Ordinanza n. 433 del 2006

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ORDINANZA N. 433

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                     BILE                                                              Presidente

- Giovanni Maria       FLICK                                                             Giudice

- Francesco                AMIRANTE                                                         ”

- Ugo                         DE SIERVO                                                         ”

- Romano                  VACCARELLA                                                   ”

- Paolo                       MADDALENA                                                    ”

- Alfio                       FINOCCHIARO                                                  ”

- Alfonso                   QUARANTA                                                        “

- Franco                     GALLO                                                                 ”

- Luigi                       MAZZELLA                                                         “

- Gaetano                  SILVESTRI                                                          ”

- Sabino                     CASSESE                                                             ”

- Maria Rita               SAULLE                                                               ”

- Giuseppe                 TESAURO                                                            ”

- Paolo Maria             NAPOLITANO                                                    ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 34, comma 2, e 556, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 2 febbraio 2004, dal Tribunale di Perugia, sezione distaccata di Foligno, iscritta al n. 432 del registro ordinanze del 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, edizione straordinaria del 3 giugno 2004.

            Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

            udito nella camera di consiglio dell’8 novembre 2006 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.G

Ritenuto che, con ordinanza del 2 febbraio 2004, il Tribunale di Perugia, sezione distaccata di Foligno, ha sollevato – con riferimento agli artt. 3, 24, 25, 101 e 111 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale degli artt. 556, comma 2, e 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono che l’imputato tratto a giudizio mediante citazione diretta, dopo che il giudice dibattimentale abbia respinto in limine litis la sua richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad un’integrazione probatoria, possa rinnovare detta richiesta avanti ad un diverso giudice, investito del procedimento in forza dell’incompatibilità sopravvenuta del primo;

che nel giudizio a quo, condotto con rito monocratico a citazione diretta, si procede alla celebrazione del dibattimento dopo che il rimettente ha respinto, per ragioni non specificate, una richiesta condizionata di giudizio abbreviato, formulata dal procuratore speciale dell’imputato;

che il Tribunale premette come questa Corte, con la sentenza n. 169 del 2003, abbia ritenuto necessario che il provvedimento di rigetto della richiesta di accesso al rito abbreviato da parte del giudice dell’udienza preliminare non determini una definitiva preclusione, dichiarando conseguentemente l’illegittimità costituzionale del comma 6 dell’art. 438 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedeva che, nel caso appunto di rigetto della sua domanda, l’imputato potesse rinnovare quest’ultima prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, con eventuale celebrazione del rito speciale da parte del giudice dibattimentale;

che, secondo il rimettente, l’imputato perseguito mediante citazione diretta sarebbe privo di una garanzia analoga, in quanto, essendo la sua richiesta di giudizio abbreviato proponibile per la prima volta davanti al giudice dibattimentale, l’eventuale provvedimento di rigetto non potrebbe essere sindacato, da un diverso magistrato, nell’ulteriore corso del procedimento;

che il Tribunale rileva ulteriormente come questa Corte, a proposito dell’applicazione di pena su richiesta, abbia stabilito la necessaria incompatibilità a procedere al dibattimento del giudice che abbia respinto la richiesta delle parti per ragioni non formali, cioè attinenti al merito dell’imputazione (è citata in proposito la sentenza n. 399 del 1992);

che, a parere del rimettente, anche la mancanza di un’analoga previsione per il caso di rigetto in limine litis della domanda condizionata di giudizio abbreviato varrebbe a discriminare ingiustamente l’imputato perseguito mediante citazione diretta a giudizio;

che l’attuale disciplina, quindi, sarebbe inidonea ad assicurare per l’imputato due garanzie costituzionalmente dovute: la possibilità di proporre per una nuova valutazione la richiesta condizionata di giudizio abbreviato e l’esame della richiesta rinnovata da parte di un giudice diverso da quello che abbia assunto il provvedimento di rigetto;

che la normativa vigente si porrebbe in contrasto, in particolare, con l’art. 3 Cost. – data la sostanziale analogia di posizione tra colui che venga perseguito per citazione diretta e colui che sia chiamato in giudizio attraverso l’udienza preliminare – e con l’art. 24 Cost., non essendo accordata la possibilità «di riproporre avanti ad altro giudicante diverso da quello che si era formato un’opinione precostituita, la medesima istanza di giudizio abbreviato condizionato»;

che la disciplina in questione violerebbe anche i principi di imparzialità e indipendenza del giudice, riferiti dal rimettente agli artt. 25, 101 e 111 Cost., visto che gli stessi «rispondono all’esigenza di evitare che una valutazione di merito del giudice possa essere, o possa ritenersi condizionata dalla sua precedente attività processuale»;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 17 giugno 2004, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile, in quanto manifestamente irrilevante nel giudizio a quo;

che infatti, secondo la difesa erariale, con il rigetto dell’istanza condizionata di giudizio abbreviato, il rimettente avrebbe «superato la questione oggetto del vaglio di legittimità costituzionale richiesto».

Considerato che il Tribunale di Perugia, sezione distaccata di Foligno, dubita – in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 101 e 111 della Costituzione – della legittimità costituzionale degli artt. 556, comma 2, e 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono che l’imputato tratto a giudizio mediante citazione diretta, dopo che il giudice dibattimentale abbia respinto in limine litis la sua richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad un’integrazione probatoria, possa rinnovare detta richiesta avanti ad un diverso giudice, investito del procedimento in forza dell’incompatibilità sopravvenuta del primo;

che, in via preliminare, non può condividersi l’eccezione di inammissibilità della questione formulata dall’Avvocatura dello Stato, in quanto il Giudice rimettente, prospettando la parziale illegittimità dell’art. 34 cod. proc. pen., sollecita una pronuncia i cui effetti inciderebbero su una disposizione immediatamente applicabile nel procedimento a quo, comportando l’incompatibilità del giudicante;

che, nel merito, la questione sollevata muove dalla constatazione che nel giudizio a citazione diretta non può trovare applicazione il meccanismo di «rinnovazione» della domanda già rigettata dal giudice delle indagini o dell’udienza preliminare, introdotto nell’ordinamento per effetto della sentenza di questa Corte n. 169 del 2003;

che, per altro, la continuità della fase in cui si innestano il provvedimento di rigetto e la conseguente celebrazione del giudizio di merito osta, di per sé, ad una emulazione del meccanismo di reiterazione della domanda;

che di tale situazione prende atto lo stesso Giudice rimettente, il quale infatti sollecita, accanto ad un intervento additivo sull’art. 556, comma 2, cod. proc. pen., che introduca la possibilità di «rinnovazione» della domanda rigettata, una dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, dello stesso codice, tale da collegare alla deliberazione del provvedimento negativo una sopravvenuta incompatibilità del giudice procedente, e dunque l’investitura di un diverso magistrato, avanti al quale detta «rinnovazione» sarebbe possibile;

che, a parere del Giudice a quo, una variazione siffatta del quadro normativo attuerebbe anche la necessaria parificazione fra il trattamento dell’imputato che si veda respingere una richiesta condizionata di giudizio abbreviato e quello dell’imputato al quale venga negata l’applicazione della pena su richiesta a norma dell’art. 444 cod. proc. pen.;

che tale prospettazione istituisce un accostamento ingiustificato tra la situazione in esame e quella, ben diversa, conseguente ad un provvedimento negativo del giudice dibattimentale sulla richiesta di patteggiamento (ordinanza n. 101 del 2002);

che, d’altra parte, la soluzione prospettata dal Giudice rimettente condurrebbe all’assurda conseguenza di una catena potenzialmente infinita di provvedimenti di rigetto e di sopravvenute incompatibilità del giudice di volta in volta procedente: prova ne sia che, nello stesso procedimento di applicazione della pena su richiesta, l’incompatibilità del giudice dibattimentale che abbia rigettato la relativa domanda, ed il conseguente mutamento della persona chiamata all’ulteriore celebrazione del giudizio, non preludono ad una «rinnovazione» della richiesta di patteggiamento, la quale anzi risulta espressamente preclusa dalla legge (art. 448, comma 1, cod. proc. pen.);

che, alla luce dei rilievi che precedono, risulta del tutto fisiologica una eterogeneità dei meccanismi di sindacato sui provvedimenti che regolano l’introduzione dei riti speciali quando l’azione penale viene esercitata secondo modalità che consentono al pubblico ministero l’accesso diretto alla sede dibattimentale;

che la celebrazione del procedimento nelle forme ordinarie, per effetto del provvedimento negativo assunto in limine litis sulla richiesta di rito abbreviato, non esclude che debba essere valutato, in esito al giudizio,  se sia legittima una commisurazione della pena senza la diminuente prevista dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen.;

che, infatti, nella giurisprudenza di legittimità si è affermato il principio secondo cui il fondamento della decisione preclusiva deve essere valutato in ogni successiva occasione nella quale il giudice determini o verifichi la quantificazione della pena, a partire dalla deliberazione della sentenza di condanna ad opera dello stesso giudice dibattimentale per proseguire, eventualmente, in fase di gravame;

che, dunque, risulta erroneo il presupposto interpretativo essenziale dell’ordinanza di rimessione, e cioè che nel giudizio a citazione diretta l’ordinanza di rigetto della richiesta condizionata di giudizio abbreviato sarebbe sottratta ad ogni forma di sindacato, ed in particolare al vaglio di un giudice diverso da quello che l’abbia deliberata;

che, pertanto, le questioni proposte sono manifestamente infondate in relazione a tutti i parametri evocati dal rimettente.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 556, comma 2, e 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata dal Tribunale di Perugia, sezione distaccata di Foligno, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 101 e 111 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2006.

 

F.to:

 

Franco BILE, Presidente

 

Gaetano SILVESTRI, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2006.