Sentenza n. 179 del 2007

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SENTENZA N. 179

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                                                BILE                             Presidente 

- Giovanni Maria                                  FLICK                            Giudice

- Francesco AMIRANTE                                                      "

- Ugo                                                    DE SIERVO                          "

- Paolo                                                  MADDALENA                     "

- Alfio                                                   FINOCCHIARO                   "

- Alfonso                                              QUARANTA                        "

- Franco                                                GALLO                                 "

- Luigi                                                   MAZZELLA                         "

- Gaetano                                              SILVESTRI                           "

- Sabino                                                CASSESE                              "

- Maria Rita                                          SAULLE                                "

- Giuseppe                                            TESAURO                             "

- Paolo Maria                                       NAPOLITANO                     "

ha pronunciato la seguente                                                         

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 166 a 169, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), promosso con ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia notificato il 27 febbraio 2006, depositato in cancelleria il 4 marzo 2006 ed iscritto al n. 41 del registro ricorsi 2006.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’8 maggio 2007 il Giudice relatore Paolo Maddalena;

uditi l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione Friuli-Venezia Giulia e l’avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. ¾ Con ricorso notificato il 27 febbraio 2006 e depositato il successivo 4 marzo, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha sollevato, in riferimento all’art. 60 dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006) e, tra queste, dei commi da 166 a 169 dell’art. 1.

Il comma 166 – rammenta la Regione ricorrente - «sottopone gli organi degli enti locali di revisione economico-finanziaria al dovere di trasmettere alle competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei conti una relazione sul bilancio di previsione dell’esercizio di competenza e sul rendiconto dell’esercizio medesimo».

Il comma 167 attribuisce alla Corte dei conti il potere di definire «unitariamente criteri e linee guida cui debbono attenersi gli organi degli enti locali di revisione economico-finanziaria nella predisposizione della relazione di cui al comma 166».

Il comma 168 stabilisce che le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, qualora accertino, anche sulla base delle relazioni di cui al comma 166, comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria o il mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilità interno, adottino specifica pronuncia e «vigilino» sull’adozione da parte dell’ente locale delle necessarie misure correttive e sul rispetto dei vincoli e limitazioni posti in caso di mancato rispetto delle regole del predetto patto di stabilità. Peraltro, argomenta ancora la ricorrente, a mente del comma 169, la Corte dei conti è facoltizzata ad avvalersi «di personale degli enti locali, fino ad un massimo di cinquanta unità, in possesso di laurea in scienze economiche ovvero di diploma di ragioniere e perito commerciale, collocato in posizione di fuori ruolo o di comando».

La ricorrente evidenzia che la disciplina del controllo della Corte dei conti nella Regione Friuli-Venezia Giulia è dettata dal d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902 (Adeguamento ed integrazione delle norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), come modificato dal decreto legislativo 15 maggio 2003, n. 125 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia recanti modificazioni ed integrazioni al d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902, in materia di funzioni di controllo della sezione regionale della Corte dei conti), il cui art. 33 si interessa, segnatamente, del controllo di gestione. Inoltre, prosegue la Regione Friuli-Venezia Giulia, il controllo sugli enti locali è affidato, dall’art. 60 dello statuto di autonomia (legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, recante «Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia»), ad un organo della Regione «nei modi e nei limiti stabiliti con legge regionale in armonia con i principi delle leggi dello Stato».

Sicché, ad avviso della Regione Friuli-Venezia Giulia, il sistema di tali controlli sarebbe «di per sè completo ed esaustivo», tanto che, «considerando anche la clausola di salvaguardia di cui al comma 610» dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005 (secondo cui: «Le disposizioni della presente legge sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti»), «dovrebbe ritenersi che i commi da 166 a 169 non siano destinati ad applicarsi nel territorio della Regione».

Là dove si giunga a diversa conclusione – si precisa ancora nel ricorso – dette disposizioni «sarebbero illegittime per violazione dell’art. 60 dello Statuto, e della riserva di competenza regionale in esso contenuta».

Si tratterebbe, infatti, «di un controllo diverso da quello di gestione ed ulteriore rispetto ad esso», il quale presenterebbe «più carattere repressivo-sanzionatorio che carattere collaborativo». Peraltro, argomenta la ricorrente, a mente del comma 169, la Corte dei conti è facoltizzata ad avvalersi «di personale degli enti locali, fino ad un massimo di cinquanta unità, in possesso di laurea in scienze economiche ovvero di diploma di ragioniere e perito commerciale, collocato in posizione di fuori ruolo o di comando», così da «interferire nell’organizzazione degli enti locali, senza richiedere il loro consenso».

In definitiva, la Regione Friuli-Venezia Giulia deduce l’illegittimità del «controllo nuovo sugli enti locali, previsto al di fuori del sistema statutario»; l’illegittimità del «potere normativo della Corte dei conti in materia di controllo sugli enti locali»; l’illegittimità dell’«avvalimento del personale degli enti locali unilateralmente disposto».

            2. ¾ Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la reiezione del ricorso.

Ad avviso della difesa erariale, i motivi di censura sollevati avverso i commi da 166 a 169 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005 sarebbero «palesemente» infondati, in quanto: a) il comma 166 «rende automatica la “trasmissione” di relazioni già ottenibili su richiesta»; b) il comma 167 riguarderebbe soltanto le «modalità di redazione delle relazioni» predette; c) il comma 168 prevede una «specifica pronuncia della Sezione regionale di controllo», la quale, senza essere “innovativa”, atterrebbe alle «modalità di espressione delle Sezioni regionali» e, dunque, a materia di competenza esclusiva dello Stato; d) il comma 169 concernerebbe l’organizzazione della Corte dei conti, «tema di indubbia competenza statale», mentre il comando temporaneo di personale dovrà «seguire il normale procedimento stabilito dalla legge, e quindi essere assentito dall’amministrazione di appartenenza».

3. ¾ In prossimità dell’udienza, entrambe le parti costituite hanno depositato memoria.

3.1. ¾ La Regione Friuli-Venezia Giulia insiste per una declaratoria di illegittimità costituzionale dei denunciati commi da 166 a 169 dell’art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266.

La ricorrente, nel contrastare le argomentazioni svolte dalla difesa erariale, ribadisce che la nuova forma di controllo disciplinata dalle norme impugnate viola l’art. 60 dello statuto di autonomia e la norma di attuazione statutaria di cui all’art. 33 del d.P.R. n. 902 del 1975, come sarebbe confermato sia dal fatto che la relazione degli organi degli enti locali di revisione economico-finanziaria (comma 166), in precedenza «ottenibile a richiesta», debba ora essere «automaticamente trasmessa» alla Sezioni regionali della Corte dei conti, sia dalla circostanza che proprio alla Corte dei conti venga attribuito (e già sia stato esercitato con le delibere n. 6/2006, n. 11/2006 e n. 2/2007) «il potere di definire unitariamente criteri e linee guida cui debbono attenersi gli organi degli enti locali di revisione economico-finanziaria nella predisposizione della relazione» stessa (comma 167).

Quanto poi al comma 168, secondo la difesa della Regione esso attribuirebbe alle Sezioni regionali della Corte dei conti «un potere di controllo ad esse prima non  spettante, in violazione – come detto – dell’art. 60 Statuto e del d.P.R. n. 902/1975». Peraltro, la violazione dei suddetti parametri sarebbe confermata dall’art. 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), il quale, nel disporre che «resta ferma la potestà delle Regioni a statuto speciale, nell’esercizio della loro competenza, di adottare particolari discipline nel rispetto delle suddette finalità», espliciterebbe «che i controlli sugli equilibri di bilancio degli enti locali nelle regioni speciali non è materia di competenza del legislatore statale ordinario». E del resto, la norma appena richiamata, unitamente alla clausola di salvaguardia di cui al comma 610 della legge n. 266 del 2005, farebbe «ritenere le norme impugnate inapplicabili […] nel Friuli-Venezia Giulia».

La Regione osserva, altresì, di esser già «intervenuta nella materia in questione» tramite l’art. 45 della legge regionale 9 gennaio 2006, n. 1 (Principi e norme fondamentali del sistema Regione – autonomie locali nel Friuli-Venezia Giulia), il quale, tra l’altro, prevede, «al fine di favorire l’esercizio ottimale delle funzioni del sistema delle autonomie locali e la perequazione delle risorse», che «la Regione, d’intesa con il Consiglio delle autonomie locali, predispone strumenti di monitoraggio e di diffusione delle informazioni finanziarie e contabili degli enti locali», istituendo, peraltro, l’Osservatorio regionale per la finanza locale, con il compito «di promuovere la corretta gestione delle risorse finanziarie, l’applicazione dei principi contabili, la congruità degli strumenti applicativi e la sperimentazione di nuovi modelli contabili».

Infine, quanto al comma 169, la difesa regionale contesta che il disposto avvilimento del personale degli enti locali possa riguardare soltanto l’organizzazione della Corte dei conti, tant’è che la stessa  Avvocatura dello Stato «prospetta un’interpretazione “adeguatrice” secondo la quale il comando del personale dovrebbe “essere assentito dall’amministrazione di appartenenza”».

3.2. ¾ Il Presidente del Consiglio dei ministri, nel ribadire che la proposta questione è priva di fondatezza, osserva che la norma statutaria che si assume violata (art. 60) e l’invocata normativa di attuazione dello statuto di autonomia (artt. 32-37 del d.P.R. n. 902 del 1975 e successive modificazioni) attengono «soltanto all’organo deputato ai controlli», individuato nella Corte dei conti, Sezione di controllo della Regione Friuli-Venezia Giulia, e «non agli adempimenti e alle attività strumentali incombenti sugli enti sottoposti a tali controlli», la cui disciplina di riferimento è dettata dal Testo unico sugli enti locali (artt. 147, 148, 198-bis e 227 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante «Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali»), dal decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286 (Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59) e dall’art. 7 della legge n. 131 del 2003.

La difesa erariale sostiene, quindi, che il denunciato comma 166 – ed il comma 167 che ne è «logico corollario» –, nell’imporre agli organi di revisione economico-finanziaria degli enti locali la trasmissione alle competenti Sezioni regionali della Corte dei conti di una relazione sul bilancio di previsione e sul rendiconto di esercizio, è finalizzato «a rendere più agevole il controllo “collaborativo” della Corte (v. art. 7, comma 7, l. n. 131/2003) ma non incide direttamente sull’organo né sulle sue attribuzioni e non viola alcuna disposizione d’attuazione», là dove, peraltro, le esigenze di tutela dell’unità economica della Repubblica, del rispetto del patto di stabilità interno e del coordinamento della finanza pubblica costituirebbero «più che buone ragioni per fondare il potere esercitato in materia dallo Stato».

Quanto al comma 168, l’Avvocatura generale dello Stato assume che la norma «nulla innova di sostanziale sulla competenza della Corte» in tema di «sana gestione finanziaria e di rispetto del patto di stabilità interno» di cui all’art. 7 della legge n. 131 del 2003; mentre la «specifica pronuncia» che la Corte è tenuta ad adottare non è affatto la forma di un nuovo controllo di carattere repressivo-sanzionatorio, ma il modo ordinario di esprimersi da parte della Corte (delibera, pronuncia, decisioni, referti)». Del resto, posto che l’art. 37 del d.P.R. n. 902 del 1975, come modificato dal d.lgs. n. 125 del 2003, prevede un «adeguamento dinamico» della normativa di attuazione in base al rinvio alle future modificazioni apportate da leggi e regolamenti all’organizzazione della Corte dei conti, «nessuna violazione della normativa invocata è ipotizzabile».

In ordine poi all’avvalimento di personale degli enti locali previsto dal comma 169, oltre ad essere disposizione solo «transitoria» (come confermato dal successivo comma 175) e che comunque presupporrebbe, per la sua operatività, l’assenso dell’Amministrazione di appartenenza, sarebbe comunque «in linea con l’impegno assunto dalla Regione con il citato art. 37, comma 3, di – per di più – concorrere all’organizzazione della sezione».

Considerato in diritto

1. ¾ La Regione Friuli-Venezia Giulia ha denunciato, con il medesimo ricorso, numerose disposizioni della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006) e, tra queste, anche i commi da 166 a 169 dell’art. 1.

Le specifiche questioni sollevate su tali ultime disposizioni devono essere trattate congiuntamente per omogeneità della materia, mentre quelle ulteriormente proposte con lo stesso ricorso avverso altre norme della medesima legge n. 266 del 2005 sono riservate a separate pronunce.

1.1. ¾ Il comma 166 stabilisce che «Ai fini della tutela dell'unità economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica, gli organi degli enti locali di revisione economico-finanziaria trasmettono alle competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei conti una relazione sul bilancio di previsione dell'esercizio di competenza e sul rendiconto dell'esercizio medesimo».

Ai predetti fini – secondo quanto previsto dal comma 167 – «La Corte dei conti definisce unitariamente criteri e linee guida cui debbono attenersi gli organi degli enti locali di revisione economico-finanziaria nella predisposizione della relazione di cui al comma 166, che, in ogni caso, deve dare conto del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno, dell'osservanza del vincolo previsto in materia di indebitamento dall'articolo 119, ultimo comma, della Costituzione, e di ogni grave irregolarità contabile e finanziaria in ordine alle quali l'amministrazione non abbia adottato le misure correttive segnalate dall'organo di revisione».

In base al successivo comma 168, «Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, qualora accertino, anche sulla base delle relazioni di cui al comma 166, comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria o il mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto, adottano specifica pronuncia e vigilano sull'adozione da parte dell'ente locale delle necessarie misure correttive e sul rispetto dei vincoli e limitazioni posti in caso di mancato rispetto delle regole del patto di stabilità interno».

Infine, secondo il comma 169, «Per l’esercizio dei compiti di cui ai commi 166, 167 e 168, la Corte dei conti può avvalersi della collaborazione di esperti anche estranei alla pubblica amministrazione, sino ad un massimo di dieci unità, particolarmente qualificati nelle materie economiche, finanziarie e statistiche, nonché, per le esigenze delle sezioni regionali di controllo e sino al completamento delle procedure concorsuali di cui al comma 175, di personale degli enti locali, fino ad un massimo di cinquanta unità, in possesso di laurea in scienze economiche ovvero di diploma di ragioniere e perito commerciale, collocato in posizione di fuori ruolo o di comando».

            1.2. ¾ La ricorrente sostiene che la disciplina del controllo della Corte dei conti nella Regione Friuli-Venezia Giulia è dettata dal d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902 (Adeguamento ed integrazione delle norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), come modificato dal decreto legislativo 15 maggio 2003, n. 125 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia recanti modificazioni ed integrazioni al d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902, in materia di funzioni di controllo della sezione regionale della Corte dei conti), il cui art. 33 si interessa, segnatamente, del controllo di gestione.

Inoltre, il controllo sugli enti locali è affidato, dall’art. 60 dello statuto di autonomia (legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, recante “Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia”), ad un organo della Regione «nei modi e nei limiti stabiliti con legge regionale in armonia con i principi delle leggi dello Stato».

Pertanto, ad avviso della Regione Friuli-Venezia Giulia, il sistema di tali controlli sarebbe «di per sè completo ed esaustivo», tanto che, «considerando anche la clausola di salvaguardia di cui al comma 610» dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005 (secondo cui: «Le disposizioni della presente legge sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti»), «dovrebbe ritenersi che i commi da 166 a 169 non siano destinati ad applicarsi nel territorio della Regione».

1.3. ¾ Là dove si giunga a diversa conclusione – si precisa nel ricorso – dette disposizioni «sarebbero illegittime per violazione dell’art. 60 dello Statuto, e della riserva di competenza regionale in esso contenuta».

Si tratterebbe, infatti, «di un controllo diverso da quello di gestione ed ulteriore rispetto ad esso», il quale presenterebbe «più carattere repressivo-sanzionatorio che carattere collaborativo». Peraltro, argomenta la ricorrente, a mente del comma 169, la Corte dei conti è facoltizzata ad avvalersi «di personale degli enti locali, fino ad un massimo di cinquanta unità, in possesso di laurea in scienze economiche ovvero di diploma di ragioniere e perito commerciale, collocato in posizione di fuori ruolo o di comando», così da «interferire nell’organizzazione degli enti locali, senza richiedere il loro consenso».

In definitiva, la Regione Friuli-Venezia Giulia deduce:

– l’illegittimità del «controllo nuovo sugli enti locali, previsto al di fuori del sistema statutario»;

– l’illegittimità del «potere normativo della Corte dei conti in materia di controllo sugli enti locali»;

– l’illegittimità dell’«avvalimento del personale degli enti locali unilateralmente disposto».

2. ¾ In via preliminare, deve escludersi l’inoperatività delle disposizioni denunciate rispetto alla Regione Friuli-Venezia Giulia in forza della clausola di salvaguardia prevista dal comma 610 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005 (secondo cui: «Le disposizioni della presente legge sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti»). In tal senso, anche a prescindere da quanto si dirà, in prosieguo di motivazione, circa la portata della disciplina oggetto di censura e sulla sua collocazione nel più ampio sistema dei controlli devoluti alla Corte dei conti, è sufficiente ribadire quanto questa Corte ha già avuto modo di affermare (tra le altre, sentenze n. 105 del 2007 e n. 95 del 2007) in ordine alla eccessiva vaghezza della formulazione delle clausole di salvaguardia contenute nelle annuali leggi finanziarie, tanto da rendere le clausole stesse inapplicabili nei confronti delle autonomie speciali. Sicché è il citato comma 610 a non poter trovare applicazione alla Regione Friuli-Venezia Giulia.

3. ¾ Nel merito, le questioni non sono fondate.

3.1. ¾ Occorre premettere che le norme censurate introducono un nuovo tipo di controllo affidato alla Corte dei conti, dichiaratamente finalizzato ad assicurare, in vista della tutela dell’unità economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica, la sana gestione finanziaria degli enti locali, nonché il rispetto, da parte di questi ultimi, del patto di stabilità interno e del vincolo in materia di indebitamento posto dall’ultimo comma dell’art. 119 Cost. Nella sua configurazione, questa nuova forma di controllo sviluppa il quadro delle misure necessarie per garantire la stabilità dei bilanci ed il rispetto del patto di stabilità interno, prescritti dall’art. 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3). Infatti è evidente che, a detti fini, oltre al controllo sulla gestione in senso stretto, che ha ad oggetto l’azione amministrativa e serve ad assicurare che l’uso delle risorse avvenga nel modo più efficace, più economico e più efficiente, occorre avere riguardo anche all’aspetto, particolarmente rilevante nell’ambito del fenomeno finanziario considerato nel suo complesso, che attiene alla allocazione delle risorse e, quindi, alla struttura ed alla gestione del bilancio. Il controllo in esame, che muove dall’antecedente storico, in tema di controllo sulla gestione finanziaria degli enti locali, costituito dall’art. 13 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 786 (Disposizioni in materia di finanza locale), convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 51, e che integra una disposizione già contenuta nell’art. 3, comma 4, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), secondo la quale spetta alla Corte dei conti il controllo finanziario sui bilanci pubblici, pone come oggetto del controllo i bilanci preventivi ed il rendiconto consuntivo, definendo i confini contabili nell’ambito dei quali può svolgersi l’azione amministrativa. Esso, peraltro, a differenza del controllo sulla gestione in senso stretto, che si attua mediante programmi stabiliti dalla Corte dei conti, sulla base delle priorità stabilite dalle Commissioni parlamentari (art. 1, comma 473, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007»), su materie scelte a campione, si svolge su documenti di carattere complessivo e necessario, e con cadenza annuale, poiché i bilanci ed i rendiconti sui quali si esercita hanno, per l’appunto, una cadenza annuale.

Tale controllo, che è ascrivibile alla categoria del riesame di legalità e regolarità, ha tuttavia la caratteristica, in una prospettiva non più statica (com’era il tradizionale controllo di legalità-regolarità), ma dinamica, di finalizzare il confronto tra fattispecie e parametro normativo alla adozione di effettive misure correttive. Ne consegue che esso assume anche i caratteri propri del controllo sulla gestione in senso stretto e concorre, insieme a quest’ultimo, alla formazione di una visione unitaria della finanza pubblica, ai fini della tutela dell’equilibrio finanziario e di osservanza del patto di stabilità interno, che la Corte dei conti può garantire (sentenza n. 267 del 2006).

Si deve peraltro sottolineare la natura collaborativa del controllo disciplinato dalle norme impugnate, che si limita alla segnalazione all’ente controllato delle rilevate disfunzioni e rimette all’ente stesso l’adozione delle misure necessarie: c’è, dunque, una netta separazione tra la funzione di controllo della Corte dei conti e l’attività amministrativa degli enti, che sono sottoposti al controllo stesso. Né può dirsi che la vigilanza sull’adozione delle misure necessarie da parte degli enti interessati implichi un’invasione delle competenze amministrative di questi ultimi, poiché l’attività di vigilanza, limitatamente ai fini suddetti, è indispensabile per l’effettività del controllo stesso.

In questo quadro, appare evidente che il controllo sulla gestione finanziaria è complementare rispetto al controllo sulla gestione amministrativa, ed è utile per soddisfare l’esigenza degli equilibri di bilancio.

3.2. ¾ Deve, altresì, essere ricordato che, come già affermato da questa Corte (tra le altre, sentenza n. 29 del 1995 e, da ultimo, sentenza n. 267 del 2006), il legislatore è libero di assegnare alla Corte dei conti qualsiasi altra forma di controllo, purchè questo abbia un suo fondamento costituzionale. La sussistenza di detto fondamento è confortata, in primo luogo, dall’art. 100 della Costituzione, il quale assegna alla Corte dei conti il controllo successivo sulla gestione del bilancio, come controllo esterno ed imparziale.

Infatti, se è vero che, al momento dell’emanazione della Costituzione, per indicare l’intera finanza pubblica non poteva non farsi riferimento al bilancio dello Stato, è altrettanto vero che oggi tale dizione deve intendersi riferita non solo al bilancio dello Stato, ma anche a quello di tutti gli altri enti pubblici che costituiscono, nel loro insieme, il bilancio della finanza pubblica allargata. Sono inoltre da richiamare al fine suddetto oltre all’art. 81 Cost., che pone il principio indefettibile dell’equilibrio di bilancio, anche gli articoli 97, primo comma, 28 e 119, ultimo comma, Cost.

Peraltro, la previsione da parte di una legge dello Stato del controllo in esame rientra nella competenza propria di quest’ultimo di dettare principi nella materia concorrente della «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica» (art. 117, terzo comma, Cost.).

4. ¾ Alla luce delle argomentazioni che precedono, cadono tutte le censure dedotte dalla ricorrente.

4.1. ¾ L’art. 60 dello statuto friulano riguarda, infatti, il controllo preventivo di legittimità e non può, dunque, avere alcuna attinenza con il tipo di controllo sulla gestione finanziaria previsto dalle disposizioni denunciate.

Altrettanto è da dire per l’ art. 33 del d.P.R. n. 902 del 1975, e successive modificazioni, richiamato nel ricorso sebbene non esplicitamente evocato come parametro, poiché questa disposizione si riferisce al controllo sulla gestione in senso stretto e, quindi, non può investire la disciplina relativa al controllo di cui alle norme impugnate.

In ogni caso, come evidenziato in precedenza, il controllo previsto dai commi da 166 a 169 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005, risulta dettato da esigenze di tutela dell’unità economica della Repubblica e di coordinamento della finanza pubblica, ed è finalizzato (nel quadro del controllo disciplinato dalla legge n. 131 del 2003), con funzione collaborativa, alla tempestiva segnalazione agli Enti interessati di situazioni inerenti agli equilibri di bilancio, per l’adozione delle necessarie misure correttive.

E in siffatta prospettiva, questa Corte, con la sentenza n. 267 del 2006, ha, tra l’altro, precisato che la possibilità data, dal comma 7 dell'art. 7 della legge n. 131 del 2003, alle Regioni a statuto speciale, «nell'esercizio della loro competenza, di adottare particolari discipline nel rispetto delle suddette finalità», non pone in nessun caso in discussione la finalità di uno strumento, quale il controllo sulla gestione delle risorse collettive, affidato alla Corte dei conti, in veste di organo terzo (sentenza n. 64 del 2005) a servizio della Repubblica (sentenze n. 29 del 1995 e n. 470 del 1997), che garantisca il rispetto dell'equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva. Anche perché – come già detto – la necessità di coordinamento della finanza pubblica, nel cui ambito materiale si colloca il controllo esterno sulla gestione, riguarda pure le Regioni e le Province ad autonomia differenziata, non potendo dubitarsi che anche la loro finanza sia parte della “finanza pubblica allargata”.

4.2. ¾ Quanto poi al profilo di censura con cui ci si duole di «un potere normativo della Corte dei conti in materia di controllo sugli enti locali» (comma 167), la sua inconsistenza deriva dal fatto che l’obbligo degli organi di controllo interno di presentare una relazione sulla base delle linee guida dettate dalla Corte dei conti, diretto unicamente a rendere possibile il controllo esterno della Corte stessa, è un obbligo che discende direttamente dalle norme di principio ed è rilevante soltanto al fine di attivare processi di autocorrezione (sentenze n. 29 del 1995 e n. 470 del 1997). Si deve anzi sottolineare che l’utilizzazione dei controlli interni ai fini della realizzazione dei controlli esterni della Corte dei conti attua una disposizione già contenuta nell’art. 3, comma 8, della legge n. 20 del 1994, e fa emergere ancora una volta il carattere collaborativo del controllo in questione.

4.3. ¾ Neppure è fondata l’ulteriore censura che concerne specificamente il comma 169, il quale riconosce alla Corte dei conti la possibilità di avvalersi, ai fini dell’espletamento del controllo in esame, di personale degli enti locali collocato in posizione di fuori ruolo o di comando, giacché, rispetto ad essa, i parametri evocati risultano, con tutta evidenza, inconferenti.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservate a separate decisioni le restanti questioni di legittimità costituzionale della legge 23 dicembre 2005, n. 266, sollevate dalla Regione Friuli-Venezia Giulia con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 166 a 169, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), sollevate, in riferimento all’art. 60 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), dalla Regione Friuli-Venezia Giulia con il ricorso in epigrafe indicato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2007.