Ordinanza n. 261 del 2006

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ORDINANZA N. 261

ANNO 2006

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

- Annibale                                        MARINI                                  Presidente

- Franco                                            BILE                                           Giudice

- Giovanni Maria                              FLICK                                              "

- Francesco                                       AMIRANTE                                     "

- Ugo                                                DE SIERVO                                     "

- Romano                                         VACCARELLA                               "

- Paolo                                              MADDALENA                                "

- Alfio                                              FINOCCHIARO                              "

- Alfonso                                          QUARANTA                                   "

- Franco                                            GALLO                                            "

 

- Luigi                                              MAZZELLA                                    "

- Gaetano                                         SILVESTRI                                      "

- Sabino                                            CASSESE                                          "

- Maria Rita                                      SAULLE                                           "

- Giuseppe                                        TESAURO                                        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 19 – recte: del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19 –, nel testo sostituito dall’art. 1 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, promosso con ordinanza del 28 giugno 2004 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo, nel giudizio di responsabilità promosso dal Procuratore regionale nei confronti di Vincenzo Del Colle ed altro, iscritta al n. 750 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visti gli atti di costituzione di Vincenzo Del Colle e di Mauro D’Eramo, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 6 giugno 2006 il Giudice relatore Paolo Maddalena;

uditi gli avvocati Vincenzo Cerulli Irelli per Vincenzo Del Colle, Franco Gaetano Scoca, Sabatino Ciprietti e Mario Racco per Mauro D’Eramo e l’avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, con ordinanza in data 28 giugno 2004, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo, nel corso di un giudizio di responsabilità amministrativa promosso dal Procuratore regionale nei confronti di Vincenzo Del Colle e Mauro D’Eramo, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 19 – recte: del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19 –, nel testo sostituito dall’art. 1 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639;

che il giudice a quo premette di avere emesso una ordinanza istruttoria con adempimenti a carico, tra l’altro, del Procuratore regionale, disponendo l’acquisizione del provvedimento di archiviazione adottato dalla Procura regionale in data 20 ottobre 1998 su pregressa vertenza concernente gli stessi fatti di causa ma riguardante altri soggetti concorrenti nel medesimo fatto produttivo di danno erariale, nonché copia del fascicolo dell’istruttoria allora compiuta;

che, avendo il Procuratore regionale sollecitato, attraverso il reclamo, il riesame della ordinanza, la Corte rimettente ritiene che la norma denunciata susciti dubbi di costituzionalità, là dove configura l’archiviazione, secondo l’interpretazione data dal pubblico ministero, come un atto interno, non conoscibile né dal giudice né dai convenuti tratti a giudizio successivamente alla disposta chiusura di istruttoria a carico di altri soggetti non convenuti;

che la disposizione denunciata sarebbe in contrasto con gli artt. 24 e 111 della Costituzione, «in quanto, non essendo prescritto né l’obbligo di motivazione né l’obbligo di comunicazione alla parte interessata né l’obbligo di deposito del provvedimento [di archiviazione] in giudizio, per i riflessi che tali omissioni possono avere sull’esercizio pieno del diritto di difesa da parte degli altri soggetti che sono stati successivamente convenuti in giudizio, ciò viene a violare il diritto di difesa e ad impedire l’instaurarsi di un pieno contraddittorio tra le parti»;

che, inoltre, le modifiche apportate dalla legge n. 639 del 1996 avrebbero introdotto, in materia di responsabilità amministrativa, tali e tanti elementi di apprezzamento discrezionale (dalla valutazione dell’esistenza della colpa grave o della semplice colpa, all’apprezzamento del vantaggio comunque apportato all’ente, all’accertamento, ancora, della presenza di scelte discrezionali, come tali insindacabili nel merito) da rendere necessario un controllo giudiziale sull’esercizio dell’azione di responsabilità e del connesso potere di archiviazione;

che, ad avviso della sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo della Corte dei conti, la garanzia di un processo nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, non tollera la segretezza di un atto così rilevante agli effetti della chiarezza del quadro delle possibili responsabilità o delle cause esimenti della responsabilità;

che, infine, secondo il giudice a quo, la norma denunciata, nella parte in cui non prevede un generalizzato dovere di conclusione formale delle istruttorie, dando luogo ad una distinzione della posizione di colui che sia stato raggiunto da atti istruttori di vario tipo (per il quale non è prevista la necessità di definire formalmente la chiusura dell’istruttoria) e colui che sia stato raggiunto da formale invito a controdedurre (per il quale un atto specifico è previsto ancorché di natura dubbia), sarebbe contraria al principio di ragionevolezza e a quello di eguaglianza: le due diverse posizioni non sarebbero, infatti, sufficientemente differenti da giustificare una disciplina a tal punto difforme che si articola, in un caso, nell’adozione di un provvedimento formale, e non nell’altro;

che, nel giudizio dinanzi alla Corte, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità o, comunque, per l’infondatezza della questione;

che, ad avviso dell’Avvocatura, la questione sarebbe inammissibile per più ragioni: anzitutto per aberratio ictus, posto che la disposizione denunciata non è dedicata alla disciplina del non-esercizio dell’azione, e prevede solo che l’esercizio dell’azione debba essere preceduto da un “invito” e debba avvenire entro un termine; in secondo luogo, perché l’ordinanza di rimessione prospetta una pronuncia additiva senza considerare i limiti che la Corte si è data per interventi manipolativi; in terzo luogo, perché è evocato l’art. 3 della Costituzione, e però nell’ordinanza non è indicato il tertium comparationis; infine, perché il dissenso tra Collegio giudicante e Procura regionale sarebbe stato originato non da un rifiuto di sottoporre l’operato della Procura ad un “controllo giudiziale” non previsto dalla legge, ma – più semplicemente – dal rifiuto di esibire uno o più documenti in uno specifico processo;

che, nel merito, la questione sarebbe infondata: perché l’art. 111, secondo comma, Cost., là dove prevede la garanzia del contraddittorio in condizioni di parità, di per sé non conduce a sottoporre il pubblico ministero contabile ad obblighi ed ingerenze che i patrocinatori delle parti private convenute certamente non hanno; perché sono compatibili con l’art. 24 Cost. discipline differenziate per le varie tipologie di processo, anche in tema di acquisizione del materiale probatorio; infine, perché i collegi giudicanti possono sindacare l’operato delle procure – che non sono sottordinate ai giudici – soltanto nei casi ed entro i limiti espressamente previsti dalla legge;

che si è costituito Mauro D’Eramo, concludendo per l’accoglimento della questione;

che si è, altresì, costituito Vincenzo Del Colle, il quale, in una successiva memoria, ha concluso, in tesi, nel senso che la norma denunciata sfugge ai dubbi di costituzionalità ove la stessa sia interpretata secondo i principi del diritto positivo, e quindi l’atto di archiviazione venga ritenuto sì atto interno, ma nel senso di atto pre-processuale, e come tale, per sua natura, motivato e conoscibile; in subordine, ove dovesse ritenersi che alla norma denunciata sia attribuibile l’interpretazione data dal Procuratore regionale, di atto interno non conoscibile né dal giudice né dai diretti destinatari, essa dovrebbe ritenersi costituzionalmente illegittima, perché, non prescrivendo né l’obbligo di motivazione né l’obbligo di comunicazione alla parte interessata né l’obbligo di deposito del provvedimento in giudizio, produrrebbe riflessi pregiudizievoli sull’esercizio pieno del diritto di difesa, impedendo l’instaurarsi di un pieno contraddittorio tra le parti;

che, in prossimità dell’udienza, l’Avvocatura generale dello Stato e la difesa di Mauro D’Eramo hanno depositato memorie illustrative.

Considerato che la questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo, concerne il potere di archiviazione del procuratore regionale contabile nei procedimenti di responsabilità amministrativa, ed investe l’art. 5, comma 1, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, nel testo sostituito dall’art. 1 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639;

che il giudice a quo, nel muovere dalla configurazione dell’archiviazione come un atto interno, non conoscibile né dal giudice né dai convenuti tratti a giudizio successivamente alla disposta chiusura di istruttoria a carico di altri soggetti non citati dal pubblico ministero, prospetta la questione di costituzionalità in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione;

che l’art. 5, comma 1, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, contrasterebbe con il diritto di difesa, impedendo l’instaurarsi di un pieno contraddittorio tra le parti, posto che la mancata previsione di una formale conclusione dell’istruttoria pregressa, da assoggettare eventualmente al vaglio di un giudice istruttore, non solo priverebbe i soggetti coinvolti nella istruttoria di un qualsivoglia riscontro conclusivo della vicenda, ma li porrebbe nella impossibilità di avvalersi a propria difesa degli esiti, qualora ad essi favorevoli o comunque significativi, di una pregressa istruttoria in un giudizio su fatti che possono presumersi coincidenti o correlati o riferibili a quegli altri, laddove – si sostiene – la garanzia di un processo nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, non tollera la segretezza di un atto così rilevante agli effetti della chiarezza del quadro delle possibili responsabilità o delle cause esimenti della responsabilità;

che, inoltre, la norma denunciata darebbe luogo ad una distinzione, contraria al principio di ragionevolezza e a quello di eguaglianza, della posizione di colui che sia stato raggiunto da atti istruttori di vario tipo (per il quale non è prevista la necessità di definire formalmente la chiusura dell’istruttoria) e colui che sia stato raggiunto da formale invito a controdedurre (per il quale un atto specifico sarebbe previsto), mentre le due diverse posizioni non sarebbero «sufficientemente differenti da giustificare una disciplina a tal punto difforme che si articola, in un caso, nell’adozione di un provvedimento formale, e non nell’altro»;

            che questa Corte ha già affermato (sentenza n. 415 del 1995) che, nei giudizi di responsabilità innanzi alla Corte dei conti, l’attività anteriore alla citazione è preordinata all’eventuale instaurazione del giudizio, ma non assume carattere decisorio, anche quando si concluda con un’archiviazione: questo atto, rimesso alla determinazione propria della parte pubblica che ritenga di non dover promuovere l’azione, non ha natura di pronuncia giurisdizionale, ma chiude un’attività istruttoria diretta a verificare se sussistano le condizioni per iniziare utilmente un giudizio di responsabilità, senza che con l’archiviazione si formi giudicato o che ne derivi un vincolo per lo stesso ufficio del pubblico ministero;

            che – essendo l’archiviazione, in alternativa alla citazione, l’atto con cui può concludersi l’attività di indagine del pubblico ministero prima del processo – ogni questione relativa all’assenza di un controllo esterno del giudice sulla legittimità dell’inazione del pubblico ministero ovvero concernente la motivazione, il deposito e la comunicazione dell’atto di archiviazione, si colloca in una fase anteriore al giudizio di responsabilità, che si apre con l’atto di citazione emesso dal pubblico ministero;

            che, nella specie, la questione di legittimità costituzionale, avente ad oggetto la configurazione dell’archiviazione – come atto proprio del pubblico ministero o come atto soggetto al vaglio di un giudice terzo –  nonché la forma di tale atto, è stata sollevata dal giudice una volta terminata la fase delle indagini rimessa al pubblico ministero e quando, ormai, il giudizio di responsabilità a carico di altri soggetti, presunti concorrenti nel medesimo fatto produttivo di responsabilità amministrativa, si era instaurato con l’emissione dell’atto di citazione;

            che, pertanto, la soluzione del dubbio avanzato non è in alcun modo necessaria ai fini del giudizio di cui è investita la Corte rimettente;

che in quel giudizio, difatti, rileva solo la correttezza del potere istruttorio esercitato dalla Corte dei conti con l’ordine di acquisizione dell’atto di archiaviazione; e vengono in considerazione, non la norma denunciata dal rimettente, ma gli artt. 14 e 26 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti, approvato con il regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038 – e, per il tramite di quest’ultima disposizione, l’art. 210 del codice di procedura civile – , che consentono alla Corte di ordinare alle parti di produrre gli atti e i documenti ritenuti necessari alla decisione della controversia, e quindi di richiedere l’esibizione dell’atto di archiviazione disposto nei confronti di altri soggetti, concorrenti nel medesimo fatto produttivo di responsabilità amministrativa: al fine, all’esito di quella esibizione, non solo di ordinare, se del caso, l’intervento in causa dei concorrenti nella causazione del danno pubblico (allargamento del contraddittorio non impedito dal fatto che la loro posizione sia stata archiviata dal Procuratore regionale, non formandosi il giudicato con l’archiviazione), ma anche, eventualmente, di procedere ad una più esatta personalizzazione ed individualizzazione della responsabilità nei confronti di coloro che sono stati citati a giudizio dal pubblico ministero, e ciò alla luce del principio – ribadito dall’art. 1, comma 1-quater, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (aggiunto dall’art. 3 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione) – secondo cui «se il fatto dannoso è causato da più persone, la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha preso»;

che, quindi, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile per irrilevanza.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, nel testo sostituito dall’art. 1 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2006.

 

F.to:

 

Annibale MARINI, Presidente

 

Paolo MADDALENA, Redattore

 

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2006.