Sentenza n. 120 del 2006

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SENTENZA N. 120

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Annibale                          MARINI                                Presidente

-      Franco                             BILE                                        Giudice

-      Giovanni Maria               FLICK                                          "

-      Francesco                        AMIRANTE                                 "

-      Ugo                                 DE SIERVO                                 "

-      Romano                           VACCARELLA                           "

-      Paolo                               MADDALENA                            "

-      Alfio                                FINOCCHIARO                          "

-      Franco                             GALLO                                        "

-      Gaetano                           SILVESTRI                                  "

-      Sabino                             CASSESE                                     "

-      Maria Rita                       SAULLE                                       "

-      Giuseppe                         TESAURO                                    "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 12, settimo comma, del d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1420 (Norme in materia di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti gestita dall’Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo), e dell’art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), promossi dal Tribunale di Sanremo e dal Tribunale di Bologna con ordinanze rispettivamente dell’11 febbraio 2004 e del 18 febbraio 2004 (n. 2 ordinanze), iscritte ai n. 513, n. 1044 e n. 1045 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2004, e n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2005.

Visti gli atti di costituzione di M. B. e dell’ENPALS, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 7 febbraio 2006 il Giudice relatore Francesco Amirante;

uditi gli avvocati Federico Sorrentino per M. B., Maria Teresa Franchi, Angelo Pandolfo e Rossana Cardano per l’ENPALS e gli avvocati dello Stato Francesco Lettera e Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.— Nel corso di una controversia previdenziale – promossa nei confronti dell’Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo per ottenere il ricalcolo della pensione sulla base della retribuzione giornaliera effettivamente percepita – il Tribunale di Sanremo, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, settimo comma, del d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1420 (Norme in materia di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti gestita dall’Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo), sia nel testo attualmente vigente – formulato dall’art. 1, comma 10, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 182 – sia in quello precedente, la cui validità è stata confermata in via transitoria dall’art. 13 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503.

Rileva preliminarmente il giudice a quo che la medesima questione è stata già sollevata nello stesso giudizio e dichiarata manifestamente inammissibile da questa Corte con ordinanza n. 385 del 2002.

Il remittente precisa, quindi, che il ricorrente, già dipendente a tempo indeterminato del Casinò municipale di Sanremo con la qualifica di impiegato, è stato collocato a riposo in data 31 dicembre 1998 all’età di sessantaquattro anni, avendo maturato trentaquattro anni di anzianità di servizio, pari a complessive 10.620 giornate di contribuzione.

La norma impugnata prevedeva nel testo previgente, confermato in via transitoria dall’art. 13 del d.lgs. n. 503 del 1992, che il limite massimo della retribuzione giornaliera pensionabile fosse quello di cui alla penultima classe della tabella F allegata al d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, aumentata del 5 per cento, pari, in concreto, a lire 315.000; orbene anche nella formulazione attuale detto limite è stato esplicitamente fissato in lire 315.000, sia pure col meccanismo correttivo della rivalutazione annuale a decorrere dal 1° gennaio 1998. Rileva il Tribunale che la domanda formulata dal ricorrente non sarebbe allo stato accoglibile, ma che la decisione della presente questione assume carattere pregiudiziale, perché il giudizio in corso non può essere deciso a prescindere dalla soluzione della medesima, donde la rilevanza della stessa.

Nel merito, la questione pare al giudice a quo non manifestamente infondata; mentre, infatti, per i lavoratori assicurati col regime generale gestito dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), l’art. 21, comma 6, della legge 11 marzo 1988, n. 67, prevede che la retribuzione eccedente quella fissata nel tetto pensionabile venga computata, con aliquota decrescente, ai fini della determinazione di un’ulteriore quota di pensione che va a costituire parte integrante di quella già erogata, la disposizione censurata non consente analogo meccanismo per i lavoratori assicurati presso l’ENPALS.

2.— Si è costituito in giudizio il lavoratore ricorrente, sollecitando l’accoglimento della prospettata questione.

Dopo aver precisato che la medesima, ancorché già proposta nello stesso giudizio, è certamente riproponibile in virtù dell’ordinanza di questa Corte che ne ha dichiarato l’inammissibilità, la parte osserva che la questione è pure rilevante, poiché dal suo accoglimento deriverebbe anche l’accoglimento del ricorso.

Ciò premesso, il ricorrente rammenta che la pensione di quanti sono assicurati presso l’ENPALS viene calcolata, in base all’art. 13 del d.lgs. n. 503 del 1992, in due diverse quote, riferibili l’una al periodo contributivo anteriore al 1° gennaio 1993 e l’altra al periodo successivo a tale data.

L’istituto del massimale retributivo pensionabile è stato introdotto nel nostro ordinamento dall’art. 5 del d.P.R. n. 488 del 1968 e sottoposto al vaglio di questa Corte, la quale, con la sentenza n. 173 del 1986, ne dichiarò la conformità a Costituzione con l’auspicio che il legislatore istituisse dei meccanismi di proporzione tra contributi, retribuzione e pensione. Ciò dà conto del successivo passaggio costituito dall’art. 21, comma 6, della legge n. 67 del 1988, in base al quale la retribuzione imponibile che eccede il tetto pensionabile viene computata e va a costituire una quota aggiuntiva di pensione che si somma a quella determinata in base al tetto. Ora, nonostante l’art. 5 del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 11, convertito con modificazioni nella legge 19 marzo 1993, abbia stabilito che il citato art. 21, comma 6, debba applicarsi anche ai lavoratori assicurati presso l’ENPALS, di fatto la norma impugnata avrebbe reso impossibile, secondo la parte privata, l’operatività di siffatto meccanismo; con la conseguenza che la retribuzione giornaliera viene assoggettata a prelievo contributivo fino alla soglia di un milione di lire, mentre è computata ai fini di pensione soltanto fino al massimale previsto dalla legge, rivalutato annualmente (pari a lire 326.121 per l’anno 1999). Tale sistema si tradurrebbe, quindi, in un’evidente disparità di trattamento tra categorie omogenee di lavoratori dipendenti.

3.— Si è costituito in giudizio anche l’ENPALS, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata.

Osserva l’ente previdenziale che il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708 (Disposizioni concernenti l’Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo), istituì l’ENPALS rendendolo sostitutivo dell’INPS per una serie di categorie di lavoratori i quali, in considerazione della peculiarità della loro attività, spesso saltuaria, ben difficilmente avrebbero potuto raggiungere il diritto a pensione secondo le regole fissate per la generalità degli altri lavoratori assicurati presso l’INPS. Ne consegue che non è possibile istituire un raffronto tra sistemi previdenziali diversi, tanto più che la normativa dei lavoratori dello spettacolo è per molti versi più favorevole rispetto a quella degli altri lavoratori dipendenti.

Secondo l’ENPALS, poi, è da tener presente che l’attuale sistema previdenziale è di carattere solidaristico e non mutualistico, il che implica che i contributi versati sulla parte di retribuzione non pensionabile vanno ad alimentare il sistema nella sua globalità.

4.— E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

La parte intervenuta evidenzia che l’apporto maggiore che i lavoratori dello spettacolo sono tenuti a versare in favore del Fondo pensionistico gestito dall’ENPALS trova una logica corrispondenza nel fatto che tali lavoratori godono di requisiti ridotti (rispetto a quelli della generalità dei lavoratori dipendenti) per l’accesso ad una serie di prestazioni previdenziali, sicché la presenza di tali requisiti è bilanciata dal maggiore apporto contributivo da parte dei titolari di retribuzioni più elevate.

D’altra parte, con l’entrata in vigore della riforma di cui al d.lgs. n. 182 del 1997, il massimale contributivo è ormai il medesimo fissato per gli altri lavoratori dipendenti, e sull’eccedenza deve essere versato il solo contributo di solidarietà nella misura del cinque per cento. Non sussisterebbe, perciò, alcuna violazione del principio di eguaglianza, stante la diversa organizzazione dei due sistemi previdenziali posti a confronto.

5.— Nel corso di due controversie previdenziali – promosse da cantanti lirici professionisti nei confronti dell’ENPALS per ottenere il ricalcolo della pensione loro già erogata – il Tribunale di Bologna, con due ordinanze di identico contenuto, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), che ha modificato il testo dell’art. 2, terzo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971.

Il giudice a quo premette che identica questione era già stata sollevata, nel corso dei medesimi giudizi, dal Pretore di Bologna, e che questa Corte, con ordinanza n. 369 del 1998, aveva provveduto alla restituzione degli atti al remittente alla luce delle sopravvenute modifiche normative di cui al d.lgs. n. 182 del 1997.

Ciò posto il Tribunale di Bologna, nel riportare integralmente il contenuto delle due precedenti ordinanze di rimessione, ricorda che il sistema di contribuzione fissato prima dell’entrata in vigore della disposizione censurata prevedeva l’obbligo per il lavoratore di versare l’aliquota del 14,70 per cento fino all’ammontare massimo di lire 315.000 di compenso giornaliero, ed il versamento di un contributo di solidarietà nella misura del tre per cento sull’eccedenza rispetto a tale somma. La norma impugnata, che ha modificato il terzo comma dell’art. 2 del d.P.R. n. 1420 del 1971, ha stabilito che il prelievo contributivo si applichi ai compensi giornalieri fino alla concorrenza di lire un milione, innalzando nel contempo il contributo di solidarietà dal tre al cinque per cento. Il remittente precisa che i due ricorrenti sono stati collocati in pensione in data 1° maggio 1994 e che, nel periodo che va dal 1° gennaio 1992 (data di entrata in vigore della norma impugnata) a quella del collocamento a riposo, entrambi hanno percepito redditi rispettivamente per 449 e 321 giornate di retribuzione, delle quali 270 e 274 con redditi superiori ad un milione di lire. Ora, mentre nel periodo che va dal gennaio 1972 al dicembre 1991 vi è stata corrispondenza tra massimale contributivo imponibile e massimale retributivo pensionabile (entrambi fissati in lire 315.000 giornaliere), per effetto della norma impugnata la situazione è radicalmente cambiata a decorrere dal 1° gennaio 1992; da quel momento in avanti entrambi i ricorrenti hanno subìto un prelievo contributivo calcolato sulla somma di un milione di lire senza però beneficiare di alcun aumento della retribuzione pensionabile, il cui tetto è rimasto fermo a lire 315.000 giornaliere. Ne consegue che per entrambi il trattamento pensionistico sarebbe stato ben più elevato di quello effettivamente loro liquidato se la disposizione in oggetto, anziché limitarsi ad innalzare il solo limite della retribuzione soggetta a contribuzione, avesse anche allo stesso modo innalzato il tetto della retribuzione pensionabile.

6.— Anche in questi due giudizi si è costituito l’ENPALS, con due atti di contenuto identico ma diversi rispetto a quello depositato nel giudizio promosso dal Tribunale di Sanremo, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata.

L’ente costituito, dopo aver osservato che la categoria degli artisti lirici, alla quale appartengono entrambi i ricorrenti, gode di condizioni di particolare favore nelle modalità di calcolo delle prestazioni pensionistiche, nota che la stretta correlazione tra obbligazione contributiva e conseguente erogazione di prestazioni previdenziali è ormai superata dalla moderna concezione della previdenza sociale, non più connotata dal carattere contrattualistico bensì da quello solidaristico. Il carattere centrale della solidarietà, intesa come elemento che può giustificare anche talune apparenti sperequazioni nei trattamenti previdenziali, è stato già da tempo riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 31 e n. 173 del 1986), così com’è ormai pacifico che l’individuazione dell’adeguatezza del trattamento previdenziale va valutata con riferimento a criteri generali ed oggettivi, senza che possano assumere rilievo i singoli casi concreti. Corrisponde quindi alla logica del sistema che i contributi versati sulla parte non pensionabile della retribuzione vadano ad alimentare la previdenza generale, seguendo lo schema per cui i titolari dei redditi più alti partecipano alla copertura delle prestazioni in favore dei titolari di quelli più bassi.

7.— E’ pure intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Osserva l’Avvocatura che la previsione di un massimale contributivo più elevato rispetto a quello fissato per la pensione determina un maggior apporto, in termini di solidarietà, a carico dei titolari dei redditi più alti. Ciò, peraltro, va a bilanciare la particolarità di un sistema previdenziale – quello, appunto, dei lavoratori dello spettacolo – in cui numerosi lavoratori godono di condizioni di accesso alle prestazioni particolarmente vantaggiose, il che richiede necessariamente che i redditi più elevati debbano sostenere un onere previdenziale più pesante. Ne consegue l’infondatezza della questione, poiché lo strumento utilizzato dal legislatore, in sé del tutto ragionevole, serve a salvaguardare l’equilibrio generale del sistema.

Considerato in diritto

1.— Il Tribunale di Sanremo dubita, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 12, settimo comma, del d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1420 (Norme in materia di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti gestita dall’Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo), sia nel testo originario, sia in quello vigente; disposizioni entrambe determinanti la retribuzione da porre a base del calcolo per la pensione (c.d. retribuzione pensionabile) in misura notevolmente inferiore alla retribuzione effettivamente percepita ed a quella su cui vengono calcolati i contributi (c.d. retribuzione contributiva).

Secondo il remittente le norme che stabiliscono il c.d. tetto pensionabile contrastano con l’invocato parametro costituzionale, anzitutto, perché danno luogo ad una disparità di trattamento rispetto agli assicurati presso l’INPS nel regime generale dell’assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti; in secondo luogo, perché irragionevolmente determinano la mancanza di corrispondenza tra i contributi versati e la prestazione previdenziale ricevuta.

2.— Il Tribunale di Bologna, con due ordinanze di contenuto sostanzialmente analogo, a sua volta sospetta di illegittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3, primo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., l’art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), «nella parte in cui, insieme alla introduzione di una più elevata contribuzione previdenziale sui compensi dati agli artisti lirici – in particolare con la previsione della contribuzione generica fino al massimo giornaliero di compenso di lire un milione – non ha disposto un corrispondente proporzionale aumento del massimo della retribuzione calcolabile ai fini della pensione, rimasto non modificato nella misura di lire 315.000 giornaliere».

Il giudice a quo premette che la questione era stata già proposta negli stessi giudizi, aventi ad oggetto le domande di artisti lirici collocati in quiescenza prima del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 182, e che, con ordinanza di questa Corte n. 369 del 1998, era stata disposta la restituzione degli atti per un nuovo esame della rilevanza e dei termini della questione a seguito dell’entrata in vigore del decreto citato.

Il remittente non soltanto conferma la rilevanza della questione, ma soggiunge che il divario tra retribuzione contributiva e retribuzione pensionabile è destinato ad aumentare perché diversi sono i criteri di rivalutazione dell’una e dell’altra e tali da comportare un maggiore aumento della prima.

A sostegno della ritenuta non manifesta infondatezza della questione, il Tribunale di Bologna, con riferimento all’art. 3 Cost., sostiene che, mentre nell’originaria formulazione del d.P.R. n. 1420 del 1971 la retribuzione pensionabile e la retribuzione contributiva coincidevano, l’art. 11, comma 2, della legge n. 412 del 1991, modificando 1’art. 2 del medesimo d.P.R. n. 1420, ha elevato – triplicandolo – il tetto contributivo, senza modificare la misura della retribuzione pensionabile. Ciò, ad avviso del remittente, lede in modo irragionevole il principio di proporzionalità tra contribuzione e prestazioni, principio cui è informato il nostro sistema previdenziale, secondo quanto affermato anche da questa Corte nella sentenza n. 173 del 1986.

Il mantenimento dell’originario tetto pensionabile verrebbe, inoltre, a ledere i diritti tutelati dagli artt. 36 e 38 della Costituzione.

3.— Deve essere disposta la riunione dei giudizi aventi ad oggetto questioni analoghe o connesse, delle quali è opportuna la trattazione unitaria.

La rilevanza delle questioni è motivata in modo non implausibile dai remittenti, sicché, sotto tale profilo, non si ravvisano ragioni di inammissibilità.

4.— Le questioni sono invece inammissibili sotto altri aspetti.

La tesi sostenuta da entrambi i giudici a quibus, costituente la base delle censure mosse alle disposizioni oggetto dello scrutinio, si fonda sul presupposto – esplicito nell’ordinanza del Tribunale di Sanremo e implicito in quelle del Tribunale di Bologna – che, mentre per i lavoratori assicurati presso l’INPS la misura della retribuzione pensionabile è stata elevata dall’art. 21, comma 6, della legge n. 67 del 1988, rendendo pensionabile anche l’eccedenza sia pure con aliquote decrescenti, il limite della retribuzione pensionabile sarebbe rimasto invariato per i lavoratori assicurati presso l’ENPALS.

Tuttavia entrambi i remittenti, nel prospettare le loro tesi riguardo alla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, non si sono fatti carico di esaminare, interpretare e determinare i criteri applicativi della disposizione di cui all’art. 5 del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 11, convertito, con modificazioni, nella legge 19 marzo 1993, n. 70. Tale disposizione – che reca la rubrica “Interpretazione autentica” – stabilisce che «le disposizioni di cui alla legge 11 marzo 1988, n. 67, articolo 21, comma 6, devono essere interpretate nel senso che si applicano anche all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti gestita dall’Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i lavoratori dello spettacolo (ENPALS)».

La carente ricostruzione del quadro normativo di riferimento si traduce in una inidonea proposizione delle questioni di legittimità costituzionale sottoposte all’esame di questa Corte, con conseguente inammissibilità delle medesime.

5.— Per quanto concerne le ordinanze del Tribunale di Bologna, si deve anche soggiungere che esse errano nella individuazione della norma da impugnare. In giudizi il cui oggetto è la domanda di riliquidazione della pensione, sulla base di una retribuzione pensionabile maggiore di quella posta a fondamento della liquidazione praticata in via amministrativa dall’ente previdenziale – quali sono i giudizi a quibus – le norme che il giudice adito deve applicare, e delle quali avrebbe dovuto chiedere a questa Corte lo scrutinio, sono quelle concernenti appunto la base di calcolo della pensione e non quelle che – come la norma censurata – incidono sull’entità della contribuzione senza disciplinare nuovamente la retribuzione pensionabile.

Ne consegue che la questione sollevata dal Tribunale di Bologna va ritenuta, anche sotto tale profilo, inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, settimo comma, del d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1420 (Norme in materia di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti gestita dall’Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo), e dell’art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Sanremo e dal Tribunale di Bologna con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,  il 20 marzo 2006.

 Annibale MARINI, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 24 marzo 2006.