Ordinanza n. 27 del 2006

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ORDINANZA N. 27

 

ANNO 2006

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

- Annibale            MARINI                                           Presidente

 

- Giovanni Maria  FLICK                                               Giudice

 

- Ugo                   DE SIERVO                                            ”

 

- Romano             VACCARELLA                                       ”

 

- Paolo                 MADDALENA                                        ”

 

- Alfio                 FINOCCHIARO                                      ”

 

- Alfonso             QUARANTA                                           ”

 

- Franco               GALLO                                                   ”

 

- Luigi                 MAZZELLA                                            ”

 

- Gaetano             SILVESTRI                                             ”

 

- Sabino               CASSESE                                               ”

 

- Maria Rita         SAULLE                                                 ”

 

- Giuseppe           TESAURO                                              ”

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 122 del codice di procedura civile in combinato disposto con gli artt. 4 e 8, commi 1, 3 e 4, della legge 23 febbraio 2001, n. 38 (Norme a tutela della minoranza linguistica slovena della Regione Friuli-Venezia Giulia), nonché del combinato disposto degli artt. 4, comma 1, e 8, commi 1 e 5, e dell’art. 4, comma 1, della citata legge n. 38 del 2001, promosso con ordinanza del 1° aprile 2004 dal Tribunale di Trieste, nel procedimento civile vertente tra Soc. SERECO Coop. a r.l. e la UNIRISCOSSIONI s.p.a. ed altra, iscritta al n. 158 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2005.

 

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 14 dicembre 2005 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.

 

Ritenuto che, con ordinanza depositata il 1° aprile 2004, il Tribunale di Trieste ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 6 della Costituzione e 3 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), questione di legittimità costituzionale dell’art. 122 del codice di procedura civile in combinato disposto con gli artt. 4 e 8, commi 1, 3 e 4, della legge 23 febbraio 2001, n. 38 (Norme a tutela della minoranza linguistica slovena della Regione Friuli-Venezia Giulia), nonché del combinato disposto degli artt. 4, comma 1, e 8, commi 1 e 5, e dell’art. 4, comma 1, della citata legge n. 38 del 2001, nella parte in cui limitano al solo ambito territoriale individuato dalla citata legge l’operatività della tutela riconosciuta agli appartenenti alla minoranza linguistica slovena del diritto all’uso della lingua materna nei rapporti con le autorità amministrative e giudiziarie locali;

 

che il giudice rimettente è stato adìto con istanza redatta personalmente, in lingua slovena, dal legale rappresentante di una società cooperativa a responsabilità limitata avente sede in Padriciano, frazione del Comune di Trieste, per ottenere la declaratoria di nullità della cartella di pagamento riguardante una sanzione amministrativa, notificata a mezzo posta in data 30 maggio 2003, priva della traduzione in lingua slovena, con contestuale richiesta di sospensione dell’efficacia della stessa cartella;

 

che il rimettente, previa qualificazione dell’istanza come opposizione a ordinanza-ingiunzione ai sensi degli artt. 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), con provvedimento pronunciato inaudita altera parte, ha concesso la sospensione dell’efficacia della cartella di pagamento ed ha disposto l’assistenza linguistica sia in forma scritta – mediante la traduzione in lingua italiana dell’atto introduttivo ed in lingua slovena del decreto di fissazione dell’udienza e del verbale – sia in forma orale, assicurando la presenza di un interprete di lingua slovena all’udienza di comparizione delle parti;

 

che, a seguito della costituzione delle parti convenute, essendo emerso dalla documentazione prodotta dalla Regione Friuli-Venezia Giulia che l’ordinanza-ingiunzione aveva già costituito oggetto di impugnazione (rigettata con sentenza del Tribunale di Trieste n. 633 del 14 marzo 2001), il rimettente ha riqualificato l’atto introduttivo del giudizio – ai sensi degli artt. 617 cod. proc. civ. e 57 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come sostituito dall’art. 16 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’art. 1 della legge 28 settembre 1998 n. 337) – quale opposizione diretta a contestare la regolarità formale del precetto-cartella esattoriale, in quanto privo della traduzione in lingua slovena, ed ha revocato il provvedimento cautelare di sospensione dell’efficacia della cartella esattoriale;

 

che, come riferisce il rimettente, le parti convenute hanno formulato eccezioni pregiudiziali e preliminari, in particolare assumendo che la materia dell’organizzazione della pubblica amministrazione apparterrebbe alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e che l’atto introduttivo del giudizio, in quanto redatto in lingua slovena fuori dai casi in cui la legge autorizza l’uso della lingua minoritaria nel processo civile, risulterebbe inammissibile e tale dovrebbe essere dichiarato senza ulteriori accertamenti;

 

che il giudice a quo ritiene necessario, anche ai fini della decisione sulle eccezioni sollevate dalle convenute, stabilire se la parte attrice abbia diritto a ricevere tradotti nella lingua materna gli atti processuali, in applicazione della tutela costituzionalmente garantita agli appartenenti alla minoranza slovena in virtù del richiamo operato dall’art. 8 del Trattato di Osimo, ratificato con legge 14 marzo 1977, n. 73 (Ratifica ed esecuzione del trattato tra la Repubblica italiana e la Repubblica socialista federativa di Jugoslavia, con allegati, nonché dell’accordo tra le stesse Parti, con allegati, dell’atto finale e dello scambio di note, firmati ad Osimo – Ancona – il 10 novembre 1975), allo statuto speciale allegato al Memorandum di intesa firmato a Londra il 5 ottobre 1954, con il quale è stata data parziale attuazione agli artt. 6 della Costituzione e 3 dello statuto speciale della Regione Friuli Venezia Giulia (sentenze n. 15 del 1996, n. 62 del 1992 e n. 28 del 1982);

 

che, a parere del rimettente, il dubbio riguardante l’applicabilità della tutela nei termini già delineati discenderebbe dalla lettura congiunta dell’art. 122 cod. proc. civ. e degli artt. 4 e 8, commi 1, 3 e 4, della legge n. 38 del 2001, là dove il riconoscimento dell’uso della lingua slovena nei rapporti con le autorità amministrative e giudiziarie locali sarebbe limitato ai soli territori – insistenti nelle Province di Trieste, Udine e Gorizia – inseriti nella tabella indicata nell’art. 4 citato, con conseguente esclusione dei soggetti, persone fisiche o giuridiche, non aventi residenza o sede in quei territori;

 

che l’uso della lingua materna risulterebbe ulteriormente condizionato – con riferimento alle zone centrali delle città di Trieste, Udine e Gorizia e alla città di Cividale del Friuli – all’istituzione, da parte delle amministrazioni interessate, di un ufficio di assistenza rivolto «anche» ai cittadini residenti in territori non previsti dall’art. 4;

 

che, inoltre, secondo il giudice a quo la normativa denunciata introdurrebbe una irragionevole disparità di trattamento tra soggetti ugualmente appartenenti alla minoranza linguistica protetta, in base al dato puramente formale della residenza, riducendo la tutela al di sotto della soglia minima individuata dalla Corte costituzionale per i soggetti non residenti nei territori indicati nell’art. 4;

 

che, a detta del rimettente, i parametri costituzionali invocati risulterebbero ulteriormente violati in quanto l’applicazione della tutela nei territori inseriti nella tabella di cui all’art. 4 della legge n. 38 del 2001 sarebbe condizionata alla previa adozione, da parte degli uffici interessati, delle misure organizzative «nel rispetto delle vigenti procedure di programmazione delle assunzioni ai sensi dell’art. 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, ed entro i limiti delle risorse finanziarie disponibili» (art. 8, comma 4). In particolare, nel caso di rapporti tra appartenenti alla minoranza linguistica slovena e concessionari di servizi di pubblico interesse, per effetto del combinato disposto degli artt. 4 e 8, commi 1 e 5, della legge n. 38 del 2001, l’applicazione della tutela risulterebbe condizionata alle circostanze che il concessionario abbia sede nel territorio indicato nell’art. 1 (Province di Trieste, Udine e Gorizia) e competenza nei comuni inseriti nella tabella di cui all’art. 4 della citata legge n. 38 del 2001 e che siano adottate specifiche convenzioni finalizzate a disciplinare le modalità di attuazione della tutela, entro i limiti delle risorse finanziarie disponibili;

 

che, pertanto, secondo il Tribunale rimettente la tutela degli appartenenti alla minoranza linguistica slovena risulterebbe esclusa a fronte di concessionari di servizi di pubblico interesse aventi rilevanza nazionale, ovvero in caso di mancata adozione delle convenzioni. Sarebbe, quindi, introdotta una evidente disparità di trattamento tra soggetti ugualmente destinatari della tutela, in base alla scelta compiuta dalla pubblica amministrazione concedente di gestire direttamente i servizi di pubblico interesse ovvero di affidarli a terzi, ed, in questo secondo caso, di affidare i servizi stessi a soggetti aventi o meno rilevanza nazionale;

 

che, infine, a parere del giudice a quo tale normativa risulterebbe lesiva della tutela costituzionale riconosciuta agli appartenenti alla minoranza slovena anche in quanto non dotata di immediata operatività, essendo condizionata all’adozione di atti normativi e misure amministrative demandate ad organismi governativi (il Comitato paritetico istituito all’art. 3 e la Presidenza del Consiglio dei ministri), e quindi, in definitiva, esposta alle contingenti vicende politiche;

 

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione venga dichiarata inammissibile o comunque infondata;

 

che, con riguardo al profilo dell’inammissibilità, la difesa erariale osserva come, a seguito della riqualificazione dell’atto introduttivo ai sensi dell’art. 617 cod. proc. civ., il giudizio a quo deve essere ritenuto giudizio ordinario di cognizione all’interno del quale non è consentito l’uso della lingua minoritaria, a differenza di quanto avviene nello speciale procedimento delineato dagli artt. 22 e 23 della legge n. 689 del 1981, che è attivabile anche senza l’ausilio di un patrocinatore;

 

che, pertanto, a parere del resistente, l’atto introduttivo del giudizio non poteva essere redatto in lingua slovena e il giudice avrebbe dovuto dichiararlo inammissibile;

 

che, nel merito, secondo l’Avvocatura dello Stato va riaffermata la discrezionalità del legislatore nell’approntare la tutela delle minoranze linguistiche e la conseguente compatibilità con l’assetto costituzionale del differente grado di tutela accordato alle diverse minoranze linguistiche insediate sul territorio dello Stato;

 

che, di conseguenza, la difesa erariale reputa la disciplina dettata dalla legge n. 38 del 2001 in linea con i principî costituzionali, avendo scelto il legislatore di tutelare la minoranza linguistica slovena con riferimento ai territori ove essa è tradizionalmente insediata, senza arrivare ad istituire il bilinguismo perfetto generalizzato;

 

che, inoltre, alla resistente non pare censurabile il meccanismo di delimitazione territoriale introdotto dall’art. 4, comma 1, della legge citata, là dove demanda la predisposizione della tabella al Comitato paritetico, essendo tale organismo idoneo a garantire la neutralità nella scelta dei territori;

 

che, a parere della difesa erariale e contrariamente a quanto ritenuto dal rimettente, la normativa denunciata garantisce la tutela minima a tutti gli appartenenti alla minoranza slovena, anche non residenti o non aventi sede nei territori inseriti nella tabella di cui all’art. 4, attraverso la previsione di appositi uffici da istituire nelle zone centrali delle città di Trieste, Udine e Gorizia e nella città di Cividale del Friuli;

 

che, infine, con riferimento al profilo della mancata adozione degli strumenti di attuazione della legge n. 38 del 2001, l’Avvocatura dello Stato rileva come l’eventuale inadempienza non costituisca ex se indice di incostituzionalità delle disposizioni normative denunciate. In proposito, la stessa difesa statale segnala che il Dipartimento per gli affari regionali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, con la circolare 12 giugno 2002, n. 200/3769/622.8.13.Reg, ha dato disposizioni alle amministrazioni dello Stato di procedere all’applicazione della normativa contenuta negli artt. 7 e 8 della legge n. 38 del 2001, con rinvio alla delimitazione territoriale operata dai Consigli provinciali in applicazione dell’art. 3 della legge 15 dicembre 1999, n. 482 (Norme a tutela delle minoranze linguistiche storiche), con la conseguenza che la legge non è operativa nella sola Provincia di Trieste, in quanto questa non ha ancora provveduto alla delimitazione dei territori.

 

Considerato che con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Trieste ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 6 della Costituzione e 3 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), questione di legittimità costituzionale dell’art. 122 del codice di procedura civile in combinato disposto con gli artt. 4 e 8, commi 1, 3 e 4, della legge 23 febbraio 2001, n. 38 (Norme a tutela della minoranza linguistica slovena della Regione Friuli-Venezia Giulia), nonché del combinato disposto degli artt. 4, comma 1, e 8, commi 1 e 5, e dell’art. 4, comma 1, della citata legge n. 38 del 2001, nella parte in cui limitano al solo ambito territoriale individuato dalla citata legge l’operatività della tutela riconosciuta agli appartenenti alla minoranza linguistica slovena del diritto all’uso della lingua materna nei rapporti con le autorità amministrative e giudiziarie locali;

 

che il giudice rimettente ha espressamente qualificato l’atto introduttivo del giudizio a quo come opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617, primo comma, cod. proc. civ. e dell’art. 57 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come sostituito dall’art. 16 del decreto legislativo 26 febbraio 1999 n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’art. 1 della legge 28 settembre 1998 n. 337);

 

che, per esplicita dichiarazione contenuta nell’ordinanza di rimessione, la suddetta opposizione è stata redatta e presentata personalmente dalla parte, senza assistenza di un difensore;

 

che le opposizioni previste e disciplinate dal titolo quinto del libro terzo del codice di procedura civile danno luogo – come costantemente affermato in giurisprudenza e in dottrina – ad autonomi giudizi di cognizione;

 

che pertanto all’opposizione di cui all’art. 617 cod. proc. civ. si applicano pienamente le regole contenute negli artt. 82 e 83 cod. proc. civ. (ex plurimis, Cass., sez. III, 22 luglio 2004, n. 13638);

 

che, in applicazione del principio generale di cui all’art. 82 cod. proc. civ., la mancanza di rappresentanza-difesa tecnica produce la nullità insanabile dell’intero giudizio e l’atto sottoscritto solo dalla parte deve considerarsi inesistente ed inidoneo all’instaurazione del procedimento (ex plurimis, Cass., sez I, 13 giugno 1998, n. 5929; Cass., sez. I, 9 settembre 2002, n. 13069);

 

che di conseguenza il giudizio a quo appare vistosamente viziato dall’inesistenza giuridica dell’atto introduttivo;

 

che, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, solo in assenza di vizi rilevabili ictu oculi è precluso in sede di giudizio di costituzionalità il sindacato sulla validità del giudizio principale (ex plurimis, sentenze n. 109 del 2003, n. 163 e 498 del 1993, n. 139 del 1980);

 

che, nel caso di specie, la violazione del principio generale dell’indefettibilità della rappresentanza-difesa tecnica contenuto nell’art. 82 cod. proc. civ. appare chiara e manifesta;

 

che, in conclusione, il giudizio a quo non si è validamente instaurato per un vizio macroscopico rilevabile d’ufficio;

 

che l’autonomia del giudizio costituzionale non può spingersi sino ad ignorare la nullità-inesistenza, rilevabile a prima vista, del giudizio a quo.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 122 del codice di procedura civile, in combinato disposto con gli artt. 4 e 8, commi 1, 3 e 4 della legge 23 febbraio 2001 n. 38 (Norme a tutela della minoranza linguistica slovena nella regione Friuli-Venezia Giulia), nonché del combinato disposto degli artt. 4, comma 1, e 8, commi 1 e 5, della legge n. 38 del 2001 e dell’art. 4, comma 1, della legge n. 38 del 2001, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 6 della Costituzione e 3 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), dal Tribunale di Trieste con l’ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 2006.

 

Annibale MARINI, Presidente

 

Gaetano SILVESTRI, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2006.