Sentenza n. 276 del 2005

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SENTENZA N. 276

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                         Presidente

- Fernanda                     CONTRI                                  Giudice

- Guido                         NEPPI MODONA                       "

- Annibale                     MARINI                                       "

- Franco                         BILE                                             "

- Giovanni Maria           FLICK                                          "

- Francesco                    AMIRANTE                                 "

- Ugo                             DE SIERVO                                 "

- Romano                      VACCARELLA                           "

- Paolo                           MADDALENA                            "

- Alfio                           FINOCCHIARO                          "

- Alfonso                       QUARANTA                               "

- Franco                         GALLO                                        "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 45, comma 6, della legge 17 maggio 1999, n. 144 (Disposizioni in materia di occupazione e di previdenza), e 2, comma 1, del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81 (Integrazioni e modifiche della disciplina dei lavori socialmente utili, a norma dell’art. 45, comma 2, della legge 17 maggio 1999, n. 144), promosso dalla Corte di appello di Torino, con ordinanza del 6 giugno 2003, nel procedimento civile vertente tra Comune di Torino e A. L. ed altri, iscritta al n. 876 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visti l’atto di costituzione di B. G. ed altri nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 3 maggio 2005 il Giudice relatore Francesco Amirante;

uditi l’avvocato Sergio Vacirca per B. G. ed altri e l’avvocato dello Stato Massimo Mari per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.–– La Corte d’appello di Torino, adita dal Comune di quella città con impugnazione avverso la sentenza con la quale il locale Tribunale aveva accertato il diritto di alcuni lavoratori ad essere inseriti tra i lavoratori socialmente utili cui spettavano il regime transitorio ed i connessi benefici previsti dall’art. 12 del decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 45, comma 6, della legge 17 maggio 1999, n. 144 (Disposizioni in materia di occupazione e di previdenza), e 2, comma 1, del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81 (Integrazioni e modifiche della disciplina dei lavori socialmente utili, a norma dell’art. 45, comma 2, della legge 17 maggio 1999, n. 144).

Il remittente premette in diritto che il comma 6 dell’art. 45 citato stabilisce che le disposizioni di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 468 del 1997 si applicano ai lavoratori socialmente utili «che abbiano maturato o che possano maturare dodici mesi in tale tipo di attività nel periodo compreso tra il 1° gennaio 1998 ed il 31 dicembre 1999», mentre il comma 1 dell’art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2000 prescrive che le disposizioni del decreto stesso «si applicano, salvo quanto previsto dall’articolo 10, comma l, ai soggetti impegnati in progetti di lavori socialmente utili e che abbiano effettivamente maturato dodici mesi di permanenza in tali attività nel periodo dal 1° gennaio 1998 al 31 dicembre 1999».

In fatto il remittente espone che i lavoratori in causa erano stati impiegati in progetti approvati nel corso del 1998 ma che, per ritardi di organi pubblici o di enti utilizzatori e comunque per motivi indipendenti dalla loro volontà, erano stati effettivamente immessi al lavoro successivamente al 15 gennaio 1999 e non avevano quindi potuto maturare l’anzianità prescritta.

Il remittente rileva altresì che, attesa la chiara lettera della disposizione censurata, non può essere condivisa l’interpretazione del giudice di primo grado, secondo la quale la normativa deve essere interpretata nel senso che i dodici mesi di attività devono essere maturati nell’ambito di un progetto approvato entro il 31 dicembre 1999, ancorché l’attività dei lavoratori sia andata oltre tale data.

Per quanto concerne la non manifesta infondatezza, il remittente sostiene che, tenuto conto della duplice considerazione che il rapporto inerente allo svolgimento delle attività socialmente utili non è rapporto di lavoro in senso proprio e che l’assegno viene corrisposto anche per i periodi di mera formazione e non di lavoro, è irragionevole escludere dal trattamento in questione coloro che, per fatti non da loro dipendenti, non avevano potuto maturare i dodici mesi di attività prescritti entro il 31 dicembre 1999. Di ciò, sia pure in limitata misura, si erano resi conto il Comune di Torino e la Commissione regionale per l’impiego i quali avevano ritenuto meritevoli del trattamento in oggetto i lavoratori che avevano completato i dodici mesi di attività entro il 15 gennaio 2000, in quanto entro il 31 dicembre 1999 avevano maturato undici mesi e poco più della metà del dodicesimo.

Il remittente espone altresì che la questione limitata all’illegittimità dell’art. 45, comma 6, citato, era stata sollevata in altro analogo procedimento e che questa Corte, con l’ordinanza n. 40 del 2003, l’aveva dichiarata inammissibile, sul rilievo che il remittente non aveva tenuto in alcun conto il decreto n. 81 del 2000. A tal proposito, la Corte torinese osserva che l’art. 2, comma 1, del suindicato decreto adotta una formula analoga a quella dell’art. 45, comma 6, della legge n. 144 del 1999. Da ciò, da un lato, si trae la conclusione che il decreto medesimo in sostanza nulla ha innovato sulla rilevanza della questione, dall’altro il sospetto di illegittimità viene esteso alla citata disposizione del decreto legislativo.

2.–– Si sono costituite alcune delle parti private le quali in via principale sostengono l’interpretazione della norma adottata dal giudice di primo grado del giudizio a quo; in subordine aderiscono alle argomentazioni esposte nell’ordinanza di rimessione.

3.— E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

L’Avvocatura osserva che, in materia previdenziale, rientra nella discrezionalità del legislatore dettare una disciplina che tenga conto anche del tempo, perché il fluire di questo di per sé può essere elemento di diversificazione e soggiunge che l’ordinanza denuncia meri inconvenienti che si sono verificati nell’applicazione della normativa censurata.

Considerato in diritto

1.— La Corte d’appello di Torino, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dubita della legittimità costituzionale degli artt. 45, comma 6, della legge 17 maggio 1999, n. 144 (Disposizioni in materia di occupazione e di previdenza), e 2, comma 1, del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81 (Integrazioni e modifiche della disciplina dei lavori socialmente utili, a norma dell’articolo 45, comma 2, della legge 17 maggio 1999, n. 144).

Secondo la Corte remittente è irragionevole e lesiva del principio di eguaglianza l’attribuzione di determinati benefici e di una situazione cui si connettono vantaggi a soggetti che abbiano maturato un’anzianità in lavori socialmente utili eseguiti in un certo periodo (nella specie, dodici mesi di anzianità nel periodo dal 1° gennaio 1998 al 31 dicembre 1999), senza tenere conto dell’effettivo momento in cui, in linea di fatto, i progetti stessi hanno iniziato il loro svolgimento. Ciò comporta la conseguenza che in alcuni casi, come in quello delle parti del giudizio a quo, sono stati esclusi dai benefici lavoratori ai quali, a causa dell’epoca effettiva d’inizio di attuazione dei progetti stessi e quindi per accadimenti indipendenti dalla loro volontà, non era stato possibile maturare l’anzianità richiesta.

Ulteriore conseguenza è la privazione del trattamento previdenziale prescritto dall’art. 38 della Costituzione.

La motivazione sulla rilevanza fornita dal giudice remittente non è implausibile, sicché la questione è ammissibile.

2.— Nel merito, essa è infondata.

Nella giurisprudenza della Corte è ricorrente l’affermazione del principio che il succedersi nel tempo di fatti ed atti può di per sé rendere legittima l’applicazione di una determinata disciplina rispetto ad altra e ciò anche con particolare riguardo alla valutazione di anzianità pregresse (cfr. la recente sentenza n. 430 del 2004 ed altre in essa citate).

In specie, poi, l’elemento temporale può essere legittimo criterio di discrimine se esso intervenga a delimitare le sfere di applicazione di norme nell’ambito del riordino complessivo della disciplina attinente ad una determinata materia (cfr. ordinanza n. 190 del 2003). Ciò è quanto si verifica nel caso in esame, perché le disposizioni censurate rientrano in una più ampia normativa, in parte conseguente al passaggio di competenze dallo Stato alle Regioni (cfr. ordinanza n. 40 del 2003).

Si osserva, perciò, che le diseguaglianze denunciate non derivano dalla formulazione delle norme impugnate, bensì da evenienze connesse alla loro concreta applicazione e finiscono quindi per sostanziarsi in inconvenienti di mero fatto irrilevanti ai fini dello scrutinio di costituzionalità (cfr., tra le più recenti, ordinanza n. 155 del 2005, sentenza n. 430 del 2004, ordinanze n. 349 e n. 173 del 2003 e sentenza n. 98 del 2003).

Si deve infine considerare, con riguardo alle norme censurate, la non pertinenza dell’evocazione del parametro dell’art. 38 Cost., dal momento che la violazione dei diritti da questo garantiti non deriva dal mancato godimento dei benefici e in genere della situazione di favore in oggetto, bensì potrebbe conseguire dall’eventuale inadeguatezza del trattamento di base spettante, una volta stabilita l’inapplicabilità della disciplina censurata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 45, comma 6, della legge 17 maggio 1999, n. 144 (Disposizioni in materia di occupazione e di previdenza), e 2, comma 1, del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81 (Integrazioni e modifiche della disciplina dei lavori socialmente utili, a norma dell’art. 45, comma 2, della legge 17 maggio 1999, n. 144), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Torino con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2005.

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2005.