Sentenza n. 53 del 2007

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SENTENZA N. 53

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                                                BILE                             Presidente 

- Giovanni Maria                                  FLICK                            Giudice

- Francesco                                           AMIRANTE                          "

- Ugo                                                    DE SIERVO                          "

- Romano                                              VACCARELLA                    "

- Paolo                                                  MADDALENA                     "

- Alfio                                                   FINOCCHIARO                   "

- Alfonso                                              QUARANTA                        "

- Franco                                                GALLO                                 "

- Luigi                                                   MAZZELLA                         "

- Gaetano                                              SILVESTRI                           "

- Sabino                                                CASSESE                              "

- Maria Rita                                          SAULLE                                "

- Giuseppe                                            TESAURO                             "

- Paolo Maria                                       NAPOLITANO                     "

ha pronunciato la seguente                                                         

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 4 febbraio 2004 relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, comma primo, della Costituzione, delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi nei confronti del dott. Manlio Mele, promosso con ricorso della Corte d’Appello di Palermo – I sezione penale, notificato il 10 gennaio 2005, depositato in cancelleria il successivo 25 gennaio ed iscritto al n. 4 del registro conflitti 2005.

Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;

udito nell’udienza pubblica del 9 gennaio 2007 il Giudice relatore Paolo Maddalena;

udito l’avvocato Roberto Nania per la Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

1. ¾ Nell’ambito del giudizio d’appello avverso la sentenza del 7 ottobre 2002 del Tribunale di Palermo recante la condanna del deputato Vittorio Sgarbi alla pena di euro 500,00 di multa per il delitto di diffamazione commesso nei confronti di Manlio Mele, la Corte d’appello di Palermo – I sezione penale, con ricorso depositato il 16 giugno 2004, ha sollevato conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 4 febbraio 2004 (doc. IV-quater, n. 60), con cui l’Assemblea ha dichiarato che i fatti per i quali il deputato Sgarbi è sottoposto a procedimento penale concernono opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni di parlamentare, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

La vicenda trae origine da talune dichiarazioni rese in data 12 marzo 1997 dal deputato Sgarbi nel corso della trasmissione televisiva “Sgarbi quotidiani”, contenenti opinioni critiche su di una vicenda che aveva investito la città di Terrasini e sul ruolo avuto dal sindaco di quel Comune, Mele, e dall’ex sindaco di Palermo, Orlando.

Riferisce il giudice confliggente che in quelle dichiarazioni, in particolare nell’affermazione che a Terrasini «c’è stato un referendum, non ho capito poi perché, se non perché la mafia c’è e sappiamo da che parte sta, non si è stabilito di cacciare quel sindaco», il Tribunale aveva colto l’accusa, mossa al Mele, di avere goduto dell’appoggio della mafia di Terrasini – cittadina della quale egli era sindaco – in occasione del referendum elettorale che, ai sensi della normativa all’epoca vigente nella Regione Siciliana, lo aveva visto contrapposto al consiglio comunale in conseguenza del voto di sfiducia espresso da quell’organo nei suoi confronti.

Rileva ancora il ricorrente che altra parte del monologo – concernente l’accostamento logico, operato dal deputato, tra le accuse rivolte dall’ex sindaco di Palermo e dallo stesso Mele al comandante della stazione carabinieri di Terrasini, maresciallo Antonino Lombardo, e il suicidio di quest’ultimo – era stata ritenuta dal Tribunale, ad onta dell’asprezza dei toni, priva di rilevanza penale, per la sussistenza del legittimo esercizio del diritto di critica.

Ad avviso della Corte d’appello, la Camera dei deputati, con la deliberazione assunta, avrebbe esercitato illegittimamente il proprio potere, avendo arbitrariamente affermato la sussistenza di un collegamento funzionale tra le espressioni già ritenute diffamatorie dal Tribunale di Palermo e l’attività parlamentare del deputato Sgarbi.

Sostiene la Corte d’appello che le frasi pronunciate dal deputato, alla stregua di un’interpretazione costituzionalmente orientata dall’art. 3, comma 1, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (sentenza n. 140 del 2003), non sarebbero in alcun modo collegate all’esercizio della funzione parlamentare.

Difatti, la prerogativa costituzionale tutela unicamente l’indipendente svolgimento delle attività proprie del parlamentare (all’interno o all’esterno del parlamento) e quelle ed esse strettamente connesse, come accade nel caso di divulgazione al pubblico dell’attività già svolta in sede istituzionale. A tale riguardo, il giudice ricorrente richiama le sentenze n. 10 e n. 11 del 2000 di questa Corte, relative al nesso funzionale che deve intercorrere tra le opinioni espresse e l’attività parlamentare, e rileva come nel caso di specie non possa ravvisarsi alcun nesso di tal genere, tanto più che le dichiarazioni sono state rese nell’ambito di una trasmissione televisiva condotta dal parlamentare senza alcun collegamento con l’attività istituzionale dello stesso e senza che queste rappresentino una divulgazione all’esterno di una opinione già espressa dall’interessato nell’esercizio delle funzioni parlamentari tipiche. In particolare, l’accostamento tra gli atti di iniziativa parlamentare – peraltro non promananti dal deputato Sgarbi, ma da altri parlamentari (segnatamente, l’interrogazione del deputato Silvio Lotta, presentata alla Camera il 9 febbraio 1995) – concernenti l’agire del Mele come sindaco (tacciato di avere suscitato allarmi con denunce non verificate di intimidazioni alla sua persona e di non essere stato alieno da favoritismi) e la adombrata mafiosità dello stesso Mele, all’origine della sua affermazione referendaria, sarebbe, ad avviso della Corte d’appello, forzato, se non addirittura del tutto arbitrario. In definitiva, le affermazioni del deputato Sgarbi costituirebbero meri apprezzamenti personali, soggetti al diritto comune ed ai comuni limiti della libertà di manifestazione del pensiero, essendo da escludere che esse si pongano in rapporto di continuità con l’attività parlamentare propriamente detta.

Di qui il sollevato conflitto, vertendosi in materia di interferenza dell’esercizio del potere conferito alla Camera dei deputati dall’art. 68, primo comma, della Costituzione nelle attribuzioni dell’autorità giudiziaria, previste e garantite dall’art. 102 della Costituzione.

2. ¾ Con ordinanza n. 446 del 2004, depositata il 29 dicembre 2004, questa Corte ha dichiarato ammissibile il conflitto proposto dalla Corte d’appello di Palermo – I sezione penale.

L’ordinanza di ammissibilità, unitamente all’atto introduttivo del giudizio, è stata notificata il 10 gennaio 2005. Il conseguente deposito è stato effettuato il 25 gennaio 2005.

3. ¾ Nel giudizio si è costituita la Camera dei deputati, depositando documenti e svolgendo deduzioni, a conclusione delle quali ha chiesto che la Corte dichiari il conflitto inammissibile o improcedibile, e in subordine rigetti il ricorso per infondatezza, dichiarando che spettava alla Camera dei deputati il potere di affermare l’insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, in relazione alle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi, secondo quanto deliberato dall’Assemblea nella seduta del 4 febbraio 2004.

3.1. ¾ Il ricorso sarebbe inammissibile o improcedibile, perché l’atto introduttivo sarebbe carente sotto il profilo della prospettazione del thema decidendum, adempimento questo indispensabile ai fini della valida instaurazione del giudizio sul conflitto di attribuzione.

Nel caso di specie, il giudice ricorrente – osserva la difesa della Camera – riporta, in sede di esposizione del fatto, l’intera dichiarazione resa dal deputato nella vicenda (peraltro, mediante la mera riproduzione della relativa querela). A ciò segue, sempre nel fatto, «una impervia ricostruzione» del contenuto della sentenza di primo grado da cui si dovrebbe trarre che soltanto una parte di tale dichiarazione sarebbe ancora sub iudice, ossia la parte a cui la sentenza stessa ha ritenuto di negare il carattere di esercizio del diritto di critica nei termini riassunti dal giudice ricorrente. Segue poi, stavolta nella motivazione in diritto, una mera formula di rinvio mediante la quale il ricorrente, ai fini della identificazione delle dichiarazioni contestate in sede di conflitto, si limita ad evocare le «espressioni già ritenute diffamatorie dal Tribunale di Palermo».

In questo contesto, ad avviso della Camera dei deputati, non sarebbe dato reperire una specifica ed autonoma indicazione da parte del Giudice che ha elevato il conflitto in ordine alle frasi oggetto della controversia in punto di insindacabilità.

3.2. ¾ Nel merito, la resistente critica anzitutto l’affermazione, esposta nell’atto introduttivo, secondo cui la non operatività della garanzia costituzionale discenderebbe dal fatto che nella specie le dichiarazioni rese vennero formulate nell’ambito della trasmissione “Sgarbi Quotidiani” gestita dall’imputato nell’ambito di un rapporto di prestazione d’opera professionale con una emittente privata e senza alcun dichiarato collegamento con l’attività parlamentare, essendo da escludersi che un qualsivoglia impegno contrattuale riguardante l’attività lavorativa del deputato possa comportare di per sé la dismissione dello status di parlamentare e delle garanzie che vi si accompagnano.

Del resto, la giurisprudenza costituzionale, anche nel caso di opinioni espresse mediante il mezzo televisivo e nel quadro di un rapporto di tipo contrattuale, ha sempre operato il proprio scrutinio secondo i canoni consueti relativi alla riconducibilità o meno delle opinioni espresse all’attività politico-parlamentare del deputato: con ciò mostrando implicitamente, ma in modo inequivoco, di ritenere che il nesso tra le opinioni espresse e l’attività politico-parlamentare non venga infranto ut sic dal ruolo di conduttore televisivo svolto da chi quelle medesime opinioni abbia ritenuto di esprimere (sentenze n. 58 del 2000 e n. 289 del 2001).

Inoltre – si afferma – il giudizio in punto di applicazione dell’art. 68, primo comma, Cost. concerne la oggettiva sussistenza dei presupposti che determinano l’attivazione della garanzia medesima, né risulta che tra detti presupposti rientri l’onere, che è prefigurato dal ricorrente a carico del deputato, di rendere simultaneamente l’anzidetta dichiarazione in ordine al rapporto esistente tra le opinioni e la propria attività parlamentare.

Ad avviso della Camera, le opinioni in oggetto sarebbero assistite dalla garanzia di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Invero, relativamente alle vicende che hanno interessato la posizione del sindaco di Terrasini, le affermazioni del deputato Sgarbi non sarebbero in alcun modo scindibili dalla complessiva opinione espressa dal deputato medesimo: opinione chiaramente incentrata sulla drammatica fine del comandante della stazione dei carabinieri di Terrasini, maresciallo Antonino Lombardo, sul contesto in cui essa si è consumata, e sulle responsabilità a suo avviso ravvisabili. D’altro canto, sarebbe da dubitare, persino in punto di ammissibilità del ricorso, che il conflitto di attribuzione concernente l’applicazione dell’art. 68, primo comma, della Costituzione possa riguardare non già l’opinione espressa dal deputato, ossia il contenuto di pensiero deducibile dall’insieme delle formulazioni linguistiche che entrano a comporre la dichiarazione effettuata dal deputato medesimo, bensì frammenti o singole parole scorporati dall’insieme della dichiarazione e che solo in tale contesto sono idonei ad integrare gli estremi di un’opinione.

Le opinioni in proposito espresse dal deputato Sgarbi, unitariamente considerate, troverebbero puntuale riscontro nella sua attività parlamentare, anche con riguardo alla costante attenzione posta in essere nei confronti del fenomeno mafioso. Varrebbe a confermarlo, tra l’altro, la relazione allegata alla proposta di legge n. 2296, presentata alla Camera in data 24 settembre 1996 (cofirmatario il deputato Sgarbi), recante “Istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sulla condizione di legalità nell’uso dei poteri dello Stato in relazione alle garanzie e ai diritti costituzionali dei cittadini”: qui infatti sarebbe esplicito il riferimento al «suicidio del maresciallo Lombardo dei ROS» ed all’esigenza di fronteggiare il venir meno, stando ancora alla citata relazione, della «trasparenza della legittimazione delle istituzioni». Vengono richiamati, inoltre, le interrogazioni avanzate dal deputato Sgarbi n. 4/08683 del 21 marzo 1995, n. 3/01624 del 28 ottobre 1997, n. 3/00803 del 10 marzo 1993, n. 4/00730 del 19 maggio 1994, nonché l’intervento del medesimo deputato in aula nella seduta del 17 marzo 1998, dove, nel riferire, facendolo proprio, il contenuto di una missiva ricevuta, si torna con toni fortemente critici sul tragico epilogo che ha riguardato il nominato maresciallo dei carabinieri di Terrasini e sulle responsabilità morali a suo giudizio individuabili.

La difesa della Camera evidenza inoltre come la situazione di Terrasini, anche in ragione della risonanza avuta nell’opinione pubblica e delle preoccupazioni suscitate, è stata oggetto di una molteplicità di atti ispettivi. Essa richiama i seguenti atti ispettivi: le interpellanze in Senato n. 2/00223 del 7 marzo 1995 (Scalone) e n. 2/00225 dell’8 marzo 1995 (Rosso e altri), alla Camera n. 2/00428 del 10 marzo 1995 (Tatarella e Gasparri) e n. 2/00452 dell’11 aprile 1995 (Simeone); le interrogazioni alla Camera n. 3/00468 del 7 marzo 1995 (Moioli Viganò ed altri), n. 3/00482 del 9 marzo 1995 (Gasparri), n. 3/00547 del 22 marzo 1995 (Scalone), n. 4/17855 del 17 gennaio 1996 (Gasparri-Fragalà), n. 3/01718 del 24 novembre 1997 (Maiolo), n. 3/01907 del 28 gennaio 1998 (Gasparri-Foti), nonché le interrogazioni in Senato n. 3/00514 del 7 marzo 1995 (La Loggia e altri), n. 3/00516 del 7 marzo 1995 (Pace), n. 3/00547 del 22 marzo 1995 (Scalone), n. 4/03606 dell’8 marzo 1995 (De Notaris), n. 4/04930 del 26 giugno 1995 (Pace), n. 4/07723 del 24 settembre 1997 (Novi).

La difesa della Camera ricorda che la stessa posizione del sindaco di Terrasini – con specifico riferimento alla questione dei tormentati rapporti con il consiglio comunale (che ha messo capo al successivo referendum) – è stata assunta ad oggetto di attività ispettiva. Si richiama l’interrogazione n. 3/00430 del 9 febbraio 1995, presentatori il deputato Liotta e altri, dove risultano stigmatizzati, nella prospettiva critica degli interroganti, taluni comportamenti tenuti dal sindaco di Terrasini nei confronti del consiglio comunale nonostante che tale organo si fosse segnalato «fin dal giorno del suo insediamento per un impegno fattivo e costante contro la mafia e contro ogni tipo di condizionamento, come fanno fede le delibere assunte, quasi sempre disattese dall’amministrazione comunale»; nella menzionata interrogazione non si esita altresì a parlare di condotte, sempre nell’avviso degli interroganti, penalmente rilevanti, sino a chiedere di «accertare se esistono atteggiamenti intimidatori del sindaco di Terrasini Manlio Mele nei confronti del consiglio comunale per impedirne l’attività istituzionale».

Erroneamente il giudice confliggente avrebbe ritenuto tale interrogazione non conferente rispetto alle dichiarazioni incriminate, dato che le valutazioni avanzate in sede ispettiva sarebbero coincidenti con le dichiarazioni del deputato Sgarbi. La netta convergenza di contenuto, e conseguentemente il carattere meramente divulgativo delle dichiarazioni in oggetto, indurrebbe a ritenere che nella specie non possa ritenersi preclusivo al riconoscimento del requisito della connessione con l’attività parlamentare quanto affermato nella sentenza n. 347 del 2004 in ordine alla inutilizzabilità allo scopo degli atti che non provengano dallo stesso deputato dichiarante: e questo soprattutto alla stregua dell’art. 3, comma 1, della legge n. 140 del 2003, che indica espressamente la “divulgazione” quale attività coperta dalla garanzia costituzionale della insindacabilità.

4. ¾ In prossimità dell’udienza, la Camera dei deputati ha depositato una memoria illustrativa.

Con essa si ribadisce l’eccezione di inammissibilità per la difficoltà di identificare con esattezza l’opinione extra moenia del deputato oggetto del conflitto, posto che la relativa dichiarazione si dovrebbe ricavare in definitiva ob relationem dalla sentenza di primo grado, in violazione della regola di autosufficienza del ricorso introduttivo. L’incertezza nella identificazione sarebbe aggravata dalla circostanza che il ricorso riproduce un brano della relativa querela, senza che ne venga adeguatamente rimarcata la distinzione rispetto alle frasi incriminate.

La difesa della Camera rileva inoltre come la dichiarazione su cui il conflitto dovrebbe vertere non sarebbe considerata dal giudice ricorrente nella sua oggettività, giacché le frasi sono riportate o congiuntamente alla lettura, evidentemente unilaterale, che delle stesse è stata data in sede di querela, o con riferimento alle valutazioni espresse dalla sentenza di primo grado. Ci troveremmo di fronte ad una anomala prospettazione del thema decidendum, la quale dovrebbe ricadere nella medesima ratio decidendi della sentenza n. 79 del 2005, che ha dichiarato l’inammissibilità di un ricorso per conflitto nel quale vi era stata una sostituzione delle frasi pronunciate dal parlamentare con una libera rielaborazione ad opera dell’autorità giudiziaria ricorrente.

Nel merito, la difesa della Camera osserva che la verifica della appartenenza delle opinioni espresse dal deputato Sgarbi al campo dell’insindacabilità debba investire la frase pronunciata nella compiutezza espositiva che ad essa è propria, ancorché soltanto su di un suo frammento verta il conflitto di attribuzione.

E proprio con riferimento alla vicenda del maresciallo Lombardo sussisterebbe il nesso funzionale tra le opinioni rese all’esterno e l’attività parlamentare.

La difesa della Camera richiama anche gli atti tipici di altri parlamentari (in particolare, l’interrogazione del deputato Liotta) che hanno investito la situazione del Comune di Terrasini e la stessa posizione assunta dal sindaco di quel Comune. Nella memoria si ricorda che l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte è nel senso della inutilizzabilità, ai fini della dimostrazione della sussistenza del nesso con l’attività parlamentare, degli atti che non provengano dallo stesso autore delle dichiarazioni. Al riguardo si osserva tuttavia che questo criterio di ordine generale dovrebbe comunque bilanciarsi con le specifiche caratteristiche della fattispecie e che quando, come nella specie, la coincidenza delle opinioni esterne con l’atto tipico di un diverso parlamentare sia addirittura puntuale, ciò dovrebbe comportare che le opinioni esterne assumano una funzione marcatamente divulgativa. E – si sostiene – la dichiarazione divulgativa non sarebbe confinabile esclusivamente nella dimensione politica, ma potrebbe, in ragione della particolare intensità che il nesso di collegamento assume in simili casi, legittimare l’ascrizione delle dichiarazioni esterne divulgative al campo prettamente parlamentare, con l’attivazione della relativa garanzia di cui è titolare il deputato autore delle dichiarazioni stesse.

Considerato in diritto

1. ¾ La Corte d’appello di Palermo – I sezione penale, con ricorso depositato il 16 giugno 2004, ha sollevato conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 4 febbraio 2004 (doc. IV-quater, n. 60), con cui l’Assemblea ha dichiarato che i fatti per i quali il deputato Vittorio Sgarbi è sottoposto a procedimento penale concernono opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni di parlamentare, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Ad avviso della Corte d’appello, la Camera dei deputati, con la deliberazione assunta, avrebbe esercitato illegittimamente il proprio potere, avendo arbitrariamente qualificato come esercizio della funzione parlamentare le dichiarazioni rese in data 12 marzo 1997 dal deputato Sgarbi nel corso della trasmissione televisiva “Sgarbi quotidiani”.

Riferisce la Corte d’appello ricorrente che, nel corso di quella trasmissione televisiva, il deputato Sgarbi, riferendosi al sindaco del Comune di Terrasini, Manlio Mele, aveva affermato che in quella città «c’è stato un referendum, non ho capito poi perché, se non perché la mafia c’è e sappiamo da che parte sta, non si è stabilito di cacciare quel sindaco», e che in ciò il Tribunale, in primo grado, pervenendo ad una pronuncia di condanna, aveva colto l’accusa, mossa al Mele, di avere goduto dell’appoggio della mafia di Terrasini in occasione del referendum elettorale che lo aveva visto contrapposto al consiglio comunale in conseguenza del voto di sfiducia espresso da quell’organo nei suoi confronti.

Secondo la Corte d’appello, immotivatamente sarebbe stato ritenuto sussistente il collegamento funzionale di tali affermazioni con l’attività parlamentare del deputato Sgarbi, considerato che la prerogativa costituzionale dell’insindacabilità tutela unicamente l’indipendente svolgimento delle attività proprie del parlamentare (all’interno o all’esterno del parlamento) e quelle ad esse strettamente connesse, come accade nel caso di divulgazione al pubblico dell’attività già svolta in sede istituzionale.

Di qui il sollevato conflitto, vertendosi in materia di interferenza dell’esercizio del potere conferito alla Camera dei deputati dall’art. 68, primo comma, della Costituzione nelle attribuzioni dell’autorità giudiziaria, previste e garantite dall’art. 102 della Costituzione.

2. ¾ Preliminarmente, deve essere confermata l’ammissibilità del conflitto, sussistendone i presupposti soggettivi ed oggettivi, come già ritenuto da questa Corte con l’ordinanza n. 446 del 2004.

Non può essere accolta in proposito l’eccezione, avanzata dalla difesa della Camera dei deputati, basata sul rilievo che l’atto introduttivo sarebbe carente sotto il profilo della prospettazione del thema decidendum, giacché – si sostiene – le dichiarazioni su cui il conflitto dovrebbe vertere non sarebbero state considerate dal giudice ricorrente nella loro oggettività, ma sarebbero state rielaborate con il riferimento alla valutazione espressa al riguardo dal giudice di primo grado.

Invero, la descrizione delle opinioni espresse dal deputato appare sufficiente alla loro compiuta identificazione, dal momento che la Corte d’appello per un verso riproduce il capo di imputazione in relazione al quale il parlamentare è stato tratto a giudizio a seguito della presentazione dell’atto di querela per il reato di diffamazione e, per l’altro verso, riporta testualmente le dichiarazioni, oggetto del conflitto di attribuzione, rese extra moenia dal parlamentare e per le quali è intervenuta sentenza di condanna in primo grado.

Nel ricorso introduttivo non vi è alcuna sostituzione di quelle frasi e della loro rilevanza oggettiva con una libera rielaborazione ad opera dell’autorità giudiziaria ricorrente.

Pertanto il ricorso, autosufficiente nella prospettazione del thema decidendum, soddisfa le prescrizioni dettate dall’art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

3. ¾ Nel merito, il ricorso è fondato.

3.1. ¾ Questa Corte ha precisato che l’insindacabilità di cui al primo comma dell’art. 68 della Costituzione copre le opinioni espresse extra moenia dai membri delle Camere solo quando le stesse costituiscano riproduzione sostanziale, ancorché non letterale, di atti tipici nei quali si estrinsecano le diverse funzioni parlamentari. Deve esistere, pertanto, un nesso funzionale tra queste ultime e le eventuali loro proiezioni esterne, mentre non è sufficiente una generica comunanza di argomento o di contesto politico (sentenze n. 10 e n. 11 del 2000, n. 164, n. 176 e n. 193 del 2005, n. 249, n. 258, n. 260, n. 317, n. 335, n. 392 e n. 416 del 2006).

3.2. – Nel caso in esame, nella delibera di insindacabilità e nella proposta della Giunta per le autorizzazioni manca qualsiasi riferimento ad atti tipici del parlamentare. In proposito, la proposta della Giunta per le autorizzazioni, cui rinvia la delibera di insindacabilità, rileva che le affermazioni oggetto del procedimento penale sono state ritenute di carattere «squisitamente politico» ed attinenti «al confronto – assai acceso – che si è avuto nel nostro Paese sui modi e sulle strategie di contrasto della criminalità mafiosa», non essendo «sufficiente a rovesciare questo assunto» il fatto che il parlamentare «si sia riferito a un contesto locale».

Inoltre, gli atti tipici, provenienti dal parlamentare, evocati e prodotti in questo giudizio dalla difesa della Camera – una proposta di legge, numerosi atti di sindacato ispettivo e un intervento in una seduta dell’Aula – non evidenziano profili di sostanziale corrispondenza rispetto alle opinioni che formano oggetto del procedimento dinanzi alla Corte d’appello ricorrente. Tali atti tipici, infatti, testimoniano la costante attenzione del parlamentare alle strategie di contrasto del fenomeno mafioso, ma non contengono alcun riferimento e tanto meno muovono alcun addebito di collusione con la mafia al sindaco del Comune di Terrasini nella vicenda che lo vedeva contrapposto al consiglio comunale.

Ai fini della riconducibilità delle dichiarazioni, per cui pende il procedimento penale, nell’ambito dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, è d’altra parte irrilevante che la questione dei rapporti del sindaco del Comune di Terrasini con il consiglio comunale (che ha messo capo al successivo referendum) sia stata assunta ad oggetto di attività ispettiva da parte di altri parlamentari. Questa Corte ha infatti affermato che l’insindacabilità di cui alla citata norma costituzionale «è finalizzata a garantire l’istituzione parlamentare, ma si riferisce all’attività svolta personalmente dai singoli parlamentari» (sentenza n. 452 del 2006). La verifica del nesso funzionale tra dichiarazioni rese extra moenia ed attività tipicamente parlamentari, nonché il controllo sulla sostanziale corrispondenza tra le prime e le seconde, devono essere pertanto effettuati con riferimento alla stessa persona, mentre «sono irrilevanti gli atti di altri parlamentari», poiché, se «è vero che le guarentigie previste dall’art. 68 Cost. sono poste a tutela delle istituzioni parlamentari nel loro complesso e non si risolvono in privilegi personali dei deputati e dei senatori», tuttavia da ciò non può trarsi la conseguenza che «esista una tale fungibilità tra i parlamentari iscritti allo stesso gruppo da produrre effetti giuridici sostanziali nel campo della loro responsabilità civile e penale per le opinioni espresse al di fuori delle Camere: l’art. 68, primo comma, Cost. non configura una sorta di insindacabilità di gruppo, per cui un atto o intervento parlamentare di un appartenente ad un gruppo fornirebbe copertura costituzionale per tutti gli altri iscritti al gruppo medesimo» (sentenza n. 249 del 2006).

3.3. ¾ In definitiva, fa difetto, nella fattispecie in esame, il nesso funzionale tra le dichiarazioni rese dal parlamentare in una trasmissione televisiva e gli atti parlamentari tipici richiamati dalla difesa della Camera dei deputati per sostenere la validità della delibera di insindacabilità impugnata dal giudice confliggente.

E’ appena il caso di sottolineare che oggetto del presente giudizio non è la valutazione dell’offensività delle dichiarazioni del parlamentare, ma solo l’estensione della copertura offerta dal primo comma dell’art. 68 della Costituzione alle dichiarazioni che hanno dato luogo alla querela.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spettava alla Camera dei deputati affermare che le dichiarazioni rese dal deputato Vittorio Sgarbi, oggetto del procedimento pendente davanti alla Corte d’appello di Palermo – I sezione penale, costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

annulla, di conseguenza, la deliberazione di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 4 febbraio 2004 (doc. IV-quater, n. 60).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 23 febbraio 2007.