Sentenza n. 352 del 2006

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ORDINANZA N. 352

ANNO 2006

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Franco                             BILE                                             Presidente

-      Giovanni Maria               FLICK                                              Giudice

-      Francesco                        AMIRANTE                                         "

-      Ugo                                 DE SIERVO                                         "

-      Romano                           VACCARELLA                                   "

-      Paolo                               MADDALENA                                    "

-      Alfio                                FINOCCHIARO                                  "

-      Alfonso                           QUARANTA                                        "

-      Franco                             GALLO                                                 "

-      Luigi                                MAZZELLA                                         "

-      Gaetano                           SILVESTRI                                          "

-      Sabino                             CASSESE                                             "

-      Maria Rita                       SAULLE                                               "

-      Giuseppe                         TESAURO                                            "

-      Paolo Maria                     NAPOLITANO                                    "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 12-ter, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, aggiunto dall’art. 7, comma 1, della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), promossi con due ordinanze del 22 settembre 2004 dal Consiglio di Stato sui ricorsi proposti dal Comune di Conegliano ed altri e dalla Provincia di Treviso contro l’Ordine degli ingegneri della Provincia di Treviso ed altri, iscritte ai nn. 947 e 948 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visti gli atti di costituzione del Comune di Firenze ed altra, della Provincia di Treviso, dell’Ordine degli ingegneri della Provincia di Treviso, del Consiglio nazionale degli ingegneri nonché l’atto di intervento del Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori paesaggisti e conservatori e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2006 il Giudice relatore Luigi Mazzella;

uditi gli avvocati Angelo Clarizia per il Comune di Firenze ed altra, Andrea Manzi per la Provincia di Treviso, Gabriele Maso per l’Ordine degli ingegneri della Provincia di Treviso, Francesco Braschi per il Consiglio nazionale degli ingegneri, Massimo Luciani per il Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori e l’avvocato dello Stato Claudio Linda per il Presidente del Consiglio dei ministri.

      Ritenuto che a seguito dell’impugnazione - da parte di varie categorie professionali - del decreto del Ministro della giustizia, emanato in data 4 aprile 2001, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, e recante l’aggiornamento degli onorari spettanti a diverse categorie di professionisti per le attività di progettazione ed altre previste dall’art. 17, comma 14-bis, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), il TAR del Lazio - con sentenza n. 6552 del 23 luglio 2002 - annullava detto decreto in quanto adottato senza il preventivo coinvolgimento degli organi rappresentativi di tutte le professioni interessate;

      che, con l’art. 7, comma 1, della legge 1°agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), veniva introdotto, nel citato art. 17, il comma 12-ter in forza del quale, fino all’emanazione del decreto con il quale il Ministro della giustizia avrebbe rideterminato le tabelle dei corrispettivi delle indicate attività, continuava ad applicarsi quanto previsto dal decreto ministeriale del 2001;

che, accogliendo due distinti ricorsi proposti dall’Ordine degli ingegneri di Treviso avverso provvedimenti dei Dirigenti della Provincia di Treviso e del Comune di Conegliano, recanti la liquidazione dei compensi dovuti per l’espletamento di incarichi professionali relativi ad opere pubbliche sulla base della tariffa di cui alla legge 2 marzo 1949, n. 143 (Approvazione delle tariffe professionali degli ingegneri e architetti) anziché del citato decreto ministeriale, il TAR del Veneto - con sentenze nn. 2651 e 2653 del 2003 - dichiarava l’illegittimità dei provvedimenti impugnati;

che il Consiglio di Stato - cui si erano rivolte le amministrazioni soccombenti - con due ordinanze del 22 settembre 2004 di identico tenore ha dubitato della legittimità costituzionale del citato art. 17, comma 12-ter della legge n. 109 del 1994, come aggiunto dall’art. 7, comma 1, della legge n. 166 del 2002;

che secondo il rimettente la norma impugnata è lesiva degli artt. 3, 24, 101, 103 e 113 Cost., sia in quanto essa, attraverso una legificazione della fonte regolamentare, già annullata dal TAR del Lazio, elude gli effetti costitutivi della sentenza di annullamento, in assenza di ogni valutazione nel merito dell’oggetto della disciplina; sia in quanto il rinvio al citato decreto ministeriale non è corredato da meccanismi temporali idonei a circoscrivere nel tempo gli effetti della “blindatura” del testo regolamentare, non essendovi certezza sull’effettività del varo della nuova disciplina regolamentare; sia in quanto la legificazione non è giustificata, dal momento che la disciplina degli onorari spettanti a diverse categorie di professionisti per le attività di progettazione di opere pubbliche è riservata ad atto regolamentare; sia, infine, perché la reviviscenza del regolamento, ormai giuridicamente inesistente all’atto dell’entrata in vigore della legge, non risulta conforme a criteri di ragionevolezza;

che si è costituito in giudizio l’Ordine degli ingegneri della Provincia di Treviso, osservando anzitutto che il legislatore è sempre libero di disciplinare, con propri atti, settori rispetto ai quali ritiene, sulla base di un proprio apprezzamento discrezionale,  che vi sia un’insufficiente copertura legale e ciò nonostante il fatto che siano stati adottati in materia provvedimenti da parte del giudice amministrativo;

      che il deducente non ravvisa nella fattispecie alcuna elusione dell’intervento del giudice amministrativo, atteso che il TAR del Lazio aveva annullato il decreto ministeriale per ragioni meramente formali, in quanto emanato senza il preventivo coinvolgimento degli organi rappresentativi delle categorie professionali interessate;

      che ad analoghe conclusioni è pervenuto il Consiglio nazionale degli ingegneri pure costituitosi in giudizio;

che è intervenuto in giudizio anche il Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, eccependo l’inammissibilità o l’infondatezza della questione;

      che sono altresì intervenute la Provincia di Treviso e il Comune di Firenze, in persona del sindaco, anche nella veste di legale rappresentante dell’Associazione nazionale dei Comuni Italiani (ANCI), i quali, ulteriormente argomentando in memoria depositata prima dell’udienza, hanno invocato la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma impugnata, in quanto invasiva delle competenze sia del potere esecutivo, sia del potere giurisdizionale;

            che, nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, la Provincia di Treviso ha rilevato che con l’art. 2, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248, è stata abrogata ogni disposizione recante l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime, e, dunque, anche la norma impugnata. Tale jus superveniens comporterebbe la necessità della restituzione degli atti al rimettente per una nuova valutazione complessiva della questione;

            che, a loro volta, il Comune di Firenze e l’Associazione nazionale Comuni Italiani hanno precisato che la norma impugnata, stabilendo che «… continua ad applicarsi quanto previsto nel d.m. del 2001..», dispone, anche per il passato, nel senso che, confermando l’applicabilità di un provvedimento annullato dal Giudice amministrativo, con efficacia ex tunc, restituisce piena efficacia a tale atto e, in tal modo, annulla gli effetti del giudicato, con conseguente violazione della tutela dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico, nonché del rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario;

            che è pure intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, rilevando l’inammissibilità e la manifesta infondatezza della questione, con riserva di ulteriore memoria, peraltro depositata fuori termine.

Considerato che il Consiglio di Stato, con due ordinanze di identico tenore, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 12-ter della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), aggiunto dall’art. 7, comma 1, della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), nella parte in cui dispone l’applicabilità - sia pure in via transitoria - del decreto del Ministro della giustizia  4 aprile 2001;

che il Giudice rimettente ritiene la norma impugnata lesiva degli artt. 3, 24, 101, 103 e 113 della Costituzione sia in quanto essa, attraverso una legificazione della fonte regolamentare, già annullata dal TAR del Lazio, elude gli effetti costitutivi della sentenza di annullamento, in assenza di ogni valutazione nel merito dell’oggetto della disciplina; sia in quanto il rinvio al citato decreto ministeriale non è corredato da meccanismi temporali idonei a circoscrivere nel tempo gli effetti della “blindatura” del testo regolamentare, non essendovi certezza sull’effettività del varo della nuova disciplina regolamentare; sia in quanto la legificazione non è giustificata, dal momento che la disciplina degli onorari spettanti a diverse categorie di professionisti per le attività di progettazione di opere pubbliche è riservata ad atto regolamentare; sia, infine, perché la reviviscenza del regolamento, ormai giuridicamente inesistente all’atto dell’entrata in vigore della legge, non risulta conforme a criteri di ragionevolezza;

            che i due giudizi, avendo ad oggetto la stessa norma, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;

      che, preliminarmente, va ribadita, per le ragioni esposte nella ordinanza  letta in udienza, l’inammissibilità dell’intervento del Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori;

            che va disatteso l’avviso della Provincia di Treviso circa la necessità di una restituzione degli atti al rimettente per tener conto della legge 4 agosto 2006, n. 248 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale);l’art. 2, comma 1, di detta legge, di conversione del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono l’obbligatorietà delle tariffe professionali, con effetto «dalla data di entrata in vigore del decreto legge» e dunque non interferisce con la questione in esame;

che, nel merito, occorre prendere le mosse dall’art. 17, comma 14-bis, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, aggiunto dall’art. 6 della legge 18 novembre 1998, n. 415 (Modifiche alla legge 11 febbraio 1994, n. 109, e ulteriori disposizioni in materia di lavori pubblici), secondo cui «I corrispettivi delle attività di progettazione sono calcolati, ai fini della determinazione dell’importo da porre a base dell’affidamento, applicando le aliquote che il Ministro di grazia e giustizia, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, determina, con proprio decreto, ripartendo in tre aliquote percentuali la somma delle aliquote attualmente fissate, per i livelli di progettazione, dalle tariffe in vigore per i medesimi livelli…»;

che, in attuazione di tale norma, fu emanato il d.m. 4 aprile 2001, dapprima  riferito esclusivamente agli ingegneri ed architetti, e più tardi - con rettifica pubblicata nella G.U. 5 giugno 2001 - a tutte le «attività di progettazione ed alle altre attività, ai sensi dell’art. 17, comma 14-bis della legge n. 109 del 1994»;

            che, a seguito di ricorso proposto dal Consiglio nazionale dei geologi  avverso il citato decreto ministeriale, il TAR del Lazio, con sentenza del 23 luglio 2002, n. 6552, osservava che quel provvedimento, pur potendo assumere come base di riferimento il modello tariffario di una delle categorie professionali impiegate nel settore dei lavori pubblici, doveva essere annullato non essendo stati preventivamente interpellati tutti i soggetti istituzionalmente rappresentativi di tali categorie;

            che pochi giorni prima di tale sentenza, depositata il 23 luglio 2002, era stata approvata, in via definitiva dalla Camera dei deputati, il 17 luglio 2002, la legge 1° agosto 2002, n. 166 contenente il comma 12-ter della norma impugnata;

            che quest’ultima disposizione, in quanto ribadisce la competenza in materia del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, manifesta chiaramente il duplice intento del legislatore sia di recepire i contenuti del d.m. 4 aprile 2001, sia di delimitare il proprio intervento in via provvisoria fino all’emanazione di un nuovo decreto nel rispetto delle procedure di interpello;

che in tal modo il legislatore, attraverso un rinvio recettizio al decreto ministeriale, ha operato un richiamo del contenuto sostanziale del medesimo piuttosto che del contenitore;

            che sulla correttezza costituzionale di una simile fattispecie questa Corte si è già espressa positivamente affermando che «il legislatore è sempre libero di disciplinare con propri atti settori rispetto ai quali, in considerazione della riserva di legge (relativa) stabilita dall’art. 97 Cost., ritiene sulla base di un proprio apprezzamento discrezionale, che vi sia un’insufficiente copertura legale» e precisando che alla legificazione non è di ostacolo il fatto che siano stati adottati in materia provvedimenti di sospensiva da parte del giudice amministrativo (sentenza n. 356 del 1993);

che la disposizione impugnata non è priva di ragionevolezza ove si consideri che una diversa previsione normativa avrebbe comportato conseguenze distorsive più gravi di quelle asseritamente prodotte dalla norma impugnata. Ed infatti, in caso di non tempestivo intervento dell’Amministrazione, avrebbe dovuto essere nuovamente applicata  la disciplina tariffaria comune anche alle prestazioni professionali di contenuto progettuale in materia di opere pubbliche; il che avrebbe comportato una illogica parificazione tra la remunerazione degli incarichi professionali in materia di lavori pubblici – notoriamente più onerosi dopo l’entrata in vigore della legge n. 109 del 1994, la quale richiede almeno tre fasi di approfondimento delle elaborazioni progettuali (cfr. art. 16) - e la remunerazione degli incarichi professionali nel settore privato, parificazione che l’art. 17 voleva appunto evitare;

            che ulteriori argomenti a sostegno della legittimità della norma impugnata si rinvengono nella giurisprudenza di questa Corte concernente il più ampio ambito delle c.d. “leggi di sanatoria” (conf. sentenze nn. 263 del 1994 e 211 del 1998 sulla legificazione degli atti amministrativi contenenti le tariffe di estimo già annullati dal giudice amministrativo);

che, d’altro canto, non si ravvisa alcuno “straripamento” della funzione legislativa in quella giurisdizionale poiché, anche in casi  del genere, legislatore e giudice continuano a muoversi su piani nettamente differenziati (il primo fornisce regole di carattere tendenzialmente generale e astratto, mentre il secondo applica tale diritto oggettivo a singola fattispecie); censurabili sono piuttosto quelle leggi di sanatoria il cui unico intento è quello di incidere su uno o più giudicati, non potendo essere consentito al legislatore di risolvere direttamente, con la forma di legge, concrete controversie;

che, pertanto, la questione in esame è manifestamente infondata in quanto nessuno dei parametri indicati dal rimettente risulta violato dalla norma impugnata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 12-ter della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), aggiunto dall’art. 7, comma 1, della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti) sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 103 e 113 della Costituzione, dal Consiglio di Stato con le ordinanze in epigrafe.

            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 2006.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 ottobre 2006.


ALLEGATO:

Ordinanza letta all’udienza del 10 ottobre 2006

ORDINANZA

            Rilevato che nel giudizio di cui alle ordinanze nn. 947 e 948 del 2004 è intervenuto il Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, il quale, nei giudizi principali, non ha assunto la qualità di parte.

            Considerato  che, secondo il costante orientamento di questa Corte, sono inammissibili interventi di soggetti che non risultano essere parti nel giudizio a quo al momento dell’emissione dell’ordinanza di rimessione;

            che, essendo questa la situazione che ricorre nel caso di specie, l’intervento dev’essere dichiarato inammissibile.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

            dichiara inammissibile l’intervento del Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori.

 

                                                                                    F.to: Franco Bile, Presidente