Ordinanza n. 114 del 2006

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ORDINANZA N. 114

ANNO 2006

 

   REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    LA CORTE COSTITUZIONALE

    composta dai signori:

    -       Franco                        BILE                      Presidente

    -       Giovanni Maria          FLICK                     Giudice

    -       Francesco                   AMIRANTE              "

    -       Ugo                            DE SIERVO              "

    -       Romano                      VACCARELLA        "

    -       Paolo                          MADDALENA         "

    -       Alfio                           FINOCCHIARO       "

    -       Franco                        GALLO                     "

    -       Gaetano                      SILVESTRI               "

    -       Sabino                        CASSESE                  "

    -       Maria Rita                  SAULLE                    "

    -       Giuseppe                    TESAURO                 "

ha pronunciato la seguente

    ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 33, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), promosso con ordinanza del 25 marzo 2005 dal Giudice di pace di Maglie, nel procedimento civile vertente tra Stifani Antonio e la Reale Mutua assicurazioni s.p.a., iscritta al n. 460 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 2005.

    Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nella camera di consiglio dell'8 febbraio 2006 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.

    Ritenuto che Antonio Stifani ha agito in giudizio nei confronti della Reale Mutua assicurazioni s.p.a., allo scopo di ottenerne la condanna alla ripetizione delle somme pagate a titolo di premio relativo ad una polizza di responsabilità civile autoveicoli, per la parte risultata in eccedenza per effetto di una intesa tra le imprese del settore, dichiarata in violazione delle norme di concorrenza di cui alla legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato) dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, con provvedimento confermato dal giudice amministrativo, di primo e di secondo grado;

    che, nel corso del giudizio, il Giudice di pace di Maglie, con ordinanza del 25 marzo 2005, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 33, comma 2, della richiamata legge 10 ottobre 1990, n. 287, nella parte in cui attribuisce l'azione di risarcimento del danno,  in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV di detta legge, alla Corte d'appello competente per territorio;

    che il rimettente – premesso che la società convenuta ha pregiudizialmente eccepito, tra l'altro, l'incompetenza per materia, invocando a conforto la norma impugnata – ha rilevato che «nessuna disposizione speciale possa scalfire, facendo passare il suo contenuto in secondo piano, il disposto dell'art. 7 c.p.c.»; che, nella specie, sussiste altresì l'«esclusivo foro del consumatore, coincidente con la sua residenza»; che le controversie relative al contratto de quo devono ritenersi quindi attribuite alla competenza del giudice di pace;

    che, secondo l'ordinanza di rimessione, risultando definitivamente accertata la realizzazione della citata intesa anticompetitiva e, in virtù della medesima, la percezione da parte della società convenuta di un premio più elevato, «è evidente che non si possa negare all'assicurato il diritto di rivolgersi all'autorità competente per territorio, secondo il principio di diritto» stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza del 1° ottobre 2003, n. 14669, e cioè innanzi al giudice di pace, con la conseguenza che la causa, in quanto relativa ad un rapporto giuridico sorto da un contratto concluso secondo le modalità di cui all'art. 1342, cod. civ., in forza dell'art. 113, cod. proc. civ., nel testo modificato dall'art. 1 del decreto-legge 8 febbraio 2003, n. 18, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 7 aprile 2003, n. 63, non può essere decisa secondo equità e, quindi, la sentenza che la definisce è impugnabile con l'appello;

    che, ad avviso del giudice a quo, dalle argomentazioni sopra sintetizzate «discende la natura funzionale del giudice di pace ex artt. 7 e 113 c.p.c.», in quanto «le due regole assumono una portata primaria rispetto alla pretesa della difesa della compagnia assicuratrice, che esige una declaratoria di incompetenza», in forza dell'art. 33, comma 2, della legge n. 287 del 1990, mentre tale disposizione è, a suo parere, utilizzabile solo dalle imprese concorrenti e non dai consumatori finali;

    che, secondo il Giudice di pace, l'art. 33, comma 2, della legge n. 287 del 1990, per la parte in cui attribuisce l'azione di risarcimento del danno, in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV di detta legge, alla competenza della Corte d'appello si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., poiché sarebbe «evidente» che l'assicurato si trova in una «situazione di inferiorità che comprime i suoi interessi» e, conseguentemente, realizzerebbe «un trattamento di disparità tra l'assicurato e l'assicuratore», che godrebbe di una «ingiustificata posizione di preminenza»;

    che, inoltre, ad avviso del Giudice di pace, la norma censurata, in violazione dell'art. 24 Cost., imporrebbe all'assicurato «di agire in giudizio secondo una regola secondaria rispetto a quella primaria dei tre gradi di giudizio», benché egli sia estraneo alle norme antitrust e sia stato anzi «succube della combine intercorsa, a sua insaputa, tra le compagnie di assicurazione incriminate», recando sotto vari profili anche vulnus all'art. 111 Cost.: non permetterebbe all'assicurato di ottenere tutela mediante «un giusto processo svolto in tempi brevissimi», avendo il processo innanzi alla Corte d'appello una durata maggiore; comporterebbe un irragionevole aggravio di lavoro per quest'ultimo ufficio giudiziario «per cause di poca entità»; costringerebbe il consumatore a sopportare costi processuali più elevati, anche in considerazione della disciplina del patrocinio legale stabilita per il processo innanzi al giudice di pace;

    che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile in quanto il rimettente non ha dato conto né della possibilità di offrire una diversa interpretazione della norma impugnata, né dell'eventuale incidenza della disciplina concernente il foro competente sulle controversie derivanti dai contratti stipulati tra professionista e consumatore, quale stabilita dall'art. 1469-bis, comma terzo, numero 19, cod. civ., ora trasfuso nell'art. 33, comma 2, lettera u), del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206.

    Considerato che il Giudice di pace di Maglie dubita, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 33, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), secondo il quale l'azione di risarcimento del danno, in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV di detta legge, è promossa davanti alla Corte d'appello competente per territorio;

    che, come risulta dalla precedente esposizione, la questione è stata prospettata con motivazione caratterizzata da un evidente contrasto logico tra l'ampia premessa avente ad oggetto la disciplina ritenuta applicabile dal rimettente e quella stabilita dalla norma censurata rispetto al dispositivo dell'ordinanza, quindi in modo palesemente contraddittorio (al riguardo, ordinanze n. 246 del 2005; n. 108 del 1997);

    che, sotto un ulteriore profilo, siffatta evidente incongruenza logica fa chiaramente trasparire che la questione, in realtà, neppure è diretta a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, ma configura piuttosto un improprio tentativo di ottenere da questa Corte l'avallo della interpretazione che il giudice a quo dimostra di condividere, così  rendendo chiaro un uso distorto dell'incidente di costituzionalità (per tutte, ordinanze n. 420 del 2005; n. 193 del 2004);

    che, pertanto, la questione è manifestamente inammissibile.

    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 33, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato) sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Giudice di pace di Maglie con l'ordinanza indicata in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,

l'8 marzo 2006.

Franco BILE, Presidente

Giuseppe TESAURO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2006.