCCHIARO                  "

- Alfonso                    QUARANTA                       "

- Franco                      GALLO                               "

- Luigi                        MAZZELLA                        "

- Gaetano                    SILVESTRI                         "

- Sabino                      CASSESE                            "

- Maria Rita                 SAULLE                              "

- Giuseppe                   TESAURO                           "

- Paolo Maria               NAPOLITANO                    "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 27 ottobre 2004 (doc. IV-quater, n. 77), relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi nel confronti del dott. Paolo Ielo, promosso dalla Corte d’appello di Brescia con ricorso notificato il 4 agosto 2005, depositato in cancelleria l’11 agosto 2005 ed iscritto al n. 35 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2005, fase di merito.

Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;

udito nell’udienza pubblica del 3 luglio 2007 il Giudice relatore Francesco Amirante;

udito l’avvocato Roberto Nania per la Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

1.–– Con ricorso del 31 gennaio 2005 la Corte di appello di Brescia ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla delibera adottata il 27 ottobre 2004 (doc. IV-quater, n. 77) con la quale – in conformità alla proposta della Giunta per le autorizzazioni – è stato dichiarato che i fatti per i quali il deputato Vittorio Sgarbi è sottoposto a procedimento penale per il delitto di diffamazione a mezzo stampa riguardano opinioni espresse da quest’ultimo nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari e sono, quindi, insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Premette la Corte di appello che il suddetto deputato, nel corso della trasmissione televisiva “Sgarbi quotidiani” del 28 dicembre 1995, aveva letto e commentato alcuni articoli di stampa nei quali si dava notizia che il G.I.P. del Tribunale di Milano, all’esito dell’udienza preliminare, aveva prosciolto alcuni imputati – tra i quali Fedele Confalonieri, presidente della società Mediaset proprietaria dell’emittente televisiva “Canale 5” – dal reato di finanziamento illecito al partito socialista italiano. Nel dare lettura dell’articolo pubblicato sull’argomento dal quotidiano “Il Messaggero” in data 23 dicembre 1995, il parlamentare aveva rivolto una serie di pesanti apprezzamenti nei confronti del dott. Paolo Ielo, all’epoca sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, ritenendolo responsabile della conduzione dell’inchiesta che si era poi conclusa col proscioglimento del Confalonieri e degli altri imputati. Nel corso della medesima trasmissione, poi, era stata mandata in onda una parte dell’intervista resa dal Confalonieri, il quale aveva fatto presente di essere stato inquisito per l’allestimento di stand in occasione del congresso del partito socialista, mentre per fatti identici – compiuti però in occasione di congressi di altri partiti, nella specie il partito comunista italiano – nessuna iniziativa era stata assunta dalla magistratura. A commento di tale intervista, il deputato aveva pronunciato una serie di frasi contro il dottor Ielo, ipotizzando un uso distorto della giustizia consistente nel trattare in modo diverso fatti sostanzialmente analoghi («Per la stessa cosa fatta da Confalonieri, con il partito comunista non si era aperta l’inchiesta. Il che cosa vuol dire? Vuol dire due pesi e due misure. Vuol dire proteggere il partito comunista e per lo stesso reato non iniziare neanche il procedimento, il quale dopo due anni finisce con il proscioglimento…E’ una cosa intollerabile …Io qui ho voluto ricordare come un esempio di cattiva giustizia di cui, naturalmente, il magistrato è il pubblico ministero Ielo»).

Instauratosi, a seguito di querela da parte del dott. Ielo, il procedimento penale nei confronti dell’onorevole Sgarbi, il Tribunale di Brescia, con sentenza del 9 maggio 2002, aveva condannato il parlamentare per il delitto di diffamazione aggravata.

Proposto appello avverso tale sentenza ed intervenuta, nel frattempo, la legge 20 giugno 2003, n. 140, la Corte di appello aveva trasmesso gli atti alla Camera dei deputati per le decisioni del caso e la Camera aveva votato per l’insindacabilità con la delibera oggetto di conflitto.

Ciò posto in punto di fatto, la Corte di appello di Brescia osserva che le frasi di cui si tratta non paiono connesse con atti tipici della funzione parlamentare, non sussistendo alcun collegamento tra quest’ultima ed il commento svolto, nel corso di una trasmissione televisiva, sulle vicende giudiziarie del Confalonieri; d’altra parte, la stessa difesa dell’imputato non aveva prodotto alcun atto idoneo a dimostrare che lo Sgarbi si fosse interessato della menzionata vicenda processuale in veste di parlamentare. Inoltre, anche alla luce della sentenza n. 120 del 2004 di questa Corte, (che ha chiarito la portata e l’esatta interpretazione della legge n. 140 del 2003), il contenuto delle dichiarazioni rese dal deputato non consente, di per sé, di ricondurle all’esercizio delle funzioni parlamentari, tanto più che le dichiarazioni sono nel caso «piuttosto riconducibili alla libera manifestazione del pensiero garantita ad ogni cittadino». Il riferimento, contenuto anche nella delibera impugnata, al tema del finanziamento dei partiti politici, oggetto di ampia discussione in Parlamento, non sembra alla Corte di appello pertinente, giacché la trasmissione televisiva in questione non verteva affatto su questo argomento, essendo piuttosto centrata sulla critica dell’operato della magistratura inquirente, nella specie identificata col dottor Ielo. E se è vero che l’art. 3 della citata legge n. 140 del 2003 ricomprende nella prerogativa dell’immunità anche le attività di divulgazione, di critica e di denuncia politica, è altrettanto vero che esse debbono risultare connesse con l’esercizio delle funzioni parlamentari.

In base a tali considerazioni la Corte bresciana ritiene illegittima la delibera di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati e «solleva conflitto di attribuzione in ordine al corretto uso del potere di decidere sulla sussistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione», così come esercitato dalla Camera nella delibera citata.

2.–– Il conflitto così proposto è stato dichiarato ammissibile da questa Corte con ordinanza n. 294 del 2005, depositata in data 19 luglio 2005. Tale provvedimento, comunicato al ricorrente, è stato da questi notificato alla Camera dei deputati, unitamente al ricorso, il 4 agosto 2005 ed il successivo deposito presso la cancelleria di questa Corte è avvenuto, a mezzo posta, l’11 agosto 2005.

3.–– Si è costituita la Camera dei deputati, preliminarmente eccependo la inammissibilità ovvero l’improcedibilità del ricorso, in quanto carente sotto il profilo della prospettazione del petitum, avendo la Corte bresciana omesso di rivolgere alla Corte costituzionale la richiesta di annullamento dell’atto lesivo. Inoltre la difesa della Camera dei deputati dubita che la mera menzione dell’art. 68, primo comma, della Costituzione – che si legge in ricorso – possa integrare l’onere di indicazione delle norme costituzionali che regolano la materia, e che sarebbero state violate.

Nel merito la difesa contesta l’affermazione, avanzata nell’atto introduttivo, che la non operatività della garanzia costituzionale di cui si parla debba discendere dal fatto che nella specie «le opinioni diffuse attraverso la trasmissione televisiva costituivano un commento, avente carattere di immediatezza, alle notizie di cronaca giudiziaria divulgate dalla stampa quotidiana che l’on. Sgarbi diffondeva ai propri ascoltatori nella veste di opinionista o di notista politico e non certo in quella di membro del parlamento». Sarebbe infatti da escludere che  l’esposizione di opinioni politiche al di fuori dell’ambito parlamentare comporti di per sé la dismissione dello status di deputato e delle garanzie che vi si accompagnano. Dalla stessa giurisprudenza costituzionale potrebbe argomentarsi che il nesso tra le opinioni espresse e l’attività politico-parlamentare non venga infranto ut sic dal ruolo svolto da chi quelle medesime opinioni abbia ritenuto di esprimere.

Ad avviso della Camera, le dichiarazioni per le quali si nega il nesso funzionale troverebbero, invece, riscontro nell’attività politico-parlamentare.

Quanto alla critica rivolta al modo di procedere della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, in riferimento a tutti i magistrati che ne facevano parte, vengono richiamati gli atti posti in essere dall’on. Sgarbi, tra i quali l’intervento in aula nella seduta del 25 ottobre 1995, nel corso del quale il deputato esponeva opinioni duramente critiche nei confronti di «quei magistrati che – ad avviso dell’interveniente – tengono in carcere per mille giorni un uomo senza ragione» e, per di più, faceva un puntuale ed esplicito riferimento al dott. Ielo a proposito dei metodi (ritenuti) discutibili di magistrati «ambiziosi di potere, di gloria, di vantaggio politico».

Con riguardo poi alla notazione critica relativa alla (ritenuta) ostilità della stessa Procura della Repubblica nei confronti di un determinato gruppo aziendale, la difesa richiama l’interrogazione n. 3/00189, presentata il 1° agosto 1994, in cui si parla di «metodi arbitrari e meramente inquisitori che nulla hanno a che fare con la civiltà del diritto, ma richiamano piuttosto alla mente altre epoche e altri modelli di giudici inquisitori». E’, inoltre, citata l’interrogazione n. 3/00190, sempre presentata il 1° agosto 1994, nella quale si denunzia  la «insanabile e oggettiva conflittualità del pool di mani pulite con la Fininvest», per cui si richiede il trasferimento d’ufficio della inchiesta denominata come sopra «dalla Procura di Milano a quella della città più vicina (Brescia) anche e soprattutto per fugare ogni dubbio e permettere una continuazione serena, incontrovertibile, dell’inchiesta» (sulla medesima linea argomentativa, si richiamano anche le interrogazioni n. 3/00191, ugualmente presentata il 1° agosto 1994, e n. 4/10497, presentata il 31 maggio 1995).

Qualora si prenda in esame la denunzia riguardante le disparità di trattamento, ad opera della Procura milanese, che sarebbero venute alla luce nel corso della inchiesta giudiziaria sul finanziamento illecito dei partiti (nelle frasi incriminate si parla di «due pesi e due misure» con riferimento alla posizione degli organi inquirenti nei confronti, rispettivamente, di PSI e PCI), appare alla difesa della Camera innegabile che siffatta denunzia incarni un tema di fondo dell’impegno politico-parlamentare del deputato di cui si tratta. Del resto, il tentativo del giudice ricorrente di negare che la questione del finanziamento dei partiti, e delle sue implicazioni giudiziarie, fosse «il nucleo del tema trattato dall’on. Sgarbi in corso di trasmissione» sarebbe in contraddizione con l’ammissione dello stesso giudice secondo la quale il tema del finanziamento dei partiti è stato «ampiamente trattato dal Parlamento», con ciò che dovrebbe conseguirne sotto l’aspetto della sussistenza, nella specie, dei requisiti per l’attivazione della garanzia della insindacabilità. Al riguardo si richiama l’interrogazione n. 4/04801, presentata in data 4 novembre 1994, dove si stigmatizza fortemente – fino ad ipotizzarsi, nella visuale critica dell’interrogante, il reato di omissione di atti d’ufficio – che, per motivi di «opportunità politica», si sia ritardata l’inchiesta giudiziaria sulla situazione finanziaria del PCI-PDS. Altrettanto significativo sarebbe l’intervento nella seduta della Camera dei deputati del 2 agosto 1994, in cui si parla esplicitamente, con riferimento al tema del finanziamento ai partiti, di «giustizia strabica, stranamente strabica».

D’altra parte, anche gli interventi di altri parlamentari – dettagliatamente elencati dalla difesa della Camera – testimonierebbero circa la «piena appartenenza al dibattito politico-parlamentare del ventaglio dei motivi critici enunciati nelle opinioni sulle quali verte il presente conflitto». In conclusione si chiede che la Corte costituzionale affermi la spettanza alla Camera dei deputati del potere di dichiarare l’insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, comma primo, Cost., delle opinioni espresse dal deputato di cui si tratta.

4.–– In prossimità dell’udienza la Camera dei deputati ha depositato una memoria nella quale, oltre a ribadire le deduzioni già avanzate nell’atto di costituzione, ha prospettato un ulteriore motivo di improcedibilità del conflitto per asserita tardività del deposito del ricorso, desunta dal fatto che esso è avvenuto dopo lo scadere del termine di venti giorni di cui all’art. 26, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, che dovrebbe farsi decorrere dal momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario ai fini della notifica a mezzo posta, in quanto in base alla giurisprudenza della Corte costituzionale questo è il momento in cui la notifica si deve considerare perfezionata per il notificante.

Considerato in diritto

1.–– La Corte d’appello di Brescia ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla delibera del 27 ottobre 2004 (doc. IV-quater, n. 77), con la quale l’Assemblea ha approvato la proposta della Giunta per le autorizzazioni di dichiarare che i fatti per i quali il deputato Vittorio Sgarbi è sottoposto a processo penale per il delitto di diffamazione a mezzo stampa del magistrato Paolo Ielo, all’epoca sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, costituivano opinioni espresse dall’imputato nell’esercizio delle funzioni di parlamentare ed erano quindi insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Il ricorrente espone che, secondo l’accusa, nel corso della trasmissione televisiva “Sgarbi quotidiani” del 28 dicembre 1995, il deputato, nel riferire che il presidente di una società televisiva era stato assolto dalla imputazione di finanziamento illecito di partiti politici per aver eseguito forniture gratuite, avrebbe testualmente detto quanto segue: «Viene fuori che si è condotta un’inchiesta per due anni infamando una persona, in questo caso Confalonieri, soltanto con riferimento a quanto egli aveva versato o aveva dato attraverso gli stand al partito socialista. Fino ad oggi quell’accusa era una responsabilità ed era un fatto. Per la stessa cosa fatta da Confalonieri con il partito comunista non si era aperta l’inchiesta. Il che cosa vuol dire? Vuol dire due pesi e due misure. Vuol dire proteggere il partito comunista e per lo stesso reato non iniziare neanche il procedimento, il quale dopo due anni finisce con il proscioglimento. Ma sono due anni in cui tu sei ritenuto un criminale, in cui sei un inquisito. Ma se hai dato soldi al partito comunista italiano non si apre neanche l’inchiesta. Se tu hai dato soldi al PSI si apre l’inchiesta e se non trovi un giudice coraggioso che archivia, che proscioglie, vieni processato. E’ una cosa intollerabile. Perché il sospetto e l’accusa per due anni hanno fatto ritenere Confalonieri colpevole di aver dato soldi al PSI che vuol dire partito dei ladri, partito di Craxi. La stessa azione per il partito comunista non ha dato adito neppure all’inizio dell’azione penale: questo è intollerabile. Io qui ho voluto ricordare come un esempio di cattiva giustizia di cui, naturalmente, il magistrato è il pubblico ministero Ielo».

A seguito di querela di quest’ultimo era stato instaurato procedimento penale e il deputato era stato condannato dal Tribunale di Brescia.

Avendo egli proposto appello ed essendo entrata in vigore la legge n. 140 del 2003, gli atti erano stati trasmessi alla Camera dei deputati che aveva emesso la deliberazione suddetta.

Secondo la Corte ricorrente, la delibera costituisce invasione nella propria sfera di attribuzioni costituzionali, in quanto le opinioni del deputato sono state da lui espresse in veste di opinionista e conduttore televisivo e senza alcuna corrispondenza con l’attività parlamentare.

2.–– Il conflitto è stato dichiarato ammissibile con ordinanza n. 294 del 2005 che, unitamente al ricorso, è stato notificata alla Camera il 4 agosto 2005 e depositata a mezzo posta il giorno 11 agosto 2005.

3.–– Si è costituita in giudizio la Camera dei deputati la quale in primo luogo ha eccepito la inammissibilità del ricorso per non essere stato richiesto l’annullamento della delibera d’insindacabilità e per l’insufficienza del richiamo all’art. 68 Cost., e, con la memoria presentata in prossimità dell’udienza, anche l’improcedibilità per tardività del deposito rispetto alla data di consegna degli atti all’ufficiale giudiziario per la notifica.

Nel merito, la Camera sostiene l’infondatezza del ricorso per conflitto di attribuzione, in quanto le opinioni manifestate dal deputato durante la trasmissione televisiva costituivano divulgazione di atti parlamentari tipici da lui compiuti, quali l’intervento in aula del 25 ottobre 1995, nonché le interrogazioni nn. 00189, 00190, 00191 presentate il 1° agosto 1994 e l’interrogazione n. 4/10497 del 31 maggio 1995.

4.–– In via preliminare si rileva l’infondatezza delle eccezioni di inammissibilità e improcedibilità.

Riguardo alle prime si osserva che dall’atto introduttivo valutato nel suo complesso emerge la denuncia che la delibera d’insindacabilità emessa dalla Camera dei deputati costituisce lesione delle attribuzioni costituzionali proprie dell’organo giurisdizionale e che per porvi rimedio viene sollevato il conflitto di attribuzione, procedimento tipico che necessariamente deve concludersi con la dichiarazione di spettanza o non spettanza del potere in contestazione.

Il riferimento alla violazione dell’art. 68 della Costituzione, anche a voler trascurare altre considerazioni, è sufficiente a soddisfare la prescrizione di legge.

Si tratta di principi da tempo costantemente applicati e che vanno ribaditi.

Parimenti infondata è l’eccezione d’improcedibilità sollevata sull’assunto che il termine per il deposito dovrebbe farsi decorrere dalla data di consegna dell’atto per la notifica. E’ sufficiente, infatti, osservare che il deposito concerne l’atto con la prova dell’avvenuta notifica e non con la semplice richiesta di notifica.

Se, poi, la tesi della difesa della Camera si sostanziasse nell’assunto che comunque il termine per il deposito comincia a decorrere dalla consegna dell’atto per la notifica, anche se il deposito non può avvenire che a notifica eseguita, essa riprodurrebbe, aggravandolo, l’inconveniente consistente nel far ricadere su un soggetto lesioni del proprio diritto di difesa quali conseguenze di inadempienze di altri, inconveniente cui questa Corte ha posto rimedio con le sentenze n. 477 del 2002 e n. 28 del 2004 cui la difesa della Camera dei deputati sembra far implicito, ma non pertinente, riferimento.

5.–– Nel merito, il ricorso è fondato.

Nessuno degli atti tipici indicati dalla difesa della Camera dei deputati si riferisce all’episodio oggetto delle dichiarazioni asseritamente diffamatorie, concernente la incriminazione del presidente di una società televisiva, della quale si affermava la pretestuosità. Né il collegamento con un atto parlamentare può essere rinvenuto nella identità del magistrato autore dell’asserito abuso, ritenuto in un atto tipico responsabile anche di altre illegalità. Così come il collegamento non può essere riconosciuto nell’asserita uniformità di manifestazioni avverse alla società televisiva in questione. Infatti, con le opinioni incriminate oggetto della delibera impugnata, il deputato non ha denunciato tale avversione, quanto piuttosto il favore verso un partito politico e l’ostilità verso altro partito tali da condurre un ufficio giudiziario a strumentalizzare i propri poteri differenziandone le modalità di esercizio pur in presenza di condotte analoghe da parte della stessa società televisiva.

In realtà, il legame delle opinioni oggetto della delibera con altre espresse in sedi parlamentari concerne una qualche uniformità di temi politici, uniformità che, come questa Corte ha più volte affermato, non è idonea a far ritenere le opinioni manifestate extra moenia come divulgazione di atti parlamentari e quindi legate all’attività parlamentare da nesso funzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spettava alla Camera dei deputati affermare che le dichiarazioni rese dal deputato Vittorio Sgarbi, per le quali è pendente davanti alla Corte di appello di Brescia il procedimento penale per il delitto di diffamazione a mezzo stampa indicato in epigrafe, riguardano opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

annulla, per l’effetto, la deliberazione di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 27 ottobre 2004 (doc. IV-quater, n. 77).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 ottobre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore