Ordinanza n. 280 del 2006

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ORDINANZA N. 280

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Annibale             MARINI                  Presidente

- Franco                BILE                         Giudice

- Giovanni Maria   FLICK                           "

- Francesco          AMIRANTE                  "

- Ugo                   DE SIERVO                  "

- Romano              VACCARELLA             "

- Paolo                 MADDALENA              "

- Alfio                  FINOCCHIARO             "

- Alfonso              QUARANTA                 "

- Franco                GALLO                         "

- Luigi                  MAZZELLA                  "

- Gaetano             SILVESTRI                   "

- Sabino                CASSESE                      "

- Maria Rita          SAULLE                        "

- Giuseppe            TESAURO                     "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promossi con ordinanze del 28 ottobre 2004 dal Giudice di pace di Isernia, del 16 febbraio 2005 dal Giudice di pace di Cuneo (con due ordinanze), del 4 gennaio 2005 dal Giudice di pace di Bergamo, del 30 aprile 2005 dal Giudice di pace di Bologna, del 18 maggio 2005 dal Giudice di pace di Roma, del 9 giugno 2006 dal Giudice di pace di Bari, del 4 luglio 2005 e del 24 novembre 2005 dal Tribunale di Gorizia e dell’8 agosto 2005 dal Tribunale di Siena, iscritte ai nn. 67, 239, 262, 285, 438, 486, 508, 517, 559 del registro ordinanze 2005 e al n. 33 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 9, 18, 20, 22, 38, 40, 42 e 48, prima serie speciale, dell’anno 2005 e n. 7, prima serie speciale, dell’anno 2006.

  Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

            udito nella camera di consiglio del 17 maggio 2006 il Giudice relatore Maria Rita Saulle.

Ritenuto che con tre ordinanze, rispettivamente del 28 ottobre 2004, 4 gennaio 2005 e 18 maggio 2005, di contenuto sostanzialmente analogo, i Giudici di pace di Isernia, di Bergamo e di Roma, nel corso di altrettanti giudizi di opposizione avverso i decreti prefettizi di espulsione emessi nei confronti di cittadini extracomunitari, hanno sollevato, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3 e 8, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nel testo attualmente vigente, nella parte in cui prevede l’immediata esecutorietà del decreto di espulsione e l’impossibilità per il giudice di pace di sospendere l’efficacia del cennato decreto fino alla data della camera di consiglio fissata per la trattazione dell’opposizione;

che i rimettenti premettono che la questione di costituzionalità è tuttora rilevante anche dopo la modifica delle norme impugnate operata, in ottemperanza alle sentenze di questa Corte n. 222 e n. 223 del 2004, tramite il decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271;

che, a parere dei giudici a quibus, la mancata previsione del potere in capo al giudice di pace di sospendere il decreto di espulsione impugnato risulta ancor più grave in considerazione del fatto che al decreto può fare seguito l’ordine del questore di lasciare il territorio nazionale entro il termine di cinque giorni, ex art. 14, comma 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, ordine che, peraltro, non è sottoposto ad alcun procedimento di convalida;

che, secondo i rimettenti, sebbene questa Corte, con la sentenza n. 161 del 2000, abbia dichiarato manifestamente infondata analoga questione, il mutato quadro normativo imporrebbe un ripensamento della tesi del giudice costituzionale, prevedendo l’art. 13, comma 8, del d.lgs. n. 286 del 1998 un termine abbastanza lungo sia per la proposizione del ricorso (60 giorni) avverso il decreto di espulsione sia per la sua decisione da parte del giudice di pace (20 giorni), con la conseguenza che tale ampio arco temporale renderebbe ora necessaria  la previsione di una tutela cautelare;

che, per le ragioni sopra esposte, la normativa impugnata si porrebbe in contrasto con gli indirizzi indicati dal giudice costituzionale in tema di effettività della tutela giurisdizionale dell’immigrato, essendo lo straniero sottoposto agli atti consequenziali al decreto di espulsione senza che su quest’ultimo sia possibile svolgere alcun vaglio di legittimità antecedente alla sua esecuzione, potendo il controllo avvenire sino ad 80 giorni dopo la adozione del provvedimento opposto;

che è intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata;

che il Giudice di pace di Bari, con ordinanza del 9 giugno 2005, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3 e 8, del d.lgs. n. 286 del 1998, nel testo attualmente vigente, per violazione dell’art. 24 della Costituzione, riproponendo in forma sintetica le motivazioni già esposte nelle altre ordinanze sopra riportate;

che anche in tale giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità o infondatezza della questione sulla base delle argomentazioni sostanzialmente identiche a quelle già svolte negli altri atti di intervento;

che il Giudice di pace di Cuneo, nel corso di due distinti giudizi, ha sollevato, con ordinanze del 16 febbraio 2005, in riferimento agli artt. 24 e 113, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 3 e 8, e 14, comma 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, nel testo attualmente vigente, nella parte in cui, rispettivamente, l’art. 13 commi 3 e 8, prevede l’immediata esecutività del decreto di espulsione, ancorché sottoposto ad impugnativa, non essendo consentita l’adozione di provvedimenti cautelari di sospensione fino alla data fissata per la camera di consiglio, e l’art. 14, comma 5-bis, legittima il questore ad ordinare allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni, senza richiedere la convalida preventiva del decreto di espulsione;

che, quanto alla censura relativa all’art. 14, comma 5-bis, il rimettente rileva che, secondo la prassi locale, il questore «omette di richiedere la convalida del decreto di espulsione, disponendo in via preferenziale direttamente ordinarsi allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni»;

che, quanto alla censura relativa all’art. 13, commi 3 e 8, del d.lgs. n. 286 del 1998, il rimettente si richiama alle argomentazioni utilizzate dal Giudice di pace di Isernia nella ordinanza r.o. n. 67 del 2005, precisando di aver comunque disposto la sospensione dell’efficacia del decreto di espulsione impugnato;

che anche nei giudizi di costituzionalità ora ricordati è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e/o infondate;

che, con due ordinanze di identico contenuto, il Tribunale di Gorizia, in composizione monocratica, nel corso di due giudizi direttissimi nei confronti di cittadini extracomunitari, imputati del reato di cui all’art. 14, comma 5-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 13 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-bis, nel testo attualmente vigente, del citato decreto legislativo, nella parte in cui prevede che il questore può dare immediata esecuzione al decreto di espulsione, intimando allo straniero espulso di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni, senza che sia preventivamente richiesta al giudice di pace la convalida del decreto di accompagnamento alla frontiera o, in alternativa, del provvedimento di trattenimento presso un centro di permanenza temporanea ed assistenza, ovvero senza che sia prevista analoga tutela giurisdizionale per l’intimazione del questore;

che, in ordine alla rilevanza, il giudice a quo osserva che il reato per cui si procede ha quale elemento costitutivo la trasgressione all’intimazione emessa dal questore ai sensi dell’art 14, comma 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998;

che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo afferma che nei casi sottoposti al suo giudizio, il questore, secondo una prassi consolidata, ha intimato l’allontanamento dal territorio dello Stato senza preventivamente adottare il provvedimento di accompagnamento alla frontiera o di trattenimento presso un centro di permanenza, provvedimenti, questi, che a differenza da quello emesso, sono soggetti, nel rispetto di quanto affermato nella sentenza n. 222 del 2004 da questa Corte, a convalida da parte dell’autorità giudiziaria nel contraddittorio delle parti;

che, a parere del rimettente, la mancata previsione di un procedimento di convalida lede i parametri costituzionali evocati, non essendo possibile superare i dubbi di costituzionalità della norma con un’interpretazione della stessa conforme a Costituzione, secondo cui il questore potrebbe ordinare l’allontanamento dal territorio dello Stato solo quando l’espulsione sia divenuta eseguibile, a seguito di convalida, ma non sia attuabile per mezzo dell’accompagnamento alla frontiera;

che il rimettente individua i singoli profili di incostituzionalità della norma impugnata nel fatto che essa, seppure non determina una diretta restrizione della libertà personale del destinatario, pone a carico di quest’ultimo un obbligo di condotta che, se non ottemperato, ne comporta l’arresto obbligatorio e la responsabilità penale per il reato previsto dall’art. 14, comma 5-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, nonché ulteriori conseguenze penali;

che, dunque, a parere del rimettente, la norma impugnata realizza una disparità di trattamento tra i destinatari dei provvedimenti di accompagnamento alla frontiera o di trattenimento in un centro di assistenza, e i destinatari dell’ordine di allontanamento dal territorio dello Stato, essendo prevista solo per i primi la tutela giurisdizionale della convalida del provvedimento;

che, infine, a parere del rimettente, la norma censurata sarebbe irragionevole in quanto il ricorso alla procedura in essa prevista si basa sulla sussistenza di due presupposti tra loro diversi, e cioè, o l’impossibilità di trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporanea, o l’intervenuta scadenza dei termini di tale permanenza senza che l’espulsione o il respingimento sia stato eseguito, laddove solo in tale ultimo caso è previsto un controllo giurisdizionale sulla legittimità della procedura di espulsione;

che in entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e/o infondata;

che, ad avviso dell’Avvocatura, quanto all’ammissibilità, difetterebbe nelle ordinanze del Tribunale di Gorizia il requisito della rilevanza, mentre, nel merito, la questione sarebbe infondata in ragione dell’incomparabilità dei diversi procedimenti di esecuzione del decreto di espulsione, essendo prevista la convalida solo per il provvedimento di accompagnamento alla frontiera e di trattenimento in un centro di assistenza, in quanto si tratta di misure che, diversamente dall’ordine di allontanamento, attingono direttamente la libertà personale del soggetto;

che, comunque, a parere dell’Avvocatura, sarebbe sempre possibile allo straniero ricorrere al giudice amministrativo avverso l’ordine impartito dal questore;

che il Tribunale di Siena, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-bis, nel testo attualmente vigente, del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui, nel disciplinare l’intimazione ad allontanarsi dal territorio dello Stato non prevede, diversamente dalle ipotesi di espulsione con accompagnamento alla frontiera e di trattenimento presso un centro di permanenza temporanea, la convalida da parte del giudice di pace del relativo provvedimento;

che il rimettente, dopo aver premesso di essere chiamato a decidere del reato di mancata ottemperanza all’ordine del questore di allontanamento entro cinque giorni dal territorio nazionale, dubita della legittimità costituzionale della norma impugnata in quanto, premesso che è riservata ad una scelta discrezionale dell’autorità competente il ricorso ad una o ad un’altra delle modalità di esecuzione del decreto di espulsione, la mancata previsione di apposita convalida, solo nel caso dell’intimazione a lasciare il territorio dello Stato, determinerebbe un’ingiustificata lesione del diritto di difesa;

che anche in tale ultimo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e infondata, osservando, in via preliminare, che il rimettente non ha fornito indicazioni sulla rilevanza della questione;

che, quanto al merito, la difesa erariale rileva che il provvedimento di allontanamento non ha natura coercitiva e, pertanto, non ha bisogno della convalida da parte dell’autorità giudiziaria, convalida, al contrario, prevista per le ipotesi richiamate quali tertia comparationis dal rimettente che si concretano in provvedimenti che incidono sulla libertà personale dei destinatari;

che il Giudice di pace di Bologna, con ordinanza del 30 aprile 2005, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 35, 36 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 14, nel testo attualmente vigente, del d.lgs. n. 286 del 1998, «non ritenendo manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità sollevata dal difensore» dello straniero.

Considerato che le ordinanze di rimessione propongono analoghe questioni, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione;

che le ordinanze dei Giudici di pace di Bergamo, Bari, Bologna e Isernia, nonché quella del Tribunale di Siena, in composizione monocratica, risultano carenti di qualsiasi descrizione della fattispecie concreta oggetto dei giudizi a quibus, nonché, quanto alla censura relativa all’art. 13, commi 3 e 8, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), prive di motivazione in ordine alla impossibilità di rinvenire nell’ambito dell’ordinamento idoneo strumento volto ad assicurare la tutela cautelare invocata, e ciò nonostante quanto affermato nella sentenza n. 161 del 2000 da questa Corte in ordine al potere generale attribuito al giudice di concedere una tutela cautelare tutte le volte in cui questa non risulta superflua;

che i Giudici di pace di Roma e di Cuneo, prima di sollevare la questione di legittimità costituzionale, hanno sospeso il decreto di espulsione, con la conseguenza che la questione da essi sollevata, relativamente all’art. 13, commi 3 e 8, del d.lgs. n. 286 del 1998 è priva di rilevanza;

che, altresì, il Giudice di pace di Cuneo, relativamente alla questione attinente all’art. 14, comma 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, ha omesso qualsiasi descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo;

che per tali motivi tutte le questioni sollevate dagli indicati rimettenti vanno dichiarate manifestamente inammissibili;

che il Tribunale di Gorizia con due ordinanze, di contenuto sostanzialmente identico, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5–bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui consentirebbe al questore di dare immediata esecuzione al decreto di espulsione, mediante intimazione allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni, senza che sia prevista una tutela giurisdizionale incidente in modo diretto, o indiretto, su tale intimazione, tutela, al contrario, prevista per le altre forme di esecuzione del decreto di espulsione;

che la normativa contenuta nel d.lgs. n. 286 del 1998 prevede che l’espulsione del cittadino extracomunitario illegittimamente presente nel territorio nazionale sia disposta con decreto motivato immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell’interessato (art. 13, comma 3), e viene sempre eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13, comma 4), salvo i casi di cui all’art. 13, comma 5;

che da ciò consegue la generalizzazione, quale modalità esecutiva dell’espulsione, dell’accompagnamento alla frontiera, al quale si aggiungono altri due modelli procedimentali sempre di competenza del questore; il primo, del “trattenimento” presso un centro di permanenza temporanea (art. 14, comma 1), qualora non sia possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera, il secondo, previsto nei casi in cui non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro, ovvero siano trascorsi i termini di permanenza senza che l’espulsione sia stata eseguita, rappresentato dall’ordine impartito allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni (art. 14, comma 5-bis);

che l’intero procedimento di espulsione è assistito da apposita tutela giurisdizionale, essendo in particolare prevista dall’art. 1, comma 2, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271, modificativo dell’art. 13, comma 8, del d.lgs. n. 286 del 1998, la possibilità di ricorrere avverso il decreto di espulsione davanti al giudice di pace, ed essendo anche prevista la necessaria convalida da parte di quest’ultimo del provvedimento di trattenimento presso un centro di permanenza temporanea (art. 14, commi 3 e 4), nonché del provvedimento di accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13, comma 5-bis);

che la previsione normativa del procedimento di convalida dei provvedimenti sopra cennati trova giustificazione nel fatto che questi incidono sulla libertà personale dei destinatari e, pertanto, devono essere assistiti dalla garanzia di cui all’art. 13 della Costituzione, con la conseguenza che detti provvedimenti possono essere portati ad esecuzione solo dopo che il giudice si sia pronunciato sulla loro legittimità (v. sentenze n. 222 del 2004 e n. 105 del 2001);

che diverso è il caso in cui l’espulsione avvenga con intimazione di allontanamento dal territorio dello Stato, in quanto tale misura incide solo sulla libertà di circolazione;

che, pertanto, la mancata previsione, anche per tale ultima ipotesi, del procedimento di convalida risulta giustificata in ragione della diversa natura di tale provvedimento, il quale, come riconosciuto dalla consolidata giurisprudenza di legittimità (v. Cass. pen. sentenze n. 46812 e n. 39811 del 2005), non incide direttamente sulla libertà personale del destinatario, atteso che l’autorità di polizia non può esercitare alcuna forma di coazione fisica al fine di ottenerne l’adempimento (v. sentenza n. 194 del 1996);

che, quindi, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Gorizia va dichiarata manifestamente infondata non contrastando la norma impugnata con alcuno dei parametri costituzionali evocati;

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 3 e 8, e 14, comma 5-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, e 113, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Siena, in composizione monocratica, e dai Giudici di pace di Bergamo, Bari, Cuneo, Roma e Isernia con le ordinanze in epigrafe;

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 35 e 36 della Costituzione, dal Giudice di pace di Bologna con l’ordinanza in epigrafe;

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 13 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Gorizia con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2006.

F.to:

Annibale MARINI, Presidente

Maria Rita SAULLE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2006.