Sentenza n. 107 del 2006

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 107

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Annibale                                         MARINI           Presidente

-  Franco                                             BILE                   Giudice

-  Giovanni Maria                               FLICK                         “

-  Francesco                                        AMIRANTE                “

-  Ugo                                                 DE SIERVO                “

-  Romano                                          VACCARELLA          “

-  Paolo                                               MADDALENA           “

-  Alfio                                               FINOCCHIARO         “

-  Alfonso                                           QUARANTA              “

-  Franco                                             GALLO                       “

-  Gaetano                                          SILVESTRI                 “

-  Sabino                                             CASSESE                    “

-  Maria Rita                                       SAULLE                      “

-  Giuseppe                                         TESAURO                   “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge della Regione Lazio 20 marzo 1995, n. 9 (Legge regionale 2 maggio 1980, n. 30, e successive modificazioni ed integrazioni. Variazione tariffa), e dell'art. 1 della legge della Regione Lazio 20 marzo 1995, n. 10 (Modificazioni ed integrazione alla legge regionale approvata nella seduta del 1° febbraio 1995 concernente: «Legge regionale 2 maggio 1980, n. 30, e successive modificazioni ed integrazioni. Variazione tariffa»), promosso con ordinanza del 26 ottobre 2004 dal Tribunale di Roma, nel giudizio civile vertente tra Mario Giardini ed altri e la Regione Lazio iscritta al n. 244 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 2005.

    Visti gli atti di costituzione di Leonardo Chiri, Giorgio Corradini, Enrico Cartoni, di Renato Flati ed altri, di Giò Pietro Pieri ed altri, nonché della Regione Lazio;

    udito nell'udienza pubblica del 21 febbraio 2006 il Giudice relatore Franco Gallo;

    uditi gli avvocati Francesco D'Audino per Leonardo Chiri, Giorgio Corradini e Enrico Cartoni e l'avvocato Bruno de' Cocci per la Regione Lazio.

Ritenuto in fatto

    1. – Nel corso di un giudizio civile – promosso da numerosi titolari di aziende faunistico-venatorie nei confronti della Regione Lazio per la restituzione delle somme dagli stessi indebitamente corrisposte, dopo l'anno 1995, a titolo di tassa di rinnovo della concessione regionale di costituzione di azienda faunistico-venatoria e di correlativa soprattassa – il Tribunale di Roma, con ordinanza del 26 ottobre 2004, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge della Regione Lazio 20 marzo 1995, n. 9 (Legge regionale 2 maggio 1980, n. 30, e successive modificazioni ed integrazioni. Variazione tariffa), e dell'art. 1 della legge della Regione Lazio 20 marzo 1995, n. 10 (Modificazioni ed integrazione alla legge regionale approvata nella seduta del 1° febbraio 1995 concernente: «Legge regionale 2 maggio 1980, n. 30, e successive modificazioni ed integrazioni. Variazione tariffa»), nella parte in cui prevedono l'aumento degli importi delle tasse e delle sovrattasse sulle concessioni regionali, previsti nella tariffa allegata alla legge della Regione Lazio 2 maggio 1980, n. 30 (Disciplina delle tasse sulle concessioni regionali), e successive modificazioni, in misura superiore al venti per cento dell'importo in vigore al 31 dicembre 1994.

    Secondo il rimettente, tali norme contrasterebbero con gli artt. 117 e 119 della Costituzione – nel testo sia anteriore che successivo alla modifica ad essi apportata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione) – in relazione alla norma statale interposta prevista dall'art. 4, comma 5, della legge 14 giugno 1990, n. 158, recante «Norme di delega in materia di autonomia impositiva delle regioni e altre disposizioni concernenti i rapporti finanziari tra lo Stato e le regioni» (recte: dall'art. 3, comma 5, della legge 16 maggio 1970, n. 281, recante «Provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario», come sostituito dall'art. 4, comma 1, della legge n. 158 del 1990, modificato dall'art. 4, comma 2, del decreto-legge 31 ottobre 1990, n. 310, recante «Disposizioni urgenti in materia di finanza locale», convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 1990, n. 403), il quale prevede che «con legge regionale possono essere disposti, ogni anno, aumenti della tariffa anche con riferimento solo ad alcune voci, con effetto dal 1° gennaio dell'anno successivo, in misura non superiore al 20 per cento degli importi determinati per il periodo precedente, ovvero in misura non eccedente la maggiore percentuale di incremento disposta dallo Stato per le tasse sulle concessioni governative».

    Al riguardo, il giudice a quo premette: a) che lo stesso Tribunale, con ordinanza del 12 aprile 2001, ha sollevato questione di legittimità delle medesime norme regionali in riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione nel testo previgente ed in relazione alla menzionata norma statale interposta di cui all'art. 4, comma 5, della legge n. 158 del 1990; b) che la Corte costituzionale, con l'ordinanza n. 73 del 2002, ha ordinato la restituzione degli atti al Tribunale per un nuovo esame della questione alla luce del sopravvenuto nuovo testo dei parametri costituzionali evocati, introdotto dagli artt. 3 e 5 della citata legge costituzionale n. 3 del 2001; c) che gli attori hanno chiesto la restituzione delle somme indebitamente corrisposte dopo il 1995, a titolo di tassa di rinnovo della concessione regionale di costituzione di azienda faunistico-venatoria e di correlativa soprattassa, quali stabilite dalle norme censurate.

    Ciò premesso, il rimettente solleva nuovamente la medesima questione, anche in riferimento al testo vigente degli artt. 117 e 119 Cost. 

    In particolare, lo stesso rimettente indica quale norma statale interposta il citato art. 4, comma 5, della legge n. 158 del 1990 (cioè l'art. 3, comma 5, della legge n. 281 del 1970 nel testo di cui  all'art. 4, comma 1, della legge n. 158 del 1990, anteriore alla modifica apportatavi dal menzionato art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 310 del 1990, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 403 del 1990, il quale ha sostituito le parole «entro il 31 ottobre di ciascun anno» con quelle «ogni anno») ed interpreta tale norma nel senso che le leggi regionali che dispongono l'aumento delle tasse sulle concessioni regionali debbono essere emanate «entro il 31 ottobre di ciascun anno» e che esse, nel caso di aumento in misura superiore alla percentuale del venti per cento, devono fare riferimento alla maggiore percentuale di incremento delle tasse sulle concessioni governative stabilita dallo Stato «per l'anno precedente»; con la conseguenza che le Regioni, «decorso il termine del 31 ottobre di ogni anno» senza aver disposto un aumento delle tasse sulle concessioni regionali corrispondente a quello stabilito per le concessioni statali nell'anno precedente, non possono, «negli anni successivi», aumentare dette tasse oltre il limite del venti per cento, essendosi ormai «consumato» il relativo potere.

    Il rimettente osserva, poi, che il legislatore regionale – avendo omesso di disporre, «per il 1993, entro il 31 ottobre 1992» (recte: entro il 31 dicembre 1992), aumenti delle tasse sulle concessioni regionali superiori al venti per cento e fino al limite massimo dell'incremento percentuale corrispondente a quello degli aumenti stabiliti, nella misura del cento per cento, per le tasse sulle concessioni governative dall'art. 10 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359 – avrebbe “esaurito” (proprio a causa di tale omissione) il potere di aumentare le tasse sulle concessioni regionali in misura superiore al venti per cento e, quindi, anche il potere di aumentare di oltre il venti per cento la tassa di rinnovo della concessione regionale di costituzione di azienda faunistico-venatoria.

    Per il giudice a quo, conseguentemente, le censurate norme regionali, poiché hanno disposto solo nel 1995, per l'anno successivo, l'aumento del cento per cento degli importi di detta tassa di rinnovo, violano la menzionata norma statale interposta e si pongono, perciò, in contrasto con i previgenti articoli 117 e 119 Cost., articolo, quest'ultimo, che, in materia tributaria, attribuisce alle Regioni una potestà legislativa di mera attuazione delle leggi della Repubblica. Inoltre, il rimettente ritiene che le norme denunciate contrastino anche con il testo vigente degli artt. 117 e 119 Cost. sia perché, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., lo Stato ha competenza legislativa esclusiva in materia di tributi erariali, ivi compresi quelli il cui gettito è attribuito, in tutto o in parte, alle Regioni o agli enti locali, sia perché le tasse sulle concessioni regionali sono interamente disciplinate dall'art. 3 della legge n. 281 del 1970 e dai decreti legislativi 22 giugno 1991, n. 230 (Approvazione della tariffa delle tasse sulle concessioni regionali ai sensi dell'articolo 3 della legge 16 maggio 1970, n. 281, come sostituito dall'articolo 4 della legge 14 giugno 1990, n. 158) e 23 gennaio 1992, n. 31 (Rettifiche alla tariffa delle tasse sulle concessioni regionali, approvata con decreto legislativo 22 giugno 1991, n. 230) e, quindi, non possono qualificarsi “tributi propri” delle Regioni ai sensi dell'art. 119 Cost., essendo rimesso alle stesse Regioni il solo potere di aumentare l'importo di dette tasse, nei limiti stabiliti dalle menzionate leggi statali.

    Quanto alla rilevanza, il giudice a quo osserva che la invocata dichiarazione di illegittimità costituzionale comporterebbe l'accoglimento delle domande degli attori, tempestivamente proposte entro il termine triennale di decadenza, ed aventi ad oggetto le somme pagate oltre il limite di aumento consentito dalla norma interposta.

    2. – Si sono costituite in giudizio solo tre delle numerose parti private del giudizio principale (Leonardo Chiri, Giorgio Corradini ed Enrico Cartoni), le quali concordano sostanzialmente con le argomentazioni svolte nell'ordinanza di rimessione e concludono per l'accoglimento della questione sollevata.

    3. – Il Presidente della Giunta regionale del Lazio si è tardivamente costituito in giudizio, con atto depositato il 4 luglio 2005.

    4. – In prossimità dell'udienza, la difesa della Regione ha depositato memoria illustrativa.

    5. – L'8 febbraio 2006, altre parti private del giudizio principale hanno depositato «atti di adesione» alla comparsa delle tre precedentemente costituite, nonché separato atto di «deduzioni», con i quali sostengono la tempestività della loro costituzione e concludono nel merito della questione.

Considerato in diritto

    1. – Il Tribunale di Roma dubita della legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge della Regione Lazio 20 marzo 1995, n. 9 (Legge regionale 2 maggio 1980, n. 30,  e successive modificazioni ed integrazioni. Variazione tariffa), limitatamente ai commi 1 – quale sostituito dall'art. 1 della legge della Regione Lazio 20 marzo 1995, n. 10 (Modificazioni ed integrazione alla legge regionale approvata nella seduta del 1° febbraio 1995 concernente: «Legge regionale 2 maggio 1980, n. 30, e successive modificazioni ed integrazioni. Variazione tariffa») – e 2, nella parte in cui tali commi dispongono l'aumento del cento per cento della tassa di rinnovo della concessione regionale di costituzione di azienda faunistico-venatoria e della correlativa soprattassa, a far data dal 1° gennaio 1996.

    Il giudice a quo deduce la violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione, nel testo sia anteriore che successivo alla riforma del Titolo V della Parte II apportata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione), in quanto le norme censurate eccederebbero i limiti previsti dalla norma statale interposta di cui all'art. 3, comma 5, della legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario) – come sostituito dall'art. 4, comma 1, della legge 14 giugno 1990, n. 158 (Norme di delega in materia di autonomia impositiva delle regioni e altre disposizioni concernenti i rapporti finanziari tra lo Stato e le regioni), modificato, a sua volta, dall'art. 4, comma 2, del decreto-legge 31 ottobre 1990, n. 310 (Disposizioni urgenti in materia di finanza locale), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 1990, n. 403 – il quale stabilisce che «con legge regionale possono essere disposti, ogni anno, aumenti della tariffa anche con riferimento solo ad alcune voci, con effetto dal 1° gennaio dell'anno successivo, in misura non superiore al 20 per cento degli importi determinati per il periodo precedente, ovvero in misura non eccedente la maggiore percentuale di incremento disposta dallo Stato per le tasse sulle concessioni governative».

    Secondo il giudice a quo, le Regioni hanno la facoltà di aumentare le tasse sulle concessioni regionali in misura superiore al venti per cento e fino al maggiore incremento percentuale stabilito dallo Stato per le tasse sulle concessioni governative, alla condizione che l'aumento sia disposto per l'anno successivo a quello in cui è intervenuto l'incremento statale. Non avendo il legislatore regionale soddisfatto tale condizione, le disposizioni censurate avrebbero ecceduto i limiti fissati dalla norma interposta, ponendosi così in contrasto con gli evocati parametri costituzionali.

    2. – Preliminarmente, deve dichiararsi inammissibile la costituzione in giudizio sia del Presidente della Giunta regionale del Lazio, sia di quelle parti private del giudizio principale che hanno depositato «atti di adesione» alle deduzioni delle tre tempestivamente costituite. Infatti, il Presidente della Giunta regionale si è costituito il 4 luglio 2005 e le parti private hanno depositato i suddetti «atti di adesione» l'8 febbraio 2006 e, quindi, oltre il termine perentorio del 31 maggio 2005, stabilito dall'art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e computato secondo il criterio previsto dall'art. 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

    3. – Sempre in via preliminare, deve osservarsi che la questione sollevata è rilevante nel giudizio principale. Al riguardo, infatti, il rimettente precisa che gli attori hanno chiesto in restituzione le somme pagate dopo il 1995 a titolo di tassa di rinnovo delle relative concessioni regionali di costituzione di azienda faunistico-venatoria; che tali somme sono state effettivamente pagate; e che le domande di ripetizione sono state tempestivamente proposte entro il termine triennale di decadenza. Ne consegue che, disponendo le norme regionali censurate l'aumento del cento per cento di detta tassa e della correlativa soprattassa a far data dal 1° gennaio 1996, un'eventuale pronuncia di incostituzionalità di tali norme avrebbe incidenza sulla decisione in ordine alla predette domande di restituzione.

    4. – Nel merito, va premesso che, tra i parametri costituzionali evocati dal giudice a quo, rilevano soltanto gli artt. 117 e 119 Cost., nel testo anteriore alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione. Il Tribunale rimettente, infatti, deduce che le norme censurate hanno ecceduto i limiti posti al legislatore regionale dalla norma statale interposta di cui all'art. 3, comma 5, della legge n. 281 del 1970, nel testo sostituito dalle indicate disposizioni del 1990. Pertanto, la denunciata violazione del riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni a statuto ordinario va valutata alla stregua delle norme costituzionali vigenti nel 1990, anno in cui è stata emanata la norma interposta.

    4.1. – La questione non è fondata, perché si basa su un'erronea interpretazione della menzionata disposizione interposta.

    Quest'ultima attribuisce alle Regioni il potere di disporre con legge aumenti degli importi delle tasse sulle concessioni regionali stabiliti dalla tariffa approvata con il decreto legislativo 22 giugno 1991, n. 230 (Approvazione della tariffa delle tasse sulle concessioni regionali ai sensi  dell'articolo 3 della legge 16 maggio 1970, n. 281, come sostituito dall'articolo 4 della legge 14 giugno 1990, n. 158), e rettificata dal decreto legislativo 23 gennaio 1992, n. 31 (Rettifiche alla tariffa delle tasse sulle concessioni regionali, approvata con decreto legislativo 22 giugno 1991, n. 230). Ai sensi della medesima disposizione, tale potere è soggetto ai seguenti limiti: gli aumenti della tariffa possono essere disposti «ogni anno»; le norme che dispongono l'aumento devono avere «effetto dal 1° gennaio dell'anno successivo» a quello in cui esso è stato disposto; l'entità dell'aumento medesimo è rimessa alla scelta del legislatore tra due misure, la prima, «non superiore al 20 per cento degli importi determinati per il periodo precedente», la seconda, contenuta entro «la maggiore percentuale di incremento disposta dallo Stato per le tasse sulle concessioni governative».

    Il rimettente interpreta tale enunciato legislativo nel senso che l'espressione «ogni anno» consente al legislatore regionale di aumentare le tasse sulle concessioni regionali in misura superiore al venti per cento solo per l'anno immediatamente successivo a quello in cui il legislatore statale ha aumentato le tasse sulle concessioni governative. Sempre secondo il rimettente, la Regione Lazio, invece, con le disposizioni censurate ha aumentato del cento per cento le tasse sulle concessioni regionali nel 1995 e non nel 1993, anno immediatamente successivo all'aumento del cento per cento delle tasse sulle concessioni governative, disposto dallo Stato con l'art. 10 del  decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359. Ne conseguirebbe l'illegittimità delle norme censurate, per violazione degli artt. 117 e 119 Cost.

    4.2. – Siffatta interpretazione contrasta con la ratio e con la lettera della disposizione interposta, dovendosi intendere la locuzione «ogni anno», nell'ipotesi dell'aumento delle tasse sulle concessioni regionali in misura superiore al venti per cento, nel senso che il potere di aumento può essere esercitato una sola volta l'anno per l'anno successivo e non nel senso che deve esercitarsi nell'anno immediatamente successivo a quello in cui è stato disposto dallo Stato l'aumento delle tasse sulle concessioni governative.

    Ciò si desume, in primo luogo, dall'evoluzione normativa dello stesso art. 3 della legge n. 281 del 1970. Il secondo comma del testo originario di questo articolo attribuiva alle Regioni il potere di disporre, entro il solo limite del venti per cento delle tasse regionali vigenti nel periodo precedente, maggiorazioni delle tasse sulle concessioni regionali «ad intervalli non inferiori al quinquennio», e cioè una sola volta per cinque anni. In seguito, il legislatore statale, con l'art. 4, comma 1, della legge n. 158 del 1990, ha consentito (oltre al predetto aumento fino al venti per cento) anche un maggiore aumento, purché non eccedente quello disposto dallo Stato per le tasse sulle concessioni governative. Nel contempo, per ciò che qui interessa, ha ridotto ad un anno il predetto intervallo quinquennale, stabilendo che l'aumento delle tasse sulle concessioni regionali potesse essere disposto «entro il 31 ottobre di ciascun anno». Tale modifica ha avuto il solo effetto di ridurre da cinque anni ad un anno l'arco temporale entro il quale è consentito operare detto aumento e, quindi, non ha inciso sostanzialmente sull'interpretazione data alla disposizione previgente.

    Non influisce sulla predetta interpretazione l'ulteriore sostituzione delle parole «entro il 31 ottobre di ciascun anno» con le parole «ogni anno», operata dal già citato art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 310 del 1990, che ha portato all'attuale formulazione della menzionata disposizione interposta. Detta sostituzione, infatti, si è limitata ad estendere all'intero anno la possibilità di esercitare il potere di aumento, con effetti dall'anno successivo, fermo restando il divieto di esercitare tale potere ad intervalli inferiori all'anno.

    Nemmeno sul piano letterale la disposizione interposta si presta ad essere interpretata nel senso prospettato dal rimettente. Infatti, nella qui esaminata ipotesi di esercizio del potere di aumento delle tasse regionali in misura superiore al venti per cento, né la locuzione «ogni anno» né altri elementi dell'enunciato legislativo impongono che detto potere sia esercitato dalla Regione nell'anno immediatamente successivo a quello dell'aumento statale. Al contrario, tale disposizione – con formula analoga a quella spesso impiegata nella legislazione statale al fine di delimitare temporalmente l'ambito della autonomia tributaria delle Regioni e degli enti locali (v., ad esempio, l'art. 3, comma 29, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, recante «Misure di razionalizzazione della finanza pubblica»; e l'art. 6, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, recante «Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell'articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421», istitutivo dell'ICI) – stabilisce solo che il potere d'aumento debba essere esercitato dalla Regione “ogni anno” per l'anno successivo; e perciò non fa mai riferimento all'anno in cui il legislatore statale ha introdotto la misura di incremento percentuale delle concessioni governative utilizzabile dalle Regioni per l'aumento delle tasse sulle concessioni regionali.

    Né dal fatto che, ai sensi della medesima disposizione, il potere d'aumento deve essere contenuto in una misura non «eccedente la maggiore percentuale di incremento disposta dallo Stato» può trarsi argomento per identificare l'anno in cui tale potere deve essere esercitato con quello immediatamente successivo all'emanazione della legge statale che dispone l'aumento delle tasse sulle concessioni governative. Con tale formulazione, infatti, il legislatore statale si limita ad assumere come percentuale di aumento consentita alle Regioni quella stabilita per l'incremento delle tasse sulle concessioni governative dalla legge statale, condizionando l'esercizio del relativo potere alla sola circostanza che la legge medesima – ancorché emanata nell'anno non immediatamente precedente – sia ancora in vigore al momento in cui il legislatore regionale dispone l'aumento.

    Da tali premesse discende che l'unica circostanza che vieta al legislatore regionale di fissare detto aumento è l'aver già effettuato l'altra opzione consentita dalla norma interposta, e cioè  l'opzione di aumento delle tasse sulle concessioni regionali in una misura non eccedente il venti per cento. Ciò risulta testualmente dall'uso, nella disposizione interposta, del termine «ovvero» per indicare, appunto, l'alternatività della scelta  tra l'aumento in misura non eccedente e l'aumento in misura eccedente il venti per cento.

    Questa interpretazione, assicurando alla Regione un'autonomia tributaria più ampia di quella sottesa alla prospettazione del rimettente, appare del resto coerente con la ratio della citata legge n. 158 del 1990 (il cui art. 4, comma 1, ha sostituito il testo originario della disposizione interposta), di dare alle Regioni «un primo riconoscimento di autonomia impositiva» che consenta «una migliore esplicitazione della capacità programmatoria regionale» (v. relazione al disegno di legge di iniziativa governativa, X legislatura, Atti Senato, n. 1894).

    4.3. – Nella specie, dopo l'aumento del cento per cento delle tasse sulle concessioni governative, disposto dallo Stato con il citato art. 10 del decreto-legge n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992, la Regione Lazio ha lasciato immutati gli importi di tutte le tasse sulle concessioni regionali e, quindi, anche quelli dovuti per il rinnovo delle concessioni relative alla costituzione di azienda faunistico-venatoria, e li ha aumentati del cento per cento con la norma censurata solo nel 1995, nella perdurante vigenza della predetta norma statale.

    Sono stati, pertanto, rispettati dalla Regione Lazio i limiti stabiliti dalla norma interposta per l'esercizio del potere di aumentare detta tassa di rinnovo in misura superiore al venti per cento con effetto dal 1° gennaio 1996 e, perciò, non si è verificata la consumazione del potere medesimo prospettata dal rimettente.

    5. – La norma censurata, dunque, non avendo ecceduto detti limiti, non ha violato gli articoli 117 e 119 Cost., nel testo anteriore alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione.

per questi motivi

    LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara non fondata  la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1 – come sostituito dall'art. 1 della legge della Regione Lazio 20 marzo 1995, n. 10 (Modificazioni ed integrazione alla legge regionale approvata nella seduta del 1° febbraio 1995 concernente: «Legge regionale 2 maggio 1980, n. 30, e successive modificazioni ed integrazioni. Variazione tariffa») – e comma 2, della legge della Regione Lazio 20 marzo 1995, n. 9 (Legge regionale 2 maggio 1980, n. 30, e successive modificazioni ed integrazioni. Variazione tariffa), sollevata, in riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione, dal Tribunale di Roma con l'ordinanza in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,  l'8 marzo 2006.

Annibale MARINI, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2006.