Sentenza n. 222 del 2005

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SENTENZA N. 222

 ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Piero Alberto  CAPOTOSTI             Presidente

- Fernanda         CONTRI                      Giudice

- Guido             NEPPI MODONA           “

- Annibale         MARINI                           “

- Franco             BILE                                 “

- Giovanni Maria FLICK                            “

- Francesco        AMIRANTE                     “

- Ugo                 DE SIERVO                     “

- Romano          VACCARELLA               “

- Paolo               MADDALENA                “

- Alfio               FINOCCHIARO              “

- Alfonso           QUARANTA                   “

- Franco             GALLO                            “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 157, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), promosso con ricorso della Regione Emilia-Romagna, notificato il 24 febbraio 2004, depositato in cancelleria il 4 marzo 2004 ed iscritto al n. 33 del registro ricorsi 2004.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell’udienza pubblica del 22 marzo 2005 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

  uditi l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna e l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 24 febbraio 2004, depositato il 26 febbraio 2004 e iscritto al n. 33 del registro ricorsi del 2004, la Regione Emilia-Romagna ha impugnato – tra gli altri – l’art. 4, comma 157, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 Cost., nonché al principio di leale collaborazione.

        Tale disposizione – premette la ricorrente – prevede, tra l’altro, che «per il conseguimento dei risultati di maggiore efficienza e produttività dei servizi di trasporto pubblico locale, è istituito un apposito fondo presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti», che «la dotazione del fondo per l’anno 2004 è fissata in 33 milioni di euro» e che «con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono stabilite le modalità di riparto delle risorse di cui al presente comma».

Secondo la Regione Emilia-Romagna, tale disciplina sarebbe costituzionalmente illegittima anzitutto per il fatto di istituire un Fondo ministeriale separato e con destinazione vincolata, in materia di competenza residuale delle Regioni. A sostegno della propria doglianza la ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte (in particolare, le sentenze n. 49 e n. 16 del 2004 e n. 370 del 2003), secondo cui – nel nuovo sistema della finanza regionale di cui all’art. 119 Cost. – per il finanziamento delle normali funzioni di Regioni ed enti locali lo Stato non potrebbe proseguire nella pratica di trasferimento diretto di risorse per scopi determinati dalla legge statale, in base a criteri stabiliti, nell’ambito della stessa legge, dall’amministrazione dello Stato.

La ricorrente formula, inoltre, specifica censura avverso la previsione secondo la quale le modalità di riparto delle risorse contemplate nella disposizione impugnata dovrebbero essere decise con d.P.C.m., «sentita la Conferenza unificata»; tale strumento collaborativo non corrisponderebbe infatti alle «ben più intense modalità di leale collaborazione» che sarebbero state indicate da questa Corte nella sentenza n. 16 del 2004, dove si richiama la necessità – per il caso in cui i trasferimenti non possano essere disposti senza vincoli di destinazione specifica – di passare attraverso «il filtro dei programmi regionali, coinvolgendo dunque le Regioni interessate nei processi decisionali concernenti il riparto e la destinazione dei fondi».

La Regione conclude precisando che l’impugnazione «non coinvolge i contributi disposti dal terzo periodo del comma impugnato, in quanto essi costituiscono rimborso di contributi non dovuti».

2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio affermando di voler resistere nei confronti di tutte le doglianze esposte nel ricorso introduttivo, riservandosi tuttavia – quanto a quella in questa sede presa in considerazione – di proporre le relative argomentazioni in una successiva memoria.

In data 24 dicembre 2004, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria nella quale rileva, anzitutto, che le censure proposte dalla ricorrente sembrerebbero escludere la disposizione di cui al quarto periodo del comma 157 impugnato, e non al terzo periodo, come – forse erroneamente – indicato nel ricorso. I dieci milioni di euro di cui al quarto periodo non sarebbero del resto destinati al “fondo” ed al relativo riparto tra aziende di trasporto pubblico locale come invece dovrebbe ritenersi per i restanti ventitré milioni.

L’Avvocatura riferisce che il decreto ministeriale previsto nel terzo periodo non è stato ancora emanato e che non potrebbe escludersi, «previa modifica legislativa», che il riparto del fondo segua la medesima procedura prevista per il finanziamento destinato al rinnovo del contratto collettivo per il settore del trasporto pubblico locale e disposto dall’art. 23, comma 1, del decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 355 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2004, n. 47; finanziamento già ripartito «sentita la Conferenza unificata» ed anche già erogato senza contestazioni o controversie, come risulterebbe dai documenti depositati in allegato alla memoria.

La difesa erariale osserva che l’importo di ventitré milioni di euro sarebbe ben poco rilevante in rapporto all’ingente flusso di finanza derivata dedicata al trasporto pubblico locale e al pesante fabbisogno delle oltre mille aziende coinvolte; tuttavia, l’interruzione o anche il semplice “turbamento” di tale flusso finanziario «farebbe emergere dissesti e potrebbe produrre persino interruzioni di pubblici servizi». Ad avviso dell’Avvocatura, le doglianze della ricorrente sarebbero state “stimolate” dall’utilizzo di un linguaggio un po’ troppo tradizionale da parte del legislatore, il quale, anziché fare riferimento all’istituzione di un apposito fondo presso il Ministero, avrebbe potuto più semplicemente disporre lo stanziamento di risorse, evitando così di «dare la sensazione della ‘appropriazione’ di una funzione, di una competenza amministrativa, laddove invece v’è solo l’apporto di risorse finanziarie». Infatti, la disposizione censurata dovrebbe soltanto consentire di far affluire risorse finanziarie aggiuntive direttamente a determinate aziende di trasporto pubblico locale in maggiore difficoltà, da individuare sentita la Conferenza unificata; il riferimento costituzionale corretto sarebbe dunque il quinto comma e non il terzo comma dell’art. 119 Cost.

A tale proposito, la difesa erariale si sofferma su alcune considerazioni di carattere generale, osservando, anzitutto, che gli interventi speciali di cui al quinto comma dell’art. 119 non dovrebbero risultare, in base alla lettera della Costituzione e contrariamente a quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 16 del 2004, condizionati all’esercizio in concreto di «compiti di programmazione e di riparto dei fondi» da parte delle Regioni allorché siano coinvolti ambiti di competenza regionale. In secondo luogo, secondo l’Avvocatura, il divieto di finanziamenti a destinazione vincolata dovrebbe valere soltanto per il fondo perequativo di cui al terzo comma dell’art. 119 Cost., in considerazione del fatto che soltanto in quest’ultima disposizione sarebbe rinvenibile tale divieto, di per sé insuscettibile di essere esteso a qualsiasi trasferimento dallo Stato alle autonomie. Infine, quanto specificamente al quinto comma dell’art. 119 Cost., sarebbe indubbio che esso consente interventi speciali dello Stato e stanziamenti di risorse aggiuntive nel bilancio statale in ambiti che non sono attribuiti alla competenza legislativa “naturale” dello Stato, dal momento che – a ritenere che il riparto delle competenze legislative dovesse segnare anche il confine dell’ambito di applicazione di tale norma – questa risulterebbe del tutto inutile. Il quinto comma dell’art. 119 Cost. evidenzierebbe il riconoscimento del primato del Parlamento e della legge dello Stato anche in materie devolute ai legislatori regionali; primato che troverebbe limite unicamente nel requisito del perseguimento di una delle finalità di interesse generale menzionate – in termini molto ampi ed essenzialmente politici – nella stessa disposizione.

Sulla base di tali considerazioni, la difesa erariale conclude per «l’incongruità metodologica dell’impostare l’impugnazione delle leggi statali ad opera di ricorrenti Regioni partendo dall’elencazione contenuta nell’art. 117, secondo comma, Cost.», nonché per «la non condivisibilità dell’opinione secondo la quale sussisterebbe uno stretto collegamento tra competenze legislative dello Stato e possibilità di flussi finanziari diretti, cioè non tramite la finanza regionale, dallo Stato alle autonomie locali».

3. – Anche la Regione Emilia-Romagna, in prossimità dell’udienza pubblica, ha depositato una memoria, nella quale ribadisce le proprie doglianze replicando agli argomenti formulati dalla difesa del Presidente del Consiglio dei ministri.

Secondo la ricorrente, la disposizione censurata prevederebbe l’ennesimo Fondo ministeriale separato e con destinazione vincolata in materia di competenza residuale delle Regioni e ciò renderebbe ragione dell’evidente “imbarazzo” dell’Avvocatura erariale nel difenderla, sia richiamando «il linguaggio un po’ troppo tradizionale» con cui la disposizione sarebbe formulata (come se la riforma del Titolo V della Costituzione non fosse intervenuta), sia cadendo nella contraddizione di affermare, da un lato, che il decreto ministeriale non sarebbe stato ancora emanato e d’altronde le risorse da ripartire sarebbero di assai scarso rilievo, dall’altro che l’interruzione o il turbamento dei flussi finanziari necessari al settore del trasporto pubblico locale determinerebbe conseguenze gravissime anche sui diritti dei cittadini.

La Regione sottolinea il fatto che i trasporti pubblici locali sarebbero senza dubbio materia di competenza residuale delle Regioni, rappresentando peraltro un servizio pubblico di cui lo Stato dovrebbe definire – attraverso le adeguate procedure collaborative tante volte richiamate da questa Corte – i “livelli essenziali” e per i quali dovrebbe assicurare il finanziamento integrale in base all’art. 119, quarto comma, Cost., in quanto funzioni fondamentali delle autonomie locali. Nella suddetta materia, pertanto, non potrebbero trovare alcuno spazio né interventi finanziari diretti dello Stato nei confronti degli enti locali, né trasferimenti vincolati, né fondi “trattenuti” dal Ministero, né interventi finanziari diretti a favore di soggetti privati, mentre in relazione agli interventi speciali di cui all’art. 119, quinto comma, della Costituzione, essi non soltanto dovrebbero essere aggiuntivi rispetto al finanziamento integrale delle funzioni spettanti ai Comuni o agli altri enti e riferirsi alle finalità di perequazione e di garanzia enunciate dalla norma costituzionale (o, comunque, a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni), ma dovrebbero essere indirizzati a determinati Comuni o categorie di Comuni (o Province, Città metropolitane, Regioni); inoltre, quando tali finanziamenti riguardino ambiti di competenza delle Regioni, queste – in nome dell’esigenza di rispettare il riparto costituzionale delle competenze – dovrebbero essere chiamate ad esercitare compiti di programmazione e di riparto dei fondi all’interno del proprio territorio. A sostegno di tale ricostruzione, la ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte e, in particolare, le sentenze numeri 424, 423, 320, 49 e n. 16 del 2004 e 370 del 2003.

In conclusione, la Regione afferma l’impossibilità di fondare nell’attuale Titolo V della Costituzione l’ipotesi che il Governo, con il solo onere della forma meno intensa di leale collaborazione (il parere), possa scegliere – come interpreta l’Avvocatura – le aziende di trasporto pubblico locale a cui favore erogare direttamente finanziamenti aggiuntivi.

Considerato in diritto

1. – Con il ricorso indicato in epigrafe, la Regione Emilia-Romagna ha proposto questione di legittimità costituzionale – tra gli altri – dell’art. 4, comma 157, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 Cost., nonché al principio di leale collaborazione. Peraltro, la Regione ha precisato che l’impugnazione «non coinvolge i contributi disposti dal terzo periodo del comma impugnato, in quanto essi costituiscono rimborso di contributi non dovuti».

La disposizione impugnata prevede la costituzione di «un apposito fondo presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti» per il generico fine di assicurare il conseguimento di «risultati di maggiore efficienza e produttività dei servizi di trasporto pubblico locale» e la sua ripartizione tramite «decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281».

Secondo la Regione ricorrente, tale disciplina sarebbe costituzionalmente illegittima anzitutto per il fatto di istituire un Fondo ministeriale separato e con destinazione vincolata in materia di competenza residuale delle Regioni.

In ogni caso, sarebbe comunque contrastante con il principio di leale collaborazione la previsione secondo la quale il riparto delle risorse previste sia effettuato con d.P.C.m., dopo aver semplicemente sentito la Conferenza unificata.

2. – Per ragioni di omogeneità di materia, le questioni di legittimità costituzionale indicate devono essere trattate separatamente dalle altre concernenti la legge n. 350 del 2003 e sollevate con il medesimo ricorso, oggetto di distinte decisioni.

3. – Il ricorso è parzialmente fondato, nei termini di seguito esposti.

4. – Non vi è dubbio che la materia del trasporto pubblico locale rientra nell’ambito delle competenze residuali delle Regioni di cui al quarto comma dell’art. 117 Cost., come reso evidente anche dal fatto che, ancor prima della riforma del Titolo V della Costituzione, il decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (Conferimento alle Regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell’art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59) aveva ridisciplinato l’intero settore, conferendo alle Regioni ed agli enti locali funzioni e compiti relativi a tutti i «servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale con qualsiasi modalità effettuati ed in qualsiasi forma affidati» ed escludendo solo i trasporti pubblici di interesse nazionale (cfr., in particolare, gli artt. 1 e 3).

In questo stesso testo normativo l’art. 20, comma 5, prevede espressamente che le risorse statali di finanziamento relative all’espletamento delle funzioni conferite alle Regioni ed agli enti locali siano «individuate e ripartite» tramite decreti del Presidente del Consiglio dei ministri «previa intesa con la Conferenza permanente tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano».

5. – Questa Corte ha ripetutamente affermato che il legislatore statale non può porsi «in contrasto con i criteri e i limiti che presiedono all’attuale sistema di autonomia finanziaria regionale, delineato dal nuovo art. 119 della Costituzione, che non consentono finanziamenti di scopo per finalità non riconducibili a funzioni di spettanza statale» (sentenza n. 423 del 2004): nell’ambito del nuovo Titolo V della Costituzione non è quindi di norma consentito allo Stato prevedere propri finanziamenti in ambiti di competenza delle Regioni (cfr. sentenze numeri 160 e 77 del 2005, 320 e 49 del 2004), né istituire fondi settoriali di finanziamento delle attività regionali (cfr. sentenze n. 16 del 2004 e n. 370 del 2003).

Le eccezioni a questo divieto sono possibili solo nell’ambito e negli stretti limiti di quanto previsto negli artt. 118, primo comma, Cost., 119, quinto comma, (cfr. sentenze n. 49 e n. 16 del 2004), 117, secondo comma, lettera e), Cost. (cfr. sentenze n. 77 del 2005 e n. 14 del 2004).

Nel caso in esame l’Avvocatura generale dello Stato si riferisce espressamente a quanto previsto dal quinto comma dell’art. 119 Cost., che riconoscerebbe il «primato del Parlamento e della legge dello Stato anche in materie devolute ai legislatori regionali; primato che trova limite unicamente nel “requisito” del perseguimento di una delle finalità di interesse generale menzionate – in termini peraltro molto ampi ed essenzialmente “politici” – nello stesso comma quinto (“promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale”, etc.)».

Tuttavia, il quinto comma dell’art. 119 Cost. autorizza semplicemente lo Stato, per conseguire le molteplici finalità ivi espressamente indicate, ad attuare due specifiche e tipizzate forme di intervento finanziario nelle materie di competenza delle Regioni e degli enti locali: o l’erogazione di risorse aggiuntive rispetto alla ordinaria autonomia finanziaria regionale o locale (modalità questa, però, che presuppone che lo Stato abbia dato previa attuazione legislativa a quanto previsto dai primi quattro commi dell’art. 119, così garantendo a Regioni, Province e Comuni che le loro entrate finanzino «integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite»); oppure la realizzazione di «interventi speciali» «in favore di: determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni» (cfr. sentenza n. 16 del 2004).

Peraltro, l’art. 4, comma 157, della legge n. 350 del 2003 non è riconducibile a quest’ultima particolare tipologia di intervento a sostegno della finanza regionale o locale, non essendo predeterminato alcun intervento speciale, né individuato alcun particolare ente destinatario.

Nella perdurante situazione di mancata attuazione delle prescrizioni costituzionali in tema di garanzia dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle Regioni e degli enti locali, e del vigente finanziamento statale nel settore del trasporto pubblico locale, la disciplina di riferimento è contenuta nel citato art. 20 del d.lgs. n. 422 del 1997, il cui comma 5 stabilisce le modalità di trasferimento delle risorse erogate dallo Stato. Il fondo previsto dall’art. 4, comma 157, della legge n. 350 del 2003, risulta sostanzialmente analogo al meccanismo di finanziamento appena richiamato e ciò appare, al momento, sufficiente a giustificare l’intervento finanziario dello Stato e la sua relativa disciplina legislativa.

Tuttavia, proprio perché tale finanziamento interviene in un ambito di competenza regionale, la necessità di assicurare il rispetto delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute alle Regioni impone di prevedere che queste ultime siano pienamente coinvolte nei processi decisionali concernenti il riparto dei fondi (sentenze numeri 49 e 16 del 2004); ciò tenendo altresì conto del «limite discendente dal divieto di procedere in senso inverso a quanto oggi prescritto dall’art. 119 della Costituzione, e così di sopprimere semplicemente, senza sostituirli, gli spazi di autonomia già riconosciuti dalle leggi statali in vigore alle Regioni e agli enti locali, o di procedere a configurare un sistema finanziario complessivo che contraddica i principi del medesimo art. 119» (sentenza n. 37 del 2004).

Da questo punto di vista, va ritenuto insufficiente il meccanismo previsto dalla disposizione censurata, che – ai fini della emanazione del d.P.C.m. per la ripartizione del fondo e a differenza di quanto previsto dall’art. 20, comma 5, del d.lgs. n. 422 del 1997 – si limita a richiedere che sia «sentita» la Conferenza unificata Stato-Regioni di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 281 del 1997, riducendo in tal modo gli spazi di autonomia riconosciuti alle Regioni nel complessivo sistema di finanziamento del trasporto pubblico locale. È invece costituzionalmente necessario, al fine di assicurare in modo adeguato la leale collaborazione fra le istituzioni statali e regionali, che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri cui fa riferimento la disposizione impugnata sia adottato sulla base di una vera e propria intesa con la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 281 del 1997.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunzie la decisione sulle ulteriori questioni di legittimità costituzionale sollevate nei confronti della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004) con il ricorso indicato in epigrafe,

dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 157, della predetta legge 24 dicembre 2003, n. 350, nella parte in cui prevede che la dotazione del fondo venga ripartita «con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281», anziché stabilire che tale decreto sia adottato previa intesa con la Conferenza stessa.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2005.

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Depositata in Cancelleria l'8  giugno 2005.