Ordinanza n. 337 del 2007

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ORDINANZA N. 337

ANNO 2007

 

Commento alla decisione di

Alessandro Russo

I “metodi” antiterrorismo al vaglio della Corte costituzionale, brevi riflessioni sulla decisione n. 337 del 2007 e sulla riforma del segreto di Stato

 

(per gentile concessione della Rivista elettronica Amministrazione in cammino)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                                       Presidente

- Giovanni Maria         FLICK                                     Giudice

- Francesco                 AMIRANTE                                 "

- Ugo                          DE SIERVO                                 "

- Paolo                        MADDALENA                             "

- Alfio                        FINOCCHIARO                           "

- Alfonso                    QUARANTA                                "

- Luigi                        MAZZELLA                                 "

- Gaetano                    SILVESTRI                                  "

- Maria Rita                SAULLE                                      "

- Giuseppe                  TESAURO                                    "

- Paolo Maria              NAPOLITANO                              "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione alla nota (prot. n. USG/2.SP/813/50/347) del 26 luglio 2006 a firma del Presidente del Consiglio dei ministri, on. Romano Prodi; alla nota (prot. n. USG/2.SP/1318/50/347) dell’11 novembre 2005 a firma del Presidente del Consiglio dei ministri, on. Silvio Berlusconi; alla nota per la stampa del 5 giugno 2007 dell’Ufficio Stampa e del Portavoce del Presidente del Consiglio dei ministri, on. Romano Prodi, ed alla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 luglio 1985, n. 2001.5/707, in materia di tutela del segreto di Stato nel settore degli Organismi di informazione e di sicurezza, promosso con ricorso depositato in cancelleria il 12 giugno 2007 ed iscritto al n. 6 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2007, fase di ammissibilità.

Udito nella camera di consiglio del 26 settembre 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che, con ricorso depositato il 12 giugno 2007, la «Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, in persona del Procuratore della Repubblica», ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del «Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore», in relazione alla nota n. USG/2.SP/813/50/347 del 26 luglio 2006, con la quale – con riferimento alla vicenda del sequestro di persona di Nasr Osama Mustafa Hassan, alias Abu Omar, avvenuto in Milano il 17 febbraio 2003 – l’attuale Presidente del Consiglio dei ministri, on. Romano Prodi, comunicava alla Procura della Repubblica di Milano che su tutti i «fatti concernenti il sequestro», sulle vicende «che lo hanno preceduto» e «in generale [su] tutti i documenti, informative o atti relativi alla pratica delle c.d. “renditions”» era stato apposto il segreto di Stato da parte del precedente Presidente del Consiglio, on. Silvio Berlusconi, e che tale segreto era stato «successivamente confermato dallo scrivente»; nonché in relazione alla nota n. USG/2.SP/1318/50/347 dell’11 novembre 2005 del Presidente del Consiglio dei ministri, on. Silvio Berlusconi; ed in relazione alla Nota per la stampa del 5 giugno 2007 dell’Ufficio Stampa e del Portavoce del Presidente del Consiglio, on. Romano Prodi, e, «per quanto possa occorrere», alla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 30 luglio 1985 n. 2001.5/707;

che il ricorrente ricostruisce le circostanze di fatto da cui origina il conflitto evidenziando, in particolare, che la Procura della Repubblica di Milano – nel corso delle indagini preliminari svolte in relazione al citato sequestro di persona – aveva richiesto ai Direttori del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI) e del Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica (SISDE) di comunicare se, in base ad accordi con la CIA, questa fosse tenuta a comunicare ai servizi italiani la presenza nel territorio nazionale di personale dipendente e se i Servizi stessi avessero intrattenuto rapporti, con riferimento al suddetto sequestro, con personale dipendente della CIA presente in Italia;

che, con la citata nota dell’11 novembre 2005, l’allora Presidente del Consiglio, on. Silvio Berlusconi, aveva affermato, tra l’altro, di voler accogliere la richiesta di «fornire gli elementi di informazione richiesti nella misura in cui gli stessi risultavano partecipabili all’Autorità Giudiziaria», ribadendo, tuttavia, l’«indefettibile dovere istituzionale [di] salvaguardare, nei modi e nelle forme normativamente previsti, la riservatezza di atti, documenti, notizie e ogni altra cosa sia idonea a recar danno agli interessi protetti» dall’art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801 (Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato);

che nello svolgimento di ulteriori attività di indagine – quali l’esame di persone informate dei fatti e le intercettazioni telefoniche – non era stato mai opposto il segreto di Stato;

che la Procura milanese aveva disposto una perquisizione negli uffici del SISMI, siti nella via Nazionale, n. 230, di Roma, in uso ad un funzionario di tale Servizio – eseguita il 5 luglio 2006 e conclusasi con il sequestro di materiale informatico e di documentazione – e che neppure in questo caso era stato opposto alcun segreto di Stato: ed anzi, con missiva dell’11 luglio 2006, il Direttore del SISMI aveva confermato l’inesistenza dell’apposizione del segreto di Stato ai fatti relativi al sequestro di persona di Abu Omar;

che, tuttavia, il medesimo Direttore del SISMI, successivamente sottoposto ad interrogatorio in qualità di indagato, aveva confermato che la vicenda de qua non era coperta da segreto di Stato, ma che, ciò nonostante, gli risultava impossibile fornire la prova della propria estraneità ai fatti oggetto della contestazione senza il riferimento a documenti, non ulteriormente precisati, coperti da segreto di Stato;

che, in esito a tale dichiarazione, la Procura della Repubblica di Milano aveva quindi richiesto al Ministro della difesa, con missiva del 18 luglio 2006, la trasmissione di tutti i documenti, informative o atti relativi al sequestro di persona in oggetto e, più in generale, alla pratica delle cosiddette renditions, vale a dire dei sequestri e trasferimenti di sospetti terroristi al di fuori delle procedure legali, e, con altra missiva in pari data, aveva richiesto al Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione all’effettiva esistenza di tali atti e alla loro secretazione, di «valutare l’opportunità» di revocare l’apposizione del segreto medesimo;

che, con nota del 26 luglio 2006, il Presidente del Consiglio dei ministri aveva rilevato che, in ordine alla documentazione richiesta, «risulta effettivamente apposto il segreto di Stato dal precedente Presidente del Consiglio dei ministri»; che il segreto stesso «è stato successivamente confermato dallo scrivente»; e che non «sussistono, nell’attuale contesto, le condizioni per rimuovere il segreto di Stato da detta documentazione»;

che, a sua volta, il Ministro della difesa, con missiva del 27 luglio 2006, si era adeguato alla risposta del Presidente del Consiglio, dichiarandosi vincolato al segreto di Stato;

che il ricorrente afferma ancora che la Procura della Repubblica di Milano, a fronte delle citate comunicazioni, «non formulava alcun interpello ai sensi dell’art. 202 del codice di procedura penale o dell’art. 256 dello stesso codice, ritenendo gli elementi eventualmente acquisibili non essenziali per la definizione del processo, ed avendo già raccolto elementi di prova ritenuti sufficienti per esercitare l’azione penale»; tale azione era stata esercitata con la richiesta di rinvio a giudizio, cui era seguito, in esito all’udienza preliminare, il decreto che disponeva il giudizio per tutti gli imputati, in data 16 febbraio 2007; 

che, successivamente, il Presidente del Consiglio dei ministri aveva proposto conflitto nei confronti della Procura della Repubblica di Milano (conflitto dichiarato ammissibile con l’ordinanza n. 124 del 2007) ed, al riguardo, l’odierno ricorrente evidenzia come, già nella memoria di costituzione in giudizio, si fosse ritenuta la menzionata nota del 26 luglio 2006 doppiamente lesiva delle attribuzioni costituzionali della Procura: in primo luogo, perché tale documento farebbe retroagire «il segreto sui fatti di causa all’11 novembre 2005 o ad altra data anteriore ancorché sconosciuta», così pretendendo di «incidere sulla celebrazione e/o sull’esito del processo» in corso; in secondo luogo, perché l’apposizione del segreto di Stato da parte del Presidente del Consiglio sui fatti concernenti il sequestro di Abu Omar e su tutti i documenti, informative o atti relativi alle cosiddette extraordinary renditions, renderebbe comunque più difficoltosa «l’effettuazione di ulteriori indagini della Procura di Milano» su tali fatti;

che, infine, l’Ufficio Stampa e del Portavoce della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 5 giugno del 2007, aveva diffuso una nota nella quale per un verso, in palese contrasto con quanto contenuto nella nota del 26 luglio 2006, si affermava che «sul fatto “rapimento Abu Omar” del 17/2/03 non esiste agli atti del SISMI nessun documento quindi nessun segreto di Stato»; per altro verso, si precisava come  la nota dell’11 novembre 2005 andasse intesa nel senso che il segreto di Stato veniva apposto «su tutti i documenti riguardanti la politica di difesa contro il terrorismo dopo l’11 settembre 2001», così comprendendo «ovviamente, anche il delicato capitolo riguardante il rapporto con gli alleati»;

che – ciò premesso in fatto – la Procura ricorrente rileva, quanto all’ammissibilità del ricorso sotto il profilo soggettivo, come per giurisprudenza costituzionale consolidata, sia da ritenersi pacifica tanto la legittimazione attiva del Procuratore della Repubblica, quanto quella passiva del Presidente del Consiglio dei ministri;

che, con riferimento all’ammissibilità sotto il profilo oggettivo, il ricorrente assume che – quale che sia la possibile interpretazione della missiva del Presidente del Consiglio del 26 luglio 2006 – in ogni caso «verrebbe genericamente impedita al pubblico ministero l’acquisizione e l’utilizzazione di tutte le informazioni e di tutti i documenti anche quando non vi sia un’esplicita apposizione ed opposizione di segreto»; con conseguente menomazione delle attribuzioni costituzionali del pubblico ministero;

che, nel merito, il ricorrente denuncia, con un primo motivo di ricorso, la violazione, negli atti contestati, del divieto di coprire con il segreto di Stato fatti eversivi dell’ordine costituzionale, in contrasto con l’art. 12, secondo comma, della legge n. 801 del 1977;

che tale sarebbe, infatti, la configurazione dei gravissimi reati oggetto del procedimento penale (che si iscrivono nel più ampio fenomeno delle cosiddette extraordinary renditions), in quanto contrari ai principi supremi dell’ordinamento e, tra questi, alle norme che garantiscono i diritti inviolabili dell’uomo e, in particolare, a quelle che preservano da «ogni violenza fisica o morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà personale», secondo il disposto dell’art. 13, quarto comma, Cost.;

che, con un secondo motivo, il ricorrente denunzia – adducendo il vizio di «eccesso di potere per errore o falsità dei presupposti» – l’illegittimità della missiva del 26 luglio 2006 del Presidente del Consiglio «perché falsamente afferma che il segreto di Stato sui fatti connessi al rapimento di Abu Omar sarebbe stato apposto dal suo predecessore»: invero, nella nota dell’11 novembre 2005, il Presidente del Consiglio dell’epoca, on. Silvio Berlusconi, non aveva affatto inteso «coprire con il segreto di Stato i fatti preparatori, connessi e conseguenti al sequestro di Abu Omar» e sotto tale profilo la successiva nota del 26 luglio 2006 sarebbe appunto illegittima «in quanto in essa si afferma una cosa che non risponde a verità»;

che nondimeno – prosegue il ricorrente –  se la nota del Presidente Berlusconi dovesse essere intesa come appositiva del segreto, essa risulterebbe «illegittima ed inefficace» e, comunque, mai comunicata all’autorità giudiziaria; con la conseguenza che «il Presidente Prodi avrebbe fatto assai male a confermarla, coinvolgendo la sua responsabilità politica»;

che, con un terzo motivo di ricorso, assumendo la violazione dell’art. 16 della legge n. 801 del 1977, il ricorrente si duole della mancata enunciazione delle ragioni essenziali dell’apposizione del segreto di Stato in entrambe le note della Presidenza del Consiglio (dell’11 novembre 2005 e del 26 luglio 2006);

che il ricorrente evidenzia, infatti, come non solo sia incerta, per le ragioni esposte, l’apposizione del segreto sulla vicenda del sequestro di Abu Omar, ma sarebbe in ogni caso dubbia – qualora si ritenesse avvenuta tale apposizione – l’individuazione dei soggetti che vi avevano provveduto e delle relative modalità;

che in ogni caso – prosegue il ricorrente, enunciando il quarto motivo delle proprie censure – l’apposizione del segreto non potrebbe avere valore retroattivo «qualora si pretenda che l’apposizione del segreto del 26 luglio 2006 costituisca la conferma di una precedente segretazione, effettuata il 25 novembre 2005 [recte: 11 novembre 2005] o comunque in altra data»;

che infatti, secondo il ricorrente, la missiva del 26 luglio 2006 non fa alcun riferimento alla documentazione sequestrata presso l’ufficio del SISMI di via Nazionale, riferendosi esclusivamente alla documentazione richiesta al Ministro della difesa: nondimeno – sostenendosi da parte del Presidente del Consiglio la tesi della precedente apposizione, con la nota dell’11 novembre 2005, del segreto medesimo e della successiva conferma – esso estenderebbe la secretazione, retroattivamente, «a tutti i documenti e a tutte le notizie già acquisite dal P.M. relativi al sequestro Abu Omar e, in generale, alla pratica delle c.d. renditions»;

che, infine, nel ricorso si assume – quale quinto ed ultimo motivo di doglianza – la violazione del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, posto che dalla pretesa del Presidente del Consiglio dei ministri di coprire con il segreto di Stato, giustificato sulla base dei «rapporti con gli alleati», tutte le vicende connesse al rapimento di Abu Omar, deriverebbe una menomazione delle attribuzioni costituzionali del pubblico ministero, incidendosi sull’esercizio della funzione dell’organo dell’accusa e, dunque, sul principio di obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.);

che, alla luce di tali censure, il ricorrente ha concluso chiedendo, in via istruttoria, che venga ordinata al Presidente del Consiglio dei ministri l’esibizione della direttiva 30 luglio 1985, n. 2001.5/707, e «di ogni altro atto con cui il segreto in questione sarebbe stato apposto» e, nel merito, che la Corte dichiari che non spetta al Presidente del Consiglio dei ministri – con riferimento al sequestro di persona di Nasr Osama Mustafa Hassan, alias Abu Omar, avvenuto in Milano il 17 febbraio 2003 – «disporre la segretazione di atti e notizie riguardanti le modalità progettuali, organizzative ed esecutive del suo rapimento, in quanto esse costituiscono “fatti eversivi dell’ordine costituzionale”»; e che, comunque, non spetta al Presidente del Consiglio «segretare notizie e documenti sia genericamente, sia immotivatamente, sia retroattivamente»; con conseguente richiesta di annullamento «in parte qua» delle note dell’11 novembre 2005 e del 26 luglio 2006 «e, se del caso,» della direttiva del Presidente del Consiglio 30 luglio 1985, n. 2001.5/707, nonché della Nota per la stampa del 5 giugno 2007 dell’Ufficio Stampa e del Portavoce del Presidente del Consiglio, Romano Prodi.

Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte costituzionale è chiamata a delibare senza contraddittorio in ordine all’ammissibilità del conflitto di attribuzione, sotto il profilo della sussistenza della «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza»;

che, quanto alla sussistenza dei requisiti soggettivi, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano è legittimato a sollevare conflitto, in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte che riconosce al pubblico ministero la legittimazione ad essere parte di conflitti di attribuzione tra poteri, in quanto, ai sensi dell’art. 112 della Costituzione, titolare diretto ed esclusivo dell’attività di indagine finalizzata all’esercizio obbligatorio dell'azione penale (da ultimo, ordinanze n. 124 del 2007, n. 73 del 2006 e n. 404 del 2005);

che deve essere affermata anche la legittimazione a resistere nel conflitto del Presidente del Consiglio dei ministri, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene in ordine alla tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato alla stregua delle norme costituzionali che ne definiscono le attribuzioni e della legge 24 ottobre 1977, n. 801 (da ultimo, ordinanze n. 124 e n. 125 del 2007, n. 404 del 2005);

che, con riferimento ai presupposti oggettivi, il ricorso è indirizzato a garanzia della sfera di attribuzioni determinata da norme costituzionali, lamentando il ricorrente Procuratore della Repubblica la lesione di funzioni riconducibili all’art. 112 della Costituzione (da ultimo, ordinanze n. 73 del 2006 e n. 404 del 2005 sopra richiamate);

che questa preliminare valutazione, adottata prima facie ed in assenza di contraddittorio, lascia impregiudicata ogni ulteriore e diversa determinazione relativamente anche ai profili attinenti alla stessa ammissibilità del ricorso, avuto riguardo, fra l’altro, alla specifica natura delle lesioni prospettate dal ricorrente e degli atti impugnati;

che pertanto, allo stato, va dichiarata l’ammissibilità del ricorso, tanto sotto il profilo oggettivo, che sotto quello soggettivo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso in epigrafe;

dispone:

a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza al ricorrente Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano;

b) che, a cura del ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati al Presidente del Consiglio dei ministri entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati nella cancelleria di questa Corte entro il termine di venti giorni dalla notificazione, a norma dell’art. 26, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 settembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 26 settembre 2007.