Sentenza n. 289 del 2007

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SENTENZA N. 289

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                    BILE                      Presidente

- Giovanni Maria       FLICK                    Giudice

- Francesco               AMIRANTE                "

- Ugo                               DE SIERVO                      "

- Paolo                      MADDALENA            "

- Alfio                      FINOCCHIARO           "

- Franco                    GALLO                       "

- Luigi                      MAZZELLA                "

- Gaetano                  SILVESTRI                 "

- Sabino                    CASSESE                     "

- Maria Rita             SAULLE                      "

- Giuseppe                 TESAURO                  "

- Paolo Maria            NAPOLITANO            "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 5, della legge 1° febbraio 2006, n. 43 (Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali), promosso con ricorso della Regione Campania notificato il 13 aprile 2006, depositato in cancelleria il 19 aprile 2006 e iscritto al n. 54 del registro ricorsi 2006.

       Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

       udito nell’udienza pubblica del 19 giugno 2007 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

       uditi l’avvocato Roberto Nania per la Regione Campania e l’avvocato dello Stato Alessandro De Stefano per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso del 7 aprile 2006, notificato alla Presidenza del Consiglio dei ministri in data 13 aprile 2006, la Regione Campania ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 32, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dell’art. 2, comma 5, della legge 1° febbraio 2006, n. 43 (Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali), nella parte in cui, integrando la disposizione contenuta nell’art. 3-bis, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), prevede fra i requisiti di cui debbono essere in possesso gli aspiranti direttori generali delle Aziende sanitarie locali, in alternativa alla esperienza quinquennale a livello dirigenziale, l’aver espletato «mandato parlamentare di senatore o deputato della Repubblica nonché di consigliere regionale».

1.1. – La ricorrente Regione deduce i seguenti tre motivi di illegittimità:

a) la disposizione sarebbe illegittima in quanto suo tramite lo Stato interverrebbe sulla gestione e sui meccanismi operativi e di funzionamento delle Aziende sanitarie che – precisa la Regione anche sulla scorta di molteplici punti di riferimento legislativi – sono «enti strumentali delle Regioni», attraverso i quali le medesime «assicurano i livelli essenziali di assistenza». Aggiunge la ricorrente che, trattandosi di enti regionali, la organizzazione dei medesimi, compresa la disciplina su nomina e valutazione degli organi di gestione, rientra nella competenza legislativa residuale delle Regioni ai sensi dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione. Significativo sarebbe sul punto il fatto che il testo riformato della Costituzione, mentre non prevede più fra le competenze legislative concorrenti la materia dell’ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione, prevede, viceversa, fra le competenze esclusive dello Stato l’ordinamento e l’organizzazione di quest’ultimo e degli enti pubblici nazionali. Da ciò la ricorrente deduce che, in questa materia, l’ambito di competenza statale è limitato ai soli apparati organizzativi centrali, restando attribuita alla competenza residuale delle Regioni, ai sensi del quarto comma dell’art. 117 della Costituzione, la legislazione sull’organizzazione degli enti regionali;

b) la censurata previsione normativa si caratterizzerebbe anche per essere irragionevole, il che, secondo l’avviso della Regione, determinerebbe anche una lesione della sua sfera di competenza. Sostiene, infatti, la Regione che, se la norma esprimesse principi fondamentali della materia, essi dovrebbero essere volti, in un’ottica di massimizzazione della tutela della salute, ad assicurare il possesso in capo a chi abbia compiti di responsabilità della Azienda sanitaria di adeguate conoscenze ed esperienze nel settore sanitario; ove tali finalità siano disattese si determinerebbe una lesione della capacità di organizzazione della Regione. La ricorrente evidenzia, altresì, come la norma impugnata si ponga in contrasto con l’impianto normativo di riferimento, costituito dal d.lgs. n. 502 del 1992 e dal decreto-legge 27 agosto 1994, n. 512 (Disposizioni urgenti in materia di organizzazione delle unità sanitarie locali), convertito con legge 17 ottobre 1994, n. 590, in base al quale, per la selezione del personale direttivo delle Aziende sanitarie, va privilegiata la pregressa esperienza gestionale;

c) l’ulteriore censura, articolata dalla Regione ricorrente con riferimento alla violazione del principio della leale collaborazione, attiene al fatto che, seppure si volesse ritenere che, anche successivamente alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), non vi sia stata alcuna modifica di competenza legislativa relativamente alla materia interessata dalla disposizione in questione, tuttavia, tenuto conto che fin dal 1998 vi era stato un ampio trasferimento di funzioni amministrative nella materia della tutela della salute, sarebbe stato necessario, secondo quanto previsto anche dall’art. 124 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), che la modifica della disciplina legislativa concernente il conferimento degli incarichi dirigenziali nelle Aziende sanitarie fosse stata preceduta da una intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni     

2. – Con atto del 29 aprile 2006 si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la inammissibilità della questione, sotto il profilo della dedotta irragionevolezza della norma, e per la infondatezza, quanto agli altri profili.

Ad avviso della difesa erariale, infatti, la disposizione oggetto del quesito di costituzionalità trova il suo fondamento nella previsione di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, la quale attribuisce al legislatore statale la competenza sulla determinazione del livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

Posto, infatti, che la disposizione impugnata integra l’art. 3-bis del d.lgs. n. 502 del 1992, il quale, al precedente art. 1, definisce il diritto alla salute come un diritto fondamentale dell’individuo, aggiungendo che funzione del Servizio sanitario nazionale è, fra l’altro, quella di assicurare «i livelli essenziali di assistenza», la difesa dello Stato rammenta come la giurisprudenza della Corte abbia chiarito  che in argomento non esiste una sola “materia” di competenza, essendo, invece, detta competenza idonea ad investire trasversalmente tutte le materie, senza che la legge regionale possa costituire un limite per il legislatore statale.

Subordinatamente, secondo l’avviso della Avvocatura, ove la norma in questione fosse attinente all’ambito materiale della tutela della salute, ricadente nella competenza legislativa concorrente, la sua legittimità deriverebbe dal suo essere una disposizione di principio.

E', infatti, indubbio che la individuazione dei requisiti per rivestire qualifiche direttive negli organi delle Aziende sanitarie è compito del legislatore nazionale, non essendo ipotizzabile, attesa la rilevanza degli interessi primari coinvolti, che la relativa disciplina possa ricadere nell’ambito della «discrezionalità di ciascun legislatore regionale».

3. – Nella imminenza dell’udienza pubblica sia la difesa della Regione Campania che la Avvocatura dello Stato hanno depositato brevissime memorie illustrative, nelle quali ambedue danno atto della avvenuta soppressione  – per effetto della entrata in vigore dell’art. 1, comma 24-novies, del decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181 (Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio e dei Ministeri), convertito con legge 17 luglio 2006, n. 233 – delle parole inserite nel testo dell’art. 3-bis, comma 3, lettera b), del d.lgs. n. 502 del 1992, per effetto del censurato art. 2, comma 5, della legge n. 43 del 2006.

Le parti costituite, pertanto, hanno chiesto che sia dichiarata la cessazione della materia del contendere.

La Regione Campania ha, altresì, aggiunto che la norma censurata non ha avuto, nel suo territorio, applicazione alcuna.

Considerato in diritto

1. – La Regione Campania ha sollevato in via principale questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 32, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dell’art. 2, comma 5, della legge 1° febbraio 2006, n. 43 (Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali), nella parte in cui, integrando la disposizione contenuta nell’art. 3-bis, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), ha previsto fra i requisiti per poter aspirare alla nomina a direttore generale di una Azienda sanitaria locale – in alternativa alla esperienza almeno quinquennale  di direzione tecnica o amministrativa in enti, aziende, strutture pubbliche o private in posizione dirigenziale con autonomia gestionale e diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche o finanziarie – l’aver espletato «mandato parlamentare di senatore o deputato della Repubblica nonché di consigliere regionale».

2. – Secondo la Regione ricorrente la norma impugnata, oltre ad essere irragionevole, avrebbe violato le competenze regionali in materia di organizzazione degli enti regionali. In via logicamente subordinata la ricorrente ha dedotto altresì la violazione del principio di leale collaborazione, in quanto la disciplina de qua sarebbe stata introdotta in assenza di previa intesa in seno alla Conferenza permanente Stato-Regioni e Province autonome.

3. – Va, a questo punto, rilevato che, successivamente alla proposizione del ricorso, è entrato in vigore l’art. 1, comma 24-novies, del decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181 (Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio e dei Ministeri), convertito, con modificazioni, con legge 17 luglio 2006, n. 233, attraverso il quale, nel testo risultante a seguito della legge di conversione, è stata disposta la soppressione, nell’art. 3-bis, comma 3, lettera b),  del d.lgs. n. 502 del 1992, delle parole in esso introdotte con la disposizione oggetto della presente questione di costituzionalità.   

3.1. – Poiché, per effetto di tale soppressione, si è determinata la completa eliminazione della disposizione impugnata e la preclusione di qualunque sua futura applicazione, considerato che, secondo quanto riferito dalla difesa della ricorrente Regione sia nella memoria illustrativa che in sede di discussione orale, la disposizione oggetto della presente questione non ha avuto, durante il breve periodo della sua vigenza, alcuna applicazione nel territorio della Campania (si veda la sentenza n. 345 del 2004), può ritenersi venuta meno ogni ragione della controversia e deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Regione Campania,  in riferimento agli artt. 3, 32, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2007.