Sentenza n. 386 del 2005

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SENTENZA N.386

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Piero Alberto             CAPOTOSTI                                     Presidente

-  Fernanda                   CONTRI                                              Giudice

-  Guido                        NEPPI MODONA                                    “

-  Annibale                    MARINI                                                    “

-  Franco                       BILE                                                          “

-  Giovanni Maria         FLICK                                                       “

-  Francesco                  AMIRANTE                                             “

-  Ugo                           DE SIERVO                                             “

-  Romano                     VACCARELLA                                       “

-  Paolo                          MADDALENA                                        “

-  Alfio                          FINOCCHIARO                                      “

-  Alfonso                     QUARANTA                                            “

-  Franco                       GALLO                                                     “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito della delibera del Consiglio dei ministri del 3 giugno 2004 e del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 15 luglio 2004, di nomina, senza previa intesa con la Regione, del Presidente della Autorità portuale di Trieste, promosso con ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia notificato il 10 settembre 2004, depositato in cancelleria il 16 settembre 2004 ed iscritto al n. 21 del registro conflitti 2004.

  Visti l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri nonché l’atto di intervento dell’Autorità Portuale di Trieste;

  udito nell’udienza pubblica del 7 giugno 2005 il Giudice relatore Romano Vaccarella;

  uditi gli Avvocati Giandomenico Falcon per la Regione Friuli-Venezia Giulia, Beniamino Caravita di Toritto per l’Autorità Portuale di Trieste nonché l’Avvocato dello Stato Francesco Clemente per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1.– Con ricorso per conflitto di attribuzioni notificato il 10 settembre 2004, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha chiesto alla Corte costituzionale di dichiarare che non spetta allo Stato nominare con decreto ministeriale, senza previa intesa con la Regione, il Presidente dell’Autorità portuale di Trieste e, conseguentemente, di annullare il decreto in data 15 luglio 2004 del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, nonché la delibera del Consiglio dei ministri in data 3 giugno 2004, per violazione della legge costituzionale del 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), e delle relative norme di attuazione; degli artt. 117 e 118 della Costituzione, in relazione all’art. 10 della legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), e del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni.

  Premette la ricorrente che la proposizione del conflitto segue a quella di un ricorso per impugnativa, in via principale, dell’art. 6 del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136 (Disposizioni urgenti per garantire la funzionalità di taluni settori della pubblica amministrazione), il quale consente, a certe condizioni, di prescindere dall’intesa con la Regione, richiesta dall’art. 8 della legge 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale) per la nomina del Presidente dell’Autorità portuale; ricorso del quale ricapitola le ragioni essenziali addotte a sostegno della ritenuta illegittimità.

  Ricordato che, in base a quanto stabilito dall’art. 70, ultimo comma, dello statuto speciale, è stato costituito, con legge del 19 luglio 1967, n. 589 (Istituzione dell’Ente autonomo del porto di Trieste), l’Ente Autonomo del porto di Trieste, quale ente pubblico economico, sottoposto alla vigilanza del Ministero della marina mercantile, la ricorrente osserva che l’art. 8, comma 1, della legge n. 84 del 1994, nella sua originaria formulazione, attribuiva un ruolo di codeterminazione alla Regione nella nomina del Presidente dell’Autorità portuale e coinvolgeva nella relativa procedura le Province, i Comuni e le Camere di commercio territorialmente competenti. Sennonché l’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004 ha inserito un ulteriore capoverso, in base al quale, esperite le procedure di cui al comma 1, qualora entro trenta giorni non si raggiunga l’intesa, il Ministro può chiedere al Presidente del Consiglio di sottoporre la questione al Consiglio dei ministri, che provvede con deliberazione motivata.

  Sarebbero stati così palesemente ristretti e sminuiti gli spazi di intervento della Regione, e per giunta in un assetto costituzionale che, a seguito della riforma del Titolo V, ha visto l’espansione delle competenze di tale ente.

  In realtà la disposizione censurata, pur avendo carattere  generale ed astratto, si inserisce – sostiene la Regione – in modo specifico nel quadro della vicenda che, da oltre un anno, impedisce la nomina del Presidente dell’Autorità portuale di Trieste, vicenda della quale la ricorrente ripercorre i tratti essenziali nei termini che seguono.

  Alla richiesta di designazione della terna di esperti tra i quali effettuare la scelta del candidato da officiare nell’incarico – richiesta avanzata dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti con nota del 22 aprile 2003 – la Provincia e il Comune di Trieste, quello di Muggia e la locale Camera di commercio rispondevano indicando un unico nominativo.

  Malgrado la plateale violazione della legge insita, a giudizio dell’esponente,  in questa unilaterale designazione, il Ministro, in data 4 luglio 2003, comunicava alla Regione di concordare con la volontà espressa dagli enti locali, dichiarandosi in attesa di conoscere le sue determinazioni.

  Con nota del successivo 8 luglio, la Regione esplicitava e motivava il proprio dissenso, di guisa che il Ministro, sia pure attraverso l’uso dell’impropria formula «designazione del candidato», sollecitava gli enti locali a procedere ad una nuova indicazione.

  Peraltro, ancora una volta, questi reiteravano la medesima designazione.

  Avuta notizia di ciò, il Presidente della Regione, con nota del 7 agosto, chiedeva al Ministro di attivare, entro il termine di scadenza dell’organo uscente,  «la procedura di nomina prevista dall’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 8 della legge n. 84 del 1994».

  Il capo di gabinetto del Ministro rispondeva che il riferimento alla «terna», contenuto nella norma innanzi citata, non doveva ritenersi funzionale all’esplicazione di una possibilità di scelta, tra più candidati, degli organi competenti alla nomina, ma determinato piuttosto dalla appartenenza degli enti proponenti a tre «tipi» diversi, di modo che la terna stessa ben poteva consistere nell’indicazione di un unico candidato.

  Conseguentemente, il 17 settembre successivo il Ministro riproponeva per la nomina il nominativo designato da Provincia, Comuni e Camera di commercio interessati.

  La Regione, con nota di due giorni dopo, ribadiva la propria valutazione negativa, sottolineando la mancanza nel candidato designato dei requisiti di legge, e segnatamente di quella «massima e comprovata qualificazione professionale nel settore dell’economia dei trasporti e portuali» richiesta dalla legge. Confermava, peraltro, il proprio intendimento di giungere, entro i termini di scadenza previsti dalla legge, alla nomina.

  A tanto non seguiva alcuna risposta. Inopinatamente, il 10 ottobre successivo il Ministro, senza consultare la Regione, procedeva alla nomina di un Commissario dell’Autorità portuale di Trieste, con decorrenza dal 14 ottobre 2003, giorno successivo alla scadenza del mandato del Presidente in carica (e, pertanto, senza utilizzare il termine di ordinaria prorogatio, consentita dalla normativa vigente).

  Nel frattempo la Regione elaborava una nuova disciplina del settore che, approvata, diventava la legge 24 maggio 2004 n. 17 (Riordino normativo dell’anno 2004 per il settore degli affari istituzionali): con essa la competenza a procedere alla nomina del Presidente dell’Autorità portuale di Trieste viene attribuita al Presidente della Regione, sia pure d’intesa con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e a seguito di designazione, da parte della Provincia e del Comune di Trieste, di quello di Muggia e della locale Camera di commercio, di «tre nominativi di esperti […] nei settori dell’economia dei trasporti e portuale», e di altri «tre soggetti», qualora, con atto motivato, il Presidente della Regione solleciti l’indicazione di un’ulteriore terna. Al medesimo Presidente della Regione, ferma la necessità dell’intesa con il Ministro, viene altresì riconosciuto il potere di revocare il Presidente dell’Autorità portuale, di sciogliere il comitato portuale e di procedere ad eventuali nomine commissariali.

  Con tale normativa la Regione, in attuazione del nuovo riparto di competenze sancito dalla legge costituzionale  n. 3 del 2001, viene in sostanza ad invertire i ruoli assegnati dalla legge n. 84 del 1994 al Presidente della Regione e al Ministro, conferendo al primo la responsabilità del procedimento e il compito finale della nomina; al secondo la funzione di dare la propria intesa, a salvaguardia degli interessi generali del sistema portuale.

  Orbene – prosegue l’esponente – a soli due giorni di distanza dalla pubblicazione della legge regionale n. 17 del 2004, il Governo adottava il decreto-legge n. 136 del 2004, in base al quale, come si è detto, esperite le procedure di cui al comma 1, qualora entro trenta giorni non si raggiunga l’intesa, il Ministro può chiedere al Presidente del Consiglio di sottoporre la questione al Consiglio dei ministri, che provvede con deliberazione motivata. E ciò benché il 27 maggio 2004 la Conferenza dei Presidenti delle Regioni, venuta a conoscenza delle intenzioni del Governo, l’avesse invitato a desistere, contestualmente sollecitando un incontro che consentisse di arrivare ad una soluzione condivisa della questione.

  Venendo, quindi, alle vicende successive al decreto-legge n. 136 del 2004, la Regione ricorrente deduce che – dopo aver proceduto alla nomina del Commissario, a decorrere dal 14 ottobre 2003 – il Ministro, in attuazione del menzionato art. 6, richiedeva al Presidente del Consiglio di sottoporre la questione al Consiglio dei ministri, il quale, in data 3 giugno 2004, deliberava nel senso di consentire al Ministro di procedere, previa acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari, alla nomina a Presidente dell’Autorità portuale di Trieste del soggetto in relazione al quale la Regione aveva espresso il suo motivato dissenso: e ciò «considerata la necessità di evitare l’ulteriore prosecuzione della gestione commissariale […] e […] altresì l’univocità della designazione da parte degli enti esponenziali degli interessi maggiormente coinvolti nella nomina».

  La Regione contestava, in un telegramma inviato al Presidente del Consiglio e al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il mancato rispetto delle procedure previste per il raggiungimento dell’intesa nonché la violazione dell’art. 44 del suo statuto, che fa obbligo di convocare innanzi al Consiglio dei ministri il Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia quando debbano essere trattate questioni che riguardano in modo particolare la Regione stessa: rilievi rimasti, in pratica, senza riscontro in un contesto in cui i rapporti con l’autorità governativa giungevano a livelli di tensione tali che, per ottenere copia della deliberazione assunta dal Consiglio, la Regione era costretta ad attivare il procedimento di accesso, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241 del 1990.

  E infatti, malgrado tali rimostranze, il 15 luglio del 2004 il Ministro nominava il Presidente dell’Autorità portuale di Trieste.

  Peraltro, il decreto-legge n. 136 del 2004 veniva convertito, con modificazioni, nella legge 27 luglio 2004, n. 186 (Conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 28 maggio 2004, n. 136, recante disposizioni urgenti per garantire la funzionalità di taluni settori della pubblica amministrazione. Disposizioni per la rideterminazione di deleghe legislative e altre disposizioni connesse): l’art. 6, modificato, diventava l’art. 8, comma 1-bis della legge n. 84 del 1994, in base al quale, «esperite le procedure di cui al comma 1, qualora entro trenta giorni non si raggiunga l’intesa con la regione interessata,  il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti indica il prescelto nell’ambito di una terna formulata a tal fine dal Presidente della Giunta regionale, tenendo conto delle indicazioni degli enti locali e delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura interessati», segnatamente prevedendosi che solo laddove l’esponente della Regione non provveda alla predetta indicazione, il Ministro possa chiedere al Presidente del Consiglio di sottoporre la questione al Consiglio dei ministri.

  Tuttavia – espone la ricorrente – all’operatività della nuova normativa, notevolmente migliorativa rispetto a quella contenuta nel decreto, è stata sottratta proprio la vicenda relativa al porto di Trieste, perché, con l’art. 1, comma 2, della legge di conversione, sono stati «fatti salvi gli effetti degli atti compiuti» in base al modificato art. 6 del decreto, «fino alla data di entrata in vigore della presente legge».

  Posto, allora, che l’unico provvedimento di tal tipo adottato dal Ministro è la nomina del Presidente dell’Autorità portuale di Trieste, deve dedursene – argomenta la ricorrente – che lo Stato ha emanato il decreto-legge n. 136 del 2004 al solo fine di superare il dissenso della Regione sul nome del soggetto poi officiato della carica.

  In ordine alla questione del diritto applicabile in parte qua, la ricorrente sostiene che, in base al principio di specialità, la nomina debba ora essere regolata dalla legge regionale.

  Peraltro, anche in caso di ritenuta, perdurante vigenza della legislazione statale, gli atti impugnati sarebbero, a suo avviso, ugualmente illegittimi, arbitrari e lesivi delle competenze regionali, in quanto affetti, in via derivata, dai medesimi vizi denunciati nel ricorso proposto contro l’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004 (R.R. n. 79 del 2004), e cioè:

1) violazione dell’art. 117, comma terzo, e dell’art. 118 della Costituzione, in collegamento con l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, in relazione all’eventuale ripristino nella Regione Friuli-Venezia Giulia della competenza ministeriale alla nomina;

2) violazione dei medesimi parametri nonché del principio di leale collaborazione, in relazione alla possibilità che si proceda alla nomina senza intesa della Regione;

3) in subordine, rispetto al punto 2, violazione delle norme e dei principî costituzionali evocati, in relazione alla previsione che il conflitto venga risolto con la semplice prevalenza di una delle parti nonché, in via ulteriormente gradata, in relazione alla previsione «che il semplice passaggio di trenta giorni consenta la sostituzione del Governo all’intesa».

  Ma, oltre alla «illegittimità derivata per incostituzionalità dell’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004», i provvedimenti contro i quali si appunta il conflitto sarebbero affetti da autonomi profili di illegittimità:

a) per violazione dell’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004, stante l’omessa designazione della terna di candidati e il mancato esperimento del tentativo di accordo diretto con la Regione;

b) per violazione dell’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004, in relazione alla decorrenza del termine;

c) per violazione dell’art. 44 dello statuto del Friuli-Venezia Giulia, in base al quale il Presidente della Regione deve essere invitato a intervenire alle sedute del Consiglio dei ministri, per essere sentito, tutte le volte in cui debbano essere trattate questioni che riguardano in modo particolare la Regione.

d) per violazione del principio di leale collaborazione. 

e) per investitura dell’unico candidato sul quale la Regione aveva espressamente dissentito;

f) per inapplicabilità nella Regione Friuli-Venezia Giulia del decreto-legge n. 136 del 2004, in forza della legge regionale n. 17 del 2004, entrata in vigore prima del citato decreto-legge.

  Con riguardo al primo profilo, rileva la ricorrente che l’art. 8, comma 1-bis, della legge n. 84 del 1994, nella formulazione risultante dall’art. 6 del decreto-legge, prima delle modifiche apportate in sede di conversione, prevedeva la sottoposizione della questione al Presidente del Consiglio dei ministri, qualora, «esperite le procedure di cui al comma 1», non venisse raggiunta entro trenta giorni l’intesa con la regione interessata.

  Ad avviso della Regione, le procedure di cui al comma 1 prevedono che Ministro e Regione raggiungano l’intesa scrutinando l’idoneità non già di un solo nominativo, ma di una terna di esperti, senza che possa sensatamente ritenersi che il riferimento alla «terna» sia semplicemente collegato alla appartenenza degli enti proponenti a tre tipi diversi; essendo evidente che sia la lettera della norma sia la sua trasparente ratio impongono di considerare la terna funzionale all’esplicazione di una possibilità di scelta, tra più candidati, degli organi competenti alla nomina, in modo che essi abbiano un sufficiente margine di trattativa.

  Del resto, l’interpretazione che esclude che la terna possa ridursi alla indicazione di un solo candidato è stata condivisa dal TAR del Lazio nella sentenza n. 4891 del 2003, relativa proprio all’Autorità portuale di Trieste, ove è stata altresì sottolineata la necessità che essa sia composta da tecnici «consensualmente individuati dai diversi livelli di governo», al di fuori di logiche di schieramento, e che la nomina dell’organo di vertice avvenga d’intesa con la Regione.

  Peraltro, anche a voler ritenere legittimo che la prima indicazione della terna sia costituita da una designazione unica, sarebbe comunque inaccettabile che gli enti locali, sollecitati dal Ministro a procedere ad una nuova formulazione, ribadiscano la precedente scelta, già rifiutata; non a caso «le procedure di cui al comma 1», preliminari all’attivazione dell’intervento del Consiglio dei ministri, prevedono anche il tentativo di accordo diretto tra Regione e Ministro, «qualora non pervenga nei termini alcuna designazione», e cioè una designazione conforme alla legge.

  Sotto il secondo profilo (violazione dell’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004, in relazione alla decorrenza del termine), la Regione rileva che la norma statale censurata è entrata in vigore il 29 maggio 2004, laddove il Consiglio dei ministri ha autorizzato il Ministro a procedere alla nomina il 3 giugno successivo, quasi che il termine di trenta giorni, introdotto ex novo dal decreto-legge n. 136 del 2004, fosse già cominciato a decorrere prima che l’atto normativo acquistasse giuridica esistenza nel nostro ordinamento.

  Quanto alla violazione dell’art. 44 dello statuto del Friuli-Venezia Giulia, osserva la Regione che l’incontestabile inerenza della delibera impugnata a un suo interesse, differenziato e particolarmente rilevante, impone di ravvisare nell’omessa convocazione del Presidente della Regione alla  seduta del Consiglio dei ministri, nel corso della quale venne adottata la delibera relativa alla nomina del Presidente dell’Autorità portuale di Trieste, una palese disapplicazione della norma statutaria innanzi richiamata nonché del principio di leale collaborazione, con conseguente, ulteriore illegittimità sia della delibera del 3 giugno 2004, sia del d.m. del successivo 15 luglio.

  Con particolare riguardo, poi, al principio di leale collaborazione, rileva la Regione che, mentre essa si sarebbe in ogni modo prodigata per addivenire ad un accordo col Ministro, questi avrebbe tenuto un comportamento ispirato a intendimenti di segno opposto, per non aver sollevato obiezioni di sorta alla proposizione di una candidatura unica, né replicato alle argomentate obiezioni della Regione in ordine alla competenza della persona designata, né, ancora, ipotizzato una candidatura alternativa; per avere, inoltre, effettuato  direttamente la nomina, prima del Commissario, e poi del Presidente, senza più tentare alcuna trattativa; per averla, infine, costretta ad attivare addirittura il diritto di accesso per avere copia degli atti ora impugnati.

  Posto, poi, che il livello minimo del potere regionale di dare o negare l’intesa dovrebbe ritenersi costituito almeno dal potere di escludere le candidature ritenute non idonee alla copertura dell’ufficio, costituirebbe un autonomo profilo di illegittimità dell’atto impugnato la circostanza che, con esso, il Ministro abbia officiato della carica il solo candidato sul quale la Regione aveva espressamente dissentito.

  Infine il provvedimento di nomina dell’Autorità portuale di Trieste, emanato in base all’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004, sarebbe illegittimo a causa dell’inapplicabilità di tale norma nella Regione Friuli-Venezia Giulia, in quanto questa, con la citata legge regionale n. 17 del 2004, entrata in vigore prima del decreto d’urgenza, ha esercitato la potestà legislativa attribuitale dalla Costituzione in materia di porti, salvaguardando i principî fondamentali stabiliti dalla legge dello Stato, e segnatamente dalla legge n. 84 del 1994, ma assumendo su di sé, in applicazione del principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 della Costituzione, la responsabilità del procedimento e il potere di nomina, da effettuarsi pur sempre d’intesa con il competente Ministro.

  Tale disciplina – autonoma e speciale – avrebbe a suo avviso determinato  la cessazione dell’applicazione, in parte qua e, nell’ambito del territorio del Friuli-Venezia Giulia, dell’art. 8, comma 1, della legge n. 84 del 1994.

  Pertanto la delibera del Consiglio dei ministri in data 3 giugno 2004 e il decreto ministeriale del 15 luglio successivo, sarebbero stati assunti in carenza di potere per inapplicabilità delle disposizioni legislative statali sulle quali essi si fondano, con conseguente violazione degli artt. 117, comma terzo, e 118 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione.

  2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi in giudizio a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto il rigetto del ricorso, con conseguente conferma del decreto ministeriale di nomina del Presidente dell’Autorità portuale di Trieste del 15 luglio 2004 e della pregressa delibera del Consiglio dei ministri in data 3 giugno 2004.

  In ordine ai motivi di censura volti a far valere l’illegittimità derivata degli atti impugnati, in conseguenza di quella dell’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004, nonché per inapplicabilità della relativa disciplina nel territorio della Regione Friuli-Venezia Giulia (in conseguenza dell’emanazione della legge regionale n. 17 del 2004), osserva la difesa erariale che, da un lato, sono pendenti innanzi alla Corte sia il giudizio per la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma statale, proposto dalla stessa Regione Friuli-Venezia Giulia, sia quello per la declaratoria di illegittimità costituzionale della legge regionale, proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri; dall’altro, che il contestato disposto dell’art. 6 è stato convertito, con modificazioni, nella legge n. 186 del 2004.

  Ricorda quindi che, a seguito di tale vicenda normativa, l’art. 8, comma 1-bis della legge n. 84 del 1994 prevede ora che, «esperite le procedure di cui al comma 1, qualora entro trenta giorni non si raggiunga l’intesa con la Regione interessata, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti indica il prescelto nell’ambito di una terna formulata a tal fine dal Presidente della Giunta regionale, tenendo conto anche delle indicazioni degli enti locali, e delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura interessati. Ove il Presidente della Giunta regionale non provveda all’indicazione della terna entro trenta giorni dalla richiesta allo scopo indirizzatagli dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, questi chiede al Presidente del Consiglio dei ministri di sottoporre la questione al Consiglio dei ministri, che provvede con deliberazione motivata».

  Con specifica disposizione transitoria, contenuta nel comma 2 dell’articolo 1, è stata poi fatta salva la validità e l’efficacia degli atti posti in essere fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione.

  Conseguentemente – conclude l’Avvocatura – rimane confermata la legittimità della procedura di nomina del Presidente dell’Autorità portuale di Trieste.

  Quanto alla censura relativa alla indicazione di un solo candidato, da parte degli enti locali chiamati a designare la terna di esperti entro la quale operare la scelta del nominando Presidente, rileva l’Avvocatura che l’art. 8 della legge n. 84 del 1994 si limita a richiedere la designazione di un candidato da parte di ciascuno dei componenti della terna, liberi peraltro questi di indicare la medesima persona.

  3.– Nel giudizio è intervenuta anche l’Autorità portuale di Trieste che, riservata «ad ulteriori atti una più ampia prospettazione delle proprie argomentazioni», ha chiesto dichiararsi l’improponibilità, l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso proposto dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

  4.– Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, la Regione Friuli-Venezia Giulia ribadisce l’illegittimità derivata della nomina del Presidente dell’Autorità portuale di Trieste, avvalorata, piuttosto che smentita, dal fatto che l’art. 1, comma 2, della legge n. 186 del 2004, ha salvato gli effetti degli atti compiuti in forza dell’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004, «fino alla data di entrata in vigore della presente legge».

  Nel ribadire inoltre l’illegittimità del decreto di nomina sotto il profilo della mancata designazione, da parte degli enti locali, della terna di esperti e della riproposizione del medesimo candidato già rifiutato in precedenza, segnala la deducente che l’illegittimità, in parte qua, del decreto di nomina è stata sostenuta anche dal giudice penale, nel decreto di archiviazione del procedimento intentato contro tutti coloro che avevano provveduto alla designazione del candidato, ed inoltre dal TAR Lazio, nella sentenza n. 4891 del 2003.

  5.– Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, l’Avvocatura dello Stato – eccepita l’inammissibilità della censura relativa alla «illegittimità derivata dal decreto-legge» – osserva che le altre riguardano esclusivamente profili privi di tono costituzionale; profili, comunque, infondati.

  Quanto alla pretesa necessità che siano indicati tre nominativi (e non già uno comune), deduce che la contraria tesi porterebbe all’assurdo di ritenere viziata una procedura di designazione solo perché, parallelamente, un altro ente ne adotterebbe una di identico contenuto.

  Quanto alla inosservanza del termine di trenta giorni introdotto dal decreto-legge, osserva che tale termine non poteva che riferirsi – questa essendo la ratio del ricorso alla decretazione d’urgenza – al momento in cui si era accertata l’impossibilità del raggiungimento dell’intesa.

  Quanto all’inapplicabilità, infine, della disciplina statale nella Regione, ribadisce l’Avvocatura che, legiferando in materia, la Regione aveva violato l’art. 117, comma terzo, Cost.

  6.– L’Autorità portuale di Trieste sottolinea l’ammissibilità del suo intervento richiamando la giurisprudenza di questa Corte sulla possibilità che partecipino al conflitto soggetti diversi dalle parti originarie, rispetto ai quali l’esito del conflitto stesso sia «suscettibile di condizionare la stessa possibilità che il giudizio comune abbia luogo».

  Peraltro, secondo la deducente,  il proposto conflitto sarebbe esso stesso inammissibile, non essendo l’atto che ne è oggetto immediatamente lesivo della competenza assunta come propria della Regione: i motivi sui quali esso si fonda  si risolverebbero, infatti, interamente in una censura di incostituzionalità delle norme di legge, alle quali il decreto di nomina impugnato ha dato attuazione.

  Sotto altro, concorrente profilo sostiene l’interveniente che il disposto dell’art. 1, comma 2, della legge di conversione, nel far salvi gli effetti degli atti adottati sulla base dell’art. 6 del decreto-legge, nella versione originaria, avrebbe prodotto «la legificazione dei decreti di nomina adottati sulla base del decreto legge», donde un ulteriore profilo di inammissibilità del conflitto. 

  In ogni caso, alla vicenda de qua sarebbe pienamente applicabile non già la legge regionale n. 17 del 2004, ma l’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004, come del resto avrebbe mostrato di ritenere la stessa ricorrente chiedendo a questa Corte di dichiarare che «non spetta allo Stato nominare con decreto ministeriale, senza previa intesa con la Regione, il Presidente dell’Autorità portuale di Trieste». In particolare la norma statale si presterebbe a disciplinare la fattispecie in quanto norma competente in materia; in quanto disposizione volta ad enunciare un principio fondamentale; in quanto, infine, disposizione successiva alla legge regionale; mentre, rispetto alle modifiche introdotte dalla legge di conversione, la norma del decreto-legge, nella sua originaria versione, sarebbe applicabile in considerazione dell’operatività ex nunc di tali modifiche e dell’espressa salvezza degli effetti del decreto-legge.

  La deducente sostiene la piena legittimità della indicazione di un solo nominativo, da parte degli enti chiamati a indicare la terna, essendo la previsione normativa meramente funzionale alla possibilità, che si vuole garantire ai diversi soggetti coinvolti nella procedura, di esprimere (eventualmente) ognuno un candidato diverso.

  Del resto la piena compatibilità con i principî di buona amministrazione, di leale collaborazione e di lealtà della proposizione di un unico candidato sarebbe convalidata dalla diffusione della prassi della designazione unica, seguita in numerose procedure di nomina di Presidente di Autorità portuale, procedure dettagliatamente indicate e in ordine alle quali la Corte viene sollecitata ad assumere informazioni.

  Peraltro, una simile irregolarità procedurale, quand’anche esistente – e al pari di quella relativa al mancato decorso del termine di trenta giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge, nel momento in cui la questione era stata sottoposta al Consiglio dei ministri – avrebbero potuto e dovuto essere fatte valere in sede di impugnativa dell’atto amministrativo, non involgendo all’evidenza censure di rango costituzionale.

  Quanto poi alla pretesa violazione del principio di leale collaborazione, sostiene l’interveniente che sarebbe stata la Regione a violarlo, con la provocatoria iniziativa di approvazione della legge regionale n. 17 del 2004, e ciò benché l’autorità governativa avesse atteso l’esito delle elezioni del 2003 per concordare il nome del Presidente dell’Autorità portuale col nuovo organo regionale.

  Assolutamente pretestuosa, e smentita dalla sua ventennale esperienza nel settore, sarebbe altresì l’asserita mancanza, nel Presidente nominato, dei necessari requisiti professionali.

  Né, infine, sussisterebbe la lamentata violazione dell’art. 44 dello statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia perché, a prescindere dai profili di inammissibilità della censura per mancata indicazione delle norme di attuazione asseritamente violate, non sarebbe ravvisabile nella fattispecie la condizione dell’interesse differenziato della Regione rispetto alla questione trattata nella seduta del Consiglio dei ministri, alla quale il suo Presidente non venne invitato a partecipare. Peraltro, non sussisterebbe alcuna incidenza della questione stessa sull’indirizzo politico della Regione, e quindi alcuna necessità della sua partecipazione alla seduta del Consiglio dei ministri; senza dire che la nomina del Presidente dell’Autorità portuale ricadrebbe nella materia «organizzazione degli enti pubblici nazionali», che l’art. 117, comma secondo, lettera g), Cost. attribuisce in via esclusiva allo Stato.

Considerato in diritto

  1.– Preliminarmente, deve essere dichiarato ammissibile l’intervento spiegato nel presente giudizio dall’Autorità portuale di Trieste: essendo questa, pacificamente, parte di giudizi pendenti davanti al TAR del Friuli-Venezia Giulia, aventi ad oggetto la legittimità del provvedimento di nomina del Presidente dell’Autorità portuale, trova applicazione il principio, enunciato da questa Corte in fattispecie analoghe, secondo il quale il potere di intervento non può essere precluso quando «l’esito del conflitto è suscettibile di condizionare la stessa possibilità che il giudizio comune abbia luogo» (sentenze n. 225 e n. 76 del 2001; sentenza n. 154 del 2004).

  2.– Il ricorso è inammissibile.

  2.1.– La Regione Friuli-Venezia Giulia solleva conflitto di attribuzioni nei confronti dello Stato chiedendo a questa Corte di dichiarare «che non spetta allo Stato nominare con decreto ministeriale, senza previa intesa con la Regione, il Presidente dell’Autorità portuale di Trieste» e, conseguentemente, di annullare il decreto 15 luglio 2004 del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e la delibera 3 giugno 2004 del Consiglio dei ministri.

  La Regione – ricordato che il Ministro, a seguito della mancata intesa prevista dall’art. 8, comma 1, della legge 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale) aveva proceduto, con decreto 10 ottobre 2003, alla nomina del Commissario dell’Autorità portuale di Trieste – ravvisa la menomazione delle sue attribuzioni nel decreto 15 luglio 2004 con il quale il Ministro – a ciò autorizzato, previo interpello delle competenti Commissioni parlamentari, dalla delibera 3 giugno 2004 del Consiglio dei ministri – ha proceduto alla nomina del Presidente dell’Autorità portuale di Trieste.

  Di tale decreto la Regione deduce l’illegittimità a) perché esso si fonda su una norma viziata da illegittimità costituzionale, e cioè sull’art. 6 del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136 (Disposizioni urgenti per garantire la funzionalità di taluni settori della pubblica amministrazione); b) perché il procedimento, dal quale è scaturito il decreto ministeriale, non è neanche conforme a quello prescritto dalla norma viziata di incostituzionalità, e ciò sotto più profili; infine, c) per l’inapplicabilità, nella Regione Friuli-Venezia Giulia, dell’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004, in quanto nella Regione vigerebbe, in materia, soltanto la citata legge regionale n. 17 del 2004.

  2.2.– La parti danno concordemente atto che le questioni prospettate sub a) e c) sono oggetto di ricorsi proposti in via principale sia dallo Stato (n. 78 del 2004) avverso l’art. 9, commi 2 e 3, della legge regionale n. 17 del 2004, sia dalla Regione (n. 79 e 92 del 2004) avverso l’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004 e la legge di conversione n. 186 del 2004; tanto che la Regione ricorrente dichiaratamente riproduce, a fondamento di dette questioni, le medesime argomentazioni svolte negli scritti difensivi relativi ai citati giudizi.

                                                                                    Per incidens va detto che, con sentenza n. 378 del 2005, questa Corte ha deciso tali questioni dichiarando l’illegittimità costituzionale sia dell’art. 9, commi 2 e 3, della legge regionale n. 17 del 2004, sia dell’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004 e dell’art. 1, comma 2, della legge di conversione n. 186 del 2004.

  2.3.– La circostanza che un conflitto di attribuzioni sia sollevato nei confronti di un provvedimento amministrativo contestualmente al ricorso proposto in via principale avverso un atto avente forza di legge non è, di per sé, ostativa all’esame nel merito del conflitto, purché il soggetto che lo solleva lamenti che la menomazione delle sue attribuzioni è autonomamente imputabile al provvedimento impugnato, e non già a questo quale mero e puntuale provvedimento attuativo ed esecutivo della norma censurata di incostituzionalità (sentenza n. 206 del 1975; sentenza n. 245 del 1985), dovendosi escludere che il conflitto di attribuzione costituisca sede idonea per lamentare l’illegittimità costituzionale di leggi delle quali il provvedimento amministrativo costituisce applicazione (sentenza n. 472 del 1995).

  E’ appena il caso di rilevare che, altrimenti ritenendo, il ricorso per conflitto di attribuzioni si risolverebbe, da un lato, in strumento attraverso il quale si eluderebbero i termini perentori previsti dall’art. 127 Cost. per promuovere in via principale le questioni di legittimità costituzionale di leggi regionali o statali e, dall’altro lato, in mezzo utilizzabile per sottrarre al giudice a quo il potere-dovere di sollevare in via incidentale la questione di legittimità costituzionale dell’atto avente forza di legge, sul quale si fonda il provvedimento davanti ad esso giudice impugnato.

  2.4.– Nel caso di specie, la Regione Friuli-Venezia Giulia assume, come primo motivo di ricorso, che la lamentata menomazione delle sue attribuzioni sarebbe effetto della «illegittimità derivata per incostituzionalità dell’art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004», e cioè individua, quale causa della illegittimità del provvedimento da annullare e della menomazione delle sue attribuzioni, il contenuto della disposizione di cui al decreto-legge; contenuto incostituzionale, a suo avviso, non solo per il potere che tale disposizione attribuisce al Ministro ma anche, e soprattutto, per le modalità di esercizio di tale potere da essa consentite.

  La Regione, peraltro, contesta anche, esplicitamente, la spettanza al Ministro del potere di nomina del Presidente dell’Autorità portuale di Trieste assumendo «l’inapplicabilità del decreto-legge n. 136 del 2004 nella Regione Friuli-Venezia Giulia»: ma non solo tale contestazione è dedotta anche come un profilo del primo motivo; non solo tale profilo è oggetto del giudizio in via principale proposto dallo Stato avverso la legge regionale; non solo esso è prospettato dalla Regione in via gradata rispetto al primo motivo, ma, soprattutto, esso è incompatibile con il petitum del ricorso per conflitto.

  Dovendosi, infatti, interpretare tale ricorso – quale atto di parte – per cogliere il contenuto sostanziale della domanda proposta a questa Corte, non può prescindersi dal rilevare che la Regione – chiedendo dichiararsi che «non spetta allo Stato nominare con decreto ministeriale, senza previa intesa con la Regione, il Presidente dell’Autorità portuale di Trieste» – individua inequivocabilmente la menomazione delle sue attribuzioni non già nella circostanza che lo Stato si sarebbe appropriato di un potere che, viceversa, spetterebbe alla Regione, ma esclusivamente nella circostanza che lo Stato avrebbe esercitato malamente tale potere in danno della Regione, e cioè «senza previa intesa» con essa.

  E’ evidente, allora, che poiché – sia oggettivamente, sia ex ore della Regione – tali modalità di esercizio del potere di nomina, lesive delle attribuzioni regionali, sono prescritte dalla norma censurata di illegittimità costituzionale, in via principale, a questa – e non già, autonomamente, al provvedimento di nomina – è imputabile, come effetto derivato dalla sua illegittimità costituzionale, la lamentata menomazione delle attribuzioni regionali: donde l’inammissibilità del conflitto in quanto sollevato nei confronti di provvedimento meramente attuativo di una norma assoggettabile, e di fatto assoggettata, a giudizio di legittimità costituzionale in via principale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzioni sollevato dalla Regione Friuli-Venezia Giulia avverso il decreto 15 luglio 2004 di nomina del Presidente dell’Autorità portuale di Trieste, adottato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, e della deliberazione 3 giugno 2004 del Consiglio dei ministri.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 

l'11 ottobre 2005.

F.to:

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 ottobre 2005.

                                                                                                                                                                                                                                    Allegato: ordinanza letta all’udienza del 7 giugno 2005

LA CORTE COSTITUZIONALE

  rilevato che, pur dovendosi ribadire in linea di principio che nei giudizi per conflitto di attribuzioni davanti a questa Corte possono assumere la qualità di parte soltanto i soggetti legittimati a promuovere il conflitto ovvero a resistervi, non può escludersi la possibilità che l’oggetto del conflitto sia tale da coinvolgere, in modo immediato e diretto, situazioni soggettive di terzi, che sarebbero irrimediabilmente pregiudicate da un esito del conflitto e salvaguardate dall’esito opposto;

  che, conseguentemente, questa Corte, anche recentemente (sent. n. 154 del 2004), ha ritenuto ammissibile l’intervento di soggetti che, quali parti nel giudizio ordinario la cui decisione era oggetto del conflitto, sarebbero stati incisi, senza possibilità di far valere le loro ragioni, dall’esito del giudizio per conflitto;

  che analoga situazione si riscontra nel presente giudizio per conflitto, se non altro perché il provvedimento di nomina del Presidente dell’Autorità portuale di Trieste è oggetto di giudizio davanti al T.A.R. del Friuli-Venezia Giulia, nel quale giudizio l’Autorità portuale di Trieste è parte;

P.Q.M.

  dichiara ammissibile l’intervento dell’Autorità portuale di Trieste nel giudizio per conflitto di attribuzioni n. 21 del 2004, promosso dalla Regione Friuli-Venezia Giulia contro il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Firmato: Piero Alberto Capotosti, Presidente