Ordinanza n. 346 del 2006

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ORDINANZA N. 346

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Franco                                                        BILE                          Presidente

-  Giovanni Maria                                          FLICK                         Giudice

-  Francesco                                                   AMIRANTE                      “

-  Ugo                                                            DE SIERVO                      “

-  Romano                                                      VACCARELLA                “

-  Paolo                                                          MADDALENA                 “

-  Alfio                                                           FINOCCHIARO               “

-  Alfonso                                                      QUARANTA                    “

-  Franco                                                        GALLO                             “

-  Luigi                                                           MAZZELLA                     “

-  Gaetano                                                      SILVESTRI                       “

-  Sabino                                                        CASSESE                          “

-  Maria Rita                                                  SAULLE                            “

-  Giuseppe                                                    TESAURO                         “

-  Paolo Maria                                                NAPOLITANO                 “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 37, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), da solo e in combinato disposto con l’art. 43, primo comma, dello stesso d.P.R., ovvero con l’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. «472» [recte: 471] (Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), promosso con ordinanza deliberata il 19 ottobre 1998 e depositata il 16 novembre 2005 dalla Commissione tributaria regionale del Piemonte, nel giudizio tributario vertente tra l’Ufficio IVA di Novara e Secondo Bolognini, iscritta al n. 99 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2006.

            Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

            udito nella camera di consiglio del 27 settembre 2006 il Giudice relatore Franco Gallo.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio di appello – riguardante un avviso di irrogazione di sanzioni emesso, ai sensi dell’art. 43, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), per la presentazione, da parte del contribuente, della dichiarazione annuale dell’IVA relativa al 1992 oltre trenta giorni dalla scadenza del termine –, la Commissione tributaria regionale del Piemonte, con ordinanza datata 19 ottobre 1998, depositata il 16 novembre 2005 e pervenuta alla Corte costituzionale il 1° aprile 2006, ha sollevato questioni incidentali di legittimità costituzionale: a) «sotto un primo aspetto», del combinato disposto degli artt. 37, sesto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 e 43, primo comma, dello stesso d.P.R., nonché del combinato disposto degli artt. 37, sesto comma, del medesimo d.P.R. e 5, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. «472» [recte: 471] (Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), in riferimento all’art. 3 della Costituzione; b) «sotto un secondo alternativo aspetto», dell’art. 37, sesto comma, del citato d.P.R. n. 633 del 1972, in riferimento agli artt. 3 e 97, primo comma, Cost.; c) «inoltre», del medesimo art. 37, sesto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, in riferimento all’art. 77, primo comma, Cost.;

che il giudice di appello premette, in punto fatto, che il contribuente aveva «versato l’imposta dovuta nei termini di legge» e, in punto di diritto, che allo stesso contribuente, in relazione all’illecito di intempestiva presentazione della dichiarazione annuale dell’IVA, deve applicarsi – ai sensi degli artt. 25, commi 1 e 2, e 3 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, nonché del decreto legislativo 5 giugno 1998, n. 203 – la norma sanzionatrice più favorevole tra quella di cui al citato art. 43, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 e quella di cui all’art. 5, comma 1, del decreto legislativo n. 471 del 1997;

che, ad avviso della Commissione tributaria regionale, entrambe le predette norme sanzionatrici sarebbero comunque in contrasto con i canoni di ragionevolezza e di uguaglianza stabiliti dall’art. 3 Cost., in quanto ciascuna di esse prevede l’identico trattamento sanzionatorio di fattispecie radicalmente diverse: da un lato, l’omissione della dichiarazione (comportante, a dire del rimettente, la “sottrazione” all’Amministrazione finanziaria dell’intero debito d’imposta); dall’altro, la presentazione della dichiarazione oltre trenta giorni dalla scadenza del termine (ipotesi non comportante, sempre secondo il rimettente, alcuna “sottrazione” del debito d’imposta, in quanto consentirebbe all’Amministrazione finanziaria di esigere tale debito, ove non assolto);

che inoltre, per il rimettente, il disposto dell’art. 37, sesto (cioè ultimo) comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 (secondo cui le dichiarazioni ai fini dell’IVA presentate con ritardo superiore a trenta giorni si considerano omesse a tutti gli effetti, pur costituendo titolo per la riscossione dell’imposta che ne risulta dovuta) determinerebbe – in violazione del citato art. 3 Cost. – una irragionevole disparità di effetti derivanti dalla suddetta presentazione tardiva della medesima dichiarazione: effetti, da un lato, sfavorevoli per il contribuente (per il quale la tardività superiore a trenta giorni è equiparata all’omissione), e, dall’altro, favorevoli per l’Amministrazione finanziaria (per la quale la dichiarazione tardiva del contribuente costituisce titolo per riscuotere il debito di imposta dichiarato);

che la medesima Commissione tributaria regionale denuncia, altresí, il contrasto tra il citato art. 37, sesto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 e l’art. 97, primo comma, Cost., perché la norma censurata imporrebbe all’Amministrazione finanziaria un comportamento non imparziale, attribuendole la posizione, ad un tempo, di soggetto che sanziona l’illecito del contribuente e di “parte privilegiata” del rapporto tributario;

che, infine, a parere del giudice a quo, il citato art. 37, sesto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 (emanato in attuazione della legge di delegazione 9 ottobre 1971, n. 825, recante «Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria»), nell’equiparare la dichiarazione presentata oltre trenta giorni dalla scadenza del termine (dichiarazione che consente l’“applicazione” dell’imposta) all’omessa dichiarazione (che, invece, non la consentirebbe), violerebbe l’art. 77, primo comma, Cost., perché non costituendo norma «necessaria» al fine dell’“applicazione” dell’IVA, si pone in contrasto con il principio e criterio direttivo fissato dall’art. 5, primo comma, numero 9, della legge di delegazione n. 825 del 1971, il quale attribuisce al Governo il potere della «regolamentazione della contabilità, della documentazione e delle dichiarazioni o comunicazioni alla amministrazione finanziaria necessarie per l’applicazione dell’imposta in modo da consentire, in quanto possibile, l’unificazione degli obblighi dei soggetti e l’utilizzazione di scritture contabili obbligatorie ad altri effetti»;

che, quanto alla rilevanza delle questioni, il giudice rimettente si limita ad affermare che dalla loro decisione dipende l’accoglimento o il rigetto dell’appello proposto dall’Amministrazione finanziaria avverso la sentenza di primo grado favorevole al contribuente;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, con atto illustrato da successiva memoria, che «la questione prospettata sia dichiarata inammissibile, perché manifestamente infondata, o sia comunque rigettata per infondatezza».

Considerato che la Commissione tributaria regionale del Piemonte dubita della legittimità costituzionale: a) «sotto un primo aspetto», del combinato disposto degli artt. 37, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), e 43, primo comma, dello stesso d.P.R., nonché del combinato disposto degli artt. 37, sesto comma, del medesimo d.P.R. e 5, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), in riferimento all’art. 3 della Costituzione; b) «sotto un secondo alternativo aspetto», dell’art. 37, sesto comma, del citato d.P.R. n. 633 del 1972, in riferimento agli artt. 3 e 97, primo comma, Cost.; c) «inoltre», del medesimo art. 37, sesto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, in riferimento all’art. 77, primo comma, Cost.;

che per il giudice rimettente, in particolare, le disposizioni denunciate – nel considerare omesse le dichiarazioni annuali dell’IVA presentate dal contribuente con un ritardo superiore a trenta giorni e nello stabilire che tali dichiarazioni costituiscono titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati – violerebbero, rispettivamente: a) i princípi di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., perché sia l’art. 43, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, sia l’art. 5, comma 1, del decreto legislativo n. 471 del 1997 prevedono (in quanto richiamate dall’art. 37, sesto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972) il medesimo trattamento sanzionatorio di fattispecie radicalmente diverse tra loro, quali, da un lato, l’omissione della dichiarazione annuale dell’IVA e, dall’altro, la presentazione della stessa dichiarazione oltre trenta giorni dalla scadenza del termine; e ciò indipendentemente dall’individuazione, tra le predette due norme sanzionatrici, di quella più favorevole al contribuente e, quindi, di quella in concreto applicabile nel giudizio a quo, ai sensi degli artt. 25, commi 1 e 2, e 3 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, nonché del decreto legislativo 5 giugno 1998, n. 203; b) gli artt. 3 e 97, primo comma, Cost., perché dalla presentazione della dichiarazione annuale dell’IVA con un ritardo superiore a trenta giorni deriverebbe una irragionevole diversità di effetti per il contribuente (per il quale tale tardività è equiparata all’omissione) e per l’Amministrazione finanziaria (per la quale la dichiarazione tardiva del contribuente costituisce titolo per riscuotere il debito di imposta dichiarato), cosí da imporre a quest’ultima – quale soggetto che sanziona l’illecito del contribuente e che, contemporaneamente, è “parte privilegiata” del rapporto tributario – un comportamento non imparziale; c) l’art. 77, primo comma, Cost., in relazione alla norma interposta di cui all’art. 5, primo comma, numero 9, della legge di delegazione 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria), perché l’equiparazione del ritardo superiore a trenta giorni all’omissione della dichiarazione annuale dell’IVA, in quanto previsione non “necessaria all’applicazione dell’imposta”, si porrebbe in contrasto con il principio e criterio direttivo fissato dalla indicata norma della legge di delegazione, la quale attribuisce al Governo il potere della «regolamentazione della contabilità, della documentazione e delle dichiarazioni o comunicazioni alla amministrazione finanziaria necessarie per l’applicazione dell’imposta in modo da consentire, in quanto possibile, l’unificazione degli obblighi dei soggetti e l’utilizzazione di scritture contabili obbligatorie ad altri effetti»;

che, nella prospettazione del rimettente, l’affermata rilevanza delle questioni è ricollegata ai seguenti due presupposti interpretativi: a) che la fattispecie di illecito oggetto del giudizio principale e prevista dalle norme censurate, cioè la presentazione della dichiarazione annuale dell’IVA con un ritardo legislativamente equiparato all’omissione della dichiarazione stessa (c.d. dichiarazione “ultratardiva”), sia rimasta immutata anche alla stregua della normativa vigente al momento del deposito dell’ordinanza di rimessione; b) che le medesime denunciate norme sanzionatrici, le quali prevedono pene pecuniarie in misura proporzionale all’imposta dovuta, siano applicabili anche al caso – come quello di specie – in cui il contribuente, pur avendo presentato una dichiarazione “ultratardiva”, abbia tuttavia tempestivamente versato l’intera imposta dovuta;

che l’erroneità di tali presupposti e la mancanza di una adeguata diversa motivazione del rimettente sulla rilevanza rendono manifestamente inammissibili le sollevate le questioni;

che, per quanto attiene all’indicato primo presupposto interpretativo, deve premettersi che, alla data del deposito dell’ordinanza di rimessione (16 novembre 2005), la normativa in tema di termini per la presentazione delle dichiarazioni annuali dell’IVA risulta mutata rispetto a quella vigente al momento della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale dell’IVA relativa al 1992 (15 marzo 1993), nel senso che la normativa piú recente considera “ultratardiva” la dichiarazione presentata con ritardo superiore a novanta giorni, mentre in precedenza era considerata tale quella presentata con ritardo superiore a trenta giorni;

che, al riguardo, la Commissione tributaria regionale ha considerato «valide», secondo la normativa da essa ritenuta rilevante, soltanto le dichiarazioni tempestive o presentate con ritardo non superiore a trenta giorni e, pertanto, ha trascurato di precisare se, nel caso di specie, il ritardo, superiore a trenta giorni, abbia o no superato anche novanta giorni;

che tale circostanza è, invece, essenziale per valutare, nella stessa prospettiva del rimettente, la rilevanza delle sollevate questioni;

che infatti, ai sensi della normativa vigente al momento della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale dell’IVA relativa al 1992, erano considerate «valide» le dichiarazioni presentate dal contribuente entro trenta giorni dalla scadenza del termine (salvo il trattamento sanzionatorio di cui al primo comma dell’art. 43 ed al primo comma dell’art. 48 dello stesso d.P.R.) e dovevano considerarsi omesse (pur costituendo titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d’imposta) quelle presentate con ritardo superiore a trenta giorni (commi quinto e sesto dell’art. 37 del d.P.R. n. 633 del 1972, quale sostituito, con effetto dal 1° gennaio 1973, dagli artt. 1 e 3 del d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24, recante «Disposizioni integrative e correttive del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, anche in attuazione della delega prevista dalla legge 13 novembre 1978, n. 765, riguardante l’adeguamento della disciplina dell’imposta sul valore aggiunto alla normativa comunitaria»);

che, viceversa, in forza della normativa vigente alla data del deposito dell’ordinanza di rimessione, sono considerate «valide» le dichiarazioni presentate entro novanta giorni dalla scadenza del termine (salva restando l’applicazione delle sanzioni amministrative per il ritardo) e debbono considerarsi omesse (pur costituendo titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d’imposta) quelle presentate con ritardo superiore a novanta giorni (combinato disposto degli artt. 8, comma 7, e 2, comma 7, del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, quale modificato dall’art. 1, comma 2, lettera g, del d.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542);

che pertanto, ove la dichiarazione annuale dell’IVA relativa al 1992 fosse stata presentata con un ritardo compreso tra trentuno e novanta giorni, le sollevate questioni sarebbero irrilevanti, perché un ritardo contenuto in tali limiti, non piú equiparato all’omissione della dichiarazione, non sarebbe piú punibile – secondo l’impostazione del rimettente – quale dichiarazione omessa, né in relazione alle fattispecie realizzate nella vigenza del citato ius superveniens, né in relazione alla fattispecie oggetto del giudizio a quo, realizzata nella vigenza delle norme che consideravano ancora «valide» solo le dichiarazioni presentate con un ritardo non superiore a trenta giorni; e ciò in applicazione del principio, richiamato dallo stesso giudice a quo ed espresso dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, ai sensi del quale, «salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile»;

che la mancata indicazione della data di presentazione della dichiarazione annuale dell’IVA da parte del contribuente si risolve in una carenza di descrizione della fattispecie in ordine all’entità del ritardo nella presentazione di detta dichiarazione e comporta, nell’àmbito dello stesso impianto argomentativo dell’ordinanza di rimessione, il difetto di motivazione sulla rilevanza;

che, quanto al secondo presupposto interpretativo da cui muove la Commissione tributaria regionale, questa, dopo aver premesso che il contribuente ha «versato l’imposta dovuta nei termini di legge» estinguendo cosí il debito tributario, afferma poi di dover applicare in giudizio una sanzione pecuniaria proporzionale all’ammontare dell’“imposta dovuta”, e cioè la sanzione piú favorevole tra quella prevista dall’art. 43, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 («da due a quattro volte l’imposta dovuta») o dall’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997 («dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’ammontare del tributo dovuto»);

che, al riguardo, il rimettente omette, però, di fornire le ragioni per le quali, pur in presenza di una pluralità di possibili interpretazioni, invece di attribuire alle espressioni «imposta dovuta» e «tributo dovuto» (utilizzate dalle norme censurate per indicare la base quantitativa cui commisurare la sanzione pecuniaria) il significato di “imposta ancora dovuta” (cioè di imposta dovuta al netto, quantomeno, degli importi già versati), ha preferito intenderle nel senso di importo astrattamente dovuto dell’IVA, calcolato senza tener conto dei pertinenti versamenti d’imposta già effettuati dal contribuente;

che l’indicazione dei motivi del rifiuto della prima opzione ermeneutica (la quale avrebbe comportato l’inapplicabilità della sanzione proporzionale oggetto del giudizio a quo, in ragione del tempestivo pagamento dell’intero debito d’imposta, e quindi l’irrilevanza delle sollevate questioni) appare tanto più necessaria in quanto la scelta interpretativa del rimettente si pone in contrasto con la prassi amministrativa, la prevalente dottrina e la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 8602 del 1996), oltre che con la stessa lettera dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997, secondo il quale la pena si commisura all’imposta ancora dovuta, computati in detrazione tutti i versamenti effettuati relativi al periodo, il credito dell’anno precedente del quale non è stato chiesto il rimborso, nonché le imposte detraibili risultanti dalle liquidazioni regolarmente eseguite (fermo restando che la sanzione non può essere comunque inferiore a lire cinquecentomila);

che tale difetto di motivazione sulle ragioni dell’interpretazione data alle norme censurate si risolve in difetto di motivazione sull’applicabilità, nella specie, delle sanzioni previste da dette norme e, quindi, sulla rilevanza delle questioni;

che infine, indipendentemente dai suddetti presupposti interpretativi del rimettente, le questioni relative alla censurata equiparazione normativa del trattamento sanzionatorio previsto per la dichiarazione annuale dell’IVA cosiddetta “ultratardiva” a quello previsto per la dichiarazione omessa, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., sono manifestamente inammissibili perché coinvolgono una gamma di scelte in ordine alla graduazione delle sanzioni ed all’individuazione delle condotte punibili, a contenuto non costituzionalmente obbligato, che restano riservate alla discrezionale valutazione del legislatore, purché non esercitate in modo arbitrario o manifestamente irragionevole (v., ex plurimis, la sentenza di questa Corte n. 292 del 2006, nonché, per precedenti più prossimi alla materia in esame, le sentenze n. 84, n. 83 e n. 82 del 1989 e le ordinanze n. 56 del 1990, n. 524 e n. 298 del 1989).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale: a) del combinato disposto degli artt. 37, sesto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), e 43, primo comma, dello stesso d.P.R., nonché del combinato disposto degli artt. 37, sesto comma, del medesimo d.P.R. e 5, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), in riferimento all’art. 3 della Costituzione; b) dell’art. 37, sesto comma, del citato d.P.R. n. 633 del 1972, in riferimento agli artt. 3 e 97, primo comma, Cost.; c) del medesimo art. 37, sesto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, in riferimento all’art. 77, primo comma, Cost., in relazione all’art. 5, primo comma, numero 9, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria); tutte sollevate dalla Commissione tributaria regionale del Piemonte con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 ottobre 2006.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 ottobre 2006.