Ordinanza n. 49 del 2007

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ORDINANZA N. 49

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giovanni Maria        FLICK                    Presidente

- Francesco               AMIRANTE            Giudice

- Ugo                        DE SIERVO                 "

- Romano                  VACCARELLA            "

- Paolo                      MADDALENA             "

- Alfio                       FINOCCHIARO           "

- Alfonso                   QUARANTA                "

- Franco                    GALLO                        "

- Luigi                       MAZZELLA                 "

- Gaetano                  SILVESTRI                          "

- Sabino                    CASSESE                    "

- Maria Rita               SAULLE                      "

- Giuseppe                 TESAURO                   "

- Paolo Maria             NAPOLITANO             "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 173 del decreto del Presidente della Repubblica del 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni),  come modificato dal decreto-legge 30 settembre 1974, n. 460 (Modifica dell'articolo 173 del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156), convertito, con modificazioni, in legge 25 novembre 1974, n. 588, nonché dell’art. 7, comma 3, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 284 (Riordino della Cassa depositi e prestiti, a norma dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), promosso con ordinanza del 19 gennaio 2006 dal Giudice di pace di Teano nel procedimento civile vertente tra Poste Italiane Spa e Mario Mancino, iscritta al n. 321 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2006.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 gennaio 2007 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.

Ritenuto che il Giudice di pace di Teano, con ordinanza del 19 gennaio 2006, emessa nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ha sollevato, con riferimento agli artt. 3, 43, 47 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 173 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), come modificato dal decreto-legge 30 settembre 1974, n. 460 (Modifica dell'articolo 173 del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156),  convertito, con modificazioni, dalla legge 25 novembre 1974, n. 588,  nonché dell’art. 7, comma 3, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 284 (Riordino della Cassa depositi e prestiti, a norma dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59);

che, come riferisce il rimettente, il giudizio a quo trae origine dal fatto che il signor Mario Mancino, intestatario di un buono postale fruttifero emesso nel 1981 e da questo portato per l’incasso presso l’ufficio postale emittente nel marzo del 2005, si era visto offrire dall’ufficio, quale controvalore, non l’importo da lui atteso di euro 2.525,45 (comprensivo degli interessi calcolati secondo le indicazioni riportate sul retro del documento), ma quello minore di euro 2.377,83;

che a questo punto il signor Mancino, prosegue testualmente il rimettente, «con ricorso per concessione di decreto ingiuntivo, chiedeva al Giudice di pace adito di ingiungere alla Spa Poste Italiane di corrispondergli l’importo di euro 1.000,00 a parziale soddisfacimento dell’intero credito risultante (…) sulla base della tabella riportata a tergo del buono postale fruttifero, con riserva di agire per l’intero pagamento del residuo ritenuto spettantegli»;

che, aggiunge il rimettente, avverso il concesso decreto ingiuntivo proponeva opposizione la Poste Italiane Spa eccependo la infondatezza della pretesa, in quanto il Ministero del tesoro, con decreto ministeriale del 13 giugno 1986 (Modificazione dei saggi di interesse sui libretti e sui buoni postali di risparmio), aveva previsto, ai sensi dell’art. 173 del d.P.R. n. 156 del 1973,  che il minore saggio degli interessi applicato ai buoni postali fruttiferi, la cui emissione era stata disposta con detto decreto ministeriale, fosse applicabile anche ai buoni già emessi, fra i quali era anche quello intestato al creditore opposto;

che, riferisce ancora il rimettente, l’opponente aggiungeva che, sebbene l’art. 173 del d.lgs. n. 156 del 1973 fosse stato abrogato con d.lgs. n. 284 del 1999, esso continuava a trovare applicazione, secondo l’espressa previsione contenuta nell’art. 7, comma 3, dello stesso d.lgs. n. 284 del 1999, in relazione ai buoni postali già emessi sino alla data di entrata in vigore dei decreti di rideterminazione delle caratteristiche e condizioni dei buoni postali;

che il creditore opposto, sempre secondo quanto espone il rimettente, contestata la fondatezza della opposizione, ne chiedeva il rigetto, eccependo, in subordine, la incostituzionalità del predetto art. 173 del d.P.R. n. 156 del 1973 e dell’art. 7, comma 3, del d.lgs. n. 284 del 1999, quest’ultimo nella parte in cui consentiva, nonostante la disposta abrogazione, la perdurante applicazione ai rapporti già in essere dell’art. 173 citato;

che il Giudice di pace di Teano, ritenutane la non manifesta infondatezza, ha quindi sollevato questione di costituzionalità delle dette disposizioni, rilevando che, come diverse disposizioni del d.P.R. n. 156 del 1973 già in passato erano state oggetto di pronunzie di incostituzionalità a causa della disparità di trattamento normativo riscontrabile tra i servizi resi in regime di bancoposta e quelli analoghi resi dagli istituti di credito, così si deve ora ritenere illegittimo l’art. 173 del d.P.R. n. 156 del 1973;

che, secondo il giudice rimettente, in particolare, la disparità di trattamento, significativa ai sensi dell’art. 3 della Costituzione, emergerebbe raffrontando l’art. 173 del d.P.R. n. 156 del 1973 con gli artt. 117 e 118 del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia);

che il primo di tali articoli prevede che i contratti bancari siano redatti per iscritto, che siano in essi indicati gli interessi e le altre condizioni ed i prezzi praticati e che la possibilità di variare in senso sfavorevole per il cliente i saggi degli interessi o le altre condizioni o prezzi deve essere espressamente indicata nel contratto con clausola specificamente approvata, mentre il secondo prevede, a sua volta, che le variazioni contrattuali sfavorevoli al cliente debbono essere comunicate al medesimo, il quale, nei 15 giorni successivi al ricevimento della comunicazione scritta della variazione, può recedere dal contratto senza penalità e con l’applicazione delle condizioni precedenti;

che, ad avviso del rimettente, poiché la disciplina contenuta nell’art. 173 del d.P.R. n. 156 del 1973 non prevede, a differenza di quella applicabile agli istituti di credito, gli evidenziati limiti alla variazione delle condizioni contrattuali, emergerebbe la illegittimità costituzionale di tale norma, stante la ingiustificata ed irragionevole «disparità di trattamento in capo ai cittadini utenti di analoghi servizi resi dalle banche»;

che tale illegittimità, aggiunge il giudice a quo, residuerebbe anche successivamente alla emanazione del d.lgs. n. 284 del 1999, il quale, sebbene abbia disposto l’abrogazione delle disposizioni contenute nei capi V e VI del titolo I del libro III del d.P.R. n. 156 del 1973 (fra le quali è compreso l’art. 173), all’art. 7, comma 3, tuttavia prevede che «i rapporti già in essere (…) continuano ad essere regolati dalle norme anteriori», consentendo così il protrarsi della denunciata disparità di trattamento in danno della tutela del risparmio e dei diritti fondamentali dell’individuo, penalizzando, altresì, il risparmiatore di ieri rispetto a quello di oggi, ancorchè entrambi siano fruitori dei medesimi servizi di risparmio postale;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso, con riserva di meglio argomentare, nel senso della inammissibilità della questione di legittimità costituzionale per difetto di rilevanza nel giudizio a quo;      

che, nell’imminenza della camera di consiglio, l’interveniente Avvocatura dello Stato ha depositato memoria illustrativa insistendo nelle già rassegnate conclusioni;

che, in particolare, la difesa erariale, ribadita la inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, rileva che il rimettente, pur avendo evocato a parametro anche gli artt. 43, 47 e 97 della Costituzione,  ha motivato le censure esclusivamente con riferimento all’art. 3 della medesima;

che, riguardo al solo parametro effettivamente preso a riferimento, l’Avvocatura osserva come sia incongruo richiamare, quale tertium comparationis, il combinato disposto degli artt. 117 e 118 del testo unico in materia bancaria, dato che questo, al momento sia della emissione dei buoni postali de quibus che della adozione del decreto ministeriale con il quale è stato variato il saggio di redditività dei buoni già in circolazione, ancora non era stato emanato, né se ne può ipotizzare l’efficacia retroattiva, sia pure a soli fini di comparazione;

che, peraltro, rileva ancora la difesa erariale, la raccolta del risparmio organizzata dalla Cassa depositi e prestiti è sottoposta a disciplina diversificata rispetto a quella bancaria e che, comunque, le norme indicate come parametro di comparazione non prevedono la immutabilità dei tassi di interesse, ma la subordinano a determinate condizioni che, in realtà, non sono molto diverse da quelle previste, al medesimo fine, per i buoni postali fruttiferi;

che l’Avvocatura precisa, ancora, che il risparmiatore, il quale si fosse avveduto della variazione in peius del saggio degli interessi, avrebbe potuto immediatamente portare all’incasso i buoni, esercitando in tal modo il diritto di recesso dal rapporto con l’emittente e che, infine, stante la mancanza di una anagrafe dei titolari dei buoni postali, sarebbe stato materialmente impossibile per l’emittente raggiungere personalmente i titolari medesimi onde comunicare loro l’avvenuta variazione dei tassi.

Considerato che il giudice di pace di Teano dubita, in relazione agli artt. 3, 43, 47 e 97 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 173 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), come modificato dal decreto-legge 30 settembre 1974, n. 460 (Modifica dell'articolo 173 del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156),  convertito, con modificazioni, dalla legge 25 novembre 1974, n. 588,  nonché dell’art. 7, comma 3, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 284 (Riordino della Cassa depositi e prestiti, a norma dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59);

che il rimettente, in sostanza, censura l’art. 173 del d.P.R. n. 156 del 1973, in quanto, a differenza delle previsioni contenute negli artt. 117 e 118 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), riguardo ai consimili rapporti intrattenuti con gli istituti di credito, prevede la possibilità che, a seguito della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica di apposito decreto ministeriale, sia unilateralmente diminuito il saggio degli interessi applicabile ai buoni postali fruttiferi già in possesso dei risparmiatori, nonchè l’art. 7, comma 3, del d.lgs. n. 284 del 1999, il quale, pur abrogando l’art. 173 del d.P.R. n. 156 del 1973, prevede che i rapporti già in essere continuino ad essere regolati dalle norme anteriori;

che il rimettente non ha assolutamente motivato in ordine alla rilevanza della sollevata questione di legittimità costituzionale ai fini della decisione da assumere nel giudizio a quo;

che la motivazione della rilevanza della questione tanto più sarebbe stata necessaria ove si consideri che nel giudizio a quo si controverte sulla effettiva debenza da parte di Poste Italiane Spa di una somma di danaro (euro 1.000,00) il cui importo, secondo quanto riferito dal giudice rimettente, è inferiore non solo al controvalore del buono postale fruttifero calcolato sulla base del saggio degli interessi originariamente previsto (euro 2.525,45) ma anche a quello che risulterebbe dovuto applicando al predetto buono postale il saggio degli interessi diminuito in applicazione delle disposizioni legislative censurate (euro 2.377,83), sicché la definizione del giudizio a quo appare, primo visu, indipendente dalla definizione dell’incidente di costituzionalità sollevato dal rimettente;

che, pertanto, la questione, in assenza di motivazione sulla sua rilevanza, va dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 173 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), come modificato dal decreto-legge 30 settembre 1974, n. 460 (Modifica dell'articolo 173 del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156), convertito, con modificazioni, dalla legge 25 novembre 1974, n. 588,  nonché dell’art. 7, comma 3, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 284 (Riordino della Cassa depositi e prestiti, a norma dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 43, 47 e 97 della Costituzione dal Giudice di pace di Teano con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 5 febbraio 2007.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 20 febbraio 2007.