Ordinanza n. 370 del 2005

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ORDINANZA N. 370

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Piero Alberto

CAPOTOSTI

Presidente

- Fernanda

CONTRI

Giudice

- Guido

NEPPI MODONA

"

- Annibale

MARINI

"

- Franco

BILE

"

- Giovanni Maria

FLICK

"

- Francesco

AMIRANTE

"

- Ugo

DE SIERVO

"

- Romano

VACCARELLA

"

- Paolo

MADDALENA

"

- Alfio

FINOCCHIARO

"

- Alfonso

QUARANTA

"

- Franco

GALLO

"

- Luigi

MAZZELLA

"

- Gaetano

SILVESTRI

"

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 13, commi 3 e 13, 14, comma 5-ter, e 17 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), promosso con ordinanza emessa dal Tribunale di Piacenza in data 10 marzo 2003, nel procedimento penale a carico di E.S., iscritta al n. 399 del registro ordinanze 2003, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2003.

  Udito nella camera di consiglio del 6 luglio 2005 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Piacenza ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 10, 13, 24, 27 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 3 e 13, 14, comma 5-ter, e 17 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo);

  che il giudice a quo premette di essere investito del processo penale nei confronti di uno straniero tratto in arresto per il reato di ingiustificato trattenimento nel territorio dello Stato, di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998;

che – convalidato l’arresto e disposta la liberazione dell’arrestato, stante l’impossibilità di applicare misure cautelari a fronte della natura contravvenzionale della fattispecie criminosa – era stato rilasciato il nulla osta all’espulsione dell’imputato: nulla osta reso praticamente obbligatorio, in rapporto al reato de quo, dall’art. 13, comma 3-bis, del medesimo decreto legislativo;

che – dovendo quindi procedersi, per il reato in questione, con rito direttissimo, in forza dell’art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998 – il difensore aveva fatto richiesta di termine a difesa, sicché il processo era stato rinviato ad altra udienza;

che, ciò premesso, il rimettente osserva come l’esecuzione coattiva ed immediata dell’espulsione dello straniero, prima della celebrazione del processo per il reato per il quale si è proceduto all’arresto, comprometta il diritto di difesa dell’imputato, impedendogli di organizzare, con l’ausilio del difensore, una adeguata strategia difensiva e, in particolare, di valutare l’opportunità di accedere ai riti alternativi e di raccogliere prove a discarico, ad esempio riguardo alla sussistenza di un giustificato motivo di permanenza nel territorio dello Stato: con conseguente irragionevole disparità di trattamento rispetto ai casi in cui l’imputato sia cittadino italiano;

che a garantire il rispetto dell’art. 24 Cost. non basterebbe la facoltà, accordata allo straniero espulso dall’art. 17 del d.lgs. n. 286 del 1998, di far rientro in Italia per il tempo strettamente necessario ai fini dell’esercizio del diritto di difesa, previa autorizzazione del questore: garanzia, questa, puramente astratta, potendo il rientro risultare di fatto ostacolato o impedito, oltre che dalla ristrettezza dei tempi del rito, anche dalla insufficienza dei mezzi economici dell’interessato;

che risulterebbero lesi, di conseguenza, anche i principi del «giusto processo» enunciati dall’art. 111 Cost., giacché la procedura censurata renderebbe puramente eventuale la partecipazione dell’imputato al processo, impedendogli di articolare un’effettiva e tempestiva difesa e di farlo in condizioni di parità con l’accusa;

che la subordinazione dell’esercizio delle facoltà difensive dell’imputato alla valutazione del questore – organo amministrativo e non giurisdizionale – prefigurata dal citato art. 17, lederebbe, inoltre, l’art. 104 Cost., che qualifica la magistratura come «ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere», sottraendo in particolare al giudice il compito di valutare la sussistenza di valide ragioni per assicurare la presenza dell’imputato nel processo a fini di difesa;

  che, ancora, l’allontanamento immediato e coattivo dal territorio dello Stato dello straniero sottoposto a procedimento penale per il reato in questione finirebbe per tradursi in un’anticipazione degli effetti della condanna, contrastante con la presunzione di non colpevolezza stabilita dall’art. 27 Cost.: e ciò tenuto conto della possibilità che, in esito al dibattimento, venga emessa sentenza di assoluzione basata sull’accertamento dell’esistenza di giustificati motivi di permanenza dell’imputato nel territorio nazionale, ancorché egli risulti colpito da provvedimento di espulsione;

che non sarebbe possibile, d’altra parte, una interpretazione “costituzionalmente orientata” delle norme impugnate, a fronte della quale il giudice potrebbe consentire all’imputato di trattenersi nel territorio dello Stato per il tempo necessario alla trattazione del processo;

che una simile interpretazione rimarrebbe infatti preclusa dall’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, come novellato dalla legge n. 189 del 2002, che – relativamente al caso dello straniero sottoposto a procedimento penale, il quale non si trovi in stato di custodia cautelare – stabilisce che il giudice può negare il nulla osta all’espulsione «solo in presenza di inderogabili esigenze processuali valutate in relazione all’accertamento della responsabilità di eventuali concorrenti nel reato o di imputati in procedimenti per reati connessi, e all’interesse della persona offesa»: con la conseguenza che, nell’ipotesi in questione, il giudice potrebbe assicurare la presenza dell’imputato nel processo solo per garantire le esigenze dell’accusa pubblica o privata, e non, invece, per assicurare l’esercizio del diritto alla difesa e l’effettivo contraddittorio fra le parti.

Considerato che, tramite l’impugnativa delle norme denunciate, il giudice a quo censura il meccanismo procedimentale che impone, di fatto, l’immediata esecuzione dell’espulsione dello straniero sottoposto a procedimento penale per il reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, senza tener conto delle sue esigenze difensive: meccanismo che fa perno sul rilascio del relativo nulla osta da parte del giudice, ai sensi dell’art. 13, commi 3 e 3-bis, del citato decreto legislativo;

che la questione è stata peraltro sollevata nel corso del giudizio direttissimo, dopo che il giudice rimettente, in applicazione della predetta disciplina, aveva già provveduto al rilascio del nulla osta all’espulsione dell’imputato: e, dunque, in un momento nel quale egli aveva già esaurito la propria cognizione al riguardo, col risultato di rendere il quesito ormai privo di rilevanza nel caso di specie;

che, d’altra parte, per quanto attiene ai profili di censura che investono più specificamente il regime dell’autorizzazione al rientro in Italia dello straniero espulso ai fini dell’esercizio del diritto di difesa, previsto dall’art. 17 del d.lgs. n. 286 del 1998 – e, in particolare, l’attribuzione al questore, anziché al giudice, del relativo potere – la rilevanza del quesito resta, a prescindere da ogni altra considerazione, del tutto ipotetica, non constando dall’ordinanza di rimessione che l’imputato nel giudizio a quo abbia concretamente manifestato l’intento di avvalersi della facoltà in parola;

che la questione va dichiarata, pertanto, manifestamente inammissibile.

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 3 e 13, 14, comma 5-ter, e 17 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 10, 13, 24, 27 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Piacenza con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 2005.

F.to:

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2005.