Ordinanza n. 245 del 2005

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ORDINANZA N. 245

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Fernanda                     CONTRI                            Presidente

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                        Giudice

- Guido                         NEPPI MODONA                     "

- Annibale                     MARINI                                     "

- Franco                         BILE                                           "

- Giovanni Maria           FLICK                                        "

- Francesco                    AMIRANTE                               "

- Ugo                             DE SIERVO                               "

- Romano                      VACCARELLA                        "

- Paolo                           MADDALENA                          "

- Alfio                           FINOCCHIARO                        "

- Alfonso                       QUARANTA                             "

- Franco                         GALLO                                      "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 5, del codice di procedura penale, promosso, nell’ambito di un procedimento penale, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Modena con ordinanza del 22 maggio 2003, iscritta al n. 586 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 marzo 2005 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Modena ha sollevato, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 5, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede il diritto del pubblico ministero di chiedere l’ammissione di prova contraria nell’ipotesi in cui l’imputato abbia depositato il fascicolo delle investigazioni difensive e contestualmente formulato richiesta di giudizio abbreviato;

che il rimettente riferisce che nel corso dell’udienza preliminare nei confronti di persona imputata di tentata estorsione il difensore aveva depositato il fascicolo delle indagini difensive contenente il verbale dell’assunzione delle dichiarazioni rese da una teste ex art. 391-ter cod. proc. pen. e, munito di procura speciale, aveva contestualmente chiesto il rito abbreviato;

che il pubblico ministero, privato della possibilità di controesaminare il teste, aveva chiesto di sollevare questione di legittimità costituzionale;

che il giudice a quo osserva che le investigazioni difensive possono essere svolte, senza limiti temporali, in qualsiasi stato e grado del procedimento ex art. 327-bis, comma 2, cod. proc. pen. e che – a norma degli artt. 442, comma 1-bis, 419, comma 3, 421, comma 3, e 391-octies cod. proc. pen. - è indubitabile che i risultati di tali indagini sono utilizzabili nel giudizio abbreviato e che i relativi verbali possono essere prodotti anche nel corso dell’udienza preliminare, senza che sussista alcun obbligo preventivo di avviso alla controparte o di deposito: conformemente peraltro al «principio della c.d. continuità investigativa» già affermato dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 16 del 1994 e n. 258 del 1991;

che di conseguenza, venendo a coincidere il termine ultimo per la formulazione della richiesta di giudizio abbreviato con quello per la formulazione delle conclusioni, il materiale probatorio utilizzabile dal giudice per la decisione ex art. 442, comma 1-bis, cod. proc. pen. ben potrebbe comprendere anche i risultati delle investigazioni difensive depositati nel corso dell’udienza preliminare;

che nella situazione processuale verificatasi nel giudizio a quo - diversamente da quanto previsto in caso di richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria ex art. 438, comma 5, cod. proc. pen. - da un lato il giudice non può sindacare la richiesta ed è tenuto ad ammettere il giudizio abbreviato, dall’altro il pubblico ministero non solo non ha alcun potere di interloquire sulla prova (sul punto viene richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 115 del 2001), ma «si vede altresì interdetta ogni facoltà di contraddire sulla formazione unilaterale della prova introdotta in udienza ed utilizzata nel rito»;

che in tale situazione sarebbe compromessa la «simmetria imposta dal principio del contraddittorio come metodo dialettico di accertamento dei fatti» e sarebbe «quindi violato il principio enunciato dall’art. 111, comma secondo, Cost. secondo cui il processo ‘deve svolgersi nel contraddittorio tra le parti, in posizione di parità»;

che ad avviso del rimettente l’assenza del diritto alla controprova sul materiale investigativo unilateralmente acquisito dalla parte che chiede l’accesso al giudizio abbreviato non è rimediabile mediante l’eventuale sollecitazione al giudice ad esercitare il potere officioso di integrazione probatoria previsto dall’art. 441, comma 5, cod. proc. pen., posto che tale potere, finalizzato a colmare oggettive lacune del materiale probatorio, non potrebbe essere usato per scopi sostanzialmente diversi, quali «il riequilibrio dell’asimmetria generata dall’introduzione di materiale probatorio unilateralmente raccolto dal difensore»;

che inoltre il principio del contraddittorio non sarebbe adeguatamente garantito «da un potere affidato ad un terzo, attivabile in via residuale ed eventuale»;

che, peraltro, ammettere in via generalizzata la necessità di rinnovare in udienza il «materiale probatorio unilateralmente formato dalla difesa» finirebbe «per accreditare il sospetto di una costante minor affidabilità della prova difensiva, al di là della volontà del legislatore»;

che ad avviso del giudice a quo nell’ipotesi in esame ad essere in discussione sarebbe soprattutto la formazione unilaterale della prova, la sua introduzione in giudizio e il contestuale ‘consenso’ ad essere giudicato sulla base di tale prova prestato dalla stessa parte che ne ha curato l’assunzione, senza che vi sia stata alcuna «verifica critica della parte pubblica»;

che di conseguenza la necessità di ricondurre a «simmetria» il «contraddittorio sulla prova» imporrebbe quantomeno di «riconoscere al pubblico ministero la facoltà di chiedere l’ammissione della prova contraria […] secondo una cadenza del resto già prevista dal legislatore nella disciplina del modello del rito abbreviato condizionato»;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata;

che ad avviso dell’Avvocatura nel giudizio abbreviato è pacificamente escluso qualsiasi potere di iniziativa probatoria del pubblico ministero, ammesso soltanto a chiedere la prova contraria nel caso in cui l’imputato abbia subordinato la sua richiesta ad una integrazione probatoria;

che tale sistema è giustificato dalla peculiare e diversa situazione dell’imputato rispetto al pubblico ministero e dalla tendenziale completezza delle indagini che deve accompagnare l’esercizio dell’azione penale (sentenza n. 115 del 2001);

che «al potere contratto del pubblico ministero» potrebbe comunque «sopperire il giudice che sia nel caso di abbreviato condizionato […] che nel caso in cui ritiene di non potere decidere allo stato degli atti […], può integrare la prova»;

che, infine, nei procedimenti speciali a prova contratta la pienezza del contraddittorio soffre necessariamente alcune limitazioni che trovano giustificazione nella celerità e nelle finalità deflative del rito.

Considerato che il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Modena dubita, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 5, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede il diritto del pubblico ministero di chiedere l’ammissione di prova contraria nell’ipotesi in cui l’imputato depositi il fascicolo delle investigazioni difensive e contestualmente chieda di essere ammesso al giudizio abbreviato;

che ad avviso del rimettente non sarebbe possibile porre rimedio alla violazione del diritto del pubblico ministero al contraddittorio nella formazione della prova mediante l’esercizio del potere di integrazione probatoria riconosciuto al giudice dall’art. 441, comma 5, cod. proc. pen., in quanto tale potere, volto a colmare lacune ‘istruttorie’, verrebbe utilizzato per il diverso obiettivo di riequilibrare i poteri delle parti nella formazione della prova;

che comunque il principio del contraddittorio non sarebbe adeguatamente garantito ove la sua realizzazione fosse solo residuale ed eventuale in quanto affidata all’iniziativa del giudice;

che il rimettente, nell’esprimere le ragioni per cui il potere di assumere, eventualmente anche d’ufficio, gli elementi necessari alla decisione, attribuito al giudice dall’art. 441, comma 5, cod. proc. pen., non sarebbe idoneo a rendere la disciplina censurata conforme a Costituzione, trascura di considerare che nel nuovo giudizio abbreviato il potere di integrazione probatoria è configurato quale strumento di tutela dei valori costituzionali che devono presiedere l’esercizio della funzione giurisdizionale, sicché proprio a tale potere il giudice dovrebbe fare ricorso per assicurare il rispetto di quei valori;

che inoltre il giudice a quo, pur richiamando la giurisprudenza di questa Corte in tema di ‘continuità investigativa’ con riferimento alla possibilità per la parte privata di produrre gli atti delle indagini difensive anche nel corso dell’udienza preliminare (sentenze n. 238 del 1991 e n. 16 del 1994), omette di motivare sul perché non abbia ritenuto di dare attuazione al principio secondo il quale a ciascuna delle parti va comunque assicurato il diritto di esercitare il contraddittorio sulle prove addotte ‘a sorpresa’ dalla controparte, in modo da «contemperare l’esigenza di celerità con la garanzia dell’effettività del contraddittorio», anche attraverso differimenti delle udienze congrui rispetto «alle singole, concrete fattispecie» (oltre a quelle ora citate, v. sentenza n. 203 del 1992);

che prima di sollevare questione di legittimità costituzionale il rimettente avrebbe quindi dovuto esplorare la concreta praticabilità delle soluzioni offerte dall’ordinamento al fine di porre rimedio alla denunciata anomala sperequazione tra accusa e difesa;

che la questione va pertanto dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 5, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Modena con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2005

F.to:

Fernanda CONTRI, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Giuseppe Di Paola, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 giugno 2005.